N. 488 SENTENZA 8 - 20 novembre 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Miniere, cave e  torbiere  -  Regione  Toscana  -  Agri  marmiferi  -
 Concessioni  -  Disciplina  -  Patrimonio  indisponibile dei comuni -
 Potere  di  approvazione   da   parte   della   regione   -   Mancata
 specificazione  del  criterio  del  calcolo del canone - Durata delle
 concessioni - Non fondatezza.
 
 (Legge regione Toscana riapprovata il 28 febbraio 1995).
 
 (Cost., art. 117).
(GU n.49 del 29-11-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
   Presidente:  avv. Mauro FERRI;
   Giudici:   prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato
 GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
 Toscana  riapprovata  il  28  febbraio  1995  dal Consiglio regionale
 avente per oggetto: "Disciplina degli agri  marmiferi  di  proprieta'
 dei  Comuni  di Massa e Carrara", promosso con ricorso del Presidente
 del Consiglio dei ministri, notificato il 20 marzo  1995,  depositato
 in  cancelleria  il  27  successivo ed iscritto al n. 14 del registro
 ricorsi 1995;
   Visto l'atto di costituzione della Regione Toscana;
   Udito nell'udienza pubblica del 17 ottobre 1995 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
   Udito  l'Avvocato  dello  Stato  Giuseppe  Orazio  Russo   per   il
 ricorrente, e l'avv. Vito Vacchi per la Regione.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso  notificato  il 20 marzo 1995 il Presidente del
 Consiglio  dei  ministri  ha  sollevato  questione  di   legittimita'
 costituzionale  della  legge della Regione Toscana riapprovata, senza
 modifiche, dal Consiglio regionale  il  28  febbraio  1995,  recante:
 "Disciplina  degli agri marmiferi di proprieta' dei Comuni di Massa e
 Carrara", per violazione dell'art. 117 Cost. in quanto  non  conforme
 ai  principi fondamentali stabiliti dalle leggi statali in materia di
 cave, nella quale la competenza legislativa delle regioni e' di  tipo
 concorrente.
   Il  ricorso riproduce il telex in data 2 novembre 1994 col quale il
 Governo aveva rinviato a nuovo esame del Consiglio regionale la prima
 delibera legislativa in argomento perche': 1) dettando  principi  cui
 dovranno  attenersi  i  Comuni di Massa e Carrara nell'emanazione dei
 regolamenti di propria competenza ai sensi  dell'art.  64  del  regio
 decreto  29  luglio  1927,  n. 1443 (legge mineraria), essa altera il
 procedimento espressamente previsto per le concessioni marmifere site
 in  tali  Comuni  dal  citato  art.  64,  secondo  cui  per  i  detti
 regolamenti   comunali   e'  richiesta  unicamente  una  approvazione
 successiva,  senza  alcuna  previsione  di  criteri  preventivi;   2)
 disciplinando  genericamente  la  concessione  per coltivazione degli
 agri marmiferi di proprieta' dei Comuni di  Massa  e  Carrara,  e  in
 particolare   prevedendo   la   temporaneita'  e  l'onerosita'  delle
 concessioni, che in base alla  legislazione  vigente  sono  perpetue,
 incide  su  diritti  reali immobiliari preesistenti, disciplinati con
 normativa speciale risalente alla legislazione preunitaria (Editto di
 Maria Teresa del 1 febbraio 1751 e Decreto  di  Francesco  V  del  19
 novembre 1846).
   2.1.  - Si e' costituita in giudizio la Regione Toscana concludendo
 per una dichiarazione di infondatezza della questione.
