N. 492 ORDINANZA (Atto di promovimento) 15 1994- 19 luglio 1995

                                N. 492
 Ordinanza   emessa   il   15   luglio   1994  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 19 luglio 1995)  dalla  Corte  dei  conti,  sezione
 giurisdizionale  per  la  regione  Lombardia, sul ricorso proposto da
 Cavarocchi Mario contro il Ministero della difesa
 Pensioni  -  Ufficiali  del Ministero della difesa collocati a riposo
    anteriormente all'entrata in vigore  delle  leggi  nn.  37/1990  e
    21/1991  -  Esclusione  della  riliquidazione  del  trattamento di
    quiescenza in base ai miglioramenti pensionistici  attribuiti  con
    dette  leggi  -  Mancata  automatica  estensione alle pensioni dei
    miglioramenti conferiti al personale  in  servizio  con  le  leggi
    stesse - Incidenza sui principi di proporzionalita' ed adeguatezza
    della    retribuzione   (anche   differita)   e   sulla   garanzia
    previdenziale   -   Riferimento   alle   sentenze   della    Corte
    costituzionale nn. 501/1988, 1/1991, 42/1993 e 226/1993.
 (D.-L.  27 dicembre 1989, n. 413, convertito, con modificazioni nella
    legge 28 febbraio 1990, n. 37; d.-l. 24  novembre  1990,  n.  344,
    convertito,  con modificazioni nella legge 23 gennaio 1991, n. 21;
    legge 2 giugno 1992, n. 216).
 (Cost., artt. 3, 36 e 38).
(GU n.38 del 13-9-1995 )
                          LA CORTE DEI CONTI
    Ha emanato la seguente ordinanza sul ricorso  iscritto  al  numero
 218/PM  del  registro  di  segreteria,  proposto  da Cavarocchi Mario
 rappresentato e assistito dall'avv. Filippo De  Jorio  con  domicilio
 eletto  in  Roma,  via Campo Marzio n. 12, avverso il Ministero della
 difesa per il riconoscimento  del  diritto  alla  riliquidazione  dei
 trattamenti pensionistici in godimento;
    Visti gli atti di causa;
    Uditi  alla pubblica udienza del giorno 15 luglio 1994 il relatore
 Consigliere dott. Mario Donno, il difensore del ricorrente avv. Paolo
 Lazsloczky;
                               F A T T O
    Il ricorrente ha chiesto al Ministero della difesa che il  proprio
 trattamento  pensionistico  venga  riliquidato  in  base  alla  nuove
 retribuzioni, previste dalle leggi n. 37 del 1990, n. 27 del  1991  e
 n. 216 del 1992, con aggancio della pensione alla dinamica salariale.
    Il  Ministero  della  difesa  ha  respinto  la  suddetta richiesta
 rilevando come non esistono, al momento, disposizioni legislative che
 consentono la perequazione automatica dei trattamenti  di  quiescenza
 in  correlazione alle variazioni delle basi stipendiali del personale
 in servizio.
    Sono seguiti i ricorsi, ora, in esame, con i  quali  i  ricorrenti
 chiedono:  in  via  principale  il  riconoscimento  del  diritto alla
 riliquidazione del proprio trattamento pensionistico sulla  base  dei
 miglioramenti   stipendiali   apportati  dalle  leggi  succitate  con
 conseguente  rivalutazione  monetaria  secondo  gli  indici  ISTAT  e
 interessi legali; in via subordinata la remissione degli atti, previa
 sospensione  del  giudizio,  alla  Corte costituzionale per manifesta
 illegittimita' costituzionale delle prefate leggi nella parte in  cui
 hanno  escluso dai miglioramenti pensionistici coloro che sono andati
 in pensione prima della data di entrata in vigore delle stesse.
