N. 43 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 4 agosto 1995

                                 N. 43
 Ricorso  per  questione  di legittimita' costituzionale depositato in
 cancelleria il 4 agosto 1995 (della regione Liguria)
 Sanita' pubblica - Disposizioni urgenti in materia di assistenza
    farmaceutica e di sanita' - Accollo alle regioni  dell'obbligo  di
    garanzia  dei  debiti  delle uu.ss.ll. e delle aziende ospedaliere
    fino al 31 dicembre  1994  -  Lesione  dell'autonomia  finanziaria
    delle  regioni e violazione della sfera di competenza regionale in
    materia di spesa sanitaria - Riferimenti alle sentenze della Corte
    costituzionale nn. 283/1991 e 355/1993.
 (D.-L. 30 giugno 1995, n. 261, art. 2).
 (Cost., artt. 117, 118 e 119).
(GU n.41 del 4-10-1995 )
   Ricorso  della  regione  Liguria,  in  persona del Presidente della
 Giunta regionale dott.  Gian  Carlo  Mori  all'uopo  autorizzato  con
 delibera   G.R.  in  data  12  luglio  1995  n.  2357,  elettivamente
 domiciliata in Roma,  Foro  Traiano  1/A  presso  l'avv.  Gian  Paolo
 Zanchini, rappresentata e difesa dall'avv. Luigi Cocchi per procura a
 margine  del  presente  atto,  contro la Presidenza del Consiglio dei
 Ministri, in persona del Presidente pro-tempore, per la  declaratoria
 di illegittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.-l. 30 giugno 1995
 n.  261,  portante  "disposizioni  urgenti  in  materia di assistenza
 farmaceutica e di sanita'".
                               F A T T O
    Ai fini di provvedere alla copertura dei debiti di parte  corrente
 delle  U.S.L. e delle aziende ospedaliere per gli anni 1993 e 1994, a
 seguito della entrata in vigore - a partire  dal  1  gennaio  1995  -
 della   nuova  organizzazione  del  S.S.N.  ed  in  conformita'  alle
 innovazioni introdotte con il d.-lgs.  n.  502/1992,  il  Governo  ha
 dapprima emanato il d.-l. 1 aprile 1995 n. 100.
    Con tale decreto-legge si prevedeva:
      all'art. 1 la possibilita' per la Cassa DD.PP. di concedere alle
 regioni mutui per la copertura delle "maggiori occorrenze finanziarie
 di parte corrente" per gli anni 1993 e 1994 nei limiti indicati nella
 tab. A, con onere finanziario a carico dello Stato;
      all'art.  2  la  possibi'lita'  di  utilizzare  in  favore delle
 gestioni stralcio le eventuali disponibilita' derivanti dai mutui per
 i ripiani della maggior spesa sanitaria per gli anni  1985-1992,  una
 volta accertata l'estinzione delle relative posizioni debitorie.
    Il decreto-legge e' stato convertito dal Parlamento.
    Il  Governo ha, quindi, emanato il decreto-legge 29 aprile 1995 n.
 135, avente le medesime finalita'.
    In tale nuovo decreto-legge assume, peraltro rilievo il solo  art.
 2,  laddove  si  prevedeva  che,  a  decorrere dal 1 gennaio 1995, la
 contabilita' economico-finanziaria e patrimoniale e  la  contabilita'
 finanziaria   delle  U.S.L.  e  delle  Aziende  Ospedaliere  prevista
 dall'art. 5 d.lgs. n. 502/1992  e  successive  integrazioni  dovevano
 essere   tenute   separate  rispetto  a  quelle  degli  anni  1994  e
 precedenti, reiterando cosi' un principio gia' proprio del d.lgs.  n.
 502/1992 e delle conseguenti leggi regionali.
    Anche tale decreto-legge non e' stato convertito dal Parlamento.
    Il  Governo  ha  emanato,  quindi,  il successivo decreto-legge 30
 giugno 1995 n. 261.
