N. 35 RICORSO PER CONFLITTO DI ATTRIBUZIONE 2 novembre 1995

                                 N. 35
 Ricorso  per conflitto di attribuzione depositato in cancelleria il 2
 novembre 1995 (del Ministro di grazia e giustizia)
 Giudizio per conflitto di attribuzione poteri dello Stato  -  Mozione
    di  sfiducia  nei  confronti  del  Ministro di grazia e giustizia,
    dott.  Filippo Mancuso, presentata al Senato della  Repubblica  in
    data  4 luglio 1995 - Atto del Presidente del Senato di ammissione
    alla discussione della mozione in oggetto - Proclamazione in  data
    19  ottobre  1995 da parte del Presidente del Senato dei risultati
    della votazione  con  l'accoglimento  della  mozione  impugnata  -
    Proposta   del  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  per  il
    conferimento a se stesso dell'incarico di  Ministro  di  grazia  e
    giustizia  ad  interim  e relativo conforme decreto del presidente
    della Repubblica 19 ottobre 1995 - Atto con il quale il Presidente
    del Consiglio dei Ministri ha chiesto  ed  ottenuto  il  passaggio
    delle  consegne  dal  Ministero  di  grazia e giustizia in data 20
    ottobre 1995 - Riferimento ai  poteri  spettanti  al  Ministro  di
    grazia  e  giustizia con riguardo all'attivita' di ispezione degli
    uffici giudiziari -  Pretesa  inammissibilita'  della  mozione  di
    sfiducia  individuale  -  Asserito  abuso  dell'istituto  previsto
    dell'art. 94 della Costituzione per sanzionare  la  fiducia  delle
    Camere  al  Governo  nel  suo  insieme e mai al singolo Ministro -
    Lamentata incostituzionalita' dell'atto con il quale il Presidente
    del Consiglio ha proposto se stesso  come  Ministro  di  grazia  e
    giustizia - Dedotta incostituzionalita' del decreto del Presidente
    della  Repubblica  che  nomina  il Presidente del Consiglio, dott.
    Lamberto Dini,  Ministro  di  grazia  e  giustizia  ad  interim  -
    Denunciata  mancanza  di  un atto di revoca espressa dell'incarico
    conferito al Ministro Mancuso -  Lamentata  indebita  interferenza
    realizzata da parte del Senato, del Presidente del Consiglio e del
    Presidente  della  Repubblica  nell'esercizio di poteri propri del
    Ministro di grazia e giustizia.
 (Mozione di sfiducia nei confronti del Ministro di grazia e giustizia
    presentata il 4 luglio 1995, discussa e votata il 19 ottobre  1995
    dal   Senato   della  Repubblica;  decreto  del  Presidente  della
    Repubblica del 19 ottobre 1995).
 (Cost., artt. 94, 95, 107 e 110).
(GU n.48 del 22-11-1995 )
   Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato  (art.
 134  Cost.)  per il Ministro dott. Filippo Mancuso quale titolare del
 potere ei esercizio delle funzioni  amministrative  della  Giustizia,
 conferite,   in   via  specifica  ed  esclusiva,  dagli  artt.  della
 Costituzione 107 (di promuovere l'azione disciplinare), e 110 (per la
 organizzazione  e  il  funzionamento  dei   servizi   relativi   alla
 Giustizia), contro:
     il Senato della Repubblica quale titolare del potere di accordare
 o  revocare  la  fiducia  al  Governo  conferito  dall'art.  94 della
 Costituzione;
     il Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  quale  titolare  del
 potere  di  proporre  al  Presidente della Repubblica il suo nome per
 assumere ad interim le funzioni di Ministro  Guardasigilli  ai  sensi
 dell'art.  92 della Costituzione;
     il  Presidente  della  Repubblica  quale  titolare  del potere di
 affidare  al  Presidente  del  Consiglio  l'incarico  ad  interim  di
 Ministro   di  grazia  e  giustizia,  ai  sensi  dell'art.  92  della
 Costituzione.
