N. 745 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 marzo - 10 ottobre 1995

                                N. 745
 Ordinanza   emessa   il   21   marzo   1995   (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 10 ottobre 1995) dalla  commissione  tributaria  di
 primo  grado  di  Trieste sui ricorsi riuniti proposti dalla Cassa di
 risparmio di Trieste contro la Direzione regionale delle entrate  per
 la reg. Friuli - Venezia Giulia
 Imposta  sul reddito delle persone giuridiche (I.R.Pe.G.) - Interessi
 sui crediti di imposta maturati anteriormente all'entrata  in  vigore
 del  t.u. delle imposte sul reddito (d.P.R. n. 917/1986) e dichiarati
 (come attivo)  nel  modello  760  -  Assoggettamento  ad  imposizione
 fiscale,  secondo  la  giurisprudenza  della Cassazione, in virtu' di
 disposizione del d.P.R. n. 42/1988 dotata di  effetto  retroattivo  -
 Ingiustificata disparita' di trattamento rispetto ai contribuenti che
 abbiano apportato nel mod. 760 un'esplicita variazione in diminuzione
 -   Violazione   del   principio   di  uguaglianza  altresi'  per  la
 retroattivita'  in  danno  del  contribuente  della   norma   fiscale
 impugnata  -  Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n.
 38/1994 di non fondatezza di  analoga  questione  non  condivisa  dal
 giudice rimettente.
 (D.P.R. 4 febbraio 1988, n. 42, art. 36).
 (Cost., art. 3).
(GU n.46 del 8-11-1995 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
   Ha emesso la seguente decisione sul ricorso n. 2145/1985 presentato
 il  22  marzo  1985  (avverso: S/rif sui rimb. IRPEG - ILOR - ASSILOR
 1982) dalla Cassa di risparmio di Trieste residente a Trieste in  via
 Cassa  di  Risparmio  10  contro  la  D.R.E.  Friuli - Venezia Giulia
 (Trieste).
   Alla  pubblica  udienza  del  21  marzo  1995  ha   pronunciato   e
 pubblicato, mediante lettera del dispositivo, la seguente ordinanza.
                         Considerato in fatto
   Con  i  due  ricorsi nn. 3144/85 e 2145/85 la Cassa di risparmio di
 Trieste, a nome  del  suo  presidente  avv.  Aldo  Terpin,  ai  sensi
 dell'art.    17,  settimo comma, del d.P.R. n. 636/1972, impugnava il
 silenzio  -  rifiuto  dell'Amministrazione  finanziaria,  protrattosi
 oltre  il  termine  di  novanta  giorni,  in  ordine  alle istanze di
 rimborso dell'imposta sul reddito delle persone giuridiche per l'anno
 1983 (pari a L. 681.518.000) e, rispettivamente, dell'impresa  locale
 sul  reddito  relativo  allo stesso anno d'imposta (L. 406.664.000) e
 Addizionale ILOR (L. 32.531.000).
   Con entrambi i ricorsi che vengono riuniti per essere  trattati  in
 un  unico procedimento, in quanto evidentemente connessi, il predetto
 Istituto di credito,  espone  che  nella  dichiarazione  dei  redditi
 presentata  per  l'esercizio  1982  aveva erroneamente compreso fra i
 componenti positivi, ai fini dell'IRPEG e dell'ILOR, l'importo di  L.
 3.330.980.900,   corrispondente  all'ammontare  degli  interessi  sui
 crediti d'imposta relativi ad anni precedenti, contemplati  dall'art.
 44 del d.P.R.  n. 602/1973 e riconosciuti all'Istituto medesimo nello
 stesso esercizio, con cio' determinandosi in sede di autoliquidazione
 un'imposta superiore a quella effettivamente dovuta.
   Ed  infatti, secondo la tesi del ricorrente, tali interessi, avendo
 natura compensativa  -  pur  se  compresi  fra  i  ricavi  del  conto
 economico  nel  modello  della  dichiarazione dei redditi - avrebbero
 dovuto essere portati fra le "variazioni in  diminuzione"  dell'utile
 di bilancio.
   La  Direzione  regionale  delle  entrate  per  la  regione Friuli -
 Venezia Giulia, Sezione Staccata di Trieste, con le proprie deduzioni
 del 17 marzo 1995, chiede il rigetto  dei  ricorsi,  sulla  base  del
 parere  negativo  espresso  dall'Ufficio  Distrettuale  delle Imposte
 Dirette di Trieste e trascritto di seguito:
    "La Cassa di risparmio di Trieste afferma  di  avere  erroneamente
 compreso  fra  i  componenti positivi l'ammontare degli interessi sui
 credditi  di  imposta  relativi  ad  anni   precedenti,   contemplati
 dall'art.    44  del  d.P.R.  n. 602/1973 e riconosciuti all'Istituto
 istante nell'esercizio medesimo e chiede  il  rimborso  dell'IRPEG  e
 dell'ILOR pagate su dette somme.
