N. 35 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 2 novembre 1995
N. 35 Ricorso per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 2 novembre 1995 (del Ministro di grazia e giustizia) Giudizio per conflitto di attribuzione poteri dello Stato - Mozione di sfiducia nei confronti del Ministro di grazia e giustizia, dott. Filippo Mancuso, presentata al Senato della Repubblica in data 4 luglio 1995 - Atto del Presidente del Senato di ammissione alla discussione della mozione in oggetto - Proclamazione in data 19 ottobre 1995 da parte del Presidente del Senato dei risultati della votazione con l'accoglimento della mozione impugnata - Proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri per il conferimento a se stesso dell'incarico di Ministro di grazia e giustizia ad interim e relativo conforme decreto del presidente della Repubblica 19 ottobre 1995 - Atto con il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri ha chiesto ed ottenuto il passaggio delle consegne dal Ministero di grazia e giustizia in data 20 ottobre 1995 - Riferimento ai poteri spettanti al Ministro di grazia e giustizia con riguardo all'attivita' di ispezione degli uffici giudiziari - Pretesa inammissibilita' della mozione di sfiducia individuale - Asserito abuso dell'istituto previsto dell'art. 94 della Costituzione per sanzionare la fiducia delle Camere al Governo nel suo insieme e mai al singolo Ministro - Lamentata incostituzionalita' dell'atto con il quale il Presidente del Consiglio ha proposto se stesso come Ministro di grazia e giustizia - Dedotta incostituzionalita' del decreto del Presidente della Repubblica che nomina il Presidente del Consiglio, dott. Lamberto Dini, Ministro di grazia e giustizia ad interim - Denunciata mancanza di un atto di revoca espressa dell'incarico conferito al Ministro Mancuso - Lamentata indebita interferenza realizzata da parte del Senato, del Presidente del Consiglio e del Presidente della Repubblica nell'esercizio di poteri propri del Ministro di grazia e giustizia. (Mozione di sfiducia nei confronti del Ministro di grazia e giustizia presentata il 4 luglio 1995, discussa e votata il 19 ottobre 1995 dal Senato della Repubblica; decreto del Presidente della Repubblica del 19 ottobre 1995). (Cost., artt. 94, 95, 107 e 110).(GU n.48 del 22-11-1995 )
Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato (art. 134 Cost.) per il Ministro dott. Filippo Mancuso quale titolare del potere ei esercizio delle funzioni amministrative della Giustizia, conferite, in via specifica ed esclusiva, dagli artt. della Costituzione 107 (di promuovere l'azione disciplinare), e 110 (per la organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla Giustizia), contro: il Senato della Repubblica quale titolare del potere di accordare o revocare la fiducia al Governo conferito dall'art. 94 della Costituzione; il Presidente del Consiglio dei Ministri quale titolare del potere di proporre al Presidente della Repubblica il suo nome per assumere ad interim le funzioni di Ministro Guardasigilli ai sensi dell'art. 92 della Costituzione; il Presidente della Repubblica quale titolare del potere di affidare al Presidente del Consiglio l'incarico ad interim di Ministro di grazia e giustizia, ai sensi dell'art. 92 della Costituzione. Per l'annullamento: 1) della mozione in data 4 luglio 1995 cosi' come presentata e posta all'ordine del giorno del 18 ottobre 1995 e messa a votazione nominale del Senato della Repubblica nella seduta del 19 ottobre 1995; 2) dell'atto con cui il Presidente del Senato, per implicito o per esplicito, ha ammesso a discussione la mozione di sfiducia de qua; 3) della proclamazione dei risultati della votazione sulla mozione impugnata, di accoglimento della mozione stessa, cosi' come dichiarata dal Presidente del Senato nella seduta pubblica del Senato della Repubblica il giorno 19 ottobre 1995; 4) della proposta di data e tenore sconosciuti presentata dal Presidente del Consiglio dei Ministri per il conferimento a se' mesimo, ad interim, dell'incarico di Ministro di grazia e giustizia; 5) del decreto in data 19 ottobre 1995 del Capo dello Stato, con il quale e' stato decretato il conferimento dell'incarico di Ministro di grazia e giustizia ad interim al Presidente del Consiglio dei Ministri dott. Lamberto Dini; 6) dell'atto