N. 433 SENTENZA 6 - 15 settembre 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Costituzione della Repubblica italiana - Regione Lazio  -  Comune  di
 Boville   -   Istituzione   di   nuovi   comuni  e  modificazione  di
 circoscrizioni e denominazioni - Consultazione referendaria  limitata
 alle  popolazioni  delle  frazioni  richiedenti  -  Necessita'  di un
 interessamento  anche  delle   popolazioni   cosiddette   residue   -
 Riferimento  alla  sentenza  della Corte n. 453/1989 - Illegittimita'
 costituzionale.
 
 (Legge  regione  Lazio  8  aprile 1980, n. 19, art. 1, secondo comma,
 lett.  a), come modificato dalla legge della regione Lazio 20  agosto
 1987,  n.  49;  legge  21  ottobre 1993, n. 56; legge regione Lazio 8
 aprile 1980, n. 19, art. 1, secondo comma, lettere   d), e) ed    f),
 come modificato dalla legge regione Lazio 20 agosto 1987, n. 49)
 
 (Cost., art. 133, secondo comma).
(GU n.39 del 20-9-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici: prof. Vincenzo CAIANIELLO, avv.  Mauro  FERRI,  prof.  Luigi
    MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI, dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
    VASSALLI, prof. Francesco GUIZZI, prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
    Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI, dott. Cesare RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  secondo
 comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19
 (Norme sul referendum consultivo per l'istituzione di nuovi Comuni, e
 modificazione  delle  circoscrizioni  e  denominazioni  comunali,  in
 attuazione dell'art. 133, secondo comma,  della  Costituzione),  come
 modificato  dalla  legge  della  Regione Lazio 20 agosto 1987, n. 49,
 nonche' della legge della  Regione  Lazio  21  ottobre  1993,  n.  56
 (Istituzione  del Comune autonomo di Boville comprendente le frazioni
 del Comune di Marino), promosso con ordinanza emessa il 23 marzo 1995
 dal  T.A.R.  del  Lazio  sui  ricorsi riuniti proposti da Vinciguerra
 Franco ed altri contro il Prefetto della Provincia di Roma ed  altri,
 iscritta  al  n.  391  del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  24,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1995;
    Visti gli atti di costituzione di Vinciguerra Franco ed altri, del
 Comune di Boville e della Regione Lazio;
    Udito   nell'udienza  pubblica  dell'11  luglio  1995  il  Giudice
 relatore Mauro Ferri;
    Uditi l'avvocato Alessandro Pace per Vinciguerra Franco ed  altri,
 l'avvocato  Giorgio  Marino  per  il Comune di Boville e gli avvocati
 Aldo Rivela e Achille Chiappetti per la Regione Lazio;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Avanti il T.A.R. del Lazio e' stato impugnato il  decreto  di
 sospensione  della  indizione  dei  comizi  elettorali  del Comune di
 Marino, quale primo atto inteso a dare  esecuzione  alla  istituzione
 del Comune autonomo di Boville, per separazione da quello di Marino.
    I   ricorrenti,   tra  gli  altri  motivi,  hanno  prospettato  la
 violazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione, da parte
 dell'art. 1, comma secondo, lett. a), della legge della regione Lazio
 8 aprile 1980, n. 19 (con  conseguente  illegittimita'  derivata  del
 decreto  prefettizio  impugnato),  in  quanto  sono stati chiamati ad
 esprimersi  sul  referendum  soltanto  i  cittadini  residenti  nelle
 frazioni da distaccare e non tutti i cittadini di Marino.
    Con  un  secondo ricorso, riunito in sede di trattazione al primo,
 e' stato altresi' impugnato, per i medesimi  motivi,  il  decreto  di
 nomina del Commissario prefettizio per la provvisoria amministrazione
 del Comune di Boville.