    In data 27 giugno 1994 il difensore del ricorrente  ha  depositato
 due  memorie  con  numerose  e analoghe argomentazioni che si possono
 cosi' sintetizzare:
      1) Il ricorrente, essendo  stato  escluso  dalla  fruizione  dei
 miglioramenti  stipendiali e pensionistici introdotti con leggi n. 37
 del  1990,  n.  21  del  1991  e  n.  216  del   1992   (comportanti,
 rispettivamente, incrementi del 15% la prima e la seconda e del 9% la
 terza),  ha  subito  un  decremento  sul trattamento pensionistico di
 circa il 47% nei confronti del pari  grado  collocato  in  quiescenza
 successivamente alla data di entrata in vigore di detti aumenti;
      2)  Tale decurtazione avrebbe completamente obliterato i criteri
 dettati dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 1  del  1991  e
 precedenti  n.  3  del 1966, n. 26 del 1980, n. 382 del 1983 e n. 501
 del 1980 e precisamente:
        a) proporzionalita' della pensione alla retribuzione;
        b) assicurazione al pensionato ed alla  sua  famiglia  di  una
 esistenza  libera  e dignitosa, cosi' come al dipendente in attivita'
 di servizio;
        c)  proporzionalita'   ed   adeguamento   pensionistico   alle
 retribuzioni che non devono esistere solo al momento del collocamento
 a riposo ma che vanno costantemente assicurata anche nel prosieguo;
      3)  Le  leggi  n. 37 del 1990, n. 21 del 1991 e n. 216 del 1992,
 avendo negato aumenti pensionistici  a  coloro  che  sono  andati  in
 pensione   prima   dell'ottobre   1989,   avrebbero  ricreato  quella
 irrazionale  disparita'  di  trattamento   sanzionata   dalla   Corte
 costituzionale con la citata sentenza n. 1 del 1991, laddove e' stata
 dichiarata  la  illegittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge
 n. 368 del 1987, nella parte in cui  venivano  esclusi  dai  benefici
 recanti dalla stessa norma coloro che erano stati posti in quiescenza
 prima del 1 gennaio 1979.
      4)   Risulterebbero  violati  il  principio  d'imparzialita'  ed
 indipendenza del  giudice  previsto  dall'art.  6  della  Convenzione
 europea dei diritti dell'uomo; il diritto dei pensionati "al rispetto
 dei  propri  beni",  riconosciuto  dall'art.  1  del primo protocollo
 addizionale alla menzionata convenzione, nonche' gli articoli 7,  10,
 24  e  25  della  Carta  europea dei diritti sociali fondamentali dei
 lavoratori e l'art. 2 della direttiva C.E.E. del 10 febbraio 1975 sul
 fondamentale principio dell'uguaglianza della remunerazione;
      5) Risulterebbero violate varie norme della Costituzione: l'art.
 3 che assicura l'eguaglianza dei  cittadini  di  fronte  alla  legge,
 l'articolo  36 sulla retribuzione dovuta al lavoratore, l'art. 38 che
 impone di provvedere ai lavoratori "mezzi adeguati alle loro esigenze
 di vita" in caso di "vecchiaia";
      6) Risulterebbe violato, altresi', l'art. 76 della  Costituzione
 in  quanto  l'art.  11  del  d.lgs.  30 dicembre 1992, n. 503 avrebbe
 violato, secondo i ricorrenti, l'art. 3 lettera a) della legge delega
 23 ottobre  1992  n.  421,  delineando  un  sistema  di  perequazione
 automatica   delle   pensioni  che  non  salvaguarda  ne'  il  potere
 d'acquisto delle pensioni stesse  ne'  il  raccordo  con  il  sistema
 retributivo dei dipendenti;
      7)  In base ai principi sanciti dalla Carta costituzionale nelle
 sentenze n. 42 del 1993 e n.  226  del  1993  nelle  quali  e'  stato
 rivendicato  il  suo diritto-dovere ad intervenire in ogni situazione
 nella quale il  "rapporto  di  ragionevole  corrispondenza  che  deve
 esistere  tra  pensioni  e retribuzioni" venga alterato, la Corte dei
 conti, quale giudice esclusivo delle pensioni potrebbe decidere  essa
 stessa per l'applicazione dello jus superveniens.
    Per tutti i motivi suesposti il ricorrente chiede:
       a)  in  via principale l'accoglimento del ricorso applicando al
 deducente lo jus superveniens;
       b)  in  subordine,  la  rimessione  degli   atti   alla   Corte
 costituzionale  per  il giudizio sulle sopra affermate illegittimita'
 costituzionali, nonche'  la  rimessione  degli  atti  alla  Corte  di
 giustizia   della   Comunita'  europea  perche'  constati  "le  gravi
 violazioni delle norme comunitarie".
    Alla   odierna  pubblica  udienza  e'  presente  l'avvocato  Paolo
 Lazloczky, che ha ribadito le argomentazioni svolte in memoria.
