N. 811 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 luglio 1995

                                N. 811
 Ordinanza  emessa  il  25  luglio  1995  dal  giudice  istruttore del
 tribunale di Napoli sul ricorso proposto da Cantone  Vincenzo  contro
 il Ministero delle finanze
 Tributi  in genere - Riscossione di imposta doganale - Non consentita
    sospensione   da   parte   del   giudice    ordinario    investito
    dell'opposizione,    ove   dall'esecuzione   possa   derivare   un
    pregiudizio imminente ed irreparabile -  Lesione  del  diritto  di
    difesa  e  del  principio  della tutela giurisdizionale contro gli
    atti della pubblica amministrazione.
 (D.P.R. 28 gennaio 1988, n. 43, art. 67 e seguenti; c.p.c. art.  700;
    legge 20 marzo 1865, n. 2248, artt. 4 e 5).
 (Cost., artt. 3, 24 e 113).
(GU n.49 del 29-11-1995 )
                          IL GIUDICE ISTRUTTORE
   A  scioglimento della riserva, ha pronunciato la seguente ordinanza
 nel giudizio di  opposizione  ad  ingiunzione  fiscale  vertente  tra
 Cantone Vincenzo ed il Ministero delle finanze.
   Il  ricorrente  ha  chiesto  ex  art.  700  c.p.c.,  nel  corso del
 giudizio, la  sospensione  dell'esecuzione  dell'ingiunzione  fiscale
 emessa nei suoi confronti dall'ufficio doganale di Napoli, in data 18
 gennaio  1995, per l'importo di L. 15.347.529.487, oltre interessi ed
 altre indennita'.
   Sotto il profilo  del  fumus  boni  iuris,  va  rilevato  che,  con
 l'istituzione  ex  d.P.R.  28  gennaio  1988,  n.  43 del servizio di
 riscossione dei tributi e di altre entrate dello Stato e  degli  enti
 pubblici,  e'  stata  prevista,  in  sostituzione del procedimento di
 ingiuzione (tranne che per alcune ipotesi marginali), la  riscossione
 coattiva  dei  crediti  mediante  ruoli  affidata  ai  concessionari,
 scegliendo  quindi  la  formazione  del  ruolo   -   reso   esecutivo
 dall'autorita'  finanziaria  -  come  strumento  unico di riscossione
 comune a quasi tutti i tributi (artt. 67 e segg.).   Per effetto  del
 comma  secondo  dell'art.  130 del citato d.P.R., sono state abrogate
 dal 1 gennaio 1989 (termine poi  differito  al  1  gennaio  1990  dal
 d.ÿ-ÿl. 12 dicembre 1988 convertito in legge 10 febbraio 1989, n. 44)
 le disposizioni che regolano, mediante rinvio al r.d. 14 aprile 1910,
 n.  639,  la  riscossione coattiva dei diritti doganali per cui, come
 rilevato  pure  dai  primi  commentatori  di   detta   legge,   anche
 l'ingiunzione  doganale  e'  stata  sostituita  dalla riscossione dei
 tributi tramite ruolo affidata al nuovo servizio  della  riscossione.