   La difesa della Regione  espone  anzitutto  le  linee  fondamentali
 della  legislazione statale e regionale in materia di miniere, cave e
 torbiere, nell'ambito della quale e' riservata alle cave di marmo  di
 proprieta'  dei  Comuni  di  Massa  e Carrara una posizione speciale,
 essendo  prevista  dall'art.  64  della  legge  mineraria  del   1927
 l'emanazione di regolamenti comunali (soggetti all'approvazione della
 Regione)  per  la  disciplina  della  concessione dei rispettivi agri
 marmiferi, e dovendosi  ritenere  che  fino  all'emanazione  di  tali
 regolamenti,   finora   mancata,  rimanga  in  vigore  la  precedente
 disciplina delle leggi estensi improntata a principi  e  istituti  di
 diritto  privato.  Tuttavia il rapporto di concessione presenta anche
 rilevanti aspetti  pubblicistici,  collegati  all'appartenenza  degli
 agri  marmiferi  al  patrimonio indisponibile dei detti Comuni e alle
 finalita' di interesse  pubblico  che  qualificano  i  beni  di  tale
 natura.  La  giurisprudenza  della  Corte  di  cassazione  ha  sempre
 affermato la necessita' di coordinamento delle leggi  estensi  con  i
 principi  della  legge  mineraria,  riconducendo  le concessioni allo
 schema pubblicistico della concessione-contratto.  La  giurisprudenza
 amministrativa ha inoltre riconosciuto la legittimita' dell'esercizio
 da parte del Comune di poteri pubblicistici di autotutela, incluso in
 certi casi il potere di caducazione delle concessioni.
   Con  la legge impugnata, resa tanto piu' necessaria dall'allarmante
 fenomeno (ignoto al  legislatore  estense)  delle  subconcessioni  di
 fatto  delle  attivita'  di  cava  del  marmo, la Regione Toscana, in
 considerazione dell'enorme importanza  economica  dello  sfruttamento
 degli  agri  marmiferi nelle Alpi apuane e della loro rilevanza anche
 dal punto di vista paesaggistico ed ambientale, ha dettato i  criteri
 alla  cui  osservanza  e'  subordinata  l'approvazione  regionale dei
 regolamenti comunali previsti dall'art. 64 della legge del  1927.  La
 legge   si   limita  a  recepire  i  principi  gia'  elaborati  dalla
 giurisprudenza,  in  particolare  riportando  il  regime  degli  agri
 marmiferi a quello delle cave pubbliche, soggette alle regole proprie
 delle  concessioni di beni patrimoniali indisponibili. Essa esplicita
 poi il vincolo degli emanandi regolamenti comunali al rispetto  della
 normativa   urbanistica,   ambientale,  paesaggistica,  idrogeologica
 vigente, in guisa da assicurare un equo contemperamento  dei  diversi
 interessi in gioco.
   2.2. - Quanto al merito delle censure governative, alla prima - con
 cui  si  eccepisce  un  preteso  contrasto  con l'art. 64 della legge
 mineraria che  prevede  unicamente  un'"approvazione"  successiva  da
 parte  della Regione - quest'ultima replica che tale approvazione non
 integra la fattispecie formativa del regolamento comunale, ma  e'  un
 atto  autonomo di controllo, onde la Regione ben puo', senza alterare
 il   procedimento   previsto   dalla   legge    statale,    stabilire
 preventivamente i criteri ai quali si atterra' nell'esercizio di tale
 funzione,  devolutale  dall'art.  62  del  d.P.R. n. 616 del 1977, in
 armonia con i principi dettati in materia  di  rapporti  regione-enti
 locali dalla recente legge di riforma delle autonomie locali 8 giugno
 1990, n. 142.
   La  seconda  censura  imputa  alla  legge  regionale di incidere su
 diritti reali  immobiliari  preesistenti,  acquistati  in  base  alla
 legislazione  estense. Essa implica - osserva la Regione - la pretesa
 di immodificabilita' della legislazione estense in  aperto  contrasto
 con   l'interpretazione  dell'art.  64,  ultimo  comma,  della  legge
 mineraria accolta dalla dottrina e dalla giurisprudenza, secondo  cui
 i  regolamenti comunali ivi previsti hanno la funzione di adeguare la
 vecchia normativa al sistema del diritto pubblico attuale.
