N. 541 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 giugno 1995
N. 541 Ordinanza emessa il 28 giugno 1995 dal pretore di Verona nel procedimento civile vertente tra S.p.a. Banca Nazionale del Lavoro e Bonuzzi Giuseppe Processo civile - Competenza del pretore - Modifica (aumento fino a lire cinquanta milioni) apportata con decreto-legge - Lamentato abuso di tale mezzo di legiferazione per mancanza dei presupposti di necessita' ed urgenza - Conseguente esautoramento del Parlamento - Lesione del principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia. (D.-L. 21 giugno 1995, n. 238, art. 2). (Cost., artt. 77, secondo comma, e 97).(GU n.40 del 27-9-1995 )
IL PRETORE Letto il ricorso che precede, osserva quanto segue. La Banca Nazionale del Lavoro chiede a questo giudice di voler emettere decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo nei confronti di Bonuzzi Giuseppe per la somma di L. 21.255.800, a saldo del conto corrente n. 318/403 nonche' a titolo di rimborso di un prestito personale erogato al medesimo. La domanda - depositata in cancelleria il 27 giugno 1995 - viene proposta a questo pretore sulla scorta del d.-l. 21 giugno 1995, n. 238, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 22 giugno 1995 ed entrato in vigore in pari data, il cui art. 2, modificando l'art. 8 del codice di procedura civile (gia' modificato dall'art. 3 della legge n. 353/1990), stabilisce che "Il pretore e' competente per le cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire cinquanta milioni, in quanto non siano di competenza del giudice di pace". Una corretta disamina della domanda impone quindi, preliminarmente, di soffermarsi sulla competenza del giudice adito, trattandosi, come e' noto, di presupposto processuale la cui sussistenza e' condizione indefettibile per poter pronunciare, ancorche' in via monitoria, sul merito della domanda. A questo riguardo, secondo il giudicante, si profilano due punti che - in prima lettura - sembrano incidere negativamente sul presupposto cennato, inducendo a dubitare della legittimita' costituzionale del decreto-legge citato. Il primo attiene al modo con il quale si e' giunti ad elevare la competenza del pretore (il quale, e' il caso di notarlo, e' passato in meno di due mesi dalla competenza di L. 5.000.000, vigente sino al 30 aprile 1995, a quella - decuplicata - attuale). La strada seguita, come si e' visto, e' ancora una volta quella della decretazione d'urgenza del Governo. Mette conto ricordare che contro l'uso "alluvionale" di questo strumento si sono levate, anche di recente, le voci critiche della migliore dottrina, di ampi settori del Parlamento ed infine, con piena autorevolezza, dello stesso Presidente della Consulta, consapevoli del pericolo di un sostanziale svuotamento della funzione legislativa delle Camere laddove esse finissero per ridursi a mero strumento di ratifica dell'operato normativo del Governo. Va ricordato che la prassi dei c.d. "decreti di riforma" - come e' certamente quello in esame - ha ricevuto le severe critiche degli studiosi che - opportunamente - hanno sottolineato come sia "quanto meno opinabile che simili atti corrispondano, nel complesso delle loro disposizioni, a casi straordinari di necessita' ed urgenza", si e' cosi' rimarcato che tramite decreti di tal genere "in concreto, attorno ad un nucleo costituito da una decisione realmente urgente .. il Governo progetta ed erige interi edifici normativi destinati a durare nel tempo, sottraendoli al procedimento legislativo ordinario, senza che lo imponga nessuna ragione oggettiva". Nella fattispecie questo giudicante dubita che il decreto-legge n. 238/1995 sia sorretto dal requisito della straordinaria necessita' ed urgenza di cui all'art. 77, comma secondo, Cost. A ben vedere una corretta interpretazione della norma costituzionale - alla luce degli insegnamenti dello stesso giudice delle leggi - conduce necessariamente a riconoscere a questa fonte un valore di assoluta eccezionalita', dovendosi con essa far fronte a situazioni per l'appunto straordinarie, tali cioe' da esporre a delicati vuoti normativi o, quantomeno, a pericolose insufficienze di regolamentazione qualora si dovessero seguire i tempi dell'ordinario iter parlamentare di formazione della legge. Autorevole dottrina insegna che " .. chiunque legga senza preconcetti il capoverso dell'articolo in esame, ne trae la precisa impressione che la Carta costituzionale abbia di mira situazioni oggettivamente eccezionali, tali da porsi al di fuori delle consuete disponibilita' del legislatore ordinario; senza di che il provvedimento sarebbe viziato per eccesso di potere"; l'eminente autore conclude, quindi, affermando che " .. la necessita' rappresenta un elemento di qualificazione delle fattispecie regolate: da non confondere dunque con l'opportunita' politica dell'atto, anche se al Governo compete la scelta del come fronteggiare ciascun caso" e che "l'urgenza non equivale alla mera speditezza e non si risolve nel fatto che per il Governo sia difficile vedere altrimenti approvate le proprie proposte". Alla luce della menzionata connotazione