 Ne consegue che l'ingiunzione oggetto dell'opposizione, che riproduce
 lo   schema   del   previgente  sistema  normativo  con  la  espressa
 "comminatoria dell'esecuzione a termine degli artt. 5 e seguenti  del
 r.d.  n. 639/1910" ed il visto di esecutorieta' del pretore, e' stata
 emessa in violazione  di  legge  ed  in  mancanza  di  un  fondamento
 normativo  che  attribuiva  all'organo  amministrativo  il  potere di
 emettere una simile intimazione di pagamento (e  cio'  a  prescindere
 dalla   dubbia  fondatezza  della  pretesa  tributaria  nella  misura
 accertata dalla Guardia di finanza).  Ne' rileva in contrario la tesi
 seguita dal Ministero delle  finanze  nella  circolare  n.  255/1991,
 secondo   cui   l'ingiunzione  potrebbe  valere  solo  come  atto  di
 accertamento e come titolo esecutivo ma  non  anche  come  "prescelto
 prodromico  all'esecuzione  di  cui  al t.u. del 1910 oggi sostituita
 dalla riscossione tramite ruoli".  Pur  seguendo  tale  opinione,  si
 finirebbe   per  riconoscere,  in  sostanza,  la  carenza  di  potere
 dell'ingiunzione nella parte  che  contiene  l'espressa  comminatoria
 dell'esecuzione  ex  r.d.  n.  639/1910;  ed in ogni caso, una simile
 interpretazione, per  il  solo  fatto  di  essere  contenuta  in  una
 circolare ministeriale e condivisa dall'Avvocatura, non vale comunque
 ad escludere - con effetti  formalmente vincolanti versi i terzi - la
 possibilita' giuridica di dar immediata attuazione all'intimazione ad
 adempiere  secondo i termini e le modalita' dell'iter procedurale non
 piu' legittimo,  preannunciato  espressamente  nel  titolo  esecutivo
 impugnato.  Conforta  la  tesi  qui  sostenuta anche la seconda parte
 dell'art. 130 citato che ha imposto la formazione del ruolo  ex  art.
 67  pure a quelle procedure che, alla data di entrata in funzione del
 servizio, avevano avuto inizio ai sensi del r.d. n.  639/1910,  cosi'
 lasciando  intendere  che  anche le ingiunzioni legittimamente emesse
 secondo la previgente disciplina, purche' non sia  stata  operata  la
 riscossione   coattiva,   sarebbero   da   considerarsi   affette  da
 invalidita' sopravvennuta e devono in ogni caso proseguire secondo il
 diverso sistema di riscossione ora previsto.
   Sussiste nel caso concreto anche il periculum in  mora,  in  quanto
 l'esecuzione   dell'ingiunzione,  stante  la  rilevante  entita'  del
 credito   (oltre   15   miliardi),   produrrebbe   notevoli   effetti
 pregiudizievoli per l'opponente il quale si  troverebbe ad affrontare
 immediatamente dei sacrifici, non suscettibili di completa restitutio
 in  integrum,  che finirebbero quindi per incidere non solo sul piano
 strettamente  patrimoniale.  Avuto   riguardo   anche   all'attivita'
 imprenditoriale  dell'istante  e alle dimensioni della stessa, non vi
 e'  dubbio   che   gli   effetti   dell'esecuzione   determinerebbero
 l'impossibilita'  o quanto meno una notevole difficolta' del predetto
 di proseguire la sua attivita' secondo i livelli raggiunti;  il  mero
 rimborso della somma con gli interessi non sarebbe quindi sufficiente
 a  coprire  interamente  il  grave  danno  sofferto dalla parte, che,
 pertanto, non  puo'  non  assumere  carattere  prevalente  anche  nel
 giudizio  di comparazione rispetto al contrapposto interesse pubblico
 alla sollecita riscossione dei tributi.
   L'accoglimento dell'istanza  cautelare  e'  pero'  impedita  da  un
 divieto  normativo  di  carattere  generale  della  cui  legittimita'
 costituzionale deve fondatamente dubitarsi. Infatti, il provvedimento
 d'urgenza  richiesto  determinerebbe  la  momentanea   impossibilita'
 dell'Amministrazione  di  riscuotere l'imposta e finirebbe quindi per
 incidere direttamente sull'azione amministrativa  di  prelievo  della
 finanza,  paralizzandola  o limitandone gli effetti, in contrasto con
 il divieto previsto dagli artt. 4 e 5 legge 20 marzo 1865,  n.  2248,
 giacche'  la  sospensione  in  un  atto  amministrativo  -  quale  e'
 indubbiamente l'ingiunzione fiscale che contiene  l'accertamento  del
 tributo  dovuto  -  si risolve nella modificazione sia pure mediata e
 temporanea dell'efficacia dell'atto stesso.  Secondo  il  consolidato
 insegnamento  giurisdizionale,  infatti,  dal citato art. 4 deriva la
 preclusione  di  un   qualunque   intervento   del   g.o.   sull'atto
 amministrativo  che  incida  sull'esercizio  di potesta' pubbliche, e
 quindi inevitabilmente anche l'impossibilita' che il g.o. ne sospenda
 l'efficacia, a meno che il relativo potere non gli sia conferito  nei
 singoli  casi  espressamente  previsti dalla legge (pt. Corte cost. 1
 aprile 1982, n. 63; Cass. s.u. 4 ottobre 1974, n. 2593).
