N. 737 ORDINANZA (Atto di promovimento) 17 giugno 1994- 6 ottobre 1995

                                N. 737
 Ordinanza  emessa il 27 maggio e 17 giugno 1994 (pervenuta alla Corte
 costituzionale il 6 ottobre 1995) dalla Corte dei conti,  sez.  prima
 giurisdizionale  nel  giudizio  di  responsabilita'  dei confronti di
 Pandolfi Filippo Maria ed altro
 Agricoltura - Prelievo supplementare sul latte di vacca - Giudizio di
 responsabilita' amministrativa  per  omessa  attuazione  di  obblighi
 derivanti  da regolamenti comunitari (nn. 856, 857 e 1371 del 1984) -
 Sopravvenienza di norma statale avente ad oggetto il differimento  di
 detti   obblighi  -  Conseguente  venir  meno  della  responsabilita'
 amministrativa  a  carico  di  soggetti  determinati  per  il periodo
 anteriore - Eccesso di potere legislativo - Violazione del  principio
 di  uguaglianza  e  del  diritto  dell'erario  ad agire in giudizio -
 Lesione del principio di buon andamento ed imparzialita' della p.a.
 (Legge 10 luglio 1991, n. 201, art. 1, terzo comma).
 (Cost., artt. 3, 10, 24 e 97).
(GU n.46 del 8-11-1995 )
                          LA CORTE DEI CONTI
   Ha   pronunciato   la   seguente   ordinanza   nel   giudizio    di
 responsabilita' ad istanza del procuratore generale nei confronti dei
 Ministri  pro-tempore  dell'agricoltura  e foreste, onorevoli Filippo
 Pandolfi e Calogero Mannino;
   Visto l'atto introduttivo del giudizio iscritto  al  n.  13612  del
 registro di segreteria;
   Visti gli altri atti e documenti della causa;
   Uditi  nella  pubblica  udienza  del  27 maggio 1994 il Consigliere
 relatore dott. Giorgio Capone, il pubblico ministero in  persona  del
 vice  procuratore  generale  dott.  Angelo canale e i difensori della
 parte prof. avv. Franco Scoca e prof. avv. Giulio Correale;
                           Ritenuto in fatto
   Con atto di citazione del 21 marzo  1991  il  procuratore  generale
 della  Corte  dei  conti  ha  convenuto  in  giudizio gli ex Ministri
 dell'Agricoltura e Foreste, avv. Filippo Maria  Pandolfi  (in  carica
 nel  periodo 1984-1987) e avv. Calogero Massimo (in carica nel 1988),
 per ivi sentirli condannare al pagamento in favore dell'Erario  della
 somma di L. 77.558.842.190, oltre accessori di legge.
   L'addebito  trae  origine  da vicende collegate al cd. regime delle
 quote latte e a quelle previste dal regolamento CEE n. 856/84 e  alle
 statuizioni  inerenti il prelievo supplementare da porre, a carico di
 ogni Stato membro, a carico dei produttori o acquirenti di  latte  di
 vacca.
   Infatti  nel  1984  la Comunita' europea, pressata dall'esigenza di
 stabilire  l'equilibrio  del   settore   lattiero,   perveniva   alla
 determinazione  di  instaurare,  per  un  periodo  di cinque anni, un
 prelievo supplementare sui quantitativi di latte  raccolti  oltre  un
 limite  di  garanzia;  l'importo  del  prelievo  supplementare veniva
 fissato in misura pari al  prezzo  indicativo  del  latte  e  veniva,
 pertanto,  emanato  il  regolamento  CEE n. 856/84 del 21 marzo 1984,
 destinato ad integrare e a modificare il regolamento CEE  n.  804/68.
 L'art.  1 del regolamento n. 856/1984 introduceva infatti un articolo
 5-quater nel regolamento n. 804/68  e  istituiva,  durata  5  periodi
 consecutivi  di  12  mesi con inizio dal 1 febbraio 1984, un prelievo
 supplementare a favore  del  bilancio  comunitario  e  a  carico  dei
 produttori  o  degli  acquirenti  di  latte  di  vacca, allo scopo di
 mantenere sotto controllo le crescite della produzione lattiera,  pur
 permettendogli  gli sviluppi e gli adeguamenti strutturali necessari,
 tenendo conto della diversita' delle situazioni nazionali,  regionali
 o  delle  zone  di raccolto nella Comunita'; la norma consentiva agli
 Stati membri di attuare il regime del prelievo  secondo  due  formule
 alternative.    Per  l'Italia  il  quantitativo globale garantito era
 fissato, per la prima campagna lattiera, in 8.323.000 tonnellate.  Il
 31 marzo 1984 il Consiglio adottava anche il regolamento n.    857/84
 contenente   norme   generali   per   l'applicazione   del   prelievo
 supplementare.  Successivamente la commissione stabiliva le modalita'
 di attuazione del sistema con il regolamento 16 maggio 1984, n. 1371.
 Con  sentenza  del 17 giugno 1987, la Corte dei giustizia della c.e.,
 adita dalla commissione, dichiarava che la Repubblica  italiana,  non
 adottando  entro  i  termini stabiliti i provvedimenti prescritti dai
 regolamenti del  Consiglio  31  marzo  1984,  n.  856  e  857  e  dal
 regolamento della commissione 16 maggio 1984, n. 1371 era venuto meno
 agli obblighi impostile dai suddetti regolamenti.  In particolare, la
 Corte  dichiarava  la  infondatezza delle due giustificazioni addotte
 dall'Italia per motivare  la  mancata  applicazione  della  normativa
 comunitaria  istitutiva  del  prelievo  supplementare.    In  sede di
 relazione di sintesi del  1  settembre  1989,  la  commissione  della
 Comunita'  europa  rilevava  che  nel  corso  della campagna lattiera
 1986-1987 l'Italia non aveva applicato le  disposizioni  relative  al
 prelievo  supplementare,  non  erano  state  assegnate  le  quote  ai
 produttori e non era stato raccolto alcun importo a titolo  di  detto
 prelievo.  I membri della commissione, dopo aver premesso che solo in
 data  11  aprile 1988 il Governo italiano aveva pubblicato un decreto
 col quale si era provveduto ad attribuire quote a singoli  produttori
 e  alle  loro  associazioni, procedevano ad una stima, basata su dati
 statistici, dell'eccedenza di  latte  consegnato  dalle  associazioni
 italiane  di  produttori nel 1986 e 1987.  Si perveniva in tal modo a
 quantificare  in  171.799  tonnellate   le   consegne   in   eccesso,
 comportanti  prelievi  supplementari  e  ne  conseguiva una rettifica
 finanziaria di L. - 74.326.019.850 sulla voce 207.   Per  l'esercizio
 1985  la  rettifica  finanziaria negativa relativa all'Italia, per la
 mancata riscossione di prelievi supplementari, era determinata in  L.