    2. - Il T.A.R. remittente premette di aver gia' sollevato medesima
 questione  di costituzionalita' nel giudizio a quo, decisa, nel senso
 dell'inammissibilita' con sentenza n. 468 del 1994 di  questa  Corte,
 in  quanto  era  stata  impugnata  la  sola  norma di legge regionale
 disciplinante il referendum consultivo  per  l'istituzione  di  nuovi
 Comuni  (nell'ipotesi  di  scorporo  da  aree  comunali di piu' vasta
 dimensione), ma la questione non era stata estesa  anche  alla  legge
 della  Regione Lazio n. 56 del 1993 istitutiva del Comune di Boville,
 e costituente l'atto finale del  procedimento  previsto  dal  secondo
 comma dell'art. 133 della Costituzione; per cui, concludeva la citata
 sentenza  n.  468  del 1994: "ove anche, in ipotesi, fosse dichiarata
 l'illegittimita'  costituzionale  della  norma  regionale  impugnata,
 resterebbe  comunque  in vigore la legge regionale n. 56 del 1993 che
 sorregge direttamente  i  provvedimenti  amministrativi  oggetto  del
 giudizio  a  quo,  e che, naturalmente, il giudice amministrativo non
 puo' disapplicare".
    3. - Cio' posto, il T.A.R.  del  Lazio,  nella  nuova  udienza  di
 discussione avanti a se', sentite le parti, dichiara di prendere atto
 della  rilevanza  da attribuire alla legge regionale 21 ottobre 1993,
 n. 56 (istitutiva del  Comune  di  Boville)  e,  cosi'  integrata  la
 questione, intende sottoporre nuovamente all'esame di questa Corte la
 questione di legittimita' dell'art. 1, secondo comma, lett. a), della
 legge  della  Regione  Lazio  8  aprile  1980, n. 19 (come modificato
 dall'art. 1 della legge regionale 20 agosto  1987,  n.  49),  nonche'
 della  legge  della  Regione Lazio 21 ottobre 1993, n. 56 (istitutiva
 del Comune di Boville) per contrasto con l'art. 133,  secondo  comma,
 della Costituzione.
    La  questione,  sottolinea il remittente, e' sicuramente rilevante
 nei giudizi riuniti all'esame del Collegio,  in  quanto  soltanto  la
 declaratoria di incostituzionalita' delle norme suddette puo' portare
 all'accoglimento dei ricorsi, avendo la Regione Lazio posto in essere
 il  procedimento  referendario,  prima,  e  istituito  il  Comune  di
 Boville, poi, sulla base delle sopraindicate norme legislative.
    4. - La questione, inoltre, ad avviso del T.A.R. del Lazio  appare
 non manifestamente infondata.
    Condividendo  la tesi prospettata dai ricorrenti, il giudice a quo
 ritiene che il problema di legittimita'  costituzionale  si  incentri
 tutto  sulla locuzione "popolazioni interessate", dettata dalla norma
 costituzionale, con riferimento al fatto se queste siano solo  quelle
 delle frazioni che chiedono il distacco da un Comune gia' costituito,
 ovvero  se  si  debba  intendere tutta la popolazione dell'originario
 ente locale, chiamata, nel caso in esame,  a  consentire  o  meno  lo
 smembramento del Comune.
    Entrerebbero   in   gioco   due  principi  ordinamentali  entrambi
 rinvenienti  da  norme  costituzionali:   quello   della   cosiddetta
 autodeterminazione,  per  il  quale  un  soggetto  o  un  gruppo puo'
 scegliere alcune caratteristiche della propria esistenza giuridica, e
 quello della volonta' della maggioranza di una collettivita', in base
 al quale la modifica di qualsiasi elemento  costitutivo  deve  essere
 deciso   dal  maggior  numero  dei  soggetti  che  partecipano  della
 originaria  composizione;  il  tutto  trasfuso  nell'altro  principio
 ordinamentale,  di  carattere  fondamentale,  per  il  quale gli enti
 locali sono, si' autonomi, ma non anche indipendenti,  per  cui  ogni
 loro  decisione  deve  pur  sempre  rapportarsi  agli interessi della
 comunita' organizzata in ordinamento sovrano.
