N. 695 ORDINANZA (Atto di promovimento) 2 agosto 1995

                                N. 695
 Ordinanza  emessa  il  2  agosto  1995  dal  giudice  per le indagini
 preliminari presso il tribunale militare di Padova  nel  procedimento
 penale a carico di Resse Giuseppe
 Misure cautelari - Misure cautelari personali (nella specie: custodia
    cautelare  in carcere) - Condizioni - Applicabilita' per i delitti
    punibili con la pena dell'ergastolo o della  reclusione  superiore
    nel massimo a tre anni - Lamentata omessa previsione per i delitti
    punibili  con  reclusione  militare  - Disparita' di trattamento -
    Indebolimento dell'azione penale.
 (C.P.P. 1988, art. 280).
 (Cost., artt. 3 e 112).
(GU n.44 del 25-10-1995 )
                IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    A seguito di richiesta del p.m., depositata in data 2 agosto 1995,
 di applicazione della  misura  coercitiva  della  custodia  cautelare
 (art. 285 c.p.p.) a carico di Resse Giuseppe, nato il 27 ottobre 1951
 a  Taranto e ivi residente in via G. Messina n. 123/B, capo 1a classe
 della Marina Militare, indagato per il reato di  concorso  in  truffa
 militare  pluriaggravata  (artt.  110  c.p., 234, c. I e II e 47 n. 2
 c.p.m.p.), ha pronunciato la seguente ordinanza.
                            FATTO E DIRITTO
    Il g.i.p. investito della richiesta del p.m. di applicazione della
 misura coercitiva della custodia cautelare in  carcere  a  carico  di
 Resse  Giuseppe,  maresciallo capo di 1a classe, deve preliminarmente
 verificare se il reato per cui si procede rientri nei limiti edittali
 di cui all'art. 280 c.p.p.,  fissati  nella  pena  "dell'ergastolo  o
 della reclusione superiore nel massimo di tre anni".
    La  fattispecie  criminosa  contestata  all'indagato  e' di truffa
 militare ai danni dell'a.m. (art. 234 cc.  I  e  II,  prima  ipotesi,
 c.p.m.p.),  per  la  quale  e' comminata la sanzione della reclusione
 militare da uno a cinque anni.
   Sia che la norma incriminatrice de qua costituisca figura  autonoma
 di  reato  -  come  certa giurisprudenza di merito ritiene -, sia che
 essa sia circostanza aggravante ad  effetto  speciale  rispetto  alla
 figura  base  di  cui  al primo comma dell'art. 234 c.p.m.p., risulta
 certamente rispettato nel quantum il limite  previsto  dall'art.  280
 c.p.p.
    Rileva,  pero',  il giudice che la specie di pena comminata per il
 reato in questione non e' la reclusione, ma la  reclusione  militare,
 disciplinata  in  via  autonoma  dall'art. 26 c.p.m.p. e connotata da
 modalita'  proprie  di  esecuzione,  tendenti   alla   finalita'   di
 mantenimento  e  rieducazione del condannato militare nella compagine
 militare.
    Che le due pene detentive siano di specie diversa, appare, aldila'
 di ogni ragionevole dubbio, confermato  dall'art.  22  c.p.m.p.,  che
 espressamente  distingue  la  reclusione  militare  dalla reclusione,
 qualificandole pene militari.
    Inoltre,  significativamente,  l'art.  23  c.p.m.p.  espressamente
 prevede   che   la   reclusione  militare  e'  ricomprendibile  nella
 denominazione  di  "pene  detentive  o  restrittive  della   liberta'
 personale" e quindi non anche in quella di "reclusione".
    Cio'  posto,  si  impone il problema se l'art. 280 c.p.p. consenta
 l'emissione di misure coercitive, oltre che per  i  reati,  comuni  o
 militari,  puniti  con  la  "reclusione" superiore ai tre anni (o con
 l'ergastolo), anche per quelli puniti con  la  "reclusione  militare"
 superiore a tale limite.
    Di  fronte  a  tale quesito il giudice ritiene di dover propendere
 per la tesi negativa.
    Invero, l'art. 13, comma II, Cost., stabilisce che "non e' ammessa
 forma alcuna di detenzione ..,  se  non  ..  nei  soli  casi  e  modi
 previsti dalla legge" e al riguardo, si osserva che l'art. 280 c.p.p.
 menziona la "reclusione" ma non la "reclusione militare".