                             D I R I T T O
    Come emerge dagli atti introduttivi del giudizio e dalle  suddette
 memorie il ricorrente chiede in via principale:
       a)  il  riconoscimento  del  diritto  al permanente adeguamento
 della  pensione  in  fruzione  alla   retribuzione   corrisposta   ai
 dipendenti  in attivita' di servizio con pari qualifica ed anzianita'
 e comunque un trattamento adeguato a quello  percepito  dai  colleghi
 collocati a riposo dopo il 1 luglio 1990;
       b)  in  conseguenza  dell'emanazione della sentenza della Corte
 costituzionale n. 1  dell'8-9  gennaio  1991  il  riconoscimento  del
 diritto  alla  riliquidazione  e  alla  corresponsione della pensione
 sulla base degli aumenti di stipendio disposti  da  leggi  successive
 alla sentenza precitata.
    Il  ricorrente  invoca  l'affermazione  del  diritto  ad  ottenere
 dall'Amministrazione, oltre alla  riliquidazione  della  pensione  in
 applicazione   delle   disposizioni   migliorative   del  trattamento
 stipendiale e pensionistico quali, in questo caso, le leggi n. 37 del
 1990, n.  21  del  1991  e  n.  216  del  1992,  anche  l'adeguamento
 automatico  della  pensione alle successive variazioni in aumento del
 trattamento di attivita' che i pari grado  in  servizio,  hanno  gia'
 ottenuto ed otterranno in futuro.
    Il  ricorrente,  il  quale,  a  seguito della sentenza della Corte
 costituzionale n. 1 del 1991 venne a fruire della riliquidazione  del
 trattamento pensionistico in godimento, a decorrere dal 1 marzo 1990,
 lamenta,  in  sostanza,  di  essere stato escluso dalla fruizione dei
 miglioramenti stipendiali e pensionistici, introdotti con leggi n. 37
 del 1990, n. 21 del 1991 e n. 216 del  1992,  il  che  ha  creato  un
 ingiustificabile  disparita'  di  trattamento  rispetto ai pari grado
 andati in pensione successivamente alla  introduzione  degli  aumenti
 suddetti.
    Si afferma che, essendo detti aumenti di "notevolissima importanza
 economica" (circa il 47%) assentiti a tutti coloro che sono andati in
 pensione  dopo  l'ottobre  1989  e negati a coloro che sono andati in
 pensione prima, si e' venuta a creare  -  dopo  l'entrata  in  vigore
 delle  citate  disposizioni normative - quella irrazionale disparita'
 di trattamento (sanzionata dalla Corte costituzionale nella  sentenza
 n.  1  del  1991),  in  base  alla quale ai pensionati piu' anziani e
 percio' con bisogni maggiori per l'avanzare dell'eta', sono negati  i
 benefici,  attribuiti,  invece,  ai  pensionati  piu'  giovani  i cui
 bisogni  sono   indiscutibilmente   minori,   violando   in   maniera
 inequivocabile,  sia il principio della razionalita' della legge, sia
 gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione; sia i principi costantemente
 affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale.
    Su tale richiesta questo collegio non puo' pronunciarsi se non con
 riferimento alle varie  norme  intervenute  dopo  il  collocamento  a
 riposo  dei  ricorrenti  e,  pertanto,  la eccezione d'illegittimita'
 costituzionale prospettata concernente tali norme, risulta  rilevante
 ai  sensi  dell'art.  23 secondo comma, della legge costituzionale 11
 marzo 1953 n. 1.
    Peraltro,  non tutte le questioni proposte possono essere ritenute
 "non manifestamente infondate", ai sensi degli artt.  1  della  legge
 costituzionale  9 febbraio 1948 n. 1 e 23, secondo comma, della legge
 costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, citata.
    Ed invero,  manifestamente  infondata  appare  a  questo  collegio
 l'eccezione  di  illegittimita'  dell'art.  11 del d.lgs. 30 dicembre
 1992, n. 503,  con  riferimento  all'art.  76  della  Costituzione  e
 all'art. 3, lettera q), della legge delega 23 ottobre 1992, n. 421.
    Il  citato  art. 11 stabilisce, infatti, un sistema di adeguamento
 automatico "delle pensioni previdenziali e  assistenziali"  al  costo
 della  vita sulla base delle variazioni "dell'indice ISTAT dei prezzi
 al consumo per famiglie di operai ed impiegati", con la  possibilita'
 inoltre,  che  le leggi finanziarie prevedano "ulteriori aumenti ..in
 relazione all'andamento dell'economia e tenuto conto degli  obiettivi
 rispetto al P.I.L.".
