N. 640 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 luglio 1995
N. 640 Ordinanza emessa il 20 luglio 1995 dal tribunale di Genova nei procedimenti civili riuniti vertenti tra I.N.P.S. e Traverso Egle ed altra Previdenza e assistenza sociale - Lavoratrici di imprese industriali - Pensionamento anticipato - Riconoscimento di anzianita' contributiva fino a cinquantacinque anni, anziche' fino a sessanta anni come per il lavoratore - Mancata previsione del riconoscimento di una pari maggiorazione di anzianita' contributiva per l'uomo e per la donna - Disparita' di trattamento di situazioni omogenee e violazione del principio della parita' di diritti e di retribuzione della lavoratrice rispetto al lavoratore - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale numeri 371/1989, 134 e 503 del 1991, 404/1993 e 345/1994. (Legge 23 luglio 1991, n. 223, art. 29). (Cost., artt. 3 e 37).(GU n.42 del 11-10-1995 )
IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nelle controversie riunite nn. 4458/95 e 4459/95, in materia di previdenza e assistenza obbligatoria, promosse da: I.N.P.S. - Istituto nazionale per la previdenza sociale, con sede legale in Roma, in persona del presidente e legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Genova, presso l'avv. M. Girotti, che lo rappresenta e difende per mandato generale alle liti, in atti, appellante, contro Traverso Egle e Bianchi Vilma, residenti in Genova e ivi elettivamente domiciliate, in via Assarotti, 20/6 presso lo studio dell'avv. Paolo Pissarello, che le rappresenta e difende per mandati in atti, appellate. Con separati ricorsi, rivolti al pretore di Genova in funzione di giudice del lavoro, le suddette odierne appellate esponeva: di avere lavorato, rispettivamente, alle dipendenze della Iritecna S.p.a. e della Ilva S.p.a. sino alla risoluzione del rapporto per prepensionamento ex art. 29 della legge n. 223/1991; che, in forza di tale norma, le ricorrenti avrebbero dovuto beneficiare di trattamenti pensionistici calcolati sulla base dell'anzianita' contributiva maggiorata di un periodo di assicurazione pari al tempo mancante al raggiungimento dell'eta' normalmente prevista per il pensionamento di vecchiaia e che tale eta' doveva farsi coincidere con il sessantesimo anno, alla luce di piu' pronunzie emesse dalla Corte costituzionale sul tema; che, in particolare, Corte costituzionale n. 371/1989 aveva dichiarato l'illegittimita' dell'art. 1 della legge n. 193/1984, in combinato disposto con l'art. 16 della legge n. 155/1981, nella parte in cui non consentiva alla lavoratrice di conseguire la medesima anzianita' contributiva riconosciuta agli uomini (sino al sessantesimo anno di eta'); che, con successiva sentenza n. 134/1991 si era ribadito che le lavoratrici prepensionate in eta' compresa fra i 47 e i 50 anni debbono fruire di un accredito contributivo pari a 10 anni ulteriori rispetto all'eta' del prepensionamento; che la sentenza n. 503/1991 aveva poi dichiarato l'illegittimita' dell'art. 2 della legge n. 181/1989 nella parte in cui non riconosceva alle lavoratrici prepensionate a 50 anni il diritto all'attribuzione di un'anzianita' contributiva sino a 60 anni; che, nel caso di specie, le esponenti avevano visto risolto il proprio rapporto, in seguito a domanda di prepensionamento, in eta' compresa fra i 47 e i 50 anni, ma era stata loro riconosciuta anzianita' contributiva solo fino al cinquantacinquesimo anno di eta'; che il diritto della lavoratrice al riconoscimento di un'anzianita' figurativa decennale discendeva direttamente dalla citata sentenza n. 134/1991, atteso l'esplicito rinvio dell'art. 29 della legge n. 223/1991 all'art. 5, quinto comma, della legge n. 48/1988, che di quella decisione era stato oggetto; che, nella denegata ipotesi che non si fosse acceduto a tale interpretazione, avrebbe dovuto apparire rilevante e non manifestamente infondata, alla stregua degli artt. 3, 37 e 38 Cost., la questione di legittimita' costituzionale della citata norma del 1991, nella parte in cui fondava su una pretesa (ma negata dalla Corte costituzionale) differenza di eta' lavorativa fra uomo e donna una disparita' di anzianita' figurativa in caso di prepensionamento. Chiedevano, quindi, previa eventuale rimessione degli atti alla Corte costituzionale, dichiararsi il loro diritto al riconoscimento di un'anzianita' contributiva aumentata in misura pari al tempo rispettivamente mancante per il conseguimento dei 10 anni di accredito contributivo, nonche' alla percezione di un trattamento pensionistico commisurato a tale maggiore anzianita'. Si costituiva l'I.N.P.S., negando l'applicabilita' delle richiamate sentenze della Corte costituzionale al di fuori dell'ambito di diretta applicazione