N. 754 ORDINANZA (Atto di promovimento) 4 luglio 1995
N. 754 Ordinanza emessa il 4 luglio 1995 dal tribunale di Tolmezzo sul reclamo proposto da Di Carlo Mirella contro Varisco Giuseppe, n.q. ed altre Elezioni - Elettorato attivo - Perdita della capacita' elettorale per l'imprenditore dichiarato fallito - Irragionevolezza - Violazione del principio di uguaglianza per la non applicabilita' di detta limitazione al piccolo imprenditore e all'artigiano - Richiamo alle sentenze della Corte costituzionale nn. 43/1970 e 203/1995. (D.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, art. 2, primo comma, lett. a), modificato dalla legge 16 gennaio 1992, n. 15). (Cost., art. 3).(GU n.47 del 15-11-1995 )
IL TRIBUNALE Letti gli atti del ricorso ex art. 700 del c.p.c. proposto al g.i. da Di Carlo Mirella nei confronti: 1) del dott. Giuseppe Varisco, quale curatore del fallimento della S.n.c. Dueazeta Elettronica di Zattiero R. 2) della Lem Laser S.r.l.; 3) della Ferramenta Bardelli S.a.s.; Visto il suo reclamo ex art. 669-terdecies del c.p.c. avverso l'ordinanza 9 giugno 1995 del g.i. nella causa di opposizione alla sentenza dichiarativa del fallimento della Dueazeta Elettronica; Sentite le parti in camera di consiglio, pronuncia la seguente ordinanza. La signora Mirella Di Carlo era con il marito socia illimitatamente responsabile della S.n.c. Dueazeta Elettronica di Zattiero R. la societa' ed i soci furono dichiarati falliti con sentenza di questo tribunale n. 66/1992 del 5 marzo 1992. Con citazione 1 aprile 1992 entrambi i coniugi hanno proposto opposizione alla dichiarazione di fallimento assumendo essere stata la loro societa' impresa artigiana la cui attivita' era cessata oltre un anno prima del fallimento. Nel marzo 1992 la Di Carlo era stata candidata nel collegio di Udine per la Camera dei deputai ed il Senato, finendo per riportare svariati voti di preferenza; quindi aveva visto sospeso il suo diritto di elettorato attivo e passivo ex art. 2, n. 2, legge 7 ottobre 1947, n. 1058. Potendo essere nuovamente candidata per altre elezioni politiche, si rivolgeva al giudice istruttore della causa di opposizione al fallimento - ex artt. 669-quater, e 700 del c.p.c. - domandando la sospensione o la revoca degli effetti della sentenza di fallimento limitatamente al godimento del suo diritto elettorale, sul presupposto di un pregiudizio irreparabile nel tempo ocorrente per vedersi accogliere l'opposizione. Il giudice istruttore pronunciava il 9 giugno 1995 ordinanza di rigetto del ricorso avverso la quale la Di Carlo ha proposto entro il decimo giorno reclamo al collegio con il quale domanda l'accoglimento del ricorso e, in via pregiudiziale, solleva questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2 del d.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, come novellato dalla legge 16 gennaio 1992, n. 15, in quanto in contrasto con gli artt. 3 e 97 della Costituzione. Appare non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale della norma da applicare, in rapporto all'art. 3 della Costituzione. Il contrasto con l'art. 97 Cost., richiamato dalla reclamante, non e' invece pertinente giacche' tale ultima norma riguarda la pubblica amministrazione, non i rapporti politici ovvero l'ordinamento delle Camere. La questione e' rilevante nel giudizio sulla misura cautelare in quanto dalla applicazione della norma deriva lo stato di ineleggibilita' di cui la ricorrente si duole e che vorrebbe veder annullato. Si deve constatare che nel tempo necessario per ottenere sentenza e veder accolta (eventualmente) la sua opposizione, sarebbe sicuramente ben piu' che minacciato (in quanto del tutto cancellato il diritto) l'esercizio del diritto di elettorato della ricorrente: infatti e' forse vicina la fine della legislatura - se si deve credere a quanto affermano esponenti politici di primo piano in Parlamento e sulla stampa - e dunque non e' in un lontano futuro il momento in cui la ricorrente potrebbe ricandidarsi per tentare di conquistare il seggio parlamentare. Devono percio' ritenersi sussistere i presupposti a base del ricorso ex art. 700 del c.p.c. circa la imminenza ed irreparabilita' della minaccia al diritto, al di la' di ogni considerazione, che il g.i. ha pure fatto, sulla imminenza delle elezioni, sulla prova dell'offerta di candidatura, e simili. D'altra parte, allo stato delle norme di legge, il ricorso ex art. 700 non potrebbe essere accolto. Con l'art. 2 del d.P.R. 20 marzo 1967, n. 223, come novellato dalla legge 16 gennaio 1992, n. 15, l'imprenditore dichiarato fallito e' privato dalla sua capacita' elettorale per cui non e' elettorale e, quindi, non puo' essere candidato. Tale condizione di incapacita' dura cinque anni dalla data della sentenza di fallimento e puo' cessare in anticipo soltanto con l'accoglimento dell'opposizione alla sentenza stessa. Tale disciplina il legislatore ha inteso introdurre in attuazione dell'art. 