   Per l'annullamento:
     1) della mozione in data 4 luglio 1995 cosi'  come  presentata  e
 posta  all'ordine  del giorno del 18 ottobre 1995 e messa a votazione
 nominale del Senato della Repubblica  nella  seduta  del  19  ottobre
 1995;
     2)  dell'atto  con  cui il Presidente del Senato, per implicito o
 per esplicito, ha ammesso a discussione la  mozione  di  sfiducia  de
 qua;
     3)  della  proclamazione  dei  risultati  della  votazione  sulla
 mozione impugnata, di accoglimento della mozione stessa,  cosi'  come
 dichiarata dal Presidente del Senato nella seduta pubblica del Senato
 della Repubblica il giorno 19 ottobre 1995;
     4)  della  proposta  di  data e tenore sconosciuti presentata dal
 Presidente del Consiglio dei  Ministri  per  il  conferimento  a  se'
 mesimo, ad interim, dell'incarico di Ministro di grazia e giustizia;
     5)  del decreto in data 19 ottobre 1995 del Capo dello Stato, con
 il quale e' stato decretato il conferimento dell'incarico di Ministro
 di grazia e giustizia ad interim  al  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri dott. Lamberto Dini;
     6) dell'atto successivo, in data 20 ottobre 1995, con il quale il
 Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri,  dott.  Lamberto  Dini, ha
 chiesto ed ottenuto  dal  Ministro  Mancuso,  che  ne  contestava  la
 legittimita', "il passaggio delle consegne" del Ministero di grazia e
 giustizia.
   Si riferisce in punto di fatto che il Senato della Repubblica nella
 seduta  del  18  maggio  1995  (res.  n.  164-165) aveva impegnato il
 Governo, tra l'altro "... a che in materia ispettiva l'esercizio  dei
 poteri  autonomamente spettanti al Ministro di grazia e giustizia sia
 sempre ispirato agli indirizzi generali del  Governo  in  materia  di
 equilibrato  rapporto  tra  i poteri dello Stato, e si svolga secondo
 principi di adeguatezza e proporzionalita'  tra  i  comportamenti  in
 astratto  addebitabili  ai magistrati e la tutela dei beni a garanzia
 dei quali  la  facolta'  di  azione  disciplinare  e'  attribuita  al
 Ministro;  e  cio' anche allo scopo di evitare l'insorgere di dannosi
 conflitti"; "in particolare, ad elaborare  indirizzi  di  governo  in
 ordine  alle  problematiche  dell'attvita'  ispettiva  del  Ministro,
 rivolti per un  verso  ad  evitare  interferenze  di  tale  attivita'
 sull'indipendente  esercizio  della funzione giudiziaria, e per altro
 verso  a  provvedere  che  eventuali  interruzioni  del  rapporto  di
 collaborazione  tra  i  magistrati  ispettori  e  il  Ministro  siano
 adeguatamente motivate".
   Con successiva  mozione  in  data  4  luglio  1995  qui  impugnata,
 discussa  e votata nella seduta della data 19 ottobre 1995, il Senato
 della Repubblica, dopo aver fatto  cenno  al  "documento"  costituito
 dalla  mozione  avanti  ricordata e parzialmente riportata, esprimeva
 "sfiducia" al Ministro di grazia e giustizia  pro-tempore,  ai  sensi
 dell'art.  95 della Costituzione quale responsabile individuale degli
 atti del proprio dicastero.
   Con  atto  di  pari  data  assunto  su  proposta del Presidente del
 Consiglio,  il  Presidente  della  Repubblica   decretava   che   "il
 Presidente del Consiglio dei Ministri, dott. Lamberto Dini, assume ad
 interim l'incarico di Ministro di grazia e giustizia".
   Di  qui  il conflitto di attribuzione tra poteri tra il Ministro di
 grazia e giustizia, il Senato della  Repubblica,  il  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri ed il Presidente della Repubblica in ragione
 delle considerazioni che seguono.