    5. - Ove quindi si ricerchi il "quid  intermediationis",  prosegue
 il  T.A.R.  del Lazio, cioe' il punto di equilibrio ordinamentale nel
 quale entrambe le  esigenze  della  collettivita'  prima  evidenziate
 possono  trovare una composizione soddisfacente che renda giustizia a
 tutti, occorre considerare che  i  gruppi  organizzati  di  carattere
 pubblico,  come  nella  specie gli enti locali di carattere comunale,
 sono tali perche' i singoli soggetti che ne  fanno  parte  hanno  fra
 loro  una  qualche comunanza piu' o meno intensa, che non e' mai solo
 l'elemento oggettivo del territorio,  ma  che  si  connette  ad  usi,
 costumi,  dialetti,  cemento storico, comunanze geografiche, coerenza
 sociale, costumanze religiose, specificita' folcloristiche, ecc., per
 cui il "gruppo sociale" prima di essere tale, si "sente"  tale  e  la
 sovrapposizione    istituzionale    finisce    soltanto    per   dare
 riconoscimento ad una realta' gia' aggregata.
    Le multiformi esperienze del nostro Paese, prosegue il remittente,
 se hanno segnato la nascita e  la  consapevolezza  di  gruppi  locali
 sicuramente  compatti,  possono  anche aver determinato il sorgere di
 entita' solo amministrativamente  unificate,  senza  il  supporto  di
 quella  necessaria  coscienza  ordinamentale che fa diventare un ente
 locale anche un gruppo omogeneo.
    Se questo e' probabilmente il dato di base, e'  fuori  discussione
 che  l'ordinamento  nazionale  non puo' che favorire movimenti al suo
 interno che tendano  a  compattare  e  ad  omogeneizzare  le  singole
 strutture sociali di cui esso si compone.
    Non, quindi, le richieste di qualsiasi gruppo in qualsiasi momento
 potrebbero esser prese in considerazione per smembrare unita' sociali
 che  presentano  caratteri  di  compattezza,  ma  soltanto quelle che
 provengono  da  un  gruppo  che  ha   una   nitida   differenziazione
 complessiva  che  lo  rende  gia' di per se' autonomo, come e' potuto
 accadere per il recente scorporo del Comune di Fiumicino  dal  Comune
 di  Roma,  dove era evidente il rapporto puramente amministrativo che
 collegava le due comunita'.
    In casi del genere, sostiene il remittente, e' fuor di dubbio  che
 basti  la  manifestazione  della  volonta'  del  gruppo  che  intende
 distaccarsi; questo e' gia'  esistente  come  fatto  sociologicamente
 distinto,  e' collegato con un'area geografica eccentrica rispetto al
 capoluogo, ed ha quindi una sua caratterizzazione distintiva, per cui
 l'autonomia amministrativa non puo'  che  discendere  dalla  volonta'
 degli  autonomisti,  potendosi  vanificare  un fatto naturale per una
 questione di maggioranza gia' di per se' precostituita, nel  caso  si
 ammettesse al voto l'intera cittadinanza.
    Diverso  sarebbe,  invece,  il  caso,  come  nel Comune di Marino,
 allorquando la richiesta di distacco non proviene da  una  precisa  e
 ben  identificata  (per elementi storico-sociali propri) comunita' di
 cittadini, ma scaturisce invece dall'interno della stessa  comunita',
 da   parte  di  quasi  i  due  terzi  dei  cittadini  dell'originaria
 comunita', perche' in questo caso non si  tratta  di  far  conseguire
 l'autonomia ad un gruppo che gia' la possiede, ma si tratta invece di
 operare uno smembramento di una collettivita' organica, determinando,
 essa si', una suddivisione che puo' essere artificiale e che, quindi,
 l'ordinamento ha tutto l'interesse ad evitare.