48/3 Cost. secondo il quale "il diritto di voto non puo' essere limitato se non per incapacita' civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile e nei casi di indegnita' morale indicati dalla legge". Il grave ed irreparabile danno al soggetto titolare, prima del fallimento, del diritto di voto - e corrispondentemente del diritto ad essere candidato per poter essere eletto - non puo' certo piu' misurarsi sulla durata normale della legislatura, come ha ritenuto il giudice istruttore nella sua ordinanza, in quanto con l'introduzione del sistema maggioritario, per eventi imprevedibili ma possibili, puo' rendersi necessario indire elezioni suppletive per qualche collegio del quale sia venuto a mancare l'eletto. Inoltre e' di comune conoscenza che nel divenire della vita politica il mutare delle condizioni e delle alleanze porta come conseguenza che l'essere lontani dalla vita politica anche per poco tempo equivale a perdere il "quoziente di gradimento" ed a vedere definitivamente compromessa ogni possibilita' di elezione. Pertanto il richiesto provvedimento di sospensione investirebbe uno degli effetti della sentenza dichiarativa del fallimento - sospendendolo - e renderebbe possbile l'esercizio del diritto elettorale. La Corte costituzionale ebbe gia' ad occuparsi della medesima questione che con sentenza n. 43/1970 giudico' infondata in rapporto alla pretesta illegittimita' costituzionale della norma dell'art. 2, n. 2, del d.P.R. n. 223/1967. In quella occasione fu escluso in particolare il contrasto con l'art. 48 Cost. analizzando le vicende relative all'approvazione di tale articolo da parte dell'Assemblea Costituente (in quano il testo originario proposto conteneva limitazioni al diritto di voto unicamente per incapacita' civile e condanna penale irrevocabile) la quale fini' per approvare l'aggiunta pur rimettendo alla legge ordinaria di individuare i casi di indegnita' che legittimano l'esclusione dal diritto elettorale. Fra questi il legislatore, dalla legge 7 ottobre 1947, n. 1058 (elettorale) a quelle successive, ha costantemente incluso il fallimento fra le cause di esclusione dal diritto di voto rifacendosi ad un giudizio anchilosato che, nel tempo, avrebbe potuto essere ben altrimenti rimediato. Nella seduta dell'Assemblea Costituente dal 22 maggio 1947 il relatore per l'art. 48 della Carta costituzionale ebbe a dire che, in relazione alla futura legge elettorale il cui progetto li comprendeva, se alla disposizione della Costituzione che doveva regolare la materia si fosse aggiunta la categoria dei casi di indegnita' morale, si sarebbero potuti e dovuti comprendere anche i "cittadini che non hanno fatto onore ai loro impegni"; tale scelta fu appovata lo stesso giorno dall'assemblea. Ma a distanza di quasi 50 anni da allora il giudizio negativo sulla persona del fallito nel sentire comune ha perduto quasi del tutto la sua carica tanto che in una recente sentenza della Corte costituzionale (n. 203 dd. 18-30 maggio 1995) puo' leggersi uno spunto di apertura verso diverso indirizzo, con l'esplicito richiamo al notevole incremento di dichiarazioni di fallimento anche "incolpevole" ed alla riflessione dottrinale la quale, nel superamento della sistemazione tradizionale imperniata sulla "indegnita'" del fallito, ha tenuto altresi' conto delle eventuali conseguenze penali produttive di ulteriori effetti giuridici. Se, pero', compete al legislatore ordinario di valutare comportamenti da includere fra i "casi di indegnita' morale" di cui all'art. 48 Cost., per cui il caso in questione in astratto sfuggirebbe al controllo di legittimita' costituzionale, vi deve essere la possibilita' di tale controllo alla luce del principio di ragionevolezza, altre volte utilizzato dal giudice costituzionale. In siffatta prospettiva si osserva come appaia contrasto dal citato art. 2 del d.P.R. n. 223/1967 con l'art. 3 Cost., in quanto l'effetto che qui interessa dipende da una indegnita' presunta, al di fuori di ogni reale verifica della colpa del soggetto, e si rivolge unicamente a danno di alcuni dei soggetti che, avendo posto in essere comportamento parimenti riprovevole (se tale puo' in astratto essere considerato l'aver accumulato debiti), sono raggiunti da sanzione la quale, invece, lascia indenni altri, come il piccolo imprenditore e l'artigiano.
P. Q. M. Viste le leggi nn. 1/1948 e 87/1953; Ritenutane la rilevanza, dichiara non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, lett. a), del d.P.R. 20 marzo 1967, n. 233, novellato dalla legge 16 gennaio 1992, n. 15, per contrasto con l'art. 3 della Costituzione; Sospende il giudizio e dispone che gli atti siano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale; Ordina che a cura della cancelleria la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa ed al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Cosi' deciso in Tolmezzo il 4 luglio 1995. Il presidente: de Liddo 95C1395