    L'art. 2 di detto decreto-legge, nel confermare il principio della
 separazione  delle  contabilita'  delle  U.S.L.   e   delle   aziende
 ospedaliere  con riguardo ai periodi fino al 31 dicembre 1994 e dal 1
 gennaio 1995, al primo comma, introduce altri due precetti:
       a) il primo, in forza  del  quale  le  richiamate  contabilita'
 relative  agli  anni  precedenti al 1995 "sono garantite direttamente
 dalle  regioni,   che   ne   assumono   integralmente   le   relative
 obbligazioni";
       b)  un secondo, in base al quale si dispone che, con successivo
 d.m., vengano stabilite le modalita' ed i  criteri  di  finanziamento
 del  debito eventualmente accertato fino alla data di costituzione in
 azienda delle U.S.L. e degli ospedali, a  mente  di  quanto  previsto
 dagli artt. 3. e 4 dal d.lgs. n. 552/1992.
    In  altri  termini,  con  tali  disposizioni,  mentre  si  riserva
 genericamente  l'indicazione  delle  modalita'  e  dei   criteri   di
 copertura  dei  debiti  pregressi  delle  U.S.L. al 31 dicembre 1994,
 senza indicare neppure sommariamente il soggetto e/o  i  soggetti  su
 cui  gli  stessi  dovranno  far  carico, tout court si accollano tali
 debiti alle regioni, che devono sopportare integralmente le  relative
 obbligazioni  (e  cioe' per capitali, interessi e spese), creando tra
 l'altro una nuova e diversa legittimazione passiva delle regioni  per
 dette obbligazioni.
    Tale disposizione, nella misura in cui nella sostanza, fa divenire
 i debiti delle U.S.L. e delle aziende ospedaliere al 31 dicembre 1994
 debiti  delle  regioni,  senza  la  specifica  previsione di una loro
 copertura finanziaria e senza indicare la partecipazione dello  Stato
 all'onere  per il ripianamento, viola le disposizioni contenute negli
 artt. 117, 118  e  119  della  Costituzione  ed,  in  particolare,  i
 principi  costituzionali  che  disciplinano  l'autonomia  finanziaria
 nelle regioni a statuto ordinario.
    Tale disposizione legislativa la regione Liguria  impugna  in  via
 principale   per   chiedere  che  la  ecc.ma  Corte  ne  dichiari  la
 illegittimita' costituzionale per contrasto  con  i  sopra  ricordati
 parametri costituzionali.
                             D I R I T T O
   Contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
    Le  norme  costituzionali  sopra richiamate disciplinano il potere
 legislativo, il potere  amministrativo  e  la  autonomia  finanziaria
 delle regioni a statuto ordinario.
    In  materia  di spesa sanitaria, allorche' lo Stato ha ritenuto di
 modificare le norme regolanti  il  finanziamento  dell'attivita'  del
 Servizio sanitario nazionale rispetto al disegno originario contenuto
 negli  artt.  51  legge n. 833/1978 (che lo prevedeva a totale carico
 dello Stato) la giurisprudenza di codesta ecc.ma Corte si e' espressa
 con diversi successivi orientamenti.
    Infatti, rispetto ad un primo indirizzo (cfr. ad esempio  sentenza
 n.  245/1989)  fondato  sul  principio  secondo  il  quale  la  parte
 essenziale della spesa sanitaria non puo'  non  gravare  sullo  Stato
 perche'  il diritto alla salute spetta egualmente a tutti i cittadini
 e va salvaguardato uniformemente su  tutto  il  territorio  nazionale
 (con  la  conseguenziale illegittimita' delle norme che tendessero ad
 accollare alle Regioni il ripianamento dei  debiti  delle  U.S.L.  in
 caso di insufficienza delle quote del F.S.N.) e rispetto al tentativo
 del  legislatore  statale, piu' volte ribadito, di porre a carico del
 bilancio delle Regioni l'onere  di  finanziamento  dei  debiti  delle
 U.S.L.,   la   Corte  -  con  la  decisione  n.  283/1991  e  mutando
 parzialmente indirizzo - ha poi ritenuto non  irragionevole  (ne'  in
 contrasto  con gli artt. 116 - 119 Cost.) che lo Stato ponga a carico
 delle Regioni una parte del deficit delle U.S.L., non potendo negarsi
 che alla formazione del  deficit  concorrano  anche  decisioni  delle
 regioni  e  delle  province, su cui grava anche il compito di stretti
 controlli sulle eccedenze di spesa delle U.S.L.