    In  tali casi, sostiene il T.A.R., tutti debbono essere chiamati a
 poter manifestare il loro voto circa la volonta' di smembrare o  meno
 la collettivita' locale da tempo esistente, come pure e' avvenuto nel
 recente  referendum  per  la  separazione  tra Venezia e Mestre, dove
 appunto non si e' trattato di un piccolo ed identificato  gruppo  che
 chiedeva  il  distacco da un capoluogo, ma di due notevoli entita' di
 un'unica comunita', con vari collegamenti.
    Quanto, infine, alla  illegittimita'  costituzionale  della  Legge
 regionale   istitutiva  del  Comune  di  Boville,  essa  risulterebbe
 direttamente conseguenziale alla dichiarazione d'illegittimita' della
 impugnata   norma   regionale   che   disciplina   il    procedimento
 referendario.
    6.  -  Ha  depositato  atto  di  costituzione,  fuori  termine, il
 Presidente  della  Giunta  regionale  del   Lazio   concludendo   per
 l'inammissibilita', o comunque per l'infondatezza, della questione.
    7. - Si e' costituito in giudizio il Comune di Boville, in persona
 del    Commissario   prefettizio   pro-tempore,   instando   per   la
 dichiarazione d'inammissibilita' o d'infondatezza della questione.
    La difesa del Comune rileva che a seguito della citata sentenza n.
 468 del 1994 di questa Corte il T.A.R. del Lazio ha ritenuto di dover
 estendere la gia' sollevata eccezione  di  incostituzionalita'  anche
 alla  legge  regionale  n.  56 del 1993, quasi intendendo la suddetta
 decisione di inammissibilita' come prescrittiva di questo obbligo,  e
 soprattutto  come  giustificativa ex se della remissione. In realta',
 ad avviso  del  Comune,  il  giudice  a  quo  non  fornirebbe  alcuna
 motivazione  della remissione ex novo della questione di legittimita'
 costituzionale.
    Cosi'  facendo  il  T.A.R.  del  Lazio  cadrebbe  in  una serie di
 illegittimita' che andrebbero dalla decisione in carenza assoluta  di
 motivazione,  alla  apoditticita',  alla  violazione del principio di
 omnicomprensivita' della pronuncia, in virtu' del quale  la  sentenza
 determina  la  definizione  del dedotto e del deducibile in ordine al
 rapporto con essa definito.
    Nel merito, il Comune di Boville si richiama agli  argomenti  gia'
 esposti  in occasione del precedente giudizio di costituzionalita' in
 ordine all'infondatezza della questione.
    In prossimita' dell'udienza la difesa del  Comune  ha  depositato,
 fuori  termine,  memoria  con la quale ha ulteriormente illustrato le
 proprie tesi.
    8. - Si sono altresi' costituiti i ricorrenti nel giudizio  a  quo
 concludendo  per  la  fondatezza  della  questione  e  la conseguente
 dichiarazione d'illegittimita' delle leggi regionali impugnate.
    Dopo aver richiamato le conclusioni raggiunte dalla sent.  n.  453
 del  1989  di  questa Corte, i ricorrenti affermano che l'indicazione
 univoca che scaturisce dalla decisione e' nel senso che  l'ambito  di
 popolazione  da  consultare  a  mezzo di referendum va determinato in
 relazione all'entita' della modifica territoriale da attuare.
    Una cosa sarebbe la erezione a Comune autonomo  (o  l'aggregazione
 ad  altro  Comune) di una piccola frazione di un grande Comune, altro
 e', invece, l'erezione a Comune autonomo di una larghissima parte del
 territorio di un Comune  preesistente,  come  avviene  nel  caso  del
 Comune di Marino.