   Innanzitutto, ai fini della individuazione e  della  legittimazione
 delle parti in conflitto, da intendersi come titolari di attribuzione
 conferite  direttamente  dalla  Costituzione,  anche sotto il profilo
 della osservanza dell'art. 37 legge n. 87/1953, non v'ha  dubbio  che
 il  Ministro  di  grazia e giustizia abbia titolo al presente ricorso
 proprio perche' secondo la Giurisprudenza della  ecc.ma  Corte  (C.C.
 27  luglio  1992  n.  379):  "Il Ministro della giustizia deve essere
 considerato legittimato a resistere nel presente conflitto, sempre in
 base  al  ricordato  art.  37,  essendo  il  diretto  titolare  delle
 competenze     determinate    dall'art.    110    Cost.,    afferenti
 all'organizzazione ed al  funzionamento  dei  servizi  relativi  alla
 giustizia,  il cui esercizio e' assunto in questo giudizio come causa
 di menomazione delle competenze in ordine allo status dei  magistrati
 attribuibile al ricorrente dall'art.  105 Cost.".
   "Non  legittimato  a  resistere  nel presente giudizio e' invece il
 Presidente del Consiglio dei Ministri, - il cui  intervento  pertanto
 va  dichiarato  inammissibile  -  dal  momento che le attribuzioni in
 contestazione sono  esclusivamente  affidate  dalla  Costituzione  al
 Ministro   della  Giustizia  (art.  116  Cost.)  sulla  base  di  una
 ripartizione di competenze che non  puo'  considerarsi  alterata  dal
 potere  di  sospensione  degli  atti ministeriali e di sottoposizione
 delle relative questioni al Consiglio dei Ministri, che gli artt.  5,
 comma  2,  lett.  c) e 2, comma 3, lettera q) legge 23 agosto 1988 n.
 400, riconoscono al Presidente del Consiglio dei Ministri".
   Con il che' la ecc.ma Corte, sembra aver definitivamente  stabilito
 che laddove entrino in conflitto con altri poteri dello Stato, quelli
 attribuiti  dalla  Costituzione  al  Ministro  di grazia e giustizia,
 quale titolare del potere di esercizio delle funzioni  amministrative
 della  Giustizia,  ex  artt.  107  e  110 della Costituzione, e' quel
 Ministro  e  non  altri,  il  legittimo  contraddittore   dell'organo
 investito del potere contrapposto.
   Quanto alle altre parti in conflitto, non si puo' certo revocare in
 dubbio  che  il  Senato  della Repubblica come pure il Presidente del
 Consiglio dei Ministri ed il Presidente della Repubblica siano organi
 competenti "a dichiarare  definitivamente  la  volonta'  dei  poteri"
 (art.  37  legge  n.  87/1953  cit.)  quanto  alla formulazione delle
 mozioni  di  fiducia  o  sfiducia  costituenti  un   potere   tipico,
 istituzionale,  del Senato, e quanto al potere di nomina dei Ministri
 previa proposta del Presidente del Consiglio, costituente  un  potere
 istituzionale  del Presidente della Repubblica, poteri ora degenerati
 in conflitto perche': 1) non indirizzato  il  primo,  come  stabilito
 dalla Costituzione, al Governo nel suo complesso, ma al solo Ministro
 Guardasigilli  e  comunqe  volto a sindacare una funzione propria del
 Ministro Guardasigilli;  2)  carenti  gli  altri  due  dei  necessari
 presupposti  e  comunque  al  di la' dei poteri istituzionali (ove si
 voglia intepretare il decreto presidenziale come un atto impicito  di
 destituzione del Ministro dalla carica).
