N. 491 ORDINANZA (Atto di promovimento) 14 1994- 19 luglio 1995
N. 491 Ordinanza emessa il 14 luglio 1994 (pervenuta alla Corte costituzionale il 19 luglio 1995) dalla Corte dei conti, sezione giurisdizionale per la regione Lombardia, sul ricorso proposto da Mazzotti Amleto contro il Ministero della difesa Pensioni - Ufficiali del Ministero della difesa collocati a riposo anteriormente all'entrata in vigore delle leggi nn. 37/1990 e 21/1991 - Esclusione della riliquidazione del trattamento di quiescenza in base ai miglioramenti pensionistici attribuiti con dette leggi - Mancata automatica estensione alle pensioni dei miglioramenti conferiti al personale in servizio con le leggi stesse - Incidenza sui principi di proporzionalita' ed adeguatezza della retribuzione (anche differita) e sulla garanzia previdenziale - Riferimento alle sentenze della Corte costituzionale nn. 501/1988, 1/1991, 42/1993 e 226/1993. (D.-L. 27 dicembre 1989, n. 413, convertito, con modificazioni nella legge 28 febbraio 1990, n. 37; d.-l. 24 novembre 1990, n. 344, convertito, con modificazioni nella legge 23 gennaio 1991, n. 21; legge 2 giugno 1992, n. 216). (Cost., artt. 3, 36 e 38).(GU n.38 del 13-9-1995 )
LA CORTE DEI CONTI Ha pronunziato la seguente ordinanza sul ricorso iscritto al n. 199/PM del registro di Segreteria, proposto da Amleto Mazzotti - nato ad Asola (Mantova) il 16 maggio 1992 e residente in Brescia - contro il Ministero della difesa; Visti gli atti e documenti di causa; Uditi nell'udienza del 14 luglio 1994 il relatore, dott. Claudio Galtieri ed il proc. Nadia Bergonzini per delega dell'avv. Enrico Pennasilico, nessuno intervenuto per l'Amministrazione. F A T T O Con ricorso depositato nella segreteria della IV Sezione pensioni militari il 1 aprile 1993 Amleto Mazzotti, generale dell'Aeronautica militare in pensione dal 1980, rappresentato e difeso dall'avv. Enrico Pennasilico, ha chiesto l'accertamento del suo diritto ad ottenere la riliquidazione del trattamento pensionistico alla luce dei benefici economici riconosciuti al personale in servizio dalle leggi 28 febbraio 1990 n. 37 e 21 gennaio 1991 n. 21, e cioe' l'aggancio del trattamento stesso alle retribuzioni del personale in attivita' di servizio con pari grado. Il ricorrente afferma che l'art. 2 della legge 29 aprile 1976 n. 177 esprime un principio essenziale in applicazione degli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, nel senso che prevede una perequazione automatica delle pensioni alla dinamica delle retribuzioni, e che la situazione ora lamentata e' analoga a quella gia' censurata dalla Corte costituzionale con la sentenza 21 aprile - 5 maggio 1988 n. 501, che ha dichiarato l'incostituzionalita' della legge 17 aprile 1985 n. 141, nella parte in cui non prevedeva a favore del personale collocato a riposo la riliquidazione della pensione. Rileva che le citate leggi n. 37 del 1990 e 21 del 1991 - che hanno aumentato gli stipendi della dirigenza pubblica - non hanno disposto alcun corrispondente aumento dei trattamenti pensionistici, ed afferma che tale omissione si pone in netto contrasto con i chiari principi espressi dalla citata legge n. 177 del 1976 e dalla ricordata sentenza della Corte costituzionale, cui e' seguita l'ulteriore sentenza n. 1 del 1991, che ha dichiarato l'incostituzionalita' del d.-l. 16 settembre 1987 n. 379, nella parte in cui non ha disposto aumenti in favore del personale collocato a riposo. Conclusivamente, chiede il riconoscimento del proprio diritto alla riliquidazione del trattamento pensionistico con riferimento ai benefici economici previsti dalle leggi citate, e, in subordine, la rimessione alla Corte costituzionale delle prospettate questioni di incostituzionalita' delle leggi n. 37 del 1990 e 21 del 1991 per violazione degli artt. 3, 36 38 della Costituzione. Trasmesso il fascicolo alla segreteria di questa Sezione, il Ministero della difesa in data 17 maggio 1994 ha fatto pervenire una relazione, ed allegata documentazione, in cui si afferma che l'orientamento negativo dell'Amministrazione risulta condiviso da numerose decisioni, anche recenti, della IV Sezione pensioni militari della Corte dei conti. Con breve memoria depositata il 24 giugno 1994, il difensore del ricorrente ha ribadito i presupposti in fatto e le ragioni del ricorso, chiedendone l'accoglimento e, in subordine, la rimessione alla Corte costituzionale per la declaratoria di incostituzionalita' delle leggi numeri 37 del 1990 e 21 del 1991, per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione. Nell'udienza del 14 luglio 1994, nessuno comparso