   Ed il dubbio di costituzionalita' riguarda proprio  la  conformita'
 ai  principi  sanciti  negli  artt.  24  e  113 Cost. di tale divieto
 normativo,   inteso    secondo    la    suindicata    interpretazione
 giurisprudenziale da considerarsi alla stregua del diritto vivente, e
 sicuramente   rilevante   nel   caso   concreto,  stante  l'accertata
 sussistenza di tutti gli altri  presupposti  della  misura  cautelare
 richiesta.
   Al  riguardo, va osservato in primo luogo che non appare pertinente
 al  caso  di   specie   il   richiamo   all'ordinanza   della   Corte
 costituzionale dell'11 marzo 1991, n. 112 la quale, ricollegandosi ad
 altre  analoghe  pronunce,  ha  dichiarato  infondata la questione di
 costituzionalita'  esaminata,  sul  presupposto  che  il  potere   di
 sospensione dall'esazione dei tributi e' attribuito esclusivamente ex
 art.  39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 all'Intendente di finanza e
 che tale potere e' a sua volta  soggetto  al  sindacato  del  giudice
 amministrativo  (v.  anche  Cass.  s.u. 29 novembre 1993, n. 11812; 5
 maggio 1982, n. 903). Deve infatti evidenziarsi che, anche in  virtu'
 di  quanto  poi disposto dall'art. 11 d.-l. n. 151/1991 convertito in
 legge n. 202/1991, la sospensione attribuita  in  via  amministrativa
 all'Intendente  di  finanza e' prevista solo con riferimento ai ruoli
 nell'ambito  della  riscossione  delle  imposte  per  le  quali  deve
 proporsi ricorso davanti alle commissioni tributarie e quindi, stante
 il   preciso  dettato  normativo,  non  puo'  ritenersi  direttamente
 applicabile anche all'ingiunzione fiscale in tema di imposte doganali
 (cfr. Corte cost.  n. 63ÿ/ÿ1982; Cass. n. 2594/1974). Inoltre, pur  a
 voler    considerare    ricompreso    il    potere   di   sospensione
 dell'ingiunzione  doganale   in   quello   generale   di   autotutela
 dell'autorita'  amministrativa  e  pur  ammettendo  l'esistenza di un
 dovere di pronuncia della p.a. sull'istanza  del  debitore,  dovrebbe
 comunque  rilevarsi  che tale potere di sospensione sarebbe privo del
 carattere  dell'esclusivita',  in  mancanza  di  una   indispensabile
 previsione espressa in tal senso, e sarebbe inoltre inadeguato per le
 esigenze di tutela del contribuente, avuto riguardo sia alla mancanza
 di     imparzialita'     dell'organo     amministrativo     (chiamato
 istituzionalmente a privilegiare l'interesse pubblico ed  a  valutare
 la   mera  opportunita'  dell'imposizione),  sia  alla  durata  della
 sospensione stessa che e' limitata temporalmente  alla  decisione  di
 primo  grado  ed  e'  discrezionalmente  revocabile  "ove sopravvenga
 fondato pericolo per la riscossione".
   Sotto altro profilo, poi, non puo' condividersi l'opinione  secondo
 cui,   avverso  l'atto  amminsitrativo  di  rigetto  o  nel  caso  di
 silenzio-rifiuto  della  p.a.,  vi  sarebbe  la  possibilita'  di  un
 controllo  giurisdizionale davanti al giudice amminsitrativo, tale da
 assicurare  una  piena  ed  effettiva   tutela   cautelare   per   il
 contribuente.  Invero,  se  puo'  certamente  condividersi  la giusta
 preoccupazione  di  evitare  al  ricorrente  un  danno  imminente  ed
 irreperabile,  non puo' pero' sottacersi che il g.a., prima ancora di
 verificare la sussistenza del periculum, e' chiamato  a  valutare  il
 fumus  dell'istanza  cautelare  proposta e quindi dovrebbe pur sempre
 rilevare  il  proprio  difetto  di    giurisdizione,  trattandosi  di
 posizione  soggettive  per  le  quali  e'  prevista  la giurisdizione
 esclusiva  del  g.o.  (o  delle   commissioni   tributarie);   stante
 l'indefettibile  nesso  di  strumentalita' che esiste tra il processo
 cautelare e quello di merito, il TAR non potrebbe  estendere  la  sua
 indagine - neppure incidentalmente in via d'urgenza - su controversie
 la   cui   cognizione  di  merito  e'  devoluta  ad  altra  autorita'
 giurisdizionale, violando in caso contrario gli inderogabili  criteri
 di riparto della giurisdizione (cfr. TAR Veneto 15 settembre 1987, n.