    In  altri  termini, sul presupposto di una corresponsabilizzazione
 delle Regioni nei meccanismi decisionali regolanti la spesa sanitaria
 in concorrenza con lo Stato, codesta  Corte  ha  ritenuto  che  fosse
 legittimo  accollare  alle  Regioni  stesse  una  parte dell'onere di
 ripianamento delle posizioni debitorie delle U.S.L. medesime.
    Tale  orientamento  ha  fatto  si'  che  il  legislatore  statale,
 nell'approvare  il d.lgs. n. 502/1992 di riorganizzazione del S.S.N.,
 all'art. 13 si  spingesse  a  disporre  addirittura  che  le  Regioni
 avrebbero  dovuto  far  fronte con finanziamenti propri (non soltanto
 agli effetti finanziari  conseguenti  all'erogazione  di  livelli  di
 assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi di cui all'art. 1 ed
 a quelli conseguenti all'adozione di modelli organizzativi diversi da
 quelli   assunti  come  base  per  la  determinazione  del  parametro
 capitario di finanziamento di cui all'art. 1, ma anche) ai  disavanzi
 di gestione delle U.S.L. e delle Aziende Ospedaliere, con conseguente
 esonero di interventi finanziari da parte dello Stato.
    Ma  codesta  ecc.ma  Corte  con  sentenza  n.  355/1993, mentre ha
 ritenuto  legittime  le  prime   disposizioni,   ha   dichiarato   la
 illegittimita'  costituzionale  della  seconda  parte  della medesima
 norma per contrasto con gli invocati parametri costituzionali.
    E cio' in base alle letterali considerazioni che si riportano:
    "Cio'  che,  invece,  si  pone  parzialmente  in   contrasto   con
 l'autonomia  finanziaria costituzionalmente garantita alle Regioni e'
 la disposizione finale del primo comma dell'art.  13,  per  la  quale
 qualsiasi   altro   eventuale  disavanzo  di  gestione  delle  unita'
 sanitarie locali e delle aziende ospedaliere e' posto in ogni caso  a
 carico  delle  finanze  regionali  con  immediato e totale esonero di
 interventi finanziari da parte dello Stato.
    E', infatti, ben vero che ai deficit delle unita' sanitarie locali
 e delle aziende ospedaliere le Regioni possono far fronte,  oltreche'
 attraverso   una   ristrutturazione   delle   forme   e  del  livello
 quantitativo e qualitativo dei servizi erogati, mediante  il  ricorso
 ai  nuovi  poteri  d'imposizione  tributaria  previsti  dall'art. 13,
 secondo comma, del decreto legislativo impugnato ('tasse sanitarie' e
 variazioni in aumento dei contributi o dei tributi regionali).  Ma  -
 pur  a  non  considerare  il  problema  dell'adeguatezza  delle nuove
 risorse reperibili dalle Regioni rispetto all'entita'  dei  disavanzi
 delle  unita'  sanitarie  locali  e  delle  aziende  ospedaliere - in
 mancanza di  una  disciplina  transitoria  diretta  a  permettere  un
 graduale   adeguamento  della  finanza  regionale  al  nuovo  sistema
 introdotto dalla disposizione esaminata, basato sullo spostamento  al
 livello regionale dell'onere di riequilibrio finanziario del servizio
 sanitario  nazionale, e' obiettivo il rischio che l'utilizzazione dei
 ricordati  strumenti  tributari  sia   in   gran   parte   assorbita,
 soprattutto   in  una  prima  fase,  dalla  copertura  dello  scarto,
 presumibilmente elevato, fra i costi delle prestazioni  assistenziali
 ipotizzati,   secondo   un  parametro  ottimale,  dallo  Stato  e  la
 situazione  di  partenza  effettivamente   esistente   nelle   unita'
 sanitarie  locali.  Di  modo  che,  in  considerazione della esigenza
 costituzionale di preservare,  insieme  all'equilibrio  del  bilancio
 statale  (art.  81 Cost.), anche l'equilibrio finanziario dei bilanci
 regionali (art. 119 Cost.) e un  accettabile  livello  qualitativo  e
 quantitativo  di  prestazioni  dirette  a  soddisfare  interessi  del
 singolo cittadino e della collettivita' costituzionalmente  rilevanti
 (art.  32  Cost.),  risulta irragionevole la previsione di un esonero
 totale  e immediato dello Stato dal ripiano degli eventuali disavanzi
 di gestione delle unita' sanitarie locali e delle aziende ospedaliere
 senza che sia predisposta nel contempo  una  disciplina  che  miri  a
 rendere  graduale  -  e  quindi controllabile, sotto il profilo delle
 finanze regionali, e adeguato, sotto il profilo delle prestazioni,  -
 il passaggio verso il nuovo sistema e il funzionamento a regime dello
 stesso.