per l'Amministrazione, il dott. proc. Nadia Bergonzini, per delega dell'avv. Pennasilico, ha ricordato brevemente il contenuto e le conclusioni del ricorso e della memoria, depositando copia dell'ordinanza di rimessione alla Corte costituzionale adottata di recente dalla Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la regione Abruzzo. D I R I T T O Amleto Mazzotti, gia' ufficiale superiore dell'Aeronautica militare e collocato in congedo dal 2 maggio 1980, ha chiesto in via principale l'accertamento del suo diritto ad ottenere la riliquidazione del trattamento pensionistico in godimento alla luce dei benefici economici riconosciuti al personale in servizio dalle leggi 28 febbraio 1990 n. 37 e 23 gennaio 1991 n. 21, e cioe' l'aggancio del trattamento stesso alle retribuzioni del personale in attivita' di servizio con pari grado. In via subordinata, ha dedotto questione di costituzionalita' di tali leggi, in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, affermando che l'art. 2 della legge 29 aprile 1976 n. 177 esprime un principio essenziale in applicazione delle indicate disposizioni della Carta costituzionale, nel senso che prevede una perequazione automatica delle pensioni alla dinamica delle retribuzioni, e che la situazione ora lamentata e' analoga a quella gia' censurata dalla Corte costituzionale con la sentenza 21 aprile - 5 maggio 1988 n. 501, che ha dichiarato l'incostituzionalita' della legge 17 aprile 1985 n. 141, nella parte in cui non prevedeva a favore del personale collocato a riposo la riliquidazione della pensione, cui e' seguita l'ulteriore sentenza n. 1 del 1991, che ha dichiarato l'incostituzionalita' del d.-l. 16 settembre 1987 n. 379, nella parte in cui non ha disposto aumenti in favore del personale collocato a riposo. Rileva preliminarmente la Sezione, in punto di rilevanza della dedotta questione di costituzionalita', che, ove questa fosse accolta, e le disposizioni censurate dovessero risultare colpite da una declaratoria di illegittimita' costituzionale in quanto non prevedono la loro applicazione al personale gia' collocato a riposo, non si potrebbe piu' porre in dubbio il diritto del ricorrente a conseguire l'adeguamento della pensione in godimento, e, quindi, giuridicamente fondata ed accoglibile sarebbe la pretesa alla corresponsione del migliore trattamento previsto dalle disposizioni in questione. La Sezione ritiene che non sia manifestamente infondata la questione di costituzionalita', in riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione, delle disposizioni contenute nella legge 28 febbraio 1990 n. 37 (di conversione, con modifcazione, del d.-l. 27 dicembre 1989 n. 413) e 23 gennaio 1991 n. 21 (di conversione del d.-l. 24 novembre 1990 n. 344), norme espressamente indicate dal ricorrente, nonche' della successiva legge 2 giugno 1992 n. 216, per la quale ritiene di sollevare d'ufficio la questione. Al riguardo, infatti, richiama i principi piu' volte affermati e ribaditi dalla Corte costituzionale - tra le numerose altre, con le sentenze 21 aprile - 5 maggio 1988 n. 501, 8-9 gennaio 1991 n. 1, 28 gennaio - 10 febbraio 1993 n. 42 e 23 aprile 7 maggio 1993 n. 226 - che risulterebbero vulnerati per effetto delle norme di legge sopra richiamate che hanno ricreato "la piaga crudele della pensione d'annata": 1) l'adeguatezza e proporzionalita' richieste dall'art. 36 della Costituzione "devono sussistere non solo al momento del collocamento a riposo ma vanno costantemente assicurate anche nel prosiego in relazione al mutamento del potere d'acquisto della moneta", rispettando "l'esigenza di un costante adeguamento del trattamento di quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo"; 2) "rientra nel potere discrezionale del legislatore la determinazione delle misure e dei criteri di adeguamento dei trattamenti pensionistici alla variazione del costo della vita nonche' delle modalita' di perequazione degli stessi"; 3) l'applicazione al trattamento pensionistico dell'art. 36 della Costituzione, che si riconnette al carattere retributivo della pensione, richiede che "sia assicurata al pensionato ed alla sua famiglia, cosi' come all'impiegato in servizio attivo, un'assistenza libera e dignitosa"; 4) il legislatore e' "chiamato ad operare il bilanciamento tra le varie esigenze nel quadro della politica economica generale e delle concrete disponibilita' finanziarie", tenendo anche conto che "alla solidarieta' tra lavoratori e pensionati si affianca sempre e comunque una solidarieta' piu' ampia dell'intera collettivita'", ma con "l'inevitabile vincolo di scopo di conseguire una ragionevole corrispondenza (evitando che si determini un non sopportabile scostamento fra dinamica delle pensioni e dinamica delle retribuzioni". Sulla base di tali principi, la sentenza n. 226 del 1993 ha, in particolare, rilevato che tra la misura delle pensioni degli ex dipendenti pubblici non dirigenti (definita con gli aumenti disposti dall'art. 23 del d.