    Nel  primo  caso  sarebbe  di palmare evidenza che l'entita' della
 variazione e' tale da lasciare  sostanzialmente  integra  l'identita'
 non  solo storico- politica, ma anche territoriale, del Comune il cui
 territorio viene variato, ben potendosi  ritenere  che  concretamente
 "interessata"  alla  costituzione del nuovo Comune sia esclusivamente
 quella piccola entita' di popolazione che dovrebbe distaccarsi (basti
 pensare al caso del distacco di Fiumicino e di Fregene dal Comune  di
 Roma).
    Nel  secondo,  invece, il Comune preesistente sarebbe scosso nelle
 sue fondamenta, in quanto la sua  dimensione  territoriale  (se  non,
 addirittura,    la    stessa    identita'   storico-politica)   viene
 profondamente incisa, potendo subire (in caso di esito  positivo  del
 referendum)  una  trasformazione  quantitativa  di  tale  entita'  da
 divenire qualitativa. In tale ipotesi  la  popolazione  "interessata"
 risulterebbe l'intera popolazione del Comune preesistente, e pertanto
 tutta  la  popolazione  della comunita' interessata allo smembramento
 dovrebbe esprimere il proprio punto di vista. Nessun membro  di  tale
 popolazione  potrebbe,  infatti,  dirsi  indifferente  rispetto ad un
 processo di trasformazione cosi' radicale (si pensi  al  distacco  da
 Roma di due terzi dei quartieri o anche del solo centro storico).
    Secondo  la  stessa  giurisprudenza  della  Corte  (cfr.  la  gia'
 richiamata sent. n. 453 del  1989),  proseguono  i  ricorrenti,  deve
 essere   sempre   consultata  mediante  referendum  quella  parte  di
 popolazione che abbia un interesse qualificato  per  intervenire  nei
 procedimenti  di  variazione  territoriale, in quanto si trovi in una
 situazione di diretto  collegamento  con  le  modifiche  territoriali
 stesse.  In  altre parole, la nozione di "popolazione interessata" e'
 sempre "relativa", e va commisurata agli  interessi  coinvolti  dalle
 variazioni   territoriali.   In  conseguenza  di  cio',  in  casi  di
 variazioni non meramente parziali, ma che si risolvono in ipotesi  di
 scissioni  o  di  fusioni, interessati possono considerarsi tutti gli
 elettori appartenenti al Comune o ai Comuni dei quali si tratti.
    In altri termini non potrebbe negarsi che, allorche'  la  modifica
 coinvolga   il   territorio   comunale   attraverso  un  processo  di
 "scissione" (come nella specie); ovvero due o piu' territori al  fine
 di  una "fusione", la popolazione titolare dell'interesse qualificato
 ad essere sentita  a  mezzo  di  referendum  (e  quindi,  come  tale,
 "interessata") e' l'intera popolazione del territorio o dei territori
 in  questione,  in  quanto  coinvolta  nella  sua  unitarieta'  dalla
 modifica della circoscrizione territoriale.
    Tale sarebbe la vicenda concernente la legge regionale in oggetto,
 in relazione al Comune di Marino. Infatti, rilevano i ricorrenti,  il
 Comune di Marino subisce, per effetto della legge regionale n. 56 del
 1993, uno smembramento del proprio territorio (che diminuisce da 2400
 a  800  ettari),  con conseguente notevolissima diminuzione anche dei
 propri residenti (da 35.000  a  15.000).  A  cio'  si  aggiunga  che,
 paradossalmente,  vengono  a  far parte del Comune di Boville proprio
 quei terreni in cui si trovano i  vigneti  che  producono  il  famoso
 "vino  di  Marino",  i  cui proprietari vivono quasi tutti nel centro
 storico di Marino. Non sarebbe dubitabile che  tutta  la  popolazione
 del  Comune  di  Marino  era,  ed  e',  interessata  all'esito  della
 consultazione, e che tutta la popolazione avrebbe dovuto  partecipare
 al referendum.