 -  3.232.822.340.  I risultati finanziaria esposti nella relazione di
 sintesi richiamate erano infine formalizzati  nelle  decisioni  delle
 commissioni  CEE  del 15 novembre 1989 e del 19 aprile 1990.  Osserva
 il procuratore generale che tali rettifiche finanziarie, formalizzate
 nelle predette decisioni della commissione  CEE,  sostanziandosi  per
 l'Italia  in  minori  introiti, hanno finito per gravare sul bilancio
 nazionale, cosicche' l'attenzione veniva concentrata  sulle  concrete
 ragioni  che  aveva  determinato la mancata applicazione della citata
 normativa   comunitaria,   l'omessa    riscossione    del    prelievo
 supplementare   dei  produttori  di  latte  e  infine  l'imputazione,
 attraverso il meccanismo  delle  rettifiche  negative,  di  rilevanti
 somme,  che  avrebbero  docuto  essere  corrisposte  alla  C.E.E. dai
 produttori di  latte,  al  bilancio  nazionale.    Nell'ambito  degli
 accertamenti  sulle  iniziative  avviate  dalla  competente direzione
 generale per tentare di dare esecuzione alle prescrizioni di  cui  ai
 regolamenti  CEE  n. 856 e 857 del 31 marzo 1984, si accertava che in
 data 18 aprile 1984 il competente Ufficio  ministeriale  predisponeva
 per   la  firma  del  Ministro  un  decreto  ministeriale  contenente
 disposizioni per l'applicazione del regolamento n. 856, ma il decreto
 non veniva firmato.   Si accertava che la  proposta  di  decreto  era
 stata  piu'  volte modificata in conformita' delle richieste di volta
 in volta formulate  dal  Ministro,  cosicche'  alle  prime  bozze  ne
 seguirono altre tre, rispettivamente in data 9 maggio 1984, 31 maggio
 1984   e  20  giugno  1984.    Le  modifiche  apportate,  secondo  la
 valutazione  del  dirigente  competente,   snaturavano   l'originaria
 proposta   concordata   con   esperti   di  informatica  e  rendevano
 irragiungibile il fine prefissato. In data 19 aprile 1984 il medesimo
 ufficio  trasmetteva  al  Ministro  per  la  firma  un  decreto   per
 l'attribuzione   alle   imprese   lattiero-casearie   di   una  quota
 provvisoria  per  i  primi  sei mesi di applicazione del regime delle
 quote.   Nella circostanza  l'ufficio  proponente  segnalava  che  il
 rifiuto  del  pagamento del super prelievo per il periodo antecedente
 all'assegnazione  della  quota  loro  spettante  potrebbe  comportare
 conseguenze  di  carattere  finanziario  a  carico del bilancio dello
 Stato e conseguente responsabilita' amministrativa. Il decreto non fu
 firmato.     In  data  17  agosto   1984   perveniva   al   Ministero
 dell'agricoltura  un telegramma dei servizi della Commissione CEE con
 il quale si sollecitavano  gli  adempimenti  di  cui  al  sistema  di
 prelievo supplementare e in data 18 agosto 1984 il direttore generale
 partecipava  il  contenuto  del  telegramma  al Ministro Pandolfi, il
 quale  di  suo  pugno  apponeva  a  margine  della  segnalazione   la
 disposizione  "ignorare".    Con appunto del 7 dicembre 1984 il dott.
 Possagno, rivolgendosi al direttore  generale  Moroni  e  riferendosi
 alla   procedura   d'infrazione  derivata  dal  commissario  CEE  nei
 confronti  dell'Italia  a  causa  del  perdurante  stato  di  mancata
 applicazione   del   regime   delle   quote,   si   riproponeva   per
 l'approvazione una bozza di provvedimento contenente modalita' per la
 registrazione dei produttori che effettuavano vendite dirette:  anche
 questa  proposta di provvedimento, portata a conoscenza del Ministro,
 non ebbe seguito.   In data 23 maggio  1985  con  il  Regolamento  n.