   La  regola  dell'onerosita'  delle  concessioni   e'   prevista   e
 sanzionata  anche  dalla  legislazione estense, ma con un criterio di
 commisurazione al reddito agrario del terreno che  abbassa  l'entita'
 del  canone  a  cifre  irrisorie.  Siffatto  criterio non e' certo un
 principio fondamentale e inderogabile dell'ordinamento  statale.  Sul
 punto, peraltro, la legge regionale non dispone alcunche', rimettendo
 all'autonomia  comunale  la scelta del criterio di determinazione dei
 canoni, tenuto conto che l'onerosita' e' un principio fondamentale di
 tutte  le  concessioni  di  beni   patrimoniali   indisponibili.   La
 commisurazione  dei canoni a criteri di economicita' e' espressamente
 prevista dall'art. 32, comma 8, della legge finanziaria  23  dicembre
 1994, n. 724.
   Anche  la  temporaneita'  delle  concessioni,  conforme ai principi
 generali del nostro ordinamento attuale e in particolare all'art.  21
 della legge mineraria, si fonda sulla  necessita'  di  razionalizzare
 una  situazione  che  e'  sfuggita  ad ogni controllo pubblico con il
 rischio  concreto  di  speculazioni  e   subconcessioni   di   fatto.
 Naturalmente  tale esigenza va contemperata con i legittimi interessi
 degli imprenditori che investono nell'attivita', il che potra' essere
 assicurato dai Comuni prevedendo una congrua durata delle concessioni
 e diritti di prelazione per il relativo rinnovo.
   Cio' che non si puo' ammettere, osserva conclusivamente la Regione,
 e' la concessione  in  perpetuo  e  a  titolo  gratuito  di  un  bene
 appartenente  al  patrimonio  indisponibile di un ente pubblico: essa
 attribuirebbe  in  sostanza  al  privato  concessionario  una  "quasi
 proprieta'" in contraddizione col regime dei beni pubblici.
                        Considerato in diritto
   1. - Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato la legge
 della  Regione  Toscana  riapprovata  senza  modifiche il 28 febbraio
 1995, per contrarieta' all'art. 117 Cost. sotto due profili:
     a) perche' stabilisce in via preventiva alcuni principi, ai quali
 dovranno uniformarsi i regolamenti che saranno emanati dai Comuni  di
 Massa  e  Carrara,  ai sensi dell'art. 64, ultimo comma, del r.d.  29
 luglio  1927,  n.  1443  (legge  mineraria),  per   disciplinare   le
 concessioni  degli  agri  marmiferi  rispettivamente  appartenenti ai
 patrimoni indisponibili dei detti Comuni, laddove la  norma  statale,
 modificata  dall'art.    62,  secondo  comma,  lett. c) del d.P.R. 24
 luglio 1977, n. 616, conferisce alla Regione soltanto  un  potere  di
 approvazione (successiva);
     b)  perche',  disciplinando  genericamente  le  concessioni, e in
 particolare  prescrivendone  la  temporaneita'  e  l'onerosita',  non
 rispetta  i  diritti (reali) di concessione perpetua (recte: a durata
 indeterminata  e  non  revocabile  se  non  per  cause  di  decadenza
 tassativamente previste) spettanti agli attuali concessionari in base
 a una disciplina speciale risalente alla legislazione estense (Editto
 di  Maria  Teresa  Cybo Malaspina del 1 febbraio 1751 e Notificazioni
 governatoriali del 14 luglio e del 3 dicembre 1846).
   2. - Le questioni non sono fondate.