    Nella specie, la disposizione dell'art. 2 d.-l. n. 261/1995 e' per
 le stesse ragioni ancor piu' illegittima, in considerazione:
      della   assoluta   genericita'   di  previsione  di  un  decreto
 ministeriale  sui  criteri  o  metodi  di  ripianamento  dei   debiti
 pregressi   delle   U.S.L.   al   31  dicembre  1994,  senza  neppure
 l'indicazione dei soggetti che sono tenuti a partecipare a
 detti oneri;
      al  contrario,  dell'immediato  effetto  sui  bilanci  regionali
 derivante  dall'abnorme  meccanismo  utilizzato  nel  far  divenire i
 debiti delle  U.S.L.  e  delle  aziende  ospedaliere  compresi  nelle
 gestioni  stralcio  (e  cioe' al 31 dicembre 1994) come debiti propri
 delle Regioni, il cui patrimonio  diviene  cosi'  -  in  forza  della
 assunzione  delle  obbligazioni nella loro titolarita' - direttamente
 aggredibile dai debitori delle U.S.L.
    E non vi e' dubbio che, nonostante l'attenzione e la  sottigliezza
 del  meccanismo  utilizzato,  lo  stesso  comporti  una  vulnerazione
 dell'autonomia finanziaria delle Regioni, facendo  divenire  ex  lege
 debito  delle  Regioni  stesse  un  disavanzo  accumulato da soggetti
 terzi.
    Ma quelle stesse  ragioni  che  hanno  consentito  alla  Corte  di
 ritenere  (sentenza  n.  355/1993) costituzionalmente illegittimo, in
 parte qua, l'art. 13 d.lgs. n. 502/1992 puntualmente sono applicabili
 all'art. 2 del d.-l. n. 261/1995.
    Cio'  non  senza  rilevare  che  la  illegittimita'  della   norma
 contenuta nell'art. 2 impugnato si porrebbe - ad avviso dalla Regione
 ricorrente  -  non  soltanto  nella logica transitoria e per i debiti
 fino al 1994, maturati in vigenza del pregresso schema  organizzativo
 ed istituzionale.
    Infatti,  pur  nella logica della riforma introdotta dal d.lgs. n.
 502/1992 e successive modificazioni  ed  integrazioni,  nel  servizio
 sanitario  si  assiste  ad  un  fenomeno  di  compresenza  di  poteri
 decisionali articolati tra Stato e Regioni con gli effetti  disegnati
 dagli artt. 12 e 13 d.lgs. n. 502/1992.
    In  tale  ottica, anche a regime e' difficile negare che eventuali
 fattori di squilibrio finanziario, che non  possano  essere  corretti
 mediante  provvedimenti  a livello regionale ed infraregionale, quali
 ad esempio la strutturale insufficienza  del  fondo  stabilito  dallo
 Stato  ex  art.  12,  possano  concorrere  a  dar luogo a fenomeni di
 riformazione del deficit.
    Di tal che, pure dopo l'applicazione della riforma  ex  d.lgs.  n.
 502/1992  e  successive  modifiche  e integrazioni, pare alla Regione
 ricorrente che  non  possa  -  questa  volta  in  senso  opposto  non
 invocarsi  anche  a  regime  il  criterio  sotteso  alla decisione n.
 283/1991 di codesta ecc.ma Corte.
    Ed  ancora  per  cio'  l'art.  2   del   d.-l.   261/1995   appare
 costituzionalmente illegittimo per contrasto con gli artt. 117, 118 e
 119 Cost.
                               P. Q. M.
    Si  chiede  che  l'art.  2  del  d.-l. 30 giugno 1995 n. 361 venga
 dichiarato costituzionalmente illegittimo per contrasto con gli artt.
 117, 118 e 119 della Costituzione.
      Genova-Roma, addi' 20 luglio 1995
             Avv. Luigi COCCHI - avv. Gian Paolo ZANCHINI
 
 95C1078