 1035/85  e  in occasione della fissazione di prezzi agricoli e misure
 connesse per la campagna 1985-1986, fu apportata,  su  sollecitazione
 italiana,   un'importante   modifica   al   regolamento  n.  856  con
 l'inserimento all'art. 12 delle norme di assaociazione di  produttori
 e   di  unione  di  associazione  quale  seduttore  unico.    L'altra
 significativa iniziativa, assunta dopo oltre un anno dal  regolamento
 n.  856,  fu  quella di disporre con decreto del 30 settembre 1985 un
 censimento  della  produzione  lattiera  e   la   realizzazione   del
 censimento  fu affidata all'Associazione italiana allevatori in forza
 di apposita  convenzione;  tuttavia  la  qualita'  della  rilevazione
 affidata   a   tale   associazione  non  era  ritenuta  soddisfacente
 dall'Ufficio che avrebbe dovuto  utilizzare  i  dati  e  cioe'  dalla
 Direzione  generale  per  la  tutela  dei  produttori  agricoli; solo
 nell'aprile del 1988, dopo molte sollecitazioni,  i  dati  statistici
 finali   relativi   alla  riduzione  erano  trasmessi  alla  predetta
 Direzione generale.  Con l'approvazione del  regolamento  n.  1305/85
 del 23 maggio 1985, contenente l'importante modifica dell'art. 12 del
 regolamento  n.    857/84,  era  stata  introdotta la possibilita' di
 coinvolgere tutti i produttori di latte  e  le  loro  associazioni  e
 quindi tutta la produzione lattiera in un produttore unico. Occorreva
 inoltre  procedere  celermente  sulla  costituzione dell'unione delle
 associazioni  dei  produttori  e  al   suo   formale   riconoscimento
 giuridico,   secondo   la   normativa  nazionale  e  comunitaria,  in
 conseguenza delle previsioni comunitarie e dell'avvio della procedura
 di  infrazione  nei  confronti  dell'Italia.     Risulta   che   dopo
 quattordici  mesi  dalla modifica del citato art.  12 veniva attivata
 nel luglio 1986 l'Unione nazionale per le associazioni di  produttori
 di  latte  bovino  (UNALAT),  la  cui  personalita'  giuridica veniva
 riconosciuta  con  decreto  ministeriale  del   22   dicembre   1986,
 pubblicato  nella  Gazzetta  Ufficiale  del  10  marzo 1987.   Con la
 costituzione e il conseguente riconoscimento del produttore unico  si
 realizzava  solo  una delle condizioni per dare applicazione dopo tre
 anni al regime della quota introdotta col regolamento CEE n. 857/84 e
 occorreva   assegnare   a   favore   dell'UNALAT  i  quantitativi  di
 riferimento.  Intanto nel giugno 1987 la  Corte  di  giustizia  delle
 comunita'  europee,  a seguito di una visita effettuata in Italia nel
 periodo 3-8 aprile 1987, formulava una serie di rilievi sulla mancata
 attuazione  del  regime  delle  quote  e  si  delineavano  cosi'   le
 principali condizioni che avrebbero consentito alla commissione della
 CEE  di  imputare  alla  Repubblica  italiana  col  meccanismo  delle
 rettifiche finanziarie in sede di liquidazione  dei  conti  FEOGA  la
 omessa  esazione  del  prelievo  supplementare  e  i  maggiori  costi
 sopportati dalla Comunita' per lo  smaltimento  delle  eccedenze  dei
 prodotti  lattiero-caseari.    Soltanto nell'aprile 1988 l'UNALAT/AIA
 forniva i dati richiesti, non  su  nastro  magnetico  e  con  decreto
 ministeriale  11  aprile  1988  veniva  disposta  l'assegnazione  dei
 quantitativi di riferimento,  distinti  per  le  consegne  e  per  le
 vendite dirette a favore dell'UNALAT, delle Associazioni non aderenti
 l'UNALAT   e   dei   singoli   produttori   non  aderenti  ad  alcuna
 associazione.  Il nuovo Ministro dell'agricoltura on.le  Mannino  con
 appunto  del  maggio  1988  veniva  messo  a  conoscenza  di tutta la
 situazione e degli adempimenti ancora da seguire per l'esecuzione del
 superprelievo.   Da un  appunto  riservato  del  12  settembre  1988,
 inoltrato  al  Ministro dell'agricoltura dal direttore generale dott.
 Pricolo  risulta  che  in  relazione  ai  predetti  adempimenti,   la
 competente Direzione generale aveva predisposto una bozza di decreto,
 contenente  anche  indicazioni  per  sanare  il  periodo pregresso di
 mancata applicazione del regime della quota (cioe' per procedere alla
 riscossione del  super  prelievo  relativo  alle  trascorse  campagne
 lattiere);  nell'appunto  stesso  il  Direttore generale della tutela
 economica  dei  prodotti  agricoli,  dott.  Pricolo   affermava   che
 l'omissione del controllo, procedura non ammessa, chiaramente diretta
 ad  evitare  ogni  possibile  richiesta  di  pagamento  del  prelievo
 supplementare, sara' interpretato dalla Commissione come una indebita
 corresponsione di aiuti da parte dell'Italia ai  produttori di latte,
 con conseguente apertura di procedura di infrazione ed imputazione al
 bilancio  italiano  non  solo  delle  somme  relative  alla   mancata
 riscossione,  ma  anche  delle  maggiori  spese sostenute dal FEOGA e
 calcolate forfettariamente. Lo stesso giorno (12 settembre  1988)  il
 dott.  Pricolo  chiedeva  l'anticipato  collocamento  a  riposo, ma i
 richiami del Direttore Pricolo non sortivano l'effetto di  imporre  i
 doverosi  provvedimenti  diretti  ad  evitare  le  gravi  e  previste
 conseguenze finanziarie per il bilancio nazionale  determinate  dalle
 predette  decisioni  comunitarie del 15 novembre 1989 e del 19 aprile
 1990.
   In punto di diritto il procuratore generale  osserva  che  l'omessa
 applicazione del regime della quota e quindi l'omessa riscossione del
 prelievo  supplementare  nei confronti di soggetti privati ha causato
 gravi ed ingiuste  conseguenze  finanziarie  a  carico  del  bilancio
 nazionale.    Quindi e' presente l'elemento oggettivo, cioe' il danno
 ingiusto, effettivo ed attuale patito dell'Erario  e  a  tale  danno,
 come  risulta  evidente  dalla  esposizione dei fatti, non difetta il
 connotato dalla prevedibilita'.  Il danno ammonta a L. 77.558.842.190
 ed e' costituito  dall'importo  complessivo  delle  sopra  menzionate
 rettifiche  finanziarie negative apportare dalla Commissione CEE, per
 effetto diretto della mancata riscossione del prelievo  supplementare
 sul  latte,  in  sede  di  liquidazione dei costi FEOGA.   L'elemento
 soggettivo,  cioe'  la colpa dei pubblici agenti evocati in giudizio,
 introduce  il   tema   piu'   complesso,   quello   delle   personali
 responsabilita'.  Si  deve intanto escludere che l'omessa riscossione
 del prelievo supplementare non sia imputabile ad alcuno e sia percio'
 dipendente esclusivamente da  oggettive  difficolta'  amministrative.