   La censura sub a), che imputa alla Regione di esorbitare dalle  sue
 funzioni di controllo entrando nel campo dell'amministrazione attiva,
 trascura la precisazione contenuta nelle premesse della deliberazione
 n.  115,  portante  la medesima data del 28 febbraio 1995, con cui il
 Consiglio regionale ha approvato il regolamento n.  88  adottato  dal
 Comune  di  Carrara il 29 dicembre 1994. La legge regionale impugnata
 si e' proposta di "fissare apposite  regole  per  l'approvazione  dei
 regolamenti  degli  agri  marmiferi  dei  Comuni di Massa e Carrara":
 destinatario diretto delle sue prescrizioni non e' il Comune,  ma  lo
 stesso   Consiglio   regionale   in   quanto  organo  competente  per
 l'approvazione dei regolamenti comunali (art. 2, primo comma,  n.  3,
 lett. a della legge reg. 22 luglio 1978, n. 46).
   Niente  vieta - e anzi risponde a criteri di certezza del diritto e
 di economia dell'attivita'  giuridica  -  che  l'autorita'  investita
 della funzione di approvazione di determinati atti prestabilisca (con
 un  provvedimento  che  nella  specie  rimane esterno al procedimento
 previsto dall'art. 64, e quindi non  lo  altera)  alcuni  criteri  di
 valutazione  ai  quali  si  atterra'  nell'esercizio  della funzione.
 Certo, dalla legge in esame deriva indirettamente un onere ai  Comuni
 di  Massa  e  Carrara,  nel  senso  che,  per ottenere l'approvazione
 regionale, dovranno uniformare i regolamenti ai criteri indicati.  Ma
 questo  rilievo  dimostra  soltanto  che  la vera questione e' quella
 formulata sub b): importa, cioe', accertare, in  primo  luogo,  se  i
 criteri di cui si controverte siano rispettosi dei principi stabiliti
 dalle  leggi  dello  Stato,  in  secondo luogo, ove comportino limiti
 all'autonomia dei due Comuni, se tali limiti  siano  giustificati  da
 interessi   comunali,   in   rapporto   alle   caratteristiche  della
 popolazione e del territorio, che la legge regionale,  competente  in
 materia  di cave, ha il compito di identificare ai sensi dell'art. 3,
 comma 2, della legge 8 giugno 1990, n. 142.
   3. - La censura sub  b)  e'  fondata  su  un'interpretazione,  solo
 apparentemente   conforme   alla   giurisprudenza   della   Corte  di
 cassazione, secondo cui l'art. 64, ultimo comma, del regio decreto n.
 1443  del  1927,  in  deroga  al  primo  comma,  avrebbe   conservato
 definitivamente  in  vigore  la  legislazione speciale estense con il
 limite del coordinamento  -  affidato  al  potere  regolamentare  dei
 Comuni interessati - col sistema della legge mineraria.
   Questa   interpretazione   e'   insostenibile.   Una   parte  della
 legislazione estense e' incompatibile con i  principi  fissati  dalla
 legge  dello  Stato, e percio' non coordinabile con quest'ultima. Per
 esempio, alla regola della perpetuita' della concessione,  confermata
 dall'art.   2, n. 13, lett. d) della Notificazione governatoriale del
 14 luglio 1846, si oppone il principio della temporaneita'  stabilito
 dall'art.    21 della legge mineraria, applicabile anche alle cave in
 regime di concessione  ai  sensi  dell'art.  45,  secondo  comma;  il
 divieto  di  alienazione  della  concessione  o  di  cessione del suo
 esercizio senza l'autorizzazione dell'amministrazione  concedente  e'
 sanzionato  nella  legge  estense  soltanto  col potere del Comune di
 risolvere il contratto col concessionario per  inadempimento,  mentre
 nella  legge  mineraria  (art.  27)  e'  sanzionato  anzitutto con la
 nullita' dell'atto di alienazione o di cessione,  e  l'esperienza  ha
 dimostrato   la  scarsa  efficacia  della  norma  estense  contro  il
 fenomeno, largamente diffuso, delle subconcessioni abusive, che hanno
 trasformato gli originari concessionari in meri percettori di lucrose
 rendite di posizione.