 826;  TAR  Toscana ord. 19 marzo 1986, n. 283; Pret. Roma 18 febbraio
 1986). In altri termini, la domanda cautelare  davanti  al  g.a.  non
 puo'  essere  diretta  ad anticipare gli effetti di una decisione che
 spetta alla competenza giurisdizionale di altro giudice,  al    quale
 soltanto  dovrebbe  naturalmente  attribuirsi anche l'esercizio della
 relativa tutela cautelare (cosi' come e' previsto dalla  riforma  sul
 contenzioso  tributario). Del resto, numerose decisioni che ammettono
 in proposito il sindacato del   giudice amminstrativo  limitano  tale
 controllo  ai  vizi  di  legittimita' propri dell'atto amministrativo
 (difetto di motivazione, inadempimento  dell'obbligo  di  provvedere,
 mancata acquisizione delle deduzioni dell'ufficio delle imposte ecc.)
 e  ritengono  comunque  preclusa  al g.a. un'indagine sui presupposti
 sostanziali  dell'accertamento  tributario,  che  comporterebbe   una
 inammissibile  duplicazione  ed  interferenza  con  la  giurisdizione
 ordinaria o tributaria relativamente all'oggetto della  cognizione  a
 questa  riservata  (TAR  Lombardia  15  settembre  1992, n. 1020; TAR
 Toscana 25 marzo 1991, n. 104; CdS. 18 novembre  1989,  n.  792;  TAR
 Lombardia  25  settembre  1989, nn. 374 e 375; TAR Campania 30 giugno
 1987, n. 399). Pertanto, anche  seguende  tale  impostazione  secondo
 cui,  in  sostanza,  si porrebbe solo una questione di ammissibilita'
 del singolo motivo di impugnazione  e  non  dell'intero  ricorso,  la
 conclusione  non sarebbe diversa ai fini che qui interessano, perche'
 in nessun caso potrebbero dedursi davanti al  giudice  amministrativo
 questioni  di  merito attinenti all'essenza del rapporto tributario o
 alla  responsabilita'  patrimoniale  per  il  carico  di  imposta   e
 mancherebbe  quindi  la  possibilita' di ottenere un riesame da parte
 dell'autorita' giurisdizionale, in via cautelare e  diretta,  proprio
 in   ordine  ai  vizi  degli  accertamenti  tributari  relativi  alla
 sussistenza e all'entita' del credito di imposta.
   E cio' senza considerare che, dato il limitato potere di intervento
 ex art. 21 legge n. 1034/1971, il ricorso al g.a.  potrebbe  al  piu'
 determinare  l'annullamento  del  provvedimento di rifiuto e l'ordine
 all'Amministrazione di emettere una nuova pronuncia,  senza  incidere
 pero'  immediatamente  sull'attivita'  di riscossione, con il rischio
 concreto di tempi assi  lunghi  -  specie  nell'potesi  frequente  di
 silenzio  della  p.a.  -  che potrebbero vanificare, sotto il profilo
 pratico,  la   legittima   aspettativa   dell'istante   di   ottenere
 tempestivamente   un  provvedimento  inibitorio  che  neutralizzi  il
 pregiudizio temuto.