    In  conclusione, i ricorrenti rilevano che la illegittimita' della
 omessa consultazione di tutti  gli  elettori  del  Comune  di  Marino
 risulterebbe di tutta evidenza dalle stesse cifre del referendum. Con
 appena 9.901 voti su un totale di 14.898 aventi diritto al voto si e'
 deciso  il  destino di 35.000 abitanti, tutti egualmente coinvolti in
 una variazione rilevantissima  della  realta'  socio-economica  della
 zona in questione.
    Infine,  i  ricorrenti  evidenziano  che  numerose  altre Regioni,
 nell'adottare le rispettive leggi in materia, hanno gia' seguito  dei
 principi   realmente   conformi   alla   ratio  dell'art.  133  della
 Costituzione.
    Esemplare sotto tale punto di vista risulterebbe  la  legislazione
 esistente  nella  Regione  Veneto e la prassi applicativa seguita per
 l'istituzione di nuovi Comuni  attraverso  scorporo  di  frazioni  di
 Comuni preesistenti.
    La  legge  regionale del Veneto 24 dicembre 1992 n. 25, in tema di
 "Variazioni provinciali e comunali"  stabilisce,  all'art.  6,  primo
 comma,  lett.  a)  che,  in  ipotesi  di variazione di circoscrizioni
 comunali, nel senso dell'istituzione di un  nuovo  Comune  a  seguito
 dello  scorporo  di  parte  del  territorio  di uno o piu' Comuni, il
 referendum  debba  riguardare  l'intera  popolazione  del  Comune  di
 origine  se  la  popolazione  o  il  territorio,  che  e'  oggetto di
 trasferimento  costituisce  rispettivamente  almeno  il   30%   della
 popolazione  od  il  10%  del  territorio  del Comune di origine. Ove
 invece tali percentuali siano inferiori, allora  il  referendum  deve
 concernere  solo  la  popolazione  del  territorio  che e' oggetto di
 trasferimento (art. 6, primo comma, lett. b)).
    Altre Regioni hanno invece preferito lasciare alla  libera  scelta
 del  consiglio  regionale il restringere o meno l'ambito territoriale
 della consultazione popolare, in  ipotesi  di  istituzione  di  nuovi
 Comuni,  per  distacco di parti di altri Comuni preesistenti (Regione
 Abruzzi, Regione Sardegna, Regione Piemonte).
    Ad  avviso dei ricorrenti tale normativa dimostrerebbe lo stato di
 disagio provato da tali Regioni, che, non avendo l'ardire di adottare
 la  soluzione  radicale  prescelta  dalla  Regione  Lazio,  sarebbero
 ripiegate   su  una  formula  "pilatesca",  la  quale,  rinviando  il
 problema, non lo risolve, ma evita  che  nella  disciplina  regionale
 sull'istituzione  di  nuovi  Comuni  si  annidino  evidenti  vizi  di
 incostituzionalita'.
                        Considerato in diritto
    1. - Con sentenza n. 468  del  1994  questa  Corte  ha  dichiarato
 inammissibile   per   irrilevanza   la   questione   di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 1, secondo  comma,  lett.  a),  della  legge
 della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19, come modificato dalla legge
 della  Regione  Lazio 20 agosto 1987, n. 49, sollevata in riferimento
 all'art. 133, secondo  comma,  della  Costituzione,  dal  T.A.R.  del
 Lazio.  Il  medesimo  T.A.R.  ha  risollevato  ora identica questione
 estendendola anche alla legge della Regione Lazio 21 ottobre 1993, n.
 56.
