N. 758 ORDINANZA (Atto di promovimento) 20 giugno 1995
N. 758 Ordinanza emessa il 20 giugno 1995 dal tribunale di Catanzaro sull'istanza proposta da Castiglia Luisiano Processo penale - Misure cautelari personali (nella specie: custodia cautelare in carcere) - Appello - Emissione del decreto di rinvio a giudizio - Impossibilita' del controllo, sia formale che sostanziale, sulla persistenza del requisito della "gravita' indiziaria di colpevolezza" ai fini del mantenimento del regime cautelare - Irragionevole disparita' di trattamento tra indagati ed imputati, nonche' tra imputati a seconda della fase processuale in cui si trovino - Compressione del diritto di difesa - Lesione del principio secondo cui contro i provvedimenti sulla liberta' personale e' sempre ammesso il ricorso in Cassazione per violazione di legge. (C.P.P. 1988, art. 310, in relazione all'art. 429 stesso codice). (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, e 111, secondo comma).(GU n.47 del 15-11-1995 )
IL TRIBUNALE Ha deliberato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al numero 180 del registro delle impugnazioni delle misure cautelari personali dell'anno 1995; In sede di appello proposto nell'interesse di Castiglia Luisiano, avverso la ordinanza 21 febbraio 1995, con la quale il giudice per le indagini preliminari presso questo Tribunale ha rigettato la istanza di revoca della misura custodiale carceraria per sopravvenuta mancanza di indizi; Esaminati gli atti di causa; Udito il relatore; Premette: con ordinanza in data 7 ottobre 1994 il giudice per le indagini preliminari presso questo Tribunale emetteva, in fase processuale (per l'intervenuto esercizio dell'azione penale mediante richiesta di rinvio a giudizio), ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 108 imputati, tra i quali Castiglia Luisiano, in relazione, quanto a costui, ai reati di cui agli artt. 416-bis del c.p., 56-575 (tentato omicidio Pino ed altri, per fatti del 1978 e 1982) ed a reati connessi in materia di armi; con ordinanza 18 novembre 1994, questo Tribunale rigettava il proposto riesame, confermando in toto la disposta misura. Nella istanza 29 gennaio 1995, a sostegno della inattendibilita' delle dichiarazioni acquisite, si era dedotto che: i fatti erano anteriori al 13 settembre 1982, sicche', non vigendo ancora la imputazione associativa mafiosa, non era sussistente la competenza del g.i.p. distrettuale; il Castiglia era stato detenuto a Porto Azzurro dal 30 aprile 1982 al 7 febbraio 1985 e poi trasferito nella c.c. di Lamezia Terme, periodo in cui nella informativa dei c.c. si leggeva, invece, che il Castiglia si era distinto nella cruenta lotta tra clan; i collaboratori, all'epoca dei fatti commesi, erano infradiciottenni; il reato ascritto in data 12 ottobre 1982 era avvenuto nella c.c. di Cosenza, mentre il Castiglia era risultato detenuto altrove. Nella ordinanza di rigetto era affermato che "il quadro indiziario e cautelare era rimasto invariato" e che erano riproposte "censure gia' ritenute infondate in sede di riesame". Nel proposto appello la difesa deduceva carenza motivazionale ed omessa valutazione delle risultanze processuali, innovative rispetto a quanto trattato e deciso in sede di riesame cautelare. In data 18 aprile 1995 erano richiesti ulteriori atti, integrativi di quelli gia' trasmessi. Alla udienza camerale del 22 aprile 1995 la trattazione del gravame era differita ai fini indicati. La richiesta era evasa con nota 2 giugno 1995. Occorre, ora, prendere atto che, con decreto 4 maggio 1995, il Giudice per le indagini preliminari ha disposto il rinvio a giudizio del Castiglia per tutti i delitti ascrittigli. Tanto premesso, e senza alcuna necessita' di rifissazione di udenza camerale, per evidenti ragioni di economia processuale; Rileva: E' noto l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale: "Attesa l'intervenuta modifica dell'art. 425 c.p.p., dal cui testo, per effetto della legge 8 aprile 1993, n. 105, e' stata eliminata la parola "evidente" (riferita alla presenza delle condizioni che, all'esito dell'udienza preliminare, debbono dar luogo al proscioglimento dell'imputato), deve ritenersi nuovamente vigente il principio, gia' affermato nella vigenza del codice abrogato, secondo il quale, in tema di provvedimenti riguardanti la liberta' personale dell'imputato, l'avvenuto rinvio a giudizio di costui si pone come motivo di preclusione in ordine alla proposizione e all'esame di ogni questione