   Dato conto, per quanto di ragione, della possibilita' di accesso al
 giudizio  della  Corte  degli Organi su menzionati, si osserva ancora
 che il profilo oggettivo del conflitto a termini del citato art.   37
 della  legge  n.  87  del  1953, come si e' gia' visto, risiede nella
 volonta' del Senato della Repubblica di "sfiduciare",  con  i  poteri
 dell'art.  95 della Cost., personalmente e singolarmente, il Ministro
 di grazia e giustizia, per l'esercizio delle attivita'  di  cui  agli
 artt. 107 e 110 Cost. con modalita' che si assumono confliggenti "con
 il  recupero  della  serenita' istituzionale necessaria ad assicurare
 l'indipendente esercizio della funzione giudiziaria" e nella volonta'
 del Presidente della Repubblica che fa ad esso seguito,  di  nominare
 su   proposta   del   Presidente  del  Consiglio  un  altro  Ministro
 Guardasigilli (senza peraltro  avere  assunto  alcuna  determinazione
 riguardo al primo).
   Orbene  , premesso che esiste un conflitto attuale tra poteri dello
 Stato, nei termini anzidetti, occorre  rilevare  in  primo  luogo  la
 inammissibilita'  della  iniziativa  sfiduciaria  votata  dal Senato,
 sotto l'aspetto della inammissibilita' di una personalizzazione dello
 istituto della mozione parlamentare di  sfiducia,  della  inesistenza
 nel  caso  di  specie di una responsabilita' politica (e di qualsiasi
 ulteriore responsabilita') del Ministro da sfiduciare  nonche'  della
 vindicatio  potestatis  del  Guardasigilli  in  relazione  ai  poteri
 specifici   che   costituzionalmente   gli   competono,   ed   infine
 l'inammisibilita'  dell'intervento  del  Presidente  della Repubblica
 che, su proposta del Presidente del Consiglio, ha affidato  ad  altri
 le funzioni di Ministro Guardasigilli senza assumere alcuna decisione
 nei suoi confronti.
   Sotto  il pimo profilo, per quanto attiene all'uso della mozione di
 sfiducia  come  dichiarazione  politica  di  "non   gradimento"   nei
 confronti di un Membro dell'Esecutivo, mozione di sfiducia che appare
 chiaramente in violazione all'art. 94 della Cost., potrebbe trattarsi
 del   tentativo   di  consolidare  una  prassi  contro  la  quale  va
 innanzittutto   opposto   l'ostacolo   tecnico    della    preventiva
 istaurazione   di  un  rapporto  fiduciario  Camere-Governo  nel  suo
 complesso,   insuscettibile   di   essere      poi  parzializzato,  e
 parzialmente revocato, a scapito della unitarieta' delle funzioni del
 Governo stesso (art. 95 Cost. e art. 2 legge n. 400/1988) e della sua
 collegialita'.
   Quanto all'uso distorto della mozione di sfiducia, si soggiunge ora
 che la fattispecie non potrebbe essere giustificata, con  il  ricorso
 alle  non  consolidate  figure  della  convenzione parlamentare sulle
 mozioni di sfiducia al singolo componente del Governo.
   Ricordato infatti che al Senato della Repubblica, diversamente  che
 alla  Camera dei deputati, il Regolamento non contempla le mozioni di
 sfiducia al singolo Ministro (si pensa, non a caso), anche  nel  caso
 di  specie, forse si potrebbe supporre una ipotesi convenzionale, ove
 i componenti  della  Assemblea,  non  avessero  sollevato,  come  non
 sollevarono  in  altri  casi  precedenti,  alcun  dissenso  quanto al
 ricorso a detta prassi.
   Risulta invece che per la mozione di  sfiducia  in  questione:  "Il
 Gruppo  di  Alleanza  Nazionale, in conclusione, considera la mozione
 1-00113   improponibile,   irricevibile   e   quindi   giuridicamente
 inesistente,  e  per  evidenziare  la propria estraneita' ad essa non
 partecipera' alla votazione" (Res. Somm. Senato sed.te 235 e  236  19
 ottobre 1995 pag. 26).
   Tale determinazione e' stata condivisa da altri gruppi.