   Una volta accertata nella fattispecie la  mancanza  di  un  rimedio
 cautelare  adeguato,  per  superare  i dubbi di costituzionalita' che
 sorgono dal difetto del potere di sospensione del g.o., potrebbe solo
 opporsi che la potesta'  cautelare  non  costituisce  una  componente
 essenziale  della  tutela giurisdizionale ex art. 24 e 113 Cost., nel
 senso che l'effettivita' della tutela giurisdizionale  non  significa
 necessariamente  l'anticipazione  delle  conseguenze della pronuncia,
 data che la soddisfazione della  pretesa  fatta  valere  in  giudizio
 sarebbe asssicurata mediante la restituzionale della somma riscossa e
 non  dovuta.  La  tradizionale  affermazione  della mancata copertura
 costituzionale  della  tutela  cautelare  non  appare  pero'   sempre
 condivisa dalla stessa giurprudenza costituzionale (v. in particolare
 le sentenze nn. 284/1974, 190/1985 e 318/1995) ed e' stata ampiamente
 confutata  dall'elaborazione dottrinale intervenuta in proposito; non
 puo'  infatti  fondatamente dubitarsi che la tutela cautelare - nella
 misura in cui serve a neutralizzare l'irreparabilita' del pregiudizio
 per la parte che ha ragione - sia anch'essa espressione del principio
 generale secondo cui la durata del processo non deve andare  a  danno
 dell'attore,   e   quindi,   poiche'   consente   che   la   funzione
 giurisdizionale  risulti  in  concreto   utile   per   l'interessato,
 costituisce  certamente  un  valore  costituzionalmente  protetto. La
 giustezza di tale conclusione emerge, con tutta  evidenza,  nel  caso
 concreto dove risulta clamorosamente smentita la presunta equivalenza
 tra  la  restituzione  della  somma  riscossa  illegittimamente  e la
 soddisfazione  della  pretesa  fatta  valere  in  giudizio.  La  mera
 restituzione  della  notevole somma ingiunta, all'esito del processo,
 non servirebbe certamente a  rendere piena giustizia all'istante  ne'
 a  ripristinare  integralmente  la  situazione  iniziale, perche' non
 potrebbe comunque annullare i diversi e gravi effetti pregiudizievoli
 che  l'esecuzione  coattiva  dell'ingiuzione   determinerebbe   medio
 tempore  anche  sui  bisogni  primari  dell'opponente,  con  una loro
 irreversibile  compromissione;  in  altri  termini,  i  riflessi   di
 un'eventuale   esecuzione   dell'ingiuzione  esorbitano  dal  profilo
 strettamente  monetario  e   renderebbero   pertanto   la   pronunzia
 favorevole di merito non interamente satisfattiva di tutto quello che
 l'attore aveva diritto a conseguire.
   Ne'  peraltro  e'  dato ravvisare una valida ragione giustificativa
 della  netta  disparita'  di  trattamento  rispetto  alla  disciplina
 normativa  delle  altre  imposte,  non  essendo  prevista  per quelle
 doganali una graduazione dell'eseguibilita' forzata  in  pendenza  di
 contenzioso  come  per  gli  altri tributi, per i quali inoltre sara'
 possibile azionare  direttamente  il  ben  piu'  incisivo  potere  di
 sospensione  cautelare  davanti  alle commissioni tributarie ex artt.
 47 e 71 d.-lgs. 31 dicembre 1993, n. 546. Sul punto,  particolarmente
 significativa per le analogie che presente rispetto al caso concreto,
 risulta  la  recentissima  sentenza della Corte costituzionale n. 318
 del 28 giugno/13  luglio  1995  che  ha  dichiarato  l'illegittimita'
 dell'art.    1 legge 13 dicembre 1928, n. 3233, per contrasto con gli
 artt. 3 e 24, nella parte in cui, richiamando le norme in vigore  per
 la   riscossione   della   imposte  dirette,  impediva  all'autorita'
 giurisdizionale  ordinaria  di  sospendere  l'esecuzione  dei   ruoli
 esattoriali relativi ad entrate di natura non tributaria. La Corte ha
 ravvisato  una  disparita'  di  trattamento "dal punto di vista della
 difesa giurisdizionale alla cui maggiore intensita' concorre comunque
 anche  la  tutela  cautelare",  osservando  che  l'esclusione   della
 sospensione cautelare, nell'ambito della tutela giurisdizionale, puo'
 considerarsi  legittima  solo se ispirata a motivi di ragionevolezza,
 che  non  stati  ritenuti  sussistenti  nella  fattispecie  esaminata
 proprio   per   la  mancanza  di  un  sistema  di  graduazione  della
 realizzazione del credito che avrebbe potuto "bilanciare  la  mancata
 previsione   di   misura   cautelari  giurisdizionali"  (evidenziando
 altresi' che nella recente riforma del  contenzioso  tributario,  sia
 pure  non  ancora  operante,  e'    contemplato il potere del giudice
 tributario di sospendere l'esecuzione  dell'atto,  quando  da  questo
 possa derivare un danno grave ed irreparabile al contribuente).