successivo, in data 20 ottobre 1995, con il quale il Presidente del Consiglio dei Ministri, dott. Lamberto Dini, ha chiesto ed ottenuto dal Ministro Mancuso, che ne contestava la legittimita', "il passaggio delle consegne" del Ministero di grazia e giustizia. Si riferisce in punto di fatto che il Senato della Repubblica nella seduta del 18 maggio 1995 (res. n. 164-165) aveva impegnato il Governo, tra l'altro "... a che in materia ispettiva l'esercizio dei poteri autonomamente spettanti al Ministro di grazia e giustizia sia sempre ispirato agli indirizzi generali del Governo in materia di equilibrato rapporto tra i poteri dello Stato, e si svolga secondo principi di adeguatezza e proporzionalita' tra i comportamenti in astratto addebitabili ai magistrati e la tutela dei beni a garanzia dei quali la facolta' di azione disciplinare e' attribuita al Ministro; e cio' anche allo scopo di evitare l'insorgere di dannosi conflitti"; "in particolare, ad elaborare indirizzi di governo in ordine alle problematiche dell'attvita' ispettiva del Ministro, rivolti per un verso ad evitare interferenze di tale attivita' sull'indipendente esercizio della funzione giudiziaria, e per altro verso a provvedere che eventuali interruzioni del rapporto di collaborazione tra i magistrati ispettori e il Ministro siano adeguatamente motivate". Con successiva mozione in data 4 luglio 1995 qui impugnata, discussa e votata nella seduta della data 19 ottobre 1995, il Senato della Repubblica, dopo aver fatto cenno al "documento" costituito dalla mozione avanti ricordata e parzialmente riportata, esprimeva "sfiducia" al Ministro di grazia e giustizia pro-tempore, ai sensi dell'art. 95 della Costituzione quale responsabile individuale degli atti del proprio dicastero. Con atto di pari data assunto su proposta del Presidente del Consiglio, il Presidente della Repubblica decretava che "il Presidente del Consiglio dei Ministri, dott. Lamberto Dini, assume ad interim l'incarico di Ministro di grazia e giustizia". Di qui il conflitto di attribuzione tra poteri tra il Ministro di grazia e giustizia, il Senato della Repubblica, il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Presidente della Repubblica in ragione delle considerazioni che seguono. Innanzitutto, ai fini della individuazione e della legittimazione delle parti in conflitto, da intendersi come titolari di attribuzione conferite direttamente dalla Costituzione, anche sotto il profilo della osservanza dell'art. 37 legge n. 87/1953, non v'ha dubbio che il Ministro di grazia e giustizia abbia titolo al presente ricorso proprio perche' secondo la Giurisprudenza della ecc.ma Corte (C.C. 27 luglio 1992 n. 379): "Il Ministro della giustizia deve essere considerato legittimato a resistere nel presente conflitto, sempre in base al ricordato art. 37, essendo il diretto titolare delle competenze determinate dall'art. 110 Cost., afferenti all'organizzazione ed al funzionamento dei servizi relativi alla giustizia, il cui esercizio e' assunto in questo giudizio come causa di menomazione delle competenze in ordine allo status dei magistrati attribuibile al ricorrente dall'art. 105 Cost.". "Non legittimato a resistere nel presente giudizio e' invece il Presidente del Consiglio dei Ministri, - il cui intervento pertanto va dichiarato inammissibile - dal momento che le attribuzioni in contestazione sono esclusivamente affidate dalla Costituzione al Ministro della Giustizia (art. 116 Cost.) sulla base di una ripartizione di competenze che non puo' considerarsi alterata dal potere di sospensione degli atti ministeriali e di sottoposizione delle relative questioni al Consiglio dei Ministri, che gli artt. 5, comma 2, lett. c) e 2, comma 3, lettera q) legge 23 agosto 1988 n. 400, riconoscono al Presidente del Consiglio dei Ministri". Con il che' la ecc.ma Corte, sembra aver definitivamente stabilito che laddove entrino in conflitto con altri poteri dello Stato, quelli attribuiti dalla Costituzione al Ministro di grazia e giustizia, quale titolare del potere di esercizio delle funzioni amministrative della Giustizia, ex artt. 107 e 110 della Costituzione, e' quel Ministro e non altri, il legittimo contraddittore dell'organo investito del potere contrapposto. Quanto alle altre parti in conflitto, non si puo' certo revocare in dubbio che il Senato della