    Orbene,  un tale sistema puo' essere discutibile, ma non appare in
 contrasto con il citato art. 3, lettera q), della legge  delega,  che
 si  limitava a chiedere una "disciplina della perequazione automatica
 delle pensioni dei  lavoratori  dipendenti  e  autonomi  al  fine  di
 garantire,  tenendo  conto  del  sistema  relativo  ai  lavoratori in
 attivita', la salvaguardia del  loro  potere  d'acquisto"  attesa  la
 correlazione  tra  i  criteri  dettati  dalla  legge  delegante ed il
 parametro posto dalla norma delegata.
    Sembrano, invece, a questa Corte non manifestamente infondate, nei
 limiti della deliberazione di una sua  competenza,  le  eccezioni  di
 violazione  degli  artt.  3,  36  e 38 della Costituzione per effetto
 dell'entrata in vigore  delle  disposizioni  di  cui  alle  leggi  28
 febbraio  1990  n.  37  (convertito  in legge, con modificazioni, del
 d.-l. 27 dicembre 1989 n. 413), 23 gennaio 1991, n. 21 (convertito in
 legge, con modificazioni, del d.-l. 24 novembre  1990  n.  344)  e  2
 giugno 1992 n. 216.
    In relazione alle contestazioni del ricorrente, giova richiamare i
 principi  piu' volte affermati e ribaditi dalla Corte costituzionale,
 tra le numerose altre, con le sentenze n. 501 del 21 aprile-5  maggio
 1988,  n.  1  dell'8-9 gennaio 1991, n. 42 del 28 gennaio-10 febbraio
 1993,  n.  226  del  23  aprile-7  maggio  1993,  che  risulterebbero
 vulnerati per effetto delle norme di legge sopra richiamate che hanno
 ricreato "la piaga crudele della pensione d'annata":
      1) l'adeguatezza e proporzionalita' richieste dall'art. 36 della
 Costituzione  "devono sussistere non solo al momento del collocamento
 a riposo ma vanno costantemente assicurate  anche  nel  prosieguo  in
 relazione   al   mutamento   del  potere  d'acquisto  della  moneta",
 rispettando "l'esigenza di un costante adeguamento del trattamento di
 quiescenza alle retribuzioni del servizio attivo";
      2)  "rientra  nel  potere  discrezionale  del   legislatore   la
 determinazione   delle  misure  e  dei  criteri  di  adeguamento  del
 trattamento  pensionistico  alla  variazione  del  costo  della  vita
 nonche' delle modalita' di perequazione degli stessi";
      3)  "l'applicazione  al  trattamento  pensionistico dell'art. 36
 della Costituzione che si riconnette al carattere  retributivo  della
 pensione,  richiede  che  sia  assicurata  al  pensionato ed alla sua
 famiglia, cosi' come all'impiegato in servizio attivo, una  esistenza
 libera e dignitosa";
      4)  il  legislatore e' "chiamato ad operare il bilanciamento tra
 le varie esigenze nel quadro  della  politica  economica  generale  e
 delle  concrete  disponibilita' finanziarie", tenendo anche conto che
 "alla solidarieta' tra lavoratori e pensionati si affianca  sempre  e
 comunque  una  solidarieta' piu' ampia dell'intera collettivita'", ma
 con "l'inevitabile vincolo di scopo  di  consentire  una  ragionevole
 corrispondenza   (evitando  che  si  determini  un  non  sopportabile
 scostamento)  tra  dinamica   delle   pensioni   e   dinamica   delle
 retribuzioni".
    Sulla  base  di tali principi, la sentenza n. 226 sopra citata ha,
 in particolare, rilevato che tra la misura delle  pensioni  degli  ex
 dipendenti pubblici non dirigenti (definita in ultimo con gli aumenti
 precisati  dall'art.  3 del d.-l. 22 dicembre 1990 n. 409, convertito
 con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1991 n. 59)  e  la  misura
 delle  retribuzioni  dei  dipendenti  di  pari qualifica e anzianita'
 ancora in servizio sussiste indubbiamente uno scostamento  rilevante,
 ma  non  al  punto  "da indurre a dubitare della idoneita' - a questo
 momento  -  del  meccanismo  perequativo  in   atto   prescelto   dal
 legislatore  a  garantire un sufficiente livello di adeguatezza delle
 pensioni".