-l. 22 dicembre 1990 n. 409, convertito in legge 27 febbraio 1991 n. 59) e la misura delle retribuzioni dei dipendenti di pari qualifica ed anzianita' ancora in servizio sussiste indubbiamente uno scostamento rilevante, ma non al punto "da indurre a dubitare della idoneita' - a questo momento - del meccanismo perequativo in atto prescelto dal legislatore a garantire un sufficiente livello di adeguatezza delle pensioni". Ed ancora, la sentenza n. 1 del 1991 ha, fra l'altro, affermato che "la disciplina della materia e' affidata alla discrezionalita' del legislatore, il quale puo' anche adottare trattamenti differenziati in relazione al fattore tempo ma .. non puo' esercitare il potere attribuitogli secondo i canoni di razionalita' e ragionevolezza" e che "sin dal 1976 si sarebbe dovuto attuare il collegamento delle pensioni con la dinamica salariale, ma che in via provvisoria, e comunque non oltre il 1978, in attesa della determinazione dell'indice di incremento delle retribuzioni del settore pubblico, si sarebbe applicato l'indice valevole per l'aggancio alla dinamica salariale del settore privato .. L'intento riequilibratore, con l'adozione del criterio dell'aggancio delle pensioni alle retribuzioni, e' stato ottenuto proprio con il d.-l. in esame (n. 387/1987) e continuato con il d.-l. n. 416/1989, convertito, con modificazioni, in legge n. 37/1990 per tacere del successivo d.-l. n. 344/1990 non ancora convertito". Osserva la Sezione che, mancando nelle ricordate leggi 28 febbraio 1990 n. 37 e 23 gennaio 1991 n. 21, recanti aumenti stipendiali di dirigenti in servizio, apposita norma di perequazione per i dirigenti in quiescenza, non puo' tale vuoto normativo essere colmato in via interpretativa facendo riferimento alla motivazione della citata sentenza della Corte costituzionale n. 1 del 1991, non essendo lecito attribuire a tale motivazione una valenza precettiva, quasi che essa fosse da equiparare ad un disposto di legge. Orbene, per effetto degli aumenti di stipendio erogati, con decorenza dal 1 marzo 1990 e dal 1 luglio 1990 rispettivamente dalle leggi numeri 37 del 1990 e 21 del 1991, nonche' per effetto del disposto aggiornamento del trattamento retributivo dei dirigenti in ragione della media degli incrementi retributivi realizzati dalle altre categorie di pubblici dipendenti (legge 2 giugno 1992 n. 216), si e' venuta a verificare una irrazionale discriminazione agli effetti del trattamento di quiescenza tra soggetti in identica posizione funzionale per aver prestato la medesima attivita' lavorativa (pensionati fino all'ottobre 1989 e pensionati dal 1990 e anni successivi) e cio', indubbiamente, incide sul gia' precario livello di adeguatezza-proporzionalita' dei trattamenti pensionistici, inducendo, pertanto a seri dubbi sul perdurare della congruita' del ricordato livello. Sembra pertanto a questa Sezione che le disposizioni normative sopra citate, non avendo previsto la perequazione per i dirigenti in quiescenza, abbiano violato i principi di uguaglianza di cui all'art. 3 della Carta costituzionale e (forse ancor piu') quelli di proporzionalita' e adeguatezza alle esigenze vitali di cui agli artt. 36 e 38. Conclusivamente, le prospettate questioni di costituzionalita' risultano non manifestamente infondate, nei sensi riferiti, ed il giudizio deve pertanto essere sospeso con rimessione degli atti alla Corte costituzionale per la conseguente pronunzia.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione, 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953 n. 87; Dispone che, sospesi i giudizi in corso, gli atti siano trasmessi alla Corte costituzionale perche' sia risolta la questione di legittimita' costituzionale delle leggi 28 febbraio 1990 n. 37 (di conversione, con modificazioni, del d.-l. 27 dicembre 1989 n. 413), 23 gennaio 1991 n. 21 (di conversione, con modificazioni, del d.-l. 24 novembre 1990 n. 344) e 2 giugno 1992 n. 216, in riferimento agli artt. 3, 36, 38 della Costituzione; Ordina che, a cura della segreteria della sezione, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti del Senato e della Camera. Cosi' disposto in Milano, nella Camera di consiglio del 14 luglio 1994. Il presidente: GARRI 95C1063