Repubblica come pure il Presidente del Consiglio dei Ministri ed il Presidente della Repubblica siano organi competenti "a dichiarare definitivamente la volonta' dei poteri" (art. 37 legge n. 87/1953 cit.) quanto alla formulazione delle mozioni di fiducia o sfiducia costituenti un potere tipico, istituzionale, del Senato, e quanto al potere di nomina dei Ministri previa proposta del Presidente del Consiglio, costituente un potere istituzionale del Presidente della Repubblica, poteri ora degenerati in conflitto perche': 1) non indirizzato il primo, come stabilito dalla Costituzione, al Governo nel suo complesso, ma al solo Ministro Guardasigilli e comunqe volto a sindacare una funzione propria del Ministro Guardasigilli; 2) carenti gli altri due dei necessari presupposti e comunque al di la' dei poteri istituzionali (ove si voglia intepretare il decreto presidenziale come un atto impicito di destituzione del Ministro dalla carica). Dato conto, per quanto di ragione, della possibilita' di accesso al giudizio della Corte degli Organi su menzionati, si osserva ancora che il profilo oggettivo del conflitto a termini del citato art. 37 della legge n. 87 del 1953, come si e' gia' visto, risiede nella volonta' del Senato della Repubblica di "sfiduciare", con i poteri dell'art. 95 della Cost., personalmente e singolarmente, il Ministro di grazia e giustizia, per l'esercizio delle attivita' di cui agli artt. 107 e 110 Cost. con modalita' che si assumono confliggenti "con il recupero della serenita' istituzionale necessaria ad assicurare l'indipendente esercizio della funzione giudiziaria" e nella volonta' del Presidente della Repubblica che fa ad esso seguito, di nominare su proposta del Presidente del Consiglio un altro Ministro Guardasigilli (senza peraltro avere assunto alcuna determinazione riguardo al primo). Orbene , premesso che esiste un conflitto attuale tra poteri dello Stato, nei termini anzidetti, occorre rilevare in primo luogo la inammissibilita' della iniziativa sfiduciaria votata dal Senato, sotto l'aspetto della inammissibilita' di una personalizzazione dello istituto della mozione parlamentare di sfiducia, della inesistenza nel caso di specie di una responsabilita' politica (e di qualsiasi ulteriore responsabilita') del Ministro da sfiduciare nonche' della vindicatio potestatis del Guardasigilli in relazione ai poteri specifici che costituzionalmente gli competono, ed infine l'inammisibilita' dell'intervento del Presidente della Repubblica che, su proposta del Presidente del Consiglio, ha affidato ad altri le funzioni di Ministro Guardasigilli senza assumere alcuna decisione nei suoi confronti. Sotto il pimo profilo, per quanto attiene all'uso della mozione di sfiducia come dichiarazione politica di "non gradimento" nei confronti di un Membro dell'Esecutivo, mozione di sfiducia che appare chiaramente in violazione all'art. 94 della Cost., potrebbe trattarsi del tentativo di consolidare una prassi contro la quale va innanzittutto opposto l'ostacolo tecnico della preventiva istaurazione di un rapporto fiduciario Camere-Governo nel suo complesso, insuscettibile di essere poi parzializzato, e parzialmente revocato, a scapito della unitarieta' delle funzioni del Governo stesso (art. 95 Cost. e art. 2 legge n. 400/1988) e della sua collegialita'. Quanto all'uso distorto della mozione di sfiducia, si soggiunge ora che la fattispecie non potrebbe essere giustificata, con il ricorso alle non consolidate figure della convenzione parlamentare sulle mozioni di sfiducia al singolo componente del Governo. Ricordato infatti che al Senato della Repubblica, diversamente che alla Camera dei deputati, il Regolamento non contempla le mozioni di sfiducia al singolo Ministro (si pensa, non a caso), anche nel caso di specie, forse si potrebbe supporre una ipotesi convenzionale, ove i componenti della Assemblea, non avessero sollevato, come non sollevarono in altri casi precedenti, alcun dissenso quanto al ricorso a detta prassi. Risulta invece che per la mozione di sfiducia in questione: "Il Gruppo di Alleanza Nazionale, in conclusione, considera la mozione 1-00113 improponibile, irricevibile e quindi giuridicamente inesistente, e per evidenziare la propria estraneita' ad essa non partecipera' alla votazione" (Res. Somm. Senato sed.te 235 e 236 19 ottobre 1995 pag. 