 Ritiene  il procuratore generale che nella circostanza tanto l'ambito
 delle  decisioni  di  carattere   politico,   quanto   l'area   delle
 determinazioni  amministrative  applicative  erano gia' segnate dalle
 prescrizioni contenute nella menzionata normativa comunitaria.   Vale
 a  dire  che  le  autorita'  nazionali  non  avevano altra scelta che
 applicare  tempestivamente  la  regolamentazione  comunitaria  ovvero
 trasferire  tutta la questione nella piu' alta sede politica; invece,
 come la ricostruzione dei fatti ha manifestato,  la  regolamentazione
 comunitaria  e' stata semplicemente disattesa.  Ritiene il requirente
 che non  si  possano  imputare  responsabilita'  ai  Dirigenti  della
 Direzione  Generale  per la Tutela Economica dei Produttori Agricoli,
 in quanto essi, per quanto era di loro competenza,  fecero  cio'  che
 era  concretamente  possibile  per  dare  attuazione  al regime delle
 quote.  Ritardi e carenze, nel complesso  costituenti  violazioni  di
 obblighi   di   servizio,  si  devono  invece  imputare  ai  Ministri
 dell'agricoltura, segnatamente agli onorevoli Pandolfi e Mannino, con
 l'avvertenza che in questa circostanza non vengono in rilievo profili
 e responsabilita' politiche, ma esclusivamente le responsabilita'  di
 carattere  amministrativo  connesse  all'esercizio  delle funzioni di
 capo di un ramo dell'Amministrazione.  Peraltro la posizione dei  due
 Ministri,   in  relazione  ai  fatti  di  causa  e  in  special  modo
 all'apporto causale nella determinazione  degli  eventi  dannosi,  e'
 differenziata,  in  quanto al primo (Pandolfi) si possono imputare le
 carenze e i ritardi iniziali e successivi (fino all'aprile 1988)  che
 infine   condussero   la  Commissione  CEE  a  deliberare  le  citate
 rettifiche finanziarie, mentre al secondo (Mannino) si puo'  imputare
 di  non  aver  impartito  direttive  per  la riscossione del prelievo
 supplementare relativo alle pregresse campagne  lattiere,  quando  si
 era  ancora  in  tempo,  ovvero, piu' esattamente, di avere disatteso
 immotivatamente, nonostante la prevedibilita' del danno erariale,  le
 sollecitazioni  che gli giungevano dalla struttura amministrativa per
 avviare  la  riscossione  del  prelievo;  entro  questi  termini,  la
 responsabilita' dei due Ministri e' tuttavia solidale.
   Se  compito  del Ministro era quello di impartire le piu' opportune
 direttive  amministrative  per   dare   esecuzione   alla   normativa
 comunitaria, si deve convenire che tali direttive difettano del tutto
 o  furono  insufficienti,  nonostante le sollecitazioni interne delle
 strutture amministrative ed esterne della Comunita'.
   Certamente  non  si  possono  imputare  al   Ministro   i   ritardi
 dell'UNALAT  (che  si  costitui' solo nel luglio 1986) ma sorprendono
 l'assenza di sollecitazioni nei confronti dei produttori e  l'assenza
 di altre pure possibili iniziative.
   L'on.  Mannino, divenuto Ministro dell'agricoltura nel maggio 1988,
 non ha avuto ovviamente alcuna responsabilita' in ordine ai ritardi e
 alle carenze verificatesi in epoca  precedente,  tuttavia  anch'egli,
 avendone  il  dovere,  ha  coscientemente evitato di assumere la sola
 iniziativa  che  avrebbe  prevedibilmente   potuto   influire   sulle
 determinazioni   comunitarie;   ha  cioe'  evitato  di  impartire  le
 disposizioni, che  pure  gli  venivano  sollecitate  dalla  struttura
 ministeriale per la riscossione, ancora giuridicamente possibile, del
 prelievo supplementare relativo alla pregressa campagna lattiera.
   Ritiene  il  procuratore generale che non possa revocarsi in dubbio
 che il comportamento colposo imputato ai predetti sia  stato  assunto
 nell'esercizio delle funzioni di capo di un ramo dell'Amministrazione
 e  che  sussiste  infine  il nesso di causalita' tra il comportamento
 colposo dei due convenuti e il danno erariale.
   Il convenuto on. Filippo Pandolfi si e' costituito in giudizio  col
 patrocinio  del prof. avv. Franco Scoca, il quale ha prodotto memoria
 difensiva: in essa si assume che  il  preteso    danno  erariale  non
 sussiste,  in  quanto  in  data 10 luglio 1991 e' stata promulgata la
 legge n. 201 sul differimento delle disposizioni di cui alla legge  8
 novembre 1986, n. 752 circa l'attuazione degli interventi programmati
 in  agricoltura.    L'art.  1  di  tale legge al n. 3 dispone che gli
 obblighi  derivanti  da   disposizioni   in   materia   di   prelievo
 supplementare  sul  latte di vacca si applicano a partire dal periodo
 1991-1992, al n. 4  si  prevede  che  tale  ultima  disposizione  non
 costituisce  titolo, per la restituzione delle somme gia' versate dai
 soggetti obbligati; al n. 9 si statuisce che i saldi contabili con la
 Comunita' derivanti dalla definizione delle procedure previste  dalla
 normativa  comunitaria  e  concernenti  il prelievo supplementare sul
 latte di vacca dovuto per i periodi dal 1987-1988 al 1990-1991,  sono
 iscritti  nella  gestione  finanziaria  dell'AIMA,  spese connesse ad
 interventi comunitari.  Assume la difesa che tale nuova normativa  ha
 fatto  venir meno l'esistenza, nel caso di specie, del danno erariale
 e che comunque  non  sussiste  neanche  l'elemento  soggettivo  della
 colpa,  in  quanto il convenuto non ha tenuto nella fattispecie alcun
 comportamento che possa definirsi anche solo di colpevole inerzia.
   Infatti alla luce della realta' italiana si assume la leggittimita'
 del  comportamento   tenuto   dall'on.   Pandolfi,   nonche'   l'alta
 considerazione,  da parte di quest'ultimo, degli interessi del nostro
 Paese, per la cui difesa si e' ampiamente e con successo battuto.