delle norme fatte oggetto della decisione. Il pretore decideva accogliendo le domande di entrambe le ricorrenti, sull'assunto che il riferimento dell'art. 29 della legge n. 223/1991 alla "normale eta'" per il conseguimento della pensione di vecchiaia non fosse identificabile, per le donne, con il cinquantacinquesimo anno di eta', giacche' il pensionamento a tale eta' costituisce, per le stesse, una mera facolta' e non un obbligo, come ripetutamente affermato dalla Corte costituzionale, specialmente nella sentenza n. 503 del 1991. Avverso tale decisione proponeva appello l'I.N.P.S., contestando l'esattezza del convincimento pretorile, per cui eta' pensionabile ed eta' lavorativa sarebbero oggi del tutto parificate: al contrario, come rilevato da Corte costituzionale n. 404/1993, l'eta' lavorativa e' stata estesa a 60 anni, ma l'eta' pensionabile resta ferma a 55 anni e a questo limite doveva ritenersi il legislatore del 1991 abbia fatto riferimento laddove ha parlato di "normale eta'" per il conseguimento della pensione di vecchiaia. Rilevava, quindi, come il pretore, per arrivare al risultato cosi' indebitamente raggiunto, avrebbe dovuto sollevare questione di legittimita' costituzionale, non potendo riconoscere efficacia espansiva a una pronuncia del giudice delle leggi avente ad oggetto tutt'altra previsione normativa. Resistevano le appellate, evidenziando, nel merito, come la decisione del pretore si fondasse sul corretto assunto della riferibilita' dell'istituto del prepensionamento, non all'eta' pensionabile, bensi' all'eta' lavorativa: eta' lavorativa fissata, sia per gli uomini che per le donne, in 60 anni. In via subordinata, insisteva nella proposizione della questione di legittimita' costituzionale della norma in contestazione, cosi' come interpretata da controparte. Riuniti i due giudizi ai sensi dell'art. 151 disp. att. c.p.c., il tribunale O S S E R V A La norma controversa - l'art. 29 della legge 23 luglio 1991, n. 223 - estende la facolta' di prepensionamento, prevista dall'art. 27 della stessa legge con riferimento alle pensioni di anzianita', anche alle pensioni di vecchiaia, riconoscendo tale facolta' ai lavoratori (e alle lavoratrici) dipendenti dalle imprese industriali del settore siderurgico pubblico, che siano di eta' non inferiore a quella di cui all'art. 1, primo comma, della legge 31 maggio 1984, n. 193 (50 anni) e all'art. 5, quinto comma, del d.-l. 30 dicembre 1987, n. 536, convertito in legge 29 febbraio 1988, n. 48 (che ha abbassato a 47 anni il limite di eta' "prepensionabile" per le lavoratrici) e che possano far valere non meno di quindici anni di anzianita' contributiva. A questi lavoratori la norma in oggetto garantisce "ai fini del conseguimento della pensione di vecchiaia, una maggiorazione dell'anzianita' assicurativa per i periodi mancanti al raggiungimento della normale eta' per essa prevista". Hanno sostenuto le ricorrenti e ha ritenuto il pretore che, in forza del rinvio agli artt. 1 della legge n. 193/1984 e 5 della legge n. 48/1988 e della lettura che di queste norme si impone, ai sensi delle sopra ricordate decisioni della Corte costituzionale, anche la norma in esame debba interpretarsi in senso favorevole al riconoscimento, in favore delle lavoratrici, di un aumento massimo di anzianita' contributiva non inferiore a quello riconosciuto ai lavoratori di sesso maschile, dovendosi avere riguardo, ai fini del prepensionamento, non all'eta' pensionabile, bensi' all'eta' lavorativa, con riferimento alla quale, secondo quanto affermato dal giudice delle leggi, non esiste differenziazione fra uomo e donna (fra le altre, si vedano le sentenze nn. 137 del 1986 e 498 del 1988). Osserva, peraltro, il tribunale che il beneficio introdotto dalla legge n. 223/1991 trova in quella stessa legge una propria autonoma disciplina, essendo limitato alla individuazione dell'eta' prepensionabile il rinvio alle leggi n. 193/1984 e 48/1988. Nessun rilievo immediato e diretto puo', quindi, riconoscersi, nella fattispecie in esame, alle decisioni della Corte costituzionale che hanno ampliato il periodo massimo di contribuzione figurativa, riconoscibile alle donne in base a quelle norme (in combinato disposto fra loro e con l'art. 16 della legge n. 155/1991), parificandolo a quello previsto per gli uomini. Si tratta, allora, di verificare se la norma oggi in discussione sia suscettibile di un'interpretazione conforme al principio di diritto, affermato in quelle occasioni dalla Corte costituzionale, ovvero presti il fianco alle medesime censure di illegittimita' costituzionale - basate sugli artt. 3 e 37 Cost. - che hanno condotto alla declaratoria di illegittimita' costituzionale sia del combinato disposto degli artt. 1 della legge