attinente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza" (cfr., da ultimo, Cass. sez. V, 5 maggio 1994, n. 1652, Bonifati ed altri, a conferma di un orientamento prevalente della Cassazione, in specie dopo l'abolizione del requisito della "evidenza" probatoria ai fini del rinvio a giudizio; cfr., anteriormente e tra le piu' recenti, Cass., sez. V, 17 marzo 1994, Morando e, sez. I, 12 febbraio 1994, n. 5196, Russo). In linea con il citato indirizzo (ed in relazione a casi diversi, ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono: A) "Detto principio non soffre deroga nemmeno nel caso in cui, intervenuta sentenza di condanna, questa, in sede di legittimita', sia stata annullata con rinvio per difetto di motivazione, non comportando una tale pronuncia il venir meno degli indizi di colpevolezza che a suo tempo avevano determinato il rinvio a giudizio" (Cass., sez. I, 7 gennaio 1994, n. 5120, Bontempo Scavo); B) "E' invece possibile, anche successivamente al rinvio a giudizio, rimettere in discussione il principio, allorquando si sia in presenza di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio' stesso, non vengono ad essere in contrasto con la intervenuta decisione" (Cass., sez. I, 4 febbraio 1994, n. 5257, Mancion). La forza dell'evidenziato principio trova, dunque, il proprio fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo: 1) la introduzione della modifica legislativa alla regola di giudizio per la emissione del decreto dispositivo del giudizio, con la conseguenza che la soppressione dell'inciso "evidente" (dopo il verbo "risulta") postulando "la insussistenza di elementi denotanti una situazione di incolpevolezza o di impunita' dell'imputato", comporta che "gli elementi di colpevolezza, la cui sussistenza per definizione normativa, costituisce motivo di legittimazione del provvedimento di rinvio a giudizio, si rendono valutabili nuovamente soltanto all'esito delle indagini dibattimentali"; 2) la rilavutazione della disciplina del rinvio a giudizio nei termini fissati dall'art. 374 c.p.p. abrogato, laddove la giurisprudenza era consolidata nell'escludere, una volta emanata la ordinanza di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul fondamento dell'accusa, sulla qualificazione giuridica del fatto e sulla sufficienza degli indizi: conseguentemente, le contestazioni contenute in tale ordinanza non erano modificabili ai fini della pronuncia sulla liberta' personale e quindi non erano sindacabili in sede processuale dibattimentale. La forza del principio rende necessitato il ricorso alla verifica di costituzionalita'. La questione e' rilevante poiche' la norma di cui si segnala la incostituzionalita' (il disposto dell'art. 310 in relazione all'art. 429 c.p.p. nella parte in cui, alla stregua dell'orientamento esaminato, e' precluso ogni controllo, sia formale che sostanziale, in sede di appello cautelare circa la persistenza dei gravi indizi di colpevolezza, dopo il rinvio a giudizio decretato) e' di immediata e diretta applicazione nel procedimento. Inoltre, la incidenza e' di particolare pregnanza, atteso che l'intervenuto rinvio precluderebbe l'esame del merito cautelare, fatto valere in sede di appello, e fondato su dati probatori nuovi, idonei alla revisione del quadro indiziario, rispetto ai quali non risultano addotte ulteriori contrapposte acquisizioni, se non il (mero) fatto processuale dell'adottato decreto ex art. 429 del codice di rito penale. La questione non e' manifestamente infondata. La riforma del 1993, abolitiva del requisito della "evidenza" posto dall'art. 425 c.p.p., non ha, in effetti, delineato alcun parametro sui poteri valutativi del giudice a conclusione della fase processuale preliminare. Non solo nessun dato normativo puo' avallare l'asserita coincidenza del criterio della gravita' indiziaria anche ai fini del rinvio a giudizio, quanto vi ostano precisi, e contrari, argomenti sistematici, all'interno del nuovo codice e nel raffronto con il vecchio regime. 