   D'altro canto per la diversita' della situazione italiana  rispetto
 alla maggior parte dei Paesi della Comunita', il Governo italiano non
 poteva  accettare  la  diminuizione di una produzione lattiera di per
 se' insufficiente alla copertura del fabbisogno interno, per di  piu'
 con  la  medesima percentuale di quella imposta a Paesi che erano gli
 effettivi responsabili della sovraproduzione in ambito CEE.
   Successivamente al termine di una serie di interminabili  riunioni,
 di  incontri  bilaterali  e di febrili consultazioni con i rispettivi
 Governi,   il   Ministro   Pandolfi   otteneva    alcuni    risultati
 importantissimi che portavano a modifiche favorevoli all'Italia nella
 legislazione comunitaria.  Si sostiene, pertanto, la legittimita' del
 comportamento  tenuto  nella specie dell'on. Pandolfi, nella qualita'
 di  Ministro  e  quindi  di   membro   dell'Esecutivo   nazionale   e
 comunitario,  in  quanto  l'adeguamento alla normativa comunitaria e'
 stato graduale e,  soprattutto,  tale  da  non  generare  difficolta'
 produttive.   D'altro canto la situazione di cui trattasi necessitava
 di tempo per la sua soluzione ed era necessario procrastinare il piu'
 possibile l'applicazione di una normativa certamente inadeguata. Tale
 convinzione non era solo di parte italiana e  l'emanazione  immediata
 di  una  normativa  di  attuazione non era pertanto ne' opportuna ne'
 possibile; e'  stata  preferita  la  soluzione  di  una  applicazione
 graduale  della  disciplina  comunitaria,  mentre  la  stessa procura
 sottolinea  le  lungaggini dell'AIA e dell'UNALAT, tanto da riportare
 il  testo  autografo  dell'on.  Pandolfi  che  dispone  che   vengano
 effettuati  nei loro riguardi dei telex di sollecito ogni tre giorni.
 Si sostiene quindi che il comportamento del Ministro e' stato  tenuto
 nell'esclusivo   interesse   del   Paese,  su  esplicite  indicazioni
 governative e  dello  stesso  Parlamento  e  in  tal  modo  e'  stato
 possibile salvare un settore produttivo che altrimenti avrebbe potuto
 essere fortemente penalizzato, per di piu' senza che la riconversione
 pesasse  sulle casse erariali.  Si assume quindi che il comportamento
 pienamente legittimo del Ministro Pandolfi ha evitato un danno  forse
 irreparabile  al  settore  agricolo  italiano,  cui  l'Erario avrebbe
 dovuto far fronte  e  che  avrebbe  ampiamente  sorpassato  l'importo
 addebitato  a suo tempo dalla CEE al nostro Paese. Si sostiene infine
 che dall'inesistenza  dell'elemento  oggettivo  connesso  con  quello
 dell'elemento   soggettivo  e'  evidente  l'insussistenza  del  nesso
 causale tra l'uno e  l'altro  e  da  tali  considerazioni,  pertanto,
 discende   l'inesistenza  di  responsabilita'  di  alcun  genere  nei
 riguardi dell'on. Pandolfi.  Il convenuto on. Calogero Mannino si  e'
 costituito  in  giudizio  col  patrocinio dell'avv. Paolo Mercuri, il
 quale ha prodotto una memoria difensiva: in essa  si  assume  che  il
 convenuto ha fatto esattamente cio' che secondo parte attrice avrebbe
 omesso   di  fare:  ha  impartito  disposizioni  dettagliate  per  la
 riscossione  del  superprelievo,  disposizioni  che,  data  la   loro
 efficacia   retroattiva,  avrebbero  consentito  la  riscossione  del
 superprelievo fin dalla sua istituzione. Va inoltre  considerato  che
 l'on.  Mannino  ha  agito  tempestivamente,  in  quanto  alla data di
 adozione  del  d.m.  n.  258/1989,  non  si   era   ancora   conclusa
 l'istruttoria    comunitaria   relativamente   alla   questione   del
 superprelievo; quindi la rettifica finanziaria  si  sarebbe  comunque
 verificata indipendentemente da qualunque azione o omissione posta in
 essere  dall'on.  Mannino dalla data in cui egli ha assunto la carica
 di Ministro dell'agricoltura.   Si  afferma  pertanto,  che  l'evento
 produttivo  di cio' che e' stato quantificato come danno erariale non
 e' stata l'omessa riscossione del superprelievo, quando cio'  sarebbe
 stato  ancora  giuridicamente  possibile,  in  quanto tutte le misure
 indirizzate  a  tale  riscossione  sono   state   poste   in   essere
 anteriormente  all'adozione del procedimento comunitario; cio' che ha
 causato l'impossibilita' di  operare  la  compensazione  tra  regioni
 eccedetarie   o  regioni  deficitarie  ed  ha  quindi  prodotto  come
 conseguenza la rettifica negativa, e' stato il tardivo riconoscimento
 dell'UNALAT e l'altrettanto tardiva attribuzione a queste della quota
 di produzione, tutti eventi che si sono verificati  anteriormente  al
 momento  in  cui  l'on.  Mannino  ha  assunto  la  carica di Ministro
 dell'agricoltura e foreste.  Si afferma inoltre che il danno erariale
 non si e' prodotto,  o,  almeno,  non  si  e'  prodotto  nei  termini
 ritenuti  dal requirente e vi sono fondati motivi per ritenere che si
 possa produrre in futuro,  in  quanto,  qualora  dopo  la  definitiva
 chiusura    del    conto,    l'Amministrazione    nazionale   dovesse
 effettivamente riscuotere il superprelievo, le somme  cosi'  ricevute
 andrebbero  a  beneficio del bilancio nazionale ed andrebbero cosi' a
 compensare, per  quel  che  riguarda  la  posizione  dell'Erario,  la
 rettifica finanziaria operata in sede comunitaria.  Va in conseguenza
 escluso ogni fondamento di responsabilita' del convenuto on. Mannino,
 nelle  vicende  oggetto  del  presente  procedimento,  in  quanto non
 sussiste  alcun  legame  causale  tra  il  presunto danno e il di lui
 operato come capo di un ramo dell'Amministrazione, ma egli  ha  agito
 da  prudente  ed  accorto  amministratore ed ha esercitato le proprie
 attribuzioni in modo da consentire  il  ristoro  dell'asserito  danno
 ingiusto  patito  dall'Erario.   Il convenuto on. Mannino ha prodotto
 altra memoria col patrocinio del prof. avv. Giulio Correale: in  essa
 si  rileva che in data 10 luglio 1991 e' stata promulgata la legge n.