   Tutto  cio'  indica chiaramente che per la mozione in questione non
 fu fatto  ricorso  ne'  alla  prassi  ne'  tantomeno  a  procedimenti
 convenzionali, restando quindi l'atto impugnato contrario al precetto
 costituzionale.
   Quindi  le  eventuali  conseguenze di una pronunzia favorevole alla
 c.d.  mozione  di  sfiducia  individuale,    sembrano   difficilmente
 collocabili  nel  presente assetto costituzionale, se non ipotizzando
 le dimissioni dell'intero Governo, in assenza di quelle del  Ministro
 sfiduciato,  non  certo  revocabile  in mancanza di qualsiasi indizio
 normativo  che  ne  consenta  il  ritiro  dal  Governo  con  siffatte
 modalita'.
   Quanto  invece  all'uso  della  mozione  di sfiducia come procedura
 surrettiziamente allusiva all'"impeachement" anglosassone, realizzata
 con il ricorso alla  chiamata  di  responsabilita'  del  Ministro  di
 grazia  e  giustizia  per  atti  e  fatti  del  proprio dicastero, si
 osserva.
   Come e' ben noto la responsabilita' ministeriale o e' politica o e'
 giuridica.
   Per la prima  e'  stato  giustamente  osservato  che:  "Nel  nostro
 ordinamento,   mentre  la  responsabilita'  politica  collegiale  dei
 ministri  nei  confronti  delle  Camere  costituisce   un   tipo   di
 responsabilita'   perfetta,   in  quanto  assistita  dalla  possibile
 sanzione di una revoca  della  fiducia,  che  obbliga  il  Governo  a
 rassegnare le dimissioni, la responsabilita' politica individuale dei
 ministri  e'  imperfetta,  giacche' le Camere possono bensi' chiedere
 conto  del  loro  operato  mediante  gli  strumenti   del   sindacato
 parlamentare  (interrogazioni, interpellanze, inchieste parlamentari)
 ma non possono attivare un provvedimento sanzionatorio a carico di un
 ministro se non coinvolgendovi collegialmente l'intero Governo".
   "Piu' esattamente si puo' dire che la  responsabilita'  individuale
 del  ministro  per  gli  atti  del Presidente della Repubblica da lui
 proposti e controfirmati (art. 89 Cost.) e in genere  per  tutti  gli
 atti  del  suo  dicastero  (art.  95  comma II Cost.) e' sanzionabile
 politicamente  da  parte  delle  Camere  soltanto come una componente
 della responsabilita' solidale dell'intero Governo  (si'  da  rendere
 ben  poco  significativa  la  distinzione  operata a questo proposito
 dalla Cosituzione)" (G.F.  Ciaurro in Enc. del diritto Giuffre' 1976,
 Vol. XXVI, pag. 525).
   Quanto alla responsabilita' giuridica, neppure  la  mozione  ostile
 contro  cui  si  ricorre  ne ha potuto ipotizzare una qualsivoglia, a
 carico del Ministro di grazia e giustizia.
   Infine l'ulteriore aspetto della  mozione  di  sfiducia  contro  la
 quale  si  ricorre,  e'  la  indebita  interferenza  del Senato della
 Repubblica,  nei  poteri  propri   di   esercizio   della   attivita'
 amministrativa del Ministro Guardasigilli.
   E'  ben  palese  che sia la mozione di sfiducia del 18 ottobre, sia
 quella  precedente  del  18   maggio,   originano   e   si   riducono
 sostanzialmente  ad  una  critica  sommaria  circa  lo svolgimento di
 alcune incombenze amministrative, in particolare di alcune  ispezioni
 della competente direzione ministeraile ad uffici giudiziari.