1. - Incontroverso che la valutazione del giudice dell'udienza preliminare non puo' fondarsi "sugli stessi parametri delibativi alla stregua dei quali il giudice del dibattimento e' chiamato a decidere se pronunciare sentenza di proscioglimento o di condanna" (cfr., testualmente, C. cost. sent. n. 82/1993), ne consegue che il criterio decisorio preliminare non puo' individuarsi nella "probabile condanna dell'imputato", poiche' la prova "idonea a sostenere una futura condanna" e' soltanto quella che si presenti "non insufficiente" (in relazione alla completezza investigativa) e "non contraddittoria" (in relazione al profilo valutativo), imponendo, al contrario, al suddetto giudice, nel primo caso (di prova "non sufficiente"), la sollecitazione ad integrazione probatoria ex art. 422 c.p.p. e, nel secondo (di "prova contraddittoria"), la emanazione di sentenza di non luogo a procedere. Invece, l'armonizzazione del sistema, nella combinata valutazione dei criteri sottostanti alle disposizioni di cui agli artt. 429, 425, 409 c.p.p. e 125 disp. att. stesso codice, imporrebbe di ritenere che il rinvio a giudizio sia legittimato dalla "idoneita' degli elementi aquisiti nelle indagini preliminari a sostenere l'accusa nel giudizio", con la esclusione di una prognosi di colpevolezza. 2. - Non puo' reggere, parallelamente, l'assimilazione con il vecchio "proscioglimento istruttorio", sia perche' la istruzione "doveva" essere completa, sia perche', nel dubbio, era privilegiata la formula favorevole al giudicabile, secondo gli schemi propri di un superato modello inquisitorio. Oltretutto, la "gravita' indiziaria di colpevolezza" impone un vaglio probatorio critico di tasso piu' elevato rispetto alla "sufficienza probatoria", all'epoca reputata idonea per il rinvio a giudizio. 3. - Il procedimento in materia cautelare personale e' stato concepito in termini di autonomia rispetto a quello di merito, per la privilegiata garanzia del bene compresso (della liberta', o meglio, delle liberta' della persona) e per la specificita' valutativa. Nulla esclude che, nel rispetto della separazione dei giudizi, l'imputata sia rinviato a giudizio in stato di liberta'. Si indicano, a parametro: a) il disposto dell'art. 111, comma 2, Cost., che salvaguarda la tutela di legittimita', contro i provvedimenti sulla liberta' personale, per "violazione di legge", violazione riscontrabile vieppiu' nel preliminare controllo di merito, eppure preclusa, nel caso in esame, in virtu' di una presunzione (insuperabile allo stato degli atti e preclusiva della rilevanza di ogni intermedia evenienza addotta dalla parte a sostegno dell'interposto gravame) di "probabile colpevolezza", insita nel (nelle more) decretato rinvio a giudizio; b) il disposto dell'art. 3 Cost., per una evidente disparita' di trattamento, in contrasto con ogni coerenza sistematica e ragionevolezza normativa, sul tema primario di tutela del diritto di liberta', tra indagati ed imputati ed anche tra imputati, avuto riguardo alla fase processuale precedente la decisione finale di udienza preliminare e quella immediatamente successiva, fino alla emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove: detta scelta si coordina con una decisione preliminare, a tasso garantistico non ben definito, perche' un errore di prospettiva sulla utilita' del dibattimento si ripercuote inevitabilmente sul condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di merito, nemmeno sul decreto di rinvio a giudizio notoriamente inoppugnabile, eppure del tutto immotivato (a differenza della parallela ordinanza dell'abrogato regime processuale); l'incidenza del decreto dispositivo del giudizio si pone come fatto occasionale e sopravvenuto, rispetto a giudizi cautelari pendenti, come quello in esame; c) il disposto dell'art. 24, comma 2, Cost., perche', per le ragioni gia' dette, restrigendosi la sfera di tutela sulle censure proponibili avverso il provvedimento cautelare impugnato, ne resta ingiustificatamente ed aleatoriamente sacrificato il diritto di difesa in relazione al bene primario della liberta', tanto piu' tutelabile, quanto piu' il sacrificio di esso si ponga con predominante efficienza e senza l'adeguato controllo sul corrispondente fondamento sostanziale di merito. Pertanto, il procedimento va sospeso con ogni conseguenza di legge.
P. Q. M. Letti ed applicati gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 310 del c.p.p., in relazione all'art. 429 del c.p.p., nella parte in cui e' precluso, dopo il decretato rinvio a giudizio, il controllo sulla persistenza del requisito di "gravita' indiziaria di colpevolezza" ai fini del mantenimento del regime cautelare, in relazione agli artt. 3, 24, secondo comma e 111, secondo comma, della Costituzione; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, oltre che alle parti; Sospende il procedimento in corso e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Catanzaro, addi' 20 giugno 1995. Il presidente estensore: Baudi 95C1399