 201 sul differimento delle disposizioni di cui alla legge 8  novembre
 1986,  n.  752  circa  l'attuazione  degli  interventi programmati in
 agricoltura. L'art.  1 di tale legge al n. 3 dispone che gli obblighi
 derivanti dalle disposizioni in materia di prelievo supplementare sul
 latte di vacca si applicano a partire dal periodo 1991-1992; al n.  4
 si prevede che tale ultima disposizione non costituisce titolo per la
 restituzione delle somme gia' versate dai soggetti obbligati; al n. 9
 si  statuisce  che i saldi contabili con la Comunita' derivanti dalla
 definizione delle procedure previste dalla  normativa  comunitaria  e
 concernente il prelievo supplementare sul latte di vacca dovuto per i
 periodi  dal  1987-1988  al  1990-1991,  sono iscritti nella gestione
 finanziaria dell'AIMA, spese connesse ad interventi comunitari.  Tale
 nuova normativa ha fatto venir meno l'esistenza, nel caso di  specie,
 del danno erariale ed ha reso privo di presupposto l'azione intentata
 dalla  procura  generale  precedentemente all'entrata in vigore della
 predetta legge.   Inoltre il  comportamento  addebitato  al  ministro
 dell'epoca,  convenuto  nell'odierno  giudizio,  ha concretizzato una
 scelta d'ordine squisitamente politica, perche'  ispirato  alle  cure
 dell'interesse  pubblico,  canonizzato  in capo all'Ufficio di cui il
 Ministro era titolare, che non trovava alcun parametro legislativo, o
 comunque normativo, di riferimento.  Che l'ancoraggio ad un parametro
 mancasse e' provato dal fatto che solo con la legge n. 468/1992  esso
 e' stato fissato dagli artt.  2 e seguenti.
   Che  sempre  il  legislatore abbia ritenuto giustificato, cioe' non
 scriteriato, vale a dire, tutt'altro che  manifestamente  irrazionale
 il  comportamento tenuto dal Ministro dell'epoca e' provato dal fatto
 che la legge n. 201 del 1991  non  solo  ha  rinviato  alla  campagna
 1991-1992 l'applicazione della normativa preesistente, ma ha disposto
 l'irripetibilita'  delle somme gia' versate; quindi si e' trattato di
 una scelta politica, per di piu' ritenuta giusta da  legislatore,  il
 quale  ha  considerato  applicabile  solo  dal 1991-1992 la normativa
 pregressa con gli adattamenti e accorgimenti dettati dalla  legge  n.
 468 del 1992.
   All'udienza  del  4  dicembre 1992 il procuratore generale chiedeva
 l'ammissione di una prova testimoniale ai sensi dell'art. 244  c.p.c.
 e  indicava  a  testimoni i funzionari del Ministero dell'agricoltura
 dott. Passagno e dott. Pricolo; la prova testimoniale  concerneva  le
 circostanze  di  fatto indicate nell'atto di citazione e precisamente
 la predisposizione di diverse bozze di regolamenti applicativi  delle
 disposizioni  comunitarie e la mancata adozione da parte del Ministro
 delle relative disposizioni attuative di quelle comunitarie.
   Con ordinanza della sezione veniva ammessa  la  prova  testimoniale
 richiesta e veniva fissata l'udienza per l'espletamento della prova.
   All'udienza  rendeva  la  deposizione  testimoniale il dott. Pietro
 Passagno,  il  quale  nella  sostanza  confermava  il  contenuto  dei
 capitoli di prova.
   Veniva  quindi introdotto il teste dott. Giuseppe Pricolo, il quale
 in sostanza confermava il contenuto dei capitoli di prova articolati.
   All'odierna udienza di  discussione  del  giudizio  il  procuratore
 generale  ha  sostenuto la responsabilita' dei convenuti: il Ministro
 Pandolfi non ha voluto attuare i regolamenti comunitari, malgrado  le
 segnalazioni  dei  dirigenti  ministeriali;  il  Ministro Pandolfi e'
 maggiormente responsabile rispetto al Ministro Mannino, il  quale  e'
 del  pari  responsabile  in  quanto  avrebbe potuto ancora evitare la
 produzione del danno erariale. Conclude  chiedendo  la  condanna  dei
 convenuti.
   Il  prof.  Scoca  ha sostenuto che il Ministro Pandolfi ha agito al
 fine di difendere le ragioni dei produttori italiani.
   Il prof. Correale ha  sostenuto  che  il  Ministro  Mannino  si  e'
 attivato per realizzare il regolamento comunitario.
   Il  procuratore  generale  in  replica ha sostenuto che la condanna
 puo'  essere  ripartita  tra  i  due  convenuti   nell'ambito   della
 solidarieta' passiva.
   Il prof. Correale in replica ha ribadito la non responsabilita' del
 proprio assistito.