   Che  poi  la  mozione  di  sfiducia  abbia  voluto, per cosi' dire,
 nobilitare,   siffatte   indimostrate    valutazioni    di    merito,
 rappresentandole  invece  come risultato di un incondivisibile (per i
 presentatori) indirizzo politico proprio del Ministro da  sfiduciare,
 nella cambia circa la vera natura del problema che rimane nei termini
 del  "se"  e "quanto" un organo parlamentare, ancorche' di indiscussa
 autorevolezza,  possa  sovvertire  le  regole  sulla  responsabilita'
 amministrative, civile e penale dei Ministri per gli atti del proprio
 dicastero.
   Certo  e'  che  la  mozione  di  sfiducia  ha  dato  per accertato,
 sospettato o supposto,  quanto,  non  essendo  stato  accertato,  non
 andava  ne'  sospettato  ne' tantomeno supposto, e cioe' che a che in
 materia ispettiva l'esercizio dei poteri autonomamente  spettanti  al
 Ministro  di  grazia  e giustizia non si sarebbe sempre ispirato agli
 indirizzi generali del Governo in materia di equilibrato rapporto tra
 i poteri dello Stato, ovvero si sarebbe svolto  secondo  principi  di
 inadeguatezza  e  di  non  proporzionalita'  tra  i  comportamenti in
 astratto addebitabili ai magistrati e la tutela dei beni  a  garanzia
 dei  quali  la  facolta'  di  azione  disciplinare  e'  attribuita al
 Ministro;  il  che  non  avrebbe  evitato  l'insorgere   di   dannosi
 conflitti; in particolare, con la mozione di sfiducia si lamenterebbe
 la  mancanza  di  indirizzi  di  governo in ordine alle problematiche
 dell'attivita' ispettiva  del  Ministro,  rivolti  per  un  verso  ad
 evitare  interferenze  di  tale attivita' sull'indipendente esercizio
 della funzione giudiziaria,  e  per  altro  verso  a  provvedere  che
 eventuali   interruzioni   del   rapporto  di  collaborazione  tra  i
 magistrati ispettori e il  Ministro  fossero  adeguatamente  motivate
 (cosi'  come  si  desume  dalle  espressioni  testuali  della mozione
 discussa nella seduta del 18 maggio 1995).
   Ma siffatte doglianze, oltre  ad  esser  del  tutto  infondate  nel
 merito, non veritiere e comunque assunte senze contraddittorio con il
 Ministro  interessato,  non  attengono  certamente  ad  una eventuale
 responsabilita' politica del Ministro, ma costituiscono una  indebita
 intromissione    di    un    organo   legislativo   nella   attivita'
 dell'esecutivo, anche per  la  ulteriore  pretesa  di  voler  dettare
 regole di buona amministrazione con un mezzo, quello della mozione di
 sfiducia, assolutamente non preordinato dal costituente a tale scopo.
   Del resto, se le attivita' di amministrazione della giustizia, come
 denunziate  nella  mozione  di  sfiducia  qui  impugnata, si assumono
 apparentemente illegittime, o addirittura illegali (anche se  non  si
 vede  come e perche'), l'Ordinamento appronta piu' di un mezzo per la
 loro rimozione dal mondo giuridico, senza che per questo debba essere
 chiamata in casua la credibilita' politica del  Ministro  competente.
 Gli  atti  del  Ministro  proprio  in  quanto  atti  non  politici ma
 amministrativi subiranno i controlli ed il sindacato  giurisdizionale
 del  giudice  previsto per un tal genere di atti. Il Ministro infatti
 di essi, come di ogni altro atto attinente  all'esercizio  delle  sue
 funzioni,  assume  una  specifica responsabilita' giuridica secondo i
 meccanismi predisposti dall'ordinamento per questo genere di atti.
   Per quanto attiene invece all'atto (di cui si  ignora  la  data  ed
 l'esatto contenuto), con cui il Presidente del Consiglio Dini avrebbe
 proposto al Presidente della Repubblica la sua nomina ad interim alle
 funzioni di Ministro Guardasigilli, esso appare inequivocabilmente in
 contrasto con il disposto costituzionale.