26). Tale determinazione e' stata condivisa da altri gruppi. Tutto cio' indica chiaramente che per la mozione in questione non fu fatto ricorso ne' alla prassi ne' tantomeno a procedimenti convenzionali, restando quindi l'atto impugnato contrario al precetto costituzionale. Quindi le eventuali conseguenze di una pronunzia favorevole alla c.d. mozione di sfiducia individuale, sembrano difficilmente collocabili nel presente assetto costituzionale, se non ipotizzando le dimissioni dell'intero Governo, in assenza di quelle del Ministro sfiduciato, non certo revocabile in mancanza di qualsiasi indizio normativo che ne consenta il ritiro dal Governo con siffatte modalita'. Quanto invece all'uso della mozione di sfiducia come procedura surrettiziamente allusiva all'"impeachement" anglosassone, realizzata con il ricorso alla chiamata di responsabilita' del Ministro di grazia e giustizia per atti e fatti del proprio dicastero, si osserva. Come e' ben noto la responsabilita' ministeriale o e' politica o e' giuridica. Per la prima e' stato giustamente osservato che: "Nel nostro ordinamento, mentre la responsabilita' politica collegiale dei ministri nei confronti delle Camere costituisce un tipo di responsabilita' perfetta, in quanto assistita dalla possibile sanzione di una revoca della fiducia, che obbliga il Governo a rassegnare le dimissioni, la responsabilita' politica individuale dei ministri e' imperfetta, giacche' le Camere possono bensi' chiedere conto del loro operato mediante gli strumenti del sindacato parlamentare (interrogazioni, interpellanze, inchieste parlamentari) ma non possono attivare un provvedimento sanzionatorio a carico di un ministro se non coinvolgendovi collegialmente l'intero Governo". "Piu' esattamente si puo' dire che la responsabilita' individuale del ministro per gli atti del Presidente della Repubblica da lui proposti e controfirmati (art. 89 Cost.) e in genere per tutti gli atti del suo dicastero (art. 95 comma II Cost.) e' sanzionabile politicamente da parte delle Camere soltanto come una componente della responsabilita' solidale dell'intero Governo (si' da rendere ben poco significativa la distinzione operata a questo proposito dalla Cosituzione)" (G.F. Ciaurro in Enc. del diritto Giuffre' 1976, Vol. XXVI, pag. 525). Quanto alla responsabilita' giuridica, neppure la mozione ostile contro cui si ricorre ne ha potuto ipotizzare una qualsivoglia, a carico del Ministro di grazia e giustizia. Infine l'ulteriore aspetto della mozione di sfiducia contro la quale si ricorre, e' la indebita interferenza del Senato della Repubblica, nei poteri propri di esercizio della attivita' amministrativa del Ministro Guardasigilli. E' ben palese che sia la mozione di sfiducia del 18 ottobre, sia quella precedente del 18 maggio, originano e si riducono sostanzialmente ad una critica sommaria circa lo svolgimento di alcune incombenze amministrative, in particolare di alcune ispezioni della competente direzione ministeraile ad uffici giudiziari. Che poi la mozione di sfiducia abbia voluto, per cosi' dire, nobilitare, siffatte indimostrate valutazioni di merito, rappresentandole invece come risultato di un incondivisibile (per i presentatori) indirizzo politico proprio del Ministro da sfiduciare, nella cambia circa la vera natura del problema che rimane nei termini del "se" e "quanto" un organo parlamentare, ancorche' di indiscussa autorevolezza, possa sovvertire le regole sulla responsabilita' amministrative, civile e penale dei Ministri per gli atti del proprio dicastero. Certo e' che la mozione di sfiducia ha dato per accertato, sospettato o supposto, quanto, non essendo stato accertato, non andava ne' sospettato ne' tantomeno supposto, e cioe' che a che in materia ispettiva l'esercizio dei poteri autonomamente spettanti al Ministro di grazia e giustizia non si sarebbe sempre ispirato agli indirizzi generali del Governo in materia di equilibrato rapporto tra i poteri dello Stato, ovvero si sarebbe svolto secondo principi di inadeguatezza e di non proporzionalita' tra i comportamenti in astratto addebitabili ai magistrati e la tutela dei beni a garanzia dei quali la facolta' di azione disciplinare e' attribuita al Ministro; il che non avrebbe evitato l'insorgere di dannosi conflitti; in particolare, con la mozione di sfiducia si lamenterebbe la mancanza