    L'Ente  istante  ha  operato correttamente facendo concorrere alla
 formazione del reddito gli interessi suddetti.
    Infatti, con la circolare ministeriale  della  Direzione  Generale
 delle   Imposte   Dirette  n.  56  del  20  dicembre  1983  e'  stato
 esplicitamente stabilito che gli interessi  sui  crediti  di  imposta
 concorrono  alla  formazione  dell'utile  o della perdita di bilancio
 civilisticamente determinati e quindi vanno assunti quali  componenti
 positivi di reddito, ai sensi del primo comma dell'art. 52 del d.P.R.
 597/1973,  nel  rispetto  del principio fondamentale della competenza
 sancito dall'art. 74 dello  stesso  decreto.  Detto  principio  viene
 confermato  dalla  Corte  di  Cassazione  con sentenza n. 7091 del 19
 febbraio 1990 e nel richiamare l'art. 56,  terzo  comma,  del  d.P.R.
 917/1986,  che  include nel reddito d'impresa ogni tipo di interessi,
 pur riconoscendo agli interessi maturati sui crediti  di  imposta  la
 natura  compensativa  se  percepiti  da  soggetti  tassati  in base a
 bilancio, li fa concorrere alla formazione del reddito complessivo.
    Afferma  ancora  la  Cassazione:  questa   nuova   disciplina   e'
 applicabile  retroattivamente per il disposto dell'art. 36 del d.P.R.
 4 febbraio 1988, n.  42,  secondo  cui  le  disposizioni  del  d.P.R.
 917/1986,  per  le  quali  (come  per l'art. 56, terzo comma), non e'
 dettata una specifica disciplina transitoria, si applicano anche  per
 i  periodi  d'imposta  precedenti  alla  loro entrata in vigore se le
 relative dichiarazioni risultano ad esse conformi.
    Visto che nella dichiarazione dei redditi  mod.  760,  anno  1982,
 l'ente  distante  ha operato includendo gli interessi di cui all'art.
 44 del d.P.R.  n.  602/1973  tra  i  componenti  positivi,  si  rende
 applicabile  la  nuova norma con effetto retroattivo, la richiesta di
 rimborso, va respinta".
   Nel  corso  dell'udienza  la  rappresentante   dell'Amministrazione
 finanziaria,  signora  Dorina  Sossa, ribadisce gli argomenti addotti
 dall'Ufficio contro la pretesa del ricorrente, non comparso, e chiede
 il rigetto di entrambi i ricorsi.
                          Ritenuto in diritto
   Ai sensi dell'art. 41 del d.P.R. 597/1973, costituiscono redditi di
 capitale, oltre agli altri interessi ivi indicati alle lettere  b)  e
 d),  anche  gli  interessi  moratori  nonche' gli altri interessi non
 aventi natura compensativa ed ogni altra rendita o provento in misura
 definitiva derivante dall'impiego di capitale (lett. e ed i).
   A  giudizio  di questo Collegio, gli interessi maturati sui crediti
 di imposta hanno natura compensativa e quindi debbono essere  esclusi
 dai  redditi  di  capitale elencati nel citato art. 41. Infatti, tali
 interessi non sono dovuti a  titolo  moratorio  (non  essendovi  mora
 dell'Amministrazione)  ne'  derivano  dall'impiego  di  capitale,  ma
 servono a compensare i contribuenti dell'esborso pecuniario che  essi
 hanno  effettuato  in  precedenza,  versando  all'Erario una somma di
 denaro che dev'essere loro  restituita.  L'interesse  su  tale  somma
 serve   a   reintegrare   la   diminuzione   patrimonale  subita  dal
 contribuente, che viene cosi' compensato del mancato  godimento,  del
 denaro in precedenza versato.
   Va  ancora  rilevato  che  gli  interessi  considerati come redditi
 dall'art.  41, lett. i, citato sono quelli derivanti dall'impiego  di
 capitale   come   chiaramente  disposto  nell'ultima  parte  di  tale
 disposizione, mentre il credito di imposta - da qualunque fatto  esso
 derivi - non si ricollega ad un impiego di capitale.