   In generale i due sistemi si differenziano profondamente in  ordine
 al   perseguimento   delle   finalita'   di  interesse  pubblico.  La
 legislazione  estense  e'  improntata  a  schemi  privatistici,   che
 assimilano  il  diritto  del  concessionario  all'enfiteusi,  con  la
 differenza pero' della mancanza dell'obbligazione  di  migliorare  il
 fondo  (e  del diritto di affrancazione):  le modalita' tecniche e la
 misura dello sfruttamento  della  cava  sono  rimesse  in  definitiva
 all'arbitrio  del  concessionario,  al di fuori di ogni controllo del
 Comune sulla sua attivita'. L'interesse generale della  collettivita'
 fruisce  di  una  tutela  solo indiretta e mediata, ma - come nota la
 relazione presentata il 16 agosto 1955 dalla commissione  di  esperti
 nominata dal Comune di Carrara (pag. 21) - attraverso norme (quale la
 sanzione  facoltativa  di  caducita'  della  concessione  nei casi di
 alienazione o cessione di esercizio non autorizzata o di inoperosita'
 della cava per un biennio) "inadeguate a soddisfare le  esigenze  del
 pubblico  interesse  connesse con la coltivazione delle cave, perche'
 non   ne   assicurano  la  continua  attivita'  e  lo  sviluppo,  ne'
 garantiscono il diritto del Comune alla integrita' del suo patrimonio
 ed alla  inalienabilita'  delle  cave,  contro  le  usurpazioni  e  i
 trasferimenti  illegittimi  delle  concessioni  e  gli altri abusi da
 parte dei privati".
   Al contrario, la disciplina delle cave nella  legge  mineraria  del
 1927,  al  pari di quella delle miniere, ha un'impronta schiettamente
 pubblicistica, direttamente ordinata a fini di  utilita'  generale  e
 comportante  l'assoggettamento  della  coltivazione  della  cava alla
 vigilanza della pubblica amministrazione tendente a  controllare  che
 essa  si svolga con modalita' tecniche e con mezzi economici adeguati
 (cfr.  sentenze  nn.  20  del  1967  e  7  del  1982),  con   obbligo
 dell'imprenditore  -  sia lo stesso proprietario del suolo o il terzo
 concessionario nel caso previsto dall'art. 45,  secondo  comma  -  di
 mettere   a  disposizione  dei  funzionari  delegati  tutti  i  mezzi
 necessari per ispezionare i lavori (art. 29, richiamato per  le  cave
 dall'art.  45, ultimo comma).  La valutazione espressa dalle sentenze
 citate con riguardo al diritto del proprietario del fondo, che  abbia
 conservato  la disponibilita' della cava, e' riferibile anche al caso
 di coltivazione della  cava  ad  opera  di  un  terzo  in  regime  di
 concessione  (analogo al regime minerario): sebbene nella concessione
 amministrativa si innesti un contratto, il diritto reale di godimento
 che ne deriva e' "attribuito con i limiti  impressi  dalla  rilevanza
 pubblica  del  bene",  i  quali  "si  inseriscono nella struttura del
 diritto ... vincolandolo indissolubilmente a un esercizio che  svolga
 quella  funzione  d'interesse  generale  cui  la cava e', di per se',
 destinata".
   Si aggiunga che nel nuovo ordinamento costituzionale e' emerso, con
 rilevanza crescente,  un  altro  interesse  generale,  col  quale  la
 prosecuzione  delle  attivita'  estrattive  deve  armonizzarsi, cioe'
 l'interesse alla salvaguardia del territorio e dell'ambiente. Per  la
 tutela  di  questo  interesse la legge 29 novembre 1971, n. 1097, con
 una norma avente valore di principio, ha riconosciuto e fatta "salva,
 per tutta la materia afferente le cave, la competenza  della  Regione
 ad  emanare  apposite  norme  legislative"  (art.  3,  terzo  comma),
 ammettendo  cosi'  "interventi  regionali  legislativi   (e   percio'
 amministrativi)  regolanti  l'attivita'  estrattiva e trascendenti il
 quadro della legislazione nazionale fino allora vigente" (sentenza n.