    2. - La questione sollevata dal  giudice  remittente  concerne  la
 norma  che,  agli  effetti  del  referendum  previsto  dall'art. 133,
 secondo comma, della Costituzione (potere delle Regioni,  sentite  le
 popolazioni  interessate,  di  istituire  con  legge  nuovi  Comuni e
 modificare le loro circoscrizioni e denominazioni), stabilisce:  "per
 popolazioni  interessate  si intendono: a) nel caso di istituzione di
 nuovi Comuni: gli elettori della  frazione,  o  delle  frazioni,  che
 devono  essere  erette  in Comune autonomo". Poiche' il giudice a quo
 dubita della legittimita' costituzionale di questa  norma,  anche  la
 legge  n.  56  del 1993 che ha istituito il Comune di Boville, previo
 referendum  tenuto  in  applicazione  della  norma  stessa,  con   la
 consultazione  limitata  alle  popolazioni delle frazioni richiedenti
 l'erezione  in   Comune   autonomo,   risulterebbe   conseguentemente
 inficiata   di   illegittimita'  costituzionale  per  violazione  del
 medesimo art. 133, secondo comma, e pertanto anche nei  confronti  di
 questa egli solleva questione di legittimita' costituzionale.
    3.   -   Vanno   senz'altro   disattese   tutte  le  eccezioni  di
 inammissibilita' formulate dalla difesa del Comune  di  Boville.  Gli
 argomenti  addotti  in  ordine  alla  mancanza  di  motivazione sulla
 riproposizione della questione risultano del tutto inconsistenti.
    Il  T.A.R.  remittente  ha  ampiamente  motivato,  in   punto   di
 rilevanza, sulla estensione della questione alla legge istitutiva del
 Comune di Boville, nonche', nel merito, sui profili di illegittimita'
 costituzionale  denunciati. Quanto poi alla eccepita violazione di un
 non meglio definito principio di onnicomprensivita'  della  pronuncia
 (riferito  alla precedente sentenza n. 468 del 1994 di questa Corte),
 che determinerebbe "la definizione del dedotto e  del  deducibile  in
 ordine  al  rapporto con essa definito", e' sufficiente osservare che
 la precedente  decisione  di  inammissibilita'  della  questione  per
 difetto di rilevanza, in quanto puramente processuale, non pregiudica
 affatto la riproposizione della questione stessa, una volta eliminato
 dal giudice a quo il vizio che ne precludeva l'esame del merito.
    4. - Nel merito la questione e' fondata.
    La  lettura  del secondo comma dell'art. 133 della Costituzione e'
 chiara ed univoca: la consultazione delle popolazioni interessate  e'
 richiesta   sia  per  l'istituzione  di  nuovi  Comuni,  sia  per  la
 modificazione delle loro  circoscrizioni;  i  lavori  preparatori  ne
 danno  conferma,  offrendo  semmai  argomento  per  discutere,  ferma
 l'obbligatorieta' della consultazione, quale sia il peso effettivo da
 riconoscere alla volonta' espressa dagli interessati.
    In linea generale,  quindi,  popolazioni  interessate  sono  tanto
 quelle che verrebbero a dar vita ad un nuovo Comune cosi' come quelle
 che rimarrebbero nella parte, per cosi' dire, "residua" del Comune di
 origine. Altrettanto puo' dirsi per i trasferimenti di popolazioni da
 un   Comune  ad  un  altro  in  conseguenza  di  modificazioni  delle
 circoscrizioni territoriali.
    Solo in casi particolari potra' prescindersi  dalla  consultazione
 dell'intera  popolazione  del  Comune  da  cui  una  o  piu' frazioni
 chiedano di distaccarsi. Il T.A.R. remittente, prendendo le mosse  da
 un  episodio recente (quello dell'istituzione del Comune di Fiumicino
 per distacco dal Comune di Roma), definisce tale ipotesi come  quella
 in cui il gruppo che chiede l'autonomia "e' gia' esistente come fatto
 sociologicamente   distinto,  e'  collegato  con  un'area  eccentrica
 rispetto  al  capoluogo,  ed  ha  quindi  una  sua  caratterizzazione
 distintiva".
    E' una definizione tutto sommato accettabile cui puo' aggiungersi,
 come  requisito rilevante, la limitata entita' sia del territorio che
 della popolazione rispetto al totale.
    Tutto cio' comporta comunque una valutazione di elementi di  fatto
 che  dovra'  effettuarsi  caso  per  caso  al  momento  di  indire il
 referendum consultivo.