   Ai  sensi  del  successivo  art.  44,  non costituiscono reddito di
 capitale, in quanto componenti del reddito d'impresa, gli interessi e
 gli alri proventi di cui all'art. 41, non soggetti alla ritenuta alla
 fonte  a  titolo  d'imposta,  conseguiti  nell'esercizio  di  imprese
 commerciali nel territorio dello Stato, ecc. Da cio' si desume che la
 disciplina dell'art. 41 e' applicabile anche nelle determinazione del
 reddito  d'impresa, di cui entrano a fare parte di tutti (e solo) gli
 interessi costituenti reddito di capitale. Pertanto, anche in tema di
 reddito  di  impresa  vale  la  conclusione   formulata   in   merito
 all'interpretazione  dell'art.  41  (nel  senso  che questa norma non
 comprende tra i redditi di capitale  gli  interessi  sui  crediti  di
 imposta).
   Ne'  varrebbe  addurre in contrario il principio generale posto dal
 primo comma dell'art. 52 del predetto decreto legislativo, secondo il
 quale il reddito d'impresa comprende tutti  gli  elementi  del  conto
 profitti  e  perdite,  redatto secondo le norme civilistiche e quindi
 tra i profitti gli interessi  di  ogni  credito  (art.  2425-bis  del
 Codice  civile).  Infatti, deve ritenersi che, sul principio generale
 posto  dal  citato  art.  52,  prevalga  la  specifica   disposizione
 dell'art.     44,  che  opera  una  distinzione  tra  gli  interessi,
 includendone  alcuni  ed  escludendone  altri  nella   determinazione
 proprio del reddito di impresa.
   Invece, ai sensi del terzo comma dell'art. 56 del testo unico delle
 Imposte sui redditi, approvato con il d.P.R. n. 917/1986 ogni tipo di
 interesse, qualora venga conseguito da soggetti che producono reddito
 d'impresa, e' soggetto a tassazione.
   Secondo   la   sentenza   n.  7091  del  5  luglio  1990,  invocata
 dall'Amministrazione  finanziaria,   questa   nuova   disciplina   e'
 applicabile  retroattivamente per il disposto dell'art. 36 del d.P.R.
 4 febbraio 1988, n. 42, secondo cui le disposizioni del  testo  unico
 n.  917/1986,  per  le quali (come per l'art. 56, terzo comma) non e'
 dettata una specifica disciplina transitoria, si applicano anche  per
 i  periodi  d'imposta  precedenti  alla loro entrata in vigore, se le
 relative  dichiarazioni   risultano   ad   esse   conformi   e   tale
 retroattivita'  deve  ritenersi operante anche in malam partem, cioe'
 anche  in  danno  del  contribuente.    Ora,  a  giudizio  di  questa
 Commissione,  la  norma  del  citato art.   36, in quanto non prevede
 l'applicazione retroattiva delle sole disposizioni piu' favorevoli al
 contribuente,  e'  costituzionalmente illegittima, per violazione del
 principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte  alla  legge,
 sancito  dall'art.  3  della Costituzione.   La relativa questione di
 legittimita' costituzionale, che viene  sollevata  d'ufficio,  appare
 rilevante  e  non  manifestamente  infondata:    A)  appare rilevante
 perche' la sua risoluzione  influisce  direttamente  sulla  decisione
 della  controversia.    Infatti, se si ritiene che la norma stabilita
 dal predetto art.  36 sia costituzionalmente legittima, anche se  non
 limita  la  possibilita' della sua applicazione retroattiva alle sole
 disposizioni  del  testo  unico  delle  Imposte  sui   redditi   piu'
 favorevoli   al   contribuente,   le   istanze  di  rimborso  debbono
 considerarsi infondate e quindi  i  ricorsi  riuniti  debbono  essere
 rigettati.  Se,  invece,  si ritiente - come ritiene questo Collegio,
 che la norma in questione, in quanto estende l'efficacia  retroattiva
 anche  alle  disposizioni del predetto testo unico meno favorevoli al
 contribuente, non sia costituzionalmente  legittima,  le  istanze  di
 rimborso  debbono  considerarsi  fondate  e  quindi i ricorsi debbono
 essere accolti;
     B) appare non manifestamente infondata perche' tale norma,  nella
 misura  in cui ha effetto retroattivo anche a danno del contribuente,
 viola il principio di uguaglianza previsto dal citato  art.  3  della
 Costituzione.    Infatti, nel caso concreto sottoposto al giudizio di
 questa Commissione,  per  effetto  dell'applicazione  retroattiva  in
 malam  partem  delle  disposizioni del testo unico 917/1986, disposta
 dall'art. 36 del d.P.R. 42/1988, gli  interessi  compensativi  (quali
 quelli derivanti da crediti d'imposta) costituirebbero manifestazione
 di capacita' contributiva perche' (anche se per errore) esposti nella
 dichiarazione dei redditi del 1982; essi, invece, non costituirebbero