 7 del 1982, cit.). Nell'ambito di questa  competenza  si  legittimano
 l'art.  2, comma 4, della legge regionale in esame, nonche' l'art. 3,
 il quale tiene ferma in via transitoria,  fino  all'approvazione  del
 regolamento   comunale   di  cui  all'art.  1,  la  soggezione  della
 coltivazione   degli   agri   marmiferi   di    Massa    e    Carrara
 all'autorizzazione  del  Comune prescritta dall'art.   11 della legge
 reg. 30  aprile  1980,  n.  36  (cfr.,  con  riferimento  all'analoga
 disposizione della legge della Regione Piemonte, 22 novembre 1978, n.
 69, sentenza n. 499 del 1988).
   La   diversa   impostazione   dei   due   sistemi  e  la  reciproca
 inadattabilita' di nuclei fondamentali  delle  rispettive  discipline
 escludono che l'art. 64, terzo comma, del r.d. n. 1443 del 1927 possa
 essere  interpretato  come  norma  recettizia  dell'ordinamento delle
 leggi estensi, nel quale i  futuri  regolamenti  comunali  dovrebbero
 inserirsi  rispettandone  le  linee  essenziali (cfr. relazione cit.,
 pagg. 6, 47). L'art.  64  ha  mantenuto  in  vigore  la  legislazione
 preunitaria  solo  in via transitoria, fino al giorno dell'entrata in
 vigore dei detti  regolamenti:  ai  Comuni  di  Massa  e  Carrara  e'
 attribuito  un potere regolamentare autonomo, con efficacia analoga a
 quella della legge - e quindi abilitato anche a incidere sui rapporti
 privati - in funzione  di  un  rinnovamento  della  disciplina  della
 coltivazione  delle  cave  in conformita' della legge mineraria e nei
 limiti della  legislazione  regionale  protettiva  del  territorio  e
 dell'ambiente.
   4.1.  -  Venendo ora all'analisi del secondo motivo di impugnativa,
 esso  formula  una  censura   di   genericita'   delle   disposizioni
 denunciate,  riferita  ai  requisiti di onerosita' e di temporaneita'
 delle concessioni (art. 2, comma 1), la quale si tradurrebbe  in  una
 violazione dei principi di diritto intertemporale che garantiscono il
 rispetto  dei  diritti quesiti o - secondo la teoria piu' moderna dei
 fatti compiuti - la conservazione della disciplina precedente  per  i
 rapporti in corso radicati nel passato.
   In  relazione  al  primo requisito la censura non e' chiara, atteso
 che l'onerosita' e' una regola comune alla legge estense e alla legge
 mineraria del 1927. Forse il  ricorrente  si  duole  per  la  mancata
 specificazione  del  criterio di calcolo del canone, che per entrambe
 le leggi e' la proporzione alla rendita del soprassuolo  (cioe'  alla
 rendita agraria, pressoche' nulla, del terreno che delimita la cava),
 in  guisa  da  precludere ai Comuni proprietari delle cave l'adozione
 del criterio della proporzione alla rendita del sottosuolo, cioe'  al
 valore  venale  dei  marmi  escavati.  Ma allora va obiettato: che il
 criterio di calcolo di cui all'art. 25 della legge mineraria  non  e'
 coessenziale   al  principio  dell'onerosita',  e  percio'  non  puo'
 ritenersi un principio fondamentale della legge dello Stato nel senso
 dell'art. 117 Cost.; che  tale  criterio,  previsto  dalla  legge  in
 vigore   al  tempo  della  concessione  come  