   In altra ipotesi, quella cioe' di modificazione  di  circoscrizioni
 territoriali comportante il trasferimento di una parte di popolazione
 da   un   Comune   ad   un  altro,  questa  Corte  ha  espresso  piu'
 sinteticamente un concetto analogo affermando  che  la  consultazione
 referendaria non va riferita all'intera popolazione residente nei due
 Comuni,  allorquando  alla stessa "non puo' riconoscersi un interesse
 qualificato  per  intervenire  in  procedimenti  di  variazione   che
 riguardano  parti  del  territorio  rispetto  al quale essa non abbia
 alcun diretto collegamento" (cfr. sentenza n. 453 del 1989).
    5. - Ma, val la pena ripetere, si tratta di ipotesi particolari ed
 eccezionali  che  non  inficiano  la  regola  generale   direttamente
 ricavabile  dall'art.  133,  secondo  comma,  della Costituzione, che
 esige la consultazione di tutta  la  popolazione  del  Comune  o  dei
 Comuni  le  cui  circoscrizioni devono subire modificazione, o per la
 istituzione di nuovi Comuni o per il passaggio di parti di territorio
 e di popolazione da un Comune all'altro.
    Nel caso che ha dato origine al giudizio a quo e' pacifico che non
 si verta in nessuna delle situazioni eccezionali prima descritte.
    Come afferma il giudice  remittente  -  e  l'affermazione  non  e'
 contestata dalle parti - l'istituzione del nuovo Comune di Boville ha
 significato  per  il  Comune di Marino la perdita di piu' della meta'
 della popolazione, mentre la norma  impugnata  istituisce  la  regola
 della  sola  consultazione  degli  "elettori  della  frazione o delle
 frazioni che devono essere erette  in  Comune  autonomo",  in  aperta
 violazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione.
    L'accertata  illegittimita' costituzionale della norma comporta la
 caducazione della stessa, nonche' della legge 21 ottobre 1993, n. 56,
 inficiata a sua volta dal procedimento referendario  attuato  secondo
 una norma costituzionalmente illegittima.
    In  applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, va
 altresi' dichiarata l'illegittimita' costituzionale delle lettere d),
 e) ed f) del secondo comma dell'art.  1  della  legge  della  Regione
 Lazio  8 aprile 1980, n. 19, come modificato dalla legge regionale 20
 agosto 1987, n. 49, che  dettano  regole  generali  limitative  della
 popolazione   da   consultare,   incorrendo   quindi  nella  medesima
 violazione dell'art. 133, secondo comma, della Costituzione.
    Sara' il Consiglio regionale del Lazio, ove lo ritenga necessario,
 a riformulare in queste parti la legge secondo i  principi  affermati
 nella  presente  decisione,  tenendo  conto comunque che le eccezioni
 alla regola esigono sempre un accertamento di  fatto  da  effettuarsi
 caso per caso.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara   l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  secondo
 comma, lett. a), della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980, n. 19
 (Norme sul referendum consultivo per l'istituzione di nuovi Comuni, e
 modificazione  delle  circoscrizioni  e  denominazioni  comunali,  in
 attuazione  dell'art.  133,  secondo comma, della Costituzione), come
 modificato dalla legge della Regione Lazio 20 agosto 1987, n. 49;
    Dichiara l'illegittimita' costituzionale della  legge  21  ottobre
 1993,  n. 56 (Istituzione del Comune autonomo di Boville comprendente
 le frazioni del Comune di Marino);
    Dichiara, in applicazione dell'art. 27 della legge 11 marzo  1953,
 n.  87,  l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 1, secondo comma,
 lett. d), e) ed f) della legge della Regione Lazio 8 aprile 1980,  n.
 19,  come  modificato dalla legge della Regione Lazio 20 agosto 1987,
 n. 49.
    Cosi' deciso in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 6 settembre 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 15 settembre 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
 95C1236