    Un'interpretazione  che  allarghi  l'ambito  di applicazione della
 norma processuale alle fattispecie di reato punite con la  reclusione
 militare,  da  un lato, non sarebbe conforme al citato art. 13 Cost.,
 dall'altro comporterebbe il  ricorso  all'interpretazione  analogica,
 non  consentita  per  leggi  che  -  come quelle in questione - fanno
 eccezione alla regola generale  della  liberta'  personale  (art.  14
 preleggi).
    Ne'  appare  corretto,  per  affermare  la  riconducibilita' della
 reclusione militare nell'ambito della nozione di reclusione  ai  fini
 dell'art.  280  c.p.p., riferirsi al disposto dell'art. 261 c.p.m.p.,
 comunemente citato per  giustificare  l'applicazione  del  codice  di
 procedura penale anche ai procedimenti davanti ai tribunali militari,
 atteso  che esso nulla dispone in ordine alla sostituibilita', a fini
 processuali, della reclusione con la reclusione militare.
    Sicche', nel campo che ci occupa, gli effetti del citato art.  261
 rilevano  nei  soli casi in cui un reato militare sia punibile con la
 reclusione (superiore a tre anni).
    Ne consegue che,  non  essendo  prevista  la  reclusione  militare
 dall'art.  280 c.p.p., si dovrebbe respingere, nella specie, solo per
 tale preliminare ragione, la richiesta del p.m.
    Tuttavia, ritiene il Giudice che l'art. 280 c.p.p., - nella  parte
 in  cui  non  consente l'applicabilita' di misure coercitive anche ai
 reati militari puniti con la reclusione  militare  superiore  ai  tre
 anni - sia in contrasto con gli artt. 3 e 112 Cost.
    E'  infatti del tutto irrazionale - e percio' lesivo del principio
 di uguaglianza - che fatti - quali quelli di truffa (art. 640 c.p.) e
 truffa militare (art. 234 c.p.m.p.) - ontologicamente uguali e quindi
 connotabili  di  eguale   gravita',   sottostiano   ad   un   diverso
 trattamento,  quanto  all'applicabilita' di misure cautelari: queste,
 infatti, come detto, sono
 de iure condito, consentite solo per la fattispecie penale  comune  e
 non  per  la  "parallela" fattispecie penale militare, i cui elementi
 costitutivi pure sono i medesimi della norma comune.
    Ne'   si   intravedono   plausibili   giustificazioni   di    tale
 differenziato  trattamento  sul piano cautelare, atteso che, anzi, la
 qualita' del soggetto attivo (militare), inserito in una compagine di
 diretto  contatto  con  il  soggetto  passivo   (altro   militare   o
 amministrazione  militare) puo', in riferimento a talune fattispecie,
 rendere ancor piu' concrete e pressanti, rispetto all'ambito  comune,
 le  esigenze  cautelari  (ad  esempio, per il pericolo d'inquinamento
 delle prove).
    In riferimento all'art. 112 Cost., e' evidente che  l'obbligo  del
 p.m.  di  promuovere  l'azione  penale,  necessariamente  comporta la
 predisposizione di mezzi processuali  tali  da  assistere  il  potere
 d'azione accusatoria non solo all'atto del promovimento, ma anche nel
 suo sviluppo procedimentale e temporale.
    Privare  il  p.m.  del  potere  di  richiesta  di misure cautelari
 implica un sostanziale indebolimento dell'azione penale  che  finisce
 col  non  essere piu' assistita dai mezzi e supporti necessari per un
 corretto esercizio.
    Si  rimette  pertanto  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 280 c.p.p. - in parte de qua -, con riferimento agli  artt.
 3  e  112  Cost.,  sospendendo  il procedimento di applicazione della
 misura cautelare.
                                P. Q. M.
    Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
    Dichiara manifestamente infondata  e  rilevante  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 280 c.p.p. - in parte de qua -
 in relazione agli artt. 3 e 112 della Costituzione;
    Ordina la sospensione del procedimento  relativo  all'applicazione
 della  misura  cautelare  e  la trasmissione di copia degli atti alla
 Corte costituzionale;
    Dispone la notifica alle Parti e al Presidente dela Consiglio  dei
 Ministri   e   la  comunicazione  ai  Presidenti  dei  due  rami  del
 Parlamento;
    Dispone la restituzione degli atti al p.m. per  l'ulteriore  corso
 delle indagini.
      Padova, addi' 2 agosto 1995
              Il giudice per l'udienza preliminare: BLOCK
 
 95C1299