n. 193/1984 e 16 della legge n. 155/1981, sia dell'art. 2, secondo comma, della successiva legge n. 181/1989. Ritiene il collegio che il dato letterale escluda una simile interpretazione della norma in contestazione. Il riferimento alla "normale eta'" per il conseguimento della pensione di vecchiaia non puo' infatti che interpretarsi come rinvio all'eta' minima ordinariamente necessaria per l'accesso a tale trattamento pensionistico: cinquantacinque anni per le donne e sessanta anni per gli uomini. Appare, allora, innegabile la concreta disparita' di trattamento che viene a determinarsi fra uomini e donne che, per anzianita' contributiva ed eta' anagrafica, si trovino in condizioni del tutto identiche e parimenti idonee per l'accesso al beneficio in discussione (in ipotesi, quindici anni di contribuzione e cinquanta anni di eta'): i primi potranno beneficiare di una maggiorazione di anzianita' di cinque anni superiore a quella riconosciuta alle seconde. Ed impari appare, altresi', il trattamento riservato alle lavoratrici che, come le ricorrenti, pur essendo ammesse al beneficio ed eta' inferiore rispetto agli uomini, si vedono riconosciuta, a quarantasette anni, una anzianita' figurativa di due anni inferiore a quella riconosciuta agli uomini che accedano al beneficio al compimento del cinquantesimo anno di eta'. Tale effettiva discriminazione non trova giustificazione ne' nella facoltativita' del pensionamento anticipato - giacche' il favor laboratoris sotteso a tale beneficio non puo' giustificare l'attribuzione del beneficio stesso secondo criteri che integrino una violazione del principio di parita' di trattamento -, ne' nella natura di questo istituto, che si assuma tale da imporne il ragguaglio, sotto il profilo contributivo, all'eta' pensionabile, fissata dalla legge in 55 anni per le donne e in 60 per gli uomini. A prescindere, infatti, dalla opinabilita' di tale assunto - la cui esattezza e' stata ripetutamente negata dal giudice delle leggi (sentenze nn. 371 del 1989 e 503 del 1991), nonostante le contrarie affermazioni contenute in recenti decisioni della stessa Corte (sentenze n. 404 e 345 del 1994) -, deve osservarsi che la previsione di differenti eta' minime di accesso alla pensione di vecchiaia risponde ad un'ottica di favore per la particolare condizione e funzione sociale della donna, in ragione della quale si riconosce alla lavoratrice una facolta', il cui esercizio e' del tutto eventuale e che, come non pregiudica il diritto della donna di proseguire l'attivita' lavorativa e di aumentare la propria anzianita' contributiva sino al compimento del sessantesimo anno di eta' - in posizione di perfetta parita' con i lavoratori di sesso maschile - allo stesso modo non puo' giustificarne un piu' sfavorevole trattamento pensionistico, esclusivamente basato su un difforme riconoscimento di anzianita' figurativa. Ne' si dica che la possibilita' di pensionamento anticipato ad un'eta' in cui l'accesso a tale beneficio e' precluso agli uomini costituisce sufficiente compensazione dello svantaggio economico, sopra evidenziato o, comunque, rende non comparabili le due situazioni. Il profilo di quantificazione dell'anzianita' contributiva, che qui viene in rilievo, non ha nulla a che vedere con le ragioni che giustificano tale anticipazione; ragioni del tutto identiche a quelle che sorreggono la previsione di un limite minimo di eta' pensionabile inferiore per le donne che per gli uomini. La questione di legittimita' costituzionale, prospettata dalla difesa delle odierne appellate, appare, quindi, non manifestamente infondata ed altresi' rilevante ai fini del decidere, giacche', qualora dovesse affermarsi, anche con riferimento alla disciplina in esame, la necessita' del riconoscimento di una pari maggiorazione di anzianita' per l'uomo e per la donna, dovrebbe essere confermato il loro diritto all'attribuzione di un'anzianita' contributiva maggiore di quella riconosciuta dall'I.N.P.S., mentre, laddove venisse affermata la conformita' a costituzione della norma, cosi' come interpretata ed applicata dall'I.N.P.S., le domande di Traverso Egle e Bianchi Vilma dovrebbero essere respinte. Deve, pertanto, disporsi la sospensione del giudizio, con immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, a cura della cancelleria.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953; Ritenuta non manifestamente infondata e rilevante la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 29 della legge n. 223 del 23 luglio 1991, in relazione agli artt. 3 e 37 della Costituzione, per i motivi di cui alla parte motiva della presente ordinanza; Sospende il giudizio e dispone l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il presidente: RUSSO 95C1244