                              In diritto
   Osserva  la  sezione  che  la difesa dei convenuti ha sostenuto che
 l'art. 1, comma 3, della legge 10 luglio 1991, n. 201 dispone che gli
 obblighi  derivanti  dalle  disposizioni  in  materia   di   prelievo
 supplementare  sul latte di vacca di cui al regolamento CEE n. 804/68
 del 27 giugno 1968  e  successive  modificazioni  e  integrazioni  si
 applicano  a  partire  dal  periodo  1991-1992 su tutto il territorio
 nazionale;  pertanto,  tale  nuova  normativa  ha  fatto  venir  meno
 l'esistenza,  nel caso di specie, del danno erariale ed ha reso priva
 di presupposti l'azione  intentata  dal  Procuratore  Generale  prima
 dell'entrata  in  vigore  di  tale legge.   Osserva in primo luogo la
 sezione che la citata disposizione di cui all'art. 1, comma 3,  della
 legge  n.  201  del  1991  sembra  in contrasto con l'art. 10 comma 1
 Costituzione, in base al quale l'ordinamento  giuridico  italiano  si
 conforma   alle   norme   del   diritto  internazionale  generalmente
 riconosciute. Infatti la disposizione di cui all'art.  1 comma 3, nel
 disporre che gli obblighi derivanti dalle disposizioni comunitarie in
 materia di prelievo supplementare sul latte di vacca si  applicano  a
 partire   dal   periodo  1991-1992,  si  pone  in  contrasto  con  il
 regolamento CEE n. 856/84 del 31 marzo 1984 concernente  il  prelievo
 supplementare istituito a carico dei produttori o degli acquirenti di
 latte  di  vacca, nonche' col regolamento n. 857/84 del 31 marzo 1984
 contenente   norme   generali   per   l'applicazione   del   prelievo
 supplementare e al regolamento 16 maggio 1984, n. 1371, contenente le
 modalita'  di  attuazione del sistema.   Pertanto, il contrasto della
 disposizione di cui al citato  art.  1, comma 3, della legge  n.  201
 del  1991 con le predette disposizioni della Comunita' europea sembra
 configurare un'ipotesi di illegittimita' costituzionale  della  norma
 per  violazione  dell'art.  10, comma 1, della Costituzione.  Osserva
 inoltre la Sezione che la medesima disposizione di  cui  all'art.  1,
 comma   3,   appare   idonea   a   porre   nel  nulla  un'ipotesi  di
 responsabilita' amministrativa gia' realizzatasi carico  di  soggetti
 determinati   in  quano  il  differimento  temporale  degli  obblighi
 derivanti dalle  disposizioni  comunitarie  in  materia  di  prelievo
 supplementare  sul  latte  di  vacca  comporta l'esclusione del danno
 erariale  e  quindi  il  venir meno di una ipotesi di responsabilita'
 amministrativa nei  confronti  di  soggetti  determinati.    Si  pone
 pertanto  il problema di considerare la validita' di una disposizione
 di legge che ponga nel nulla ex  post  un'ipotesi  di  responsbilita'
 amministrativa  gia'  realizzatasi  a carico di soggetti determinati.
 Ritiene la sezione che in tale  fattispecie  possa  configurarsi  una
 ipotesi  di  eccesso  di potere legislativo della disposizione di cui
 trattasi.  Sono note le perplessita' della dottrina di estendere  nel
 campo  legislativo  quella  figura  che  gia'  nell'ambito degli atti
 amministrativi,  si   e'   voluta,   almeno   della   giurisprudenza,
 circoscrivere  a  taluni casi, senza che si possa sindacare il merito
 del provvedimento  amministrativo  e  cioe'  la  sua  opportunita'  e
 convenienza.  Secondo una parte della dottrina il vizio di eccesso di
 potere  e  cioe'  a dire della utilizzazione del potere per finalita'
 diverse da quelle per cui la legge lo conferi' all'organo competente,
 deve essere introdotto nel sindacato di legittimita' delle leggi,  ai
 sensi dell'art. 134 Cost.  Infatti sono da limitarsi i casi d'eccesso
 di  potere  legislativo,  ma non deve escludersi la figura giuridica.
 Son da limitarsi, in quanto non sembra possibile un  sindacato  della
 legge  sotto  il  profilo  delle  disparita'  di  trattamento,  della
 manifesta in giustizia, delle contraddizioni  ecc.  ecc.,  ma  sembra
 invece  che  sia  possibile  denunziare  l'eccesso di potere sotto il
 profilo dello sviamento e cioe' della utilizzazione  del  potere  per
 scopi e finalita' diverse.  In quest'ultimo caso si ha quello eccesso
 di potere che in sostanza puo' anche chiamarsi vizio del falso scopo,
 in  quanto  nel  campo  del  diritto pubblico possono esservi atti di
 diritto pubblico indiretti e quindi anche  atti  normativi  indiretti
 cioe'  quelli  pervasi  da  quel  vizio  che costituisce l'eccesso di
 potere per falsita' di causa e falsita' del fine.  Un'esempio  tipico
 di  atto  normativo  indiretto  violatore  della  costituzione in via
 implicita e racchiudente  eccesso  di  potere  legislativo  e'  stato
 indicato  dalla  dottrina  con  l'art.  2  della  legge sulla riforma
 agraria, con la quale, per sottrarre i provvedimenti di riforma  alle
 impugnative    giurisdizionali,   garantite   dall'art.   113   della
 Costituzione, si disse che quei provvedimenti, peraltro emanati da un
 organo  amministrativo,  e  cioe'  il  Presidente  della  Repubblica,
 avevano  natura legislativa:   infatti con quel sistema si voleva, se
 non violare, certamente sfuggire al principio racchiuso nell'art. 113
 Cost.  Il problema dell'eccesso di potere legislativo  coincide,  dal
 punto di vista storico e sistematico, con l'individuazione del limite
 estremo   al   quale   puo'   spingersi   il  sindacato  della  Corte
 costituzionale.  Infatti l'eccesso di potere si  verifica  a  seguito
 della violazione di quei principi giuridici che hanno consentito alla
 giurisprudenza    di    individuare    e    reprimere    negli   atti
 dell'Amministrazione  conformi   alla   legge   nei   loro   elementi
 costitutivi   varie   figure   di   abuso   e  di  frode.  Sul  piano
 dell'accertamento del giudice puo' ritenersi che l'eccesso di  potere
 possa  essere  individuato  normalmente  alla stregua di elementi non
 contestuali all'atto e,  in  particolare,  relativi  alla  situazione
 preesistente alle modifiche operate dall'atto stesso.  Infatti l'art.