 manifestazione  di  capacita'  contributiva  per  chi  non  li avesse
 esposti nelle predette dichiarazioni:  la disparita'  di  trattamento
 rispetto a situazioni sostanzialmente eguali appare evidente.  Ne', a
 questo  proposito,  va  trascurato l'osservazione che la possibilita'
 per il contribuente di ottenere i rimborsi  non  sarebbe  ancorata  a
 criteri   obiettivi,   ma   dipenderebbe   dalla  maggiore  o  minore
 sollecitudine con la quale l'Amministrazione si  pronunciasse,  sulle
 istanze  di  rimborso,  rimanendo, cosi', anche sotto questo aspetto,
 violato il principio di uguaglianza.  Questo Collegio non ignora  che
 gia'  la  Corte  costituzionale, con sentenza del 7 febbraio 1994, ha
 dichiarato non fondata la questione di legittimita' dell'art. 36  del
 d.P.R.  n.  42/1988, sollevata in relazione agli articoli 3, 53, 76 e
 77  della  Costituzione,  nella  parte  in  cui  la  norma  impugnata
 stabilisce  la  retroattiva applicazione delle disposizioni del testo
 unico ai periodi di imposta antecedenti alla sua entrata in vigore, a
 condizione che le  relative  dichiarazioni,  validamente  presentate,
 risultino  ad  essa  conformi.  Cio'  in  quanto,  come  si legge nel
 dispositivo della sentenza richiamata, la retroattivita' prevista dal
 citato  art.  36  si   giustifica   in   ragione   dell'esigenza   di
 coordinamento    e    razionale   sistemazione   delle   innumerevoli
 disposizioni tributarie nel tempo  succedutesi  per  dare  attuazione
 alla  delega  per  la  riforma tributaria conferita al Governo con la
 legge n. 825/1971.  Secondo la Corte,  tale  limitata  retroattivita'
 non  comporta  la  violazione  de principio di capacita' cotributiva:
 essa, infatti, e' volta a  conferire  certezza  a  quelle  situazioni
 pregresse   nelle   quali   siano   rinvenibili   comportamenti  che,
 nell'interpretazione  di  norme  anteriori,  si siano conformati alle
 soluzioni legislative adottate in seguito.  Senonche', a giudizio  di
 questa   Commissione,  la  Corte  nella  riportata  sentenza  non  ha
 approfondito la questione della legittimita' della norma impugnata in
 relazione al principio della  parita'  di  trattamento,  anzi  sembra
 avere  sorvolato su questo punto, limitandosi a richiamare l'esigenza
 di  "conferire  certezza  ai  comportamenti   che   avevano   trovato
 formalizzazione   nelle  dichiarazioni  dei  redditi  presentate  dal
 contribuente sulla base di un'interpretazione delle  norme  all'epoca
 vigenti che lo stesso contribuente aveva reputato attendibile".
   Tali  argomenti  (teologico  e  fattuale),  in verita' non appaiono
 convincenti.
   Ad avviso di questo Collegio, infatti, se e' vero che l'uguaglianza
 sostanziale si realizza assicurando a fattispecie identiche lo stesso
 trattamento giuridico  -  economico,  non  e'  men  vero  che  questa
 identita'  dev'essere  valutata  sulla  base  della normativa vigente
 all'epoca in cui  tali  fattispecie  si  sono  verificate  e  non  in
 applicazione   di   disposizioni   di   legge   entrate   in   vigore
 successivamente.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 3, primo comma, della Costituzione;
   Visto l'art. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n.  87,  recante
 norme   sulla   Costituzione   e   sul   funzionamento   della  Corte
 costituzionale;
   Questa   commissione   tributaria   dichiara   rilevante   e    non
 manifestamente  infondata,  nel  senso  di  cui  in  motivazione,  la
 questione di legittimita' costituzionale dell'art. 36  del  d.P.R.  4
 febbraio  1988,  n.42,  in  quanto non limita l'efficacia retroattiva
 delle  disposizioni  del  testo  unico  delle  Imposte  sui  redditi,
 approvato con il d.P.R. n.  917/1986, a quelle piu' favorevoli;
   Dispone  la  sospensione del procedimento, nel quale sono riuniti i
 ricorsi 2144 e 2145 del 1985, ed ordina la  trasmissione  degli  atti
 alla Corte costituzionale;
   Manda   alla  cancelleria,  per  la  notificazione  della  presente
 ordinanza  alla  ricorrente  Cassa  di  risparmio  di  Trieste,  alla
 Direzione  regionale  delle  entrate  per  il Friuli-Venezia Giulia -
 Sezione staccata di Trieste, al Presidente del Consiglio dei Ministri
 e per la comunicazione ai Presidenti dei due rami del Parlamento.
     Trieste, addi' 21 marzo 1995
                        Il presidente: Zuballi
                          Il relatore: Sirugo
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