   Il   Presidente   del   Consiglio   e'   direttamente  responsabile
 dell'indirizzo politico del  proprio  Governo  e,  quindi,  anche  di
 quello  che viene espresso dai singoli Ministri. Infatti, i conflitti
 tra Ministri devono essere  risolti  nell'ambito  del  Consiglio  dei
 Ministri  dal quale emergera' conclusivamente l'indirizzo dell'intera
 compagine governativa.
   La vicenda  de  qua  denuncia  invece  una  inconcepibile  frattura
 verificatasi  in  senso al Governo; la conseguenza di tale situazione
 e' palese dal fatto che il Presidente del Consiglio  ha  ritenuto  di
 dover  smentire,  formalmente  e  immotivatamente,  l'operato  di  un
 Ministro del proprio Gabinetto, tanto  da  proporsi  in  costituzione
 nella guida del dicastero.
   Tale  situazione  sarebbe  inconcepibile  se  avesse  riguardato un
 conflitto di carattere politico (che dovrebbe comunque essere risolta
 nel Consiglio dei ministri e  ricondotta  nell'ambito  dell'indirizzo
 politico  del Presidente) in quanto una scelta politica assume sempre
 carattere globale ed e' imputabile all'intero Governo; essa e'  stata
 invece  resa  possibile  per  il  fatto  che, nel caso, non si e' mai
 contraddetto un atto politico del Ministro ma piuttosto la  decisione
 di  adottare,  ovvero l'aver adottato, uno o piu' atti amministrativi
 rientranti nelle funzioni specifiche e costituzionalmente proprie del
 Ministro Guardasigilli.
   Peraltro non sembra che il Presidente del Consiglio possa  proporre
 -  ne' avallare con la controfirma - un decreto presidenziale che e',
 ex se di ben dubbia costituzionalita', come appresso si dira' secondo
 considerazioni che seguono,  considerazioni  che  possono  estendersi
 anche all'atto di proposta.
   Va  infatti  soggiunto  che nel decreto presidenziale si ha modo di
 leggere testualmente che il Presidente della Repubbblica: "Preso atto
 che con l'approvazione di una mozione  di  sfiducia  individuale,  e'
 venuta meno la condizione essenziale e indefettibile della permanenza
 nella  carica  di  Ministro  del  dott.  Filippo Mancuso, ha affidato
 l'incarico ad interim di Ministro di  grazia  e  giustizia  al  dott.
 Lamberto Dini".
   Il che testimonia quanto il Presidente della Repubblica (cosi' come
 del   Presidente  del  Consiglio  proponente)  abbia  abbandonato  il
 tracciato costituzionale senza plausibili giustificazioni  (nel  caso
 ce ne possano essere).
   In  primo luogo, appare evidente l'anomalia di un siffatto decreto,
 solo ponendo attenzione al fatto  che  il  dispositivo  si  limita  a
 nominare   il   Presidente   del   Consiglio,  ad  interim,  Ministro
 guardasigilli senza pero' nulla disporre riguardo al Ministro Mancuso
 in carica e senza decretarne  esplicitamente  la  revoca;  disponendo
 cioe'  soltanto  sulla  base della presa d'atto di una situazione che
 appare di per se' inidonea a produrre gli effetti giuridici che le si
 vogliono attribuire, a termini del testo costituzionale.
   E' noto al riguardo che  la  pronuncia  di  sfiducia  non  comporta
 l'automatico effetto della decadenza dalla carica, ne' per il singolo
 Ministro, ne' per il Presidente del Consiglio e dell'intero Governo.
   Secondo  il dettato costituzionale invece, la pronuncia di sfiducia
 obbliga il Governo alle dimissioni,  che  costituiscono  comunque  un
 atto  spontaneo  ed  una autonoma manifestazione di volonta' da parte
 dell'organo sfiduciato.
   Discutibile e' che lo sia anche il singolo Ministro, colpito da una
 pronuncia politica del Parlamento  pronuncia  che  non  sembra  possa
 allontanarsi da un giudizio globale sull'operato dell'intero Governo.