del presupposto della straordinaria necessita' ed urgenza, questo pretore dubita quindi che esso ricorra nell'intervento del Governo. E' chiaro, difatti, che l'art. 2 del decreto-legge citato non persegue affatto la finalita' di colmare - in tempo reale - vuoti normativi di sorta: invero, secondo la formulazione del previgente art. 8 c.p.c., come risultante dalla modifica introdotta all'esito di approfondite valutazioni con l'art. 18 della legge 21 novembre 1991, n. 374, il pretore era competente per le cause, anche se relative a beni immobili, di valore non superiore a lire venti milioni, in quanto non di competenza del giudice di pace; per le cause di valore superiore permaneva quindi la competenza del tribunale il quale, oltretutto, risultava gia' opportunamente sgravato delle controversie in materia di circolazione stradale (il cui peso quantitativo e' a tutti noto) nonche' delle controversie locative, di comodato e di affitto d'azienda, ove non di competenza per materia o per valore del pretore. Ne', ancora, la sottrazione al tribunale delle controversie sino a L. 50.000.000 pare minimamente rispondente a reali esigenze di pronta razionalizzazione del sistema processuale evocate dall'entrata in vigore della novella: se cosi' fosse, difatti, sarebbe arduo dubitare della legittimita' del decreto in esame in relazione al parametro di cui all'art. 77, comma secondo, Cost.: ma non e' certamente questo il caso poiche' la modifica alla competenza per valore pretorile - in senso oltretutto pesantemente ampliativo - si muove ancora una volta nella direzione di un ulteriore sgravio del carico giudiziale dei tribunali, al di fuori di ogni disegno organico di revisione dei criteri di competenza verticali (nella auspicata prospettiva del giudice unico di primo grado) e senza alcuna previsione di razionalizzazione delle circoscrizioni giudiziarie, caratterizzate, tra l'altro, dalla pesante frammentazione delle preture circondariali in numerose sezioni distaccate, con tutti i disagi e le dispersioni organizzative e patrimoniali connesse. Questo tema consente poi di accedere alla seconda riflessione. Come si e' detto, in meno di due mesi il limite massimo della competenza per valore del pretore e' stato elevato di ben dieci volte. Giova altresi' osservare che l'attuale competenza - pari a cinquanta milioni di lire contro i venti previsti dall'art. 18 della legge n. 374/1991 - si accompagna alla inopinata "restituzione" al pretore della competenza per materia in ordine alle cause di opposizione alle ingiunzioni di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689, nonche' a quelle di opposizione alle sanzioni amministrative irrogate ex art. 75 del testo unico approvato con d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309. A tanto si e' giunti con l'art. 1 del d.-l. n. 238/1995 che ha sottratto al giudice di pace detta competenza, abrogando tout court i commi terzo e quarto, n. 4, dell'art. 7 c.p.c. Non e' azzardato ritenere che con questa "controriforma" le sopravvenienze civili del tribunale si ridurrano quantitativamente in misura non minore del 50% e che, di conseguenza, sui pretori verrano a gravare, all'incirca, altre 200/250 mila cause nuove all'anno, in precedenza trattate dal giudice superiore. Queste cause, aggiungendosi alle sopravvenienze medie annuali - stimabili in almeno 650/650 mila controversie, secondo dati estrapolati dalle Statistiche Giudiziarie edite dall'lstat nel 1993 e riferite al triennio 1989/1991 - porteranno le sopravvenienze pretorili a circa 900.000 nuovi processi annui. Si badi che il numero appena esposto rappresenta soltanto un prudentissimo apprezzamento per difetto poiche' le Statistiche cennate fanno riferimento alla sopravvenienza media annuale del pretore allorquando la sua competenza per valore era ancora ristretta a cinque milioni di lire; ben diverso discorso potrebbe tuttavia valere se alle pendenze pretorili di quel triennio si aggiungessero le controversie comprese tra i cinque e i venti milioni che - anche in assenza del decreto 21 giugno 1995, n. 238 - sarebbero ora comunque assegnate al pretore ai sensi dell'art. 18 della legge n. 374/1991. Ebbene, gia' alla luce di questi dati macroscopici non e' chi non veda la drammatica insufficienza organica e di dotazione amministrativa dell'ufficio del pretore a far fronte in un tempo accettabile ad una mole siffatta di controversie; basti considerare che nonostante l'ulteriore sgravio della competenza del tribunale introdotto da d.-l. n. 238/1995, ancor oggi il numero dei magistrati destinati ai tribunali civili supera di quasi il 50% quello dei magistrati destinati alla pretura civile (1300 contro 900). Ne', oramai, tale divario puo' essere persuasivamente spiegato richiamando puramente e semplicemente la collegialita' del giudice superiore, posto che al di fuori dei casi (quantitativamente esiziali, ancorche' giuridicamente rilevanti) di cui all'art. 48, comma secondo, del r.d. 30 gennaio 1941, n. 12, come modificato dall'art. 88 della legge n. 353/1990, le controversie civili spettanti al tribunale sono oramai decise dal "giudice istruttore in funzione di giudice unico" di cui all'art. 190-bis c.p.c. In questo quadro, sembra purtroppo inevitabile profetizzare che il d.