di indirizzi di governo in ordine alle problematiche dell'attivita' ispettiva del Ministro, rivolti per un verso ad evitare interferenze di tale attivita' sull'indipendente esercizio della funzione giudiziaria, e per altro verso a provvedere che eventuali interruzioni del rapporto di collaborazione tra i magistrati ispettori e il Ministro fossero adeguatamente motivate (cosi' come si desume dalle espressioni testuali della mozione discussa nella seduta del 18 maggio 1995). Ma siffatte doglianze, oltre ad esser del tutto infondate nel merito, non veritiere e comunque assunte senze contraddittorio con il Ministro interessato, non attengono certamente ad una eventuale responsabilita' politica del Ministro, ma costituiscono una indebita intromissione di un organo legislativo nella attivita' dell'esecutivo, anche per la ulteriore pretesa di voler dettare regole di buona amministrazione con un mezzo, quello della mozione di sfiducia, assolutamente non preordinato dal costituente a tale scopo. Del resto, se le attivita' di amministrazione della giustizia, come denunziate nella mozione di sfiducia qui impugnata, si assumono apparentemente illegittime, o addirittura illegali (anche se non si vede come e perche'), l'Ordinamento appronta piu' di un mezzo per la loro rimozione dal mondo giuridico, senza che per questo debba essere chiamata in casua la credibilita' politica del Ministro competente. Gli atti del Ministro proprio in quanto atti non politici ma amministrativi subiranno i controlli ed il sindacato giurisdizionale del giudice previsto per un tal genere di atti. Il Ministro infatti di essi, come di ogni altro atto attinente all'esercizio delle sue funzioni, assume una specifica responsabilita' giuridica secondo i meccanismi predisposti dall'ordinamento per questo genere di atti. Per quanto attiene invece all'atto (di cui si ignora la data ed l'esatto contenuto), con cui il Presidente del Consiglio Dini avrebbe proposto al Presidente della Repubblica la sua nomina ad interim alle funzioni di Ministro Guardasigilli, esso appare inequivocabilmente in contrasto con il disposto costituzionale. Il Presidente del Consiglio e' direttamente responsabile dell'indirizzo politico del proprio Governo e, quindi, anche di quello che viene espresso dai singoli Ministri. Infatti, i conflitti tra Ministri devono essere risolti nell'ambito del Consiglio dei Ministri dal quale emergera' conclusivamente l'indirizzo dell'intera compagine governativa. La vicenda de qua denuncia invece una inconcepibile frattura verificatasi in senso al Governo; la conseguenza di tale situazione e' palese dal fatto che il Presidente del Consiglio ha ritenuto di dover smentire, formalmente e immotivatamente, l'operato di un Ministro del proprio Gabinetto, tanto da proporsi in costituzione nella guida del dicastero. Tale situazione sarebbe inconcepibile se avesse riguardato un conflitto di carattere politico (che dovrebbe comunque essere risolta nel Consiglio dei ministri e ricondotta nell'ambito dell'indirizzo politico del Presidente) in quanto una scelta politica assume sempre carattere globale ed e' imputabile all'intero Governo; essa e' stata invece resa possibile per il fatto che, nel caso, non si e' mai contraddetto un atto politico del Ministro ma piuttosto la decisione di adottare, ovvero l'aver adottato, uno o piu' atti amministrativi rientranti nelle funzioni specifiche e costituzionalmente proprie del Ministro Guardasigilli. Peraltro non sembra che il Presidente del Consiglio possa proporre - ne' avallare con la controfirma - un decreto presidenziale che e', ex se di ben dubbia costituzionalita', come appresso si dira' secondo considerazioni che seguono, considerazioni che possono estendersi anche all'atto di proposta. Va infatti soggiunto che nel decreto presidenziale si ha modo di leggere testualmente che il Presidente della Repubbblica: "Preso atto che con l'approvazione di una mozione di sfiducia individuale, e' venuta meno la condizione essenziale e indefettibile della permanenza nella carica di Ministro del dott. Filippo Mancuso, ha affidato l'incarico ad interim di Ministro di grazia e giustizia al dott. Lamberto Dini". Il che testimonia quanto il Presidente della Repubblica (cosi' come del Presidente del Consiglio proponente) abbia abbandonato il tracciato costituzionale