   Certo  e' che occorre nel caso di specie un atto di dimissioni, che
 qui pero' non e' intervenuto.
   La dottrina si e' a lungo interrogata  sulla  possibilita'  che  il
 rifiuto  di  dimissioni da parte del Presidente del Consiglio, il cui
 Governo sia stato colpito da sfiducia, consenta al  Presidente  della
 Repubblica   di   intervenire  autoritativamente  per  il  ripristino
 dll'ordine  costituzionale  con  un  atto  di  revoca   dell'incarico
 (rectius, di destituzione).
   Ma  tale  ipotesi  suscita  troppe  perplessita'  per ammettere una
 smplice  risposta   positiva:   una   tale   eventualita'   potrebbe,
 probabilmente,  essere  praticata  quanto meno con il supporto di una
 preventiva concertazione con altri organi costituzionali.
   Tanto meno sarebbe ipotizzabile un atto di "revoca"  nei  confronti
 del singolo Ministro.
   Ma  tale ipotesi non puo' trovar conforto in alcun modo, neppure in
 via implicita dal testo della Cosituzione che non prevede affatto ne'
 la sfiducia individuale ne' il conseguente obbligo di dimissioni.
   Peraltro nel caso  presente  non  e'  comunque  intervenuta  alcuna
 proposta,  ne'  alcun  decreto  di  revoca  dallo  incarico, sia pure
 incostituzionalmente illegittimo.  L'unica  indicazione  al  riguardo
 sembra costituita dalla premessa formulata nel preambolo, come "presa
 d'atto"  di  una  circostanza  che,  come  tale, e' insuscettibile di
 produrre l'effetto giuridico della decadenza dall'incarico.
   Dal disposto del decreto si puo' dunque ricavare  soltanto  che  le
 funzioni di Ministro Guardasigilli vengono affidate al Presidente del
 Consiglio:  conseguentemente  l'unica  conseguenza  che  se  ne  deve
 dedurre e' che il Ministro Mancuso sia stato "sospeso" dalle funzioni
 di Guardasigilli, pero' mantenendo la carica di Ministro, cui non  ha
 spontaneamente  rinunciato,  e  dalla  quale non e' stato formalmente
 rimosso, rimanendo cosi' nella  compagine  governativa  in  posizione
 assimilabile a quella del Ministro "senza Portafoglio".
   In conclusione si puo' affermare che:
     1)  la  revoca,  dalla  carica  di Ministro non e' prevista dalla
 Costituzione e non e' percio' ne' legittima ne' possibile;
     2) la revoca, comunque non e' stata pronunciata.
   Purtroppo non si puo' fare a meno,  di  fronte  a  questo  tipo  di
 sortite  parlamentari,  di  supporre  che il vero scopo della mozione
 impugnata e di tutti gli atti che la hanno seguita, sia stato  quello
 di  interferire  con l'attivita' ispettiva disposta dal Ministro, nel
 senso di limitarne la portata e gli effetti, atteso che, come risulta
 dalle  cronache  del  Parlamento,  e'  in  corso  un'aspra  battaglia
 politica   sullo   sfondo  di  procedimenti  giurisdizionali  la  cui
 manomissione potrebbe  forse  ribaltare  le  fortune  di  alcuni  dei
 presentatori della mozione e/o del partito di appartenenza.
   Per  tutti  i suesposti motivi si chiede l'accoglimento del ricorso
 con ogni conseguenza di legge, ivi compreso l'annullamento, da  parte
 di  codesta  ecc.ma  Corte,  degli atti impugnati, in quanto invasivi
 della sfera  di  attribuzioni  conferita  al  Ministro  di  grazia  e
 giustizia  sia  dall'art.  95 che - e soprattutto - dagli artt. 107 e
 110 della Costituzione.
     Roma, addi' 21 ottobre 1995
             Avv. Fabrizio Salberini - avv. Donella Resta
 95C1437