 134  non  contiene un elenco corrispondente all'art.  26 t.u. n. 1054
 del  1924,  ma  istituisce  un  sindacato  generale  di  legittimita'
 costituzionale,  sicche'  la dottrina si e' domandata se il controllo
 possa estendersi fino all'accertamento di quelle deviazioni  che  non
 danno  luogo  ad  un  contrasto della legge con una determinata norma
 costituzionale ed ha concluso positivamente rilevando l'incidenza  di
 principi   impliciti  nel  sistema  sull'effettiva  osservanza  della
 Costituzione, le cui  norme,  senza  essere  violate  nella  lettera,
 possono  praticamente restare inoperanti in relazione alle finalita',
 agli equilibri ed alla gradualita' dell'azione statale che  stanno  a
 garantire.    In  conclusione la dottrina ha affermato che giudicando
 delle  conroversie  di  legittimita'  costituzionale  la  Corte  puo'
 rilevare   quelle  violazioni  dei  principi  impliciti  nel  sistema
 costituzionale vigente e che comunque non si concretino in  contrasti
 tra  una  determinata  norma  di  legge e una determinata norma della
 Costituzione.  Queste violazioni potranno essere  accertate  mediante
 l'utilizzazione  di  elementi  non  desumibili  dal testo della norma
 impugnata sia perche' i principi e le  norme  costituzionali  non  si
 attuano solo attraverso il disposto della legge, sia perche' la Corte
 non incontra alcun limite nell'acquisizione delle prove.
   Le    stesse    violazioni   rientrano   nell'ampio   concetto   di
 illegittimita' costituzionale, ne rappresentano il limite  estremo  e
 possono essere ricomprese sotto la denominazione di eccesso di potere
 legislativo perche', sia per i principi giuridici che si pongono, sia
 per  il  modo  in  cui  sono accertati, sono assimilabili all'analoga
 forma di illegittimita' degli atti amministrativi, ferma restando  la
 diversita'  delle  figure  in  cui  si  manifestano;  inoltre poiche'
 l'eccesso di potere comporta la violazione di principi giuridici  che
 ispirano  e  guidano  l'osservanza  della  Costituzione  da parte del
 legislatore e della legge  da  parte  dell'autorita'  amministrativa,
 essa  non  vizia  i momenti discrezionali dell'atto e dell'attivita',
 ne' puo' dirsi in via generale  se  comporti  violazione  di  diritti
 soggettivi o di interessi legittimi.
   Ritiene  pertanto  la  Sezione  che  una disposizione di legge, che
 ponga nel nulla un'ipotesi  di  responsabilita'  amministrativa  gia'
 realizzatasi  nel  caso  concreto  realizzi  un'ipotesi di eccesso di
 potere legislativo sulla base  delle  considerazioni  della  dottrina
 giuridica innanzi enunciata.
   Ritiene  inoltre la Sezione che la stessa disposizione di legge sia
 viziata   altresi'   per   contrasto    con    alcune    disposizioni
 costituzionali:    con  l'art.  3 Cost., in quanto la disposizione di
 legge   che   ponga   nel   nulla   un'ipotesi   di   responsabilita'
 amministrativa  contrasta  col principio di uguaglianza dei cittadini
 innanzi alla legge.
   La medesima disposizione, ad avviso della Sezione appare inoltre in
 contrasto con l'art. 24 Cost. in quanto la disposizione di legge  che
 pone  nel  nulla  un'ipotesi  di  responsabilita' amministrativa gia'
 realizzatasi nel concreto appare lesiva del diritto del  procuratore,
 generale della Corte dei conti ad agire in giudizio per la tutela del
 diritto dell'Erario al risarcimento dei danni.
   Parimenti  dicasi,  ad avviso della Sezione in riferimento all'art.
 97  Cost.  in  quanto  la  medesima  disposizione   esclusiva   della
 responsabilita'  amministrativa appare in contrasto con i principi di
 buon andamento e di  imparzialita'  dell'Amministrazione  che  devono
 presiedere    all'organizzazione    degli   uffici   della   pubblica
 amministrazione.
   Conclusivamente ritiene la sezione che l'art. 1, terzo comma, della
 legge  n.  201  del  1991,  col differire l'attuazione degli obblighi
 derivanti dalle  disposizioni  comunitarie  in  materia  di  prelievo
 supplementare  sul  latte  di  vacca  al periodo 1991-1992, ha inteso
 porre nel  nulla  le  responsabilita'  amministrative  dei  convenuti
 derivante   dall'omessa   attuazione  di  regolamenti  comunitari  e,
 pertanto, appare in contrasto, per i motivi innanzi esposti, con  gli
 artt. 3, 24 e 97 della Costituzione.
   Consegue  che la questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 1,  terzo  comma,  della  legge  citata  non  appare   manifestamente
 infondata;  sulla  base delle considerazioni innanzi svolte ed appare
 altresi' rilevante ai fini della definizione del  presente  giudizio,
 in  quanto  la  disposizione  medesima  e'  diretta  ad  escludere la
 sussistenza del danno erariale e la conseguente  responsabilita'  dei
 convenuti in giudizio.
   Va  in conseguenza sollevata d'ufficio la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 1 comma 3 della legge 10 luglio 1991 n.  201
 per contrasto con gli artt. 3, 10, 24 e 97 della Costituzione.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non  manifestamente infondata la questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 1, terzo comma, della legge 10
 luglio 1991, n, 201 in relazione agli artt. 3,  10,  24  e  97  della
 Costituzione.
   Dispone  la  sospensione  del  presente  giudizio  in  attesa della
 decisione della Corte costituzionale;
   Dispone che a cura della segreteria gli atti vengano  rimessi  alla
 Corte  costituzionale  e  che  copia  della  presente ordinanza venga
 notificata alle parti e al Presidente del Consiglio  dei  Ministri  e
 comunicata  ai  Presidente del Senato della Repubblica e della Camera
 dei deputati.
   Cosi' deciso in Roma nelle camere di consiglio del 27 maggio  e  17
 giugno 1994.
 Il presidente f.f. estensore: (firma illeggibile)
 95C1351