senza plausibili giustificazioni (nel caso ce ne possano essere). In primo luogo, appare evidente l'anomalia di un siffatto decreto, solo ponendo attenzione al fatto che il dispositivo si limita a nominare il Presidente del Consiglio, ad interim, Ministro guardasigilli senza pero' nulla disporre riguardo al Ministro Mancuso in carica e senza decretarne esplicitamente la revoca; disponendo cioe' soltanto sulla base della presa d'atto di una situazione che appare di per se' inidonea a produrre gli effetti giuridici che le si vogliono attribuire, a termini del testo costituzionale. E' noto al riguardo che la pronuncia di sfiducia non comporta l'automatico effetto della decadenza dalla carica, ne' per il singolo Ministro, ne' per il Presidente del Consiglio e dell'intero Governo. Secondo il dettato costituzionale invece, la pronuncia di sfiducia obbliga il Governo alle dimissioni, che costituiscono comunque un atto spontaneo ed una autonoma manifestazione di volonta' da parte dell'organo sfiduciato. Discutibile e' che lo sia anche il singolo Ministro, colpito da una pronuncia politica del Parlamento pronuncia che non sembra possa allontanarsi da un giudizio globale sull'operato dell'intero Governo. Certo e' che occorre nel caso di specie un atto di dimissioni, che qui pero' non e' intervenuto. La dottrina si e' a lungo interrogata sulla possibilita' che il rifiuto di dimissioni da parte del Presidente del Consiglio, il cui Governo sia stato colpito da sfiducia, consenta al Presidente della Repubblica di intervenire autoritativamente per il ripristino dll'ordine costituzionale con un atto di revoca dell'incarico (rectius, di destituzione). Ma tale ipotesi suscita troppe perplessita' per ammettere una smplice risposta positiva: una tale eventualita' potrebbe, probabilmente, essere praticata quanto meno con il supporto di una preventiva concertazione con altri organi costituzionali. Tanto meno sarebbe ipotizzabile un atto di "revoca" nei confronti del singolo Ministro. Ma tale ipotesi non puo' trovar conforto in alcun modo, neppure in via implicita dal testo della Cosituzione che non prevede affatto ne' la sfiducia individuale ne' il conseguente obbligo di dimissioni. Peraltro nel caso presente non e' comunque intervenuta alcuna proposta, ne' alcun decreto di revoca dallo incarico, sia pure incostituzionalmente illegittimo. L'unica indicazione al riguardo sembra costituita dalla premessa formulata nel preambolo, come "presa d'atto" di una circostanza che, come tale, e' insuscettibile di produrre l'effetto giuridico della decadenza dall'incarico. Dal disposto del decreto si puo' dunque ricavare soltanto che le funzioni di Ministro Guardasigilli vengono affidate al Presidente del Consiglio: conseguentemente l'unica conseguenza che se ne deve dedurre e' che il Ministro Mancuso sia stato "sospeso" dalle funzioni di Guardasigilli, pero' mantenendo la carica di Ministro, cui non ha spontaneamente rinunciato, e dalla quale non e' stato formalmente rimosso, rimanendo cosi' nella compagine governativa in posizione assimilabile a quella del Ministro "senza Portafoglio". In conclusione si puo' affermare che: 1) la revoca, dalla carica di Ministro non e' prevista dalla Costituzione e non e' percio' ne' legittima ne' possibile; 2) la revoca, comunque non e' stata pronunciata. Purtroppo non si puo' fare a meno, di fronte a questo tipo di sortite parlamentari, di supporre che il vero scopo della mozione impugnata e di tutti gli atti che la hanno seguita, sia stato quello di interferire con l'attivita' ispettiva disposta dal Ministro, nel senso di limitarne la portata e gli effetti, atteso che, come risulta dalle cronache del Parlamento, e' in corso un'aspra battaglia politica sullo sfondo di procedimenti giurisdizionali la cui manomissione potrebbe forse ribaltare le fortune di alcuni dei presentatori della mozione e/o del partito di appartenenza.
Per tutti i suesposti motivi si chiede l'accoglimento del ricorso con ogni conseguenza di legge, ivi compreso l'annullamento, da parte di codesta ecc.ma Corte, degli atti impugnati, in quanto invasivi della sfera di attribuzioni conferita al Ministro di grazia e giustizia sia dall'art. 95 che - e soprattutto - dagli artt. 107 e 110 della Costituzione. Roma, addi' 21 ottobre 1995 Avv. Fabrizio Salberini - avv. Donella Resta 95C1437