   In  conclusione,  la  preclusione per il g.o. di sospendere ex art.
 700  c.p.c.  l'ingiuzione  in  esame  non  deriva  dalla   disciplina
 normativa prevista per la riscossione delle imposte che non si occupa
 della  tutela  giurisdizionale ne' esclude specificatamente il potere
 di  sospensione del g.o. dell'ingiuzione doganale, bensi' dal divieto
 generale previsto dall'art. 4 legge 20 marzo 1865, n.  2248  (in  tal
 senso  cfr.  Cass.  s.u. n. 2593/1974) ed e' appunto tale divieto che
 deve considerarsi,  nella  sua  applicazione  al  caso  concreto,  in
 contrasto  con i principi costituzionali previsti dagli artt. 3, 24 e
 113 della Costituzione. Del resto, tutti i profili di  illegittimita'
 costituzionale  sopra esposti sarebbero fondati anche se si ritenesse
 che il divieto di sospensione  scaturisce  dagli  artt.  67  e  segg.
 d.P.R.    n.  43/1988,  39, 53 e 54 d.P.R. n. 602/1973 o dall'art. 11
 d.-l.  n.  151/1991,  e   se   conseguentemente   le   questioni   di
 costituzionalita' dovessero riferirsi a tali disposizioni normative.
   Va  infine  rilevato che non si ravvisa la necessita' di sospendere
 l'intero procedimento, posto che la risoluzione  della  questione  di
 incostituzionalita'  non  e' destinata ad esercitare alcuna influenza
 sulla definizione del giudizio di merito ma  riguarda  esclusivamente
 il  subprocedimento  relativo  all'istanza  cautelare (proposta fuori
 udienza) e si esaurisce all'interno dello stesso; pertanto, anche  al
 fine  di  evitare  che  dalla  denuncia  dei  dubbi  di  legittimita'
 costituzionale  sopra  esposti  derivino  effetti  sproporzionati   e
 pregiudizievoli   per   l'interesse  delle  parti  ad  una  sollecita
 definizione della lite, deve disporsi  la  sospensione  soltanto  del
 presente   procedimento   indicentale,   potendo   invece  proseguire
 regolarmente quello principale di merito per il  quale  risulta  gia'
 fissata la successiva udienza di trattazione.
                                P. Q. M.
   Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 legittimita' costituzionale degli  artt.  67  e  seguenti  d.P.R.  n.
 43/1988,  700  c.p.c.,  4  e  5  legge  20  marzo  1865,  n. 2248, in
 riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, nella parte in
 cui non consentono al giudice ordinario, investito dell'opposizione a
 pretesa tributaria relativa alla riscossione di imposta doganale,  di
 sospendere   l'esecuzione   del   provvedimento  amministrativo,  ove
 dall'esecuzione stessa possa derivare  un  pregiudizio  imminente  ed
 irreparabile;
   Dispone   la   trasmissione   di   copia   degli  atti  alla  Corte
 costituzionale e la sospensione del procedimento incidentale relativo
 all'istanza  cautelare  ex  art.  700  c.p.c.,   rinviando   per   la
 trattazione  della  causa  di  merito all'udienza gia' fissata del 17
 ottobre 1995;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata  alle  parti,  al Presidente del Consiglio dei Ministri, e
 sia comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
     Napoli, addi' 25 luglio 1995.
                    Il giudice istruttore:  Magliulo
 95C1472