    Ed ancora, la sentenza n. 1 del 1991 ha,  fra  l'altro,  affermato
 che  "la  disciplina  della materia e' affidata alla discrezionalita'
 del  legislatore,  il   quale   puo'   anche   adottare   trattamenti
 differenziati  in  relazione  al  fattore  tempo  ma  ..non  puo' non
 esercitare il potere attribuitogli secondo i canoni di razionalita' e
 ragionevolezza e che "sin dal  1976  si  sarebbe  dovuto  attuare  il
 collegamento  delle pensioni con la dinamica salariale, ma che in via
 provvisoria,  e  comunque  non  oltre  il  1978,  in   attesa   della
 determinazione  dell'indice  di  incremento  delle  retribuzioni  del
 settore  pubblico,  si  sarebbe  applicato  l'indice   valevole   per
 l'aggancio  alla dinamica salariale del settore privato . . L'intento
 riequilibratore, con  l'adozione  del  criterio  dell'aggancio  delle
 pensioni alle retribuzioni, e' stato ottenuto proprio con il d.-l. in
 esame  (n.  379  del 1987) e continuato con il d.-l. n. 413 del 1989,
 convertito, con modificazioni, in legge n. 37 del 1990 per tacere del
 successivo d.-l. n. 344 del 1990 non ancora convertito".
    Osserva questo collegio che, mancando  nelle  leggi  succitate  28
 febbraio  1990  n.  37  (convertito  dal  d.-l. n. 413 del 1989) e 23
 gennaio 1991 n. 21 (convertita dal d.-l. n. 344  del  1990),  recanti
 aumenti  stipendiali  ai  dirigenti  in  servizio,  apposita norma di
 perequazione per i dirigenti  in  quiescenza,  non  puo'  tale  vuoto
 normativo  essere  colmato  in via interpretativa facendo riferimento
 alla motivazione della succitata sentenza n. 1 del 1991  della  Corte
 costituzionale,  non essendo lecito attribuire a tale motivazione una
 valenza precettiva, quasi che essa fosse da equiparare ad un disposto
 di legge.
    Orbene, per  effetto  degli  aumenti  di  stipendio  erogati,  con
 decorrenza  dal  1  marzo  1990  e dal 1 luglio 1990, rispettivamente
 dalle leggi n. 37 del 1990 e n. 21 del 1991, nonche' per effetto  del
 disposto  aggiornamento  del  trattamento  economico  retributivo dei
 dirigenti  in  ragione  della  media  degli  incrementi   retributivi
 realizzati  dalle  altre  categorie  di pubblici dipendenti (legge 12
 giugno 1992 n. 216),  si  e'  venuta  a  verificare  una  irrazionale
 discriminazione  agli  effetti  del  trattamento  di  quiescenza  tra
 soggetti in  identica  posizione  funzionale  per  aver  prestato  la
 medesima  attivita'  lavorativa  (pensionati  fino all'ottobre 1989 e
 pensionati dal 1990 e anni successivi) e cio', indubbiamente,  incide
 sul   gia'   precario  livello  di  adeguatezza-proporzionalita'  dei
 trattamenti pensionistici, inducendo,  pertanto,  a  seri  dubbi  sul
 perdurare della congruita' del menzionato livello.
    Sembra,  pertanto,  a questa sezione che le disposizioni normative
 sopra citate, non avendo previsto la perequazione per i dirigenti  in
 quiescenza,  abbiano violato i principi d'uguaglianza di cui all'art.
 3  della  Corte  costituzionale  e  (forse  ancor  piu')  quelli   di
 proporzionalita' e adeguatezza alle esigenze vitali di cui agli artt.
 36 e 38.
                               P. Q. M.
    Visti  gli  artt.  134  e  137  della  Costituzione; 1 della legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23, della legge costituzionale
 11 marzo 1953 n. 1, la sezione ritiene rilevante e non manifestamente
 infondata  la  questione,  proposta  dal  ricorrente   nel   presente
 giudizio, di legittimita' costituzionale delle leggi 28 febbraio 1990
 n. 37 (conv. in legge, con modificazioni, del d.-l. 27 dicembre 1989,
 n.  413),  23  gennaio 1991 n. 21 (conv. in legge, con modificazioni,
 del d.-l. 24 novembre 1990, n. 344) e  2  giugno  1992  n.  216,  con
 riferimento agli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione;
    Sospende, pertanto, il presente giudizio e dispone la trasmissione
 degli atti alla Corte costituzionale;
    Dispone,  altresi',  che  a  cura  della segreteria la copia della
 presente  ordinanza  sia  notificata  alla  parte  ricorrente  e   al
 Presidente  del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidente
 della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.
    Cosi' provveduto a Milano nella camera di consiglio del 15  luglio
 1994.
                         Il presidente: GARRI
 
 95C1064