-l. n. 238/1995, lasciando immutata l'attuale pianta organica e la distribuzione territoriale dei pretori (entrambe pensate in relazione a competenze infinitamente minori di quelle odierne) ed omettendo qualsiasi forma di "sommarizzazione" del giudizio avanti a detto giudice, finira' per paralizzare anche questa figura di giudicante che, invece, ancor oggi, a fronte di sopravvenienze annuali mediamente del 200% rispetto a quelle dei tribunali, riesce ancora ad assicurare una produttivita' individuale (quanto a sentenze pubblicate) pressoche' doppia rispetto a quelle del giudice superiore, con il risultato di un minor numero assoluto di pendenze (sul punto, si vedano le notevoli considerazioni apparse sul Foro Itallano, 1995, parte V, 276-283, nell'ambito di una serie di interventi di autorevoli dottrine sul tema "I rinvii e l'arretrato nel processo civile"). Questa seconda premessa chiama in causa il dettato dell'art. 97 della Carta fondamentale, secondo cui "I pubbllci uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e all'imparzialita' dell'amministrazione". E' oramai sicura acquisizione che questo canone fondamentale valga anche con riferimento all'amministrazione della giustizia: la prima enunciazione in tal senso del giudice delle leggi si rinviene nella pronuncia n. 86 del 1982, ove non si manca di osservare, in linea generale, come "sarebbe paradossale voler esentare l'organizzazione degli uffici giudiziari da ogni esigenza di buon andamento". Vale altresi' ricordare la sentenza n. 270 del 1988 e, ancor piu', la sentenza n. 18 del 1989, circa l'obbligo di redigere il processo verbale della decisione degli organi collegiali, ai fini della eventuale responsabilita' civile dei membri del collegio, in relazione " .. a qualsiasi questione decisa, sia essa pregiudiziale, preliminare, di diritto o di fatto, a prescindere dall'esistenza del dissenso di alcuno dei membri del collegio, della rilevanza del dissenso ai fini di eventuali azioni di responsabilita' e dalla richiesta di verbalizzazione da parte dell'interessato", per l'effetto dell'" .. intralcio costante all'attivita' giudiziaria, incompatibile col principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia e non giustificato dalle finalita' che la norma intende realizzare". La sentenza n. 140 del 1992 pone poi l'accento, in modo pienamente condivisibile, su quanto qui piu' preme, vale a dire sul fatto che il buon andamento dell'amministrazione della giustizia concerne, per l'appunto, " .. l'organizzazione giudiziaria in senso stretto, intesa come apprestamento di mezzi personali e strumentali per rendere possibile nel modo migliore l'attuazione della funzione giurisdizionale .. omissis", proposito questo che il d.-l. n. 238/1995 - per l'approccio disinvolto e poco meditato che, purtroppo, lo caratterizza - non sembra davvero prefiggersi. Del resto, per concludere, un'eco non recente dell'esigenza di un attento equilibrio tra dotazione organica e servizio pubblico sembra rinvenibile gia' nella sentenza n. 131 del 1974 dove la Corte, esaminando la legge ospedaliera del 1968, osserva come essa sia in definitiva rispettosa del canone di cui all'art. 97, laddove prevede " .. la formazione dei ruoli organici secondo le varie necessita' del servizio"; altrettanto dicasi per la sentenza n. 728/1988, con la quale la Corte chiarisce la ratio dell'attribuzione alla legge della valutazione della dotazione complessiva di un livello funzionale del personale regionale, " .. in vista del perseguimento di un rapporto equilibrato tra dotazione organica e servizi indispensabili per il buon andamento dell'amministrazione". Nulla di tutto cio' - a parere di questo giudicante - traspare invece dal decreto-legge citato, i cui effetti dirompenti sul piano del buon andamento degli uffici di pretura si aggiungono a quelli, oramai prossimi, che deriveranno dall'aver riversato sul pretore-giudice del lavoro le controversie in materia di pubblico impiego. Quanto, infine, alla rilevanza della questione sollevata, l'eventuale accoglimento dell'eccezione comporterebbe - evidentemente - il difetto della competenza per valore dell'odierno giudicante, per l'effetto della reiezione dell'istanza monitoria cennata.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 77, comma secondo, e 97 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.-l. 21 giugno 1995, n. 238 (Interventi urgenti nel processo civile e sulla disciplina transitoria della legge 26 novembre 1990, n. 353, relativa al medesimo processo), pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 22 giugno 1995, serie generale, n. 144; Sospende il giudizio in corso; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale nonche' la notificazione della presente ordinanza - a cura della cancelleria - alla parte e alla Presidenza del Consiglio dei Ministri; Ordina, infine, la comunicazione di essa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Verona, addi' 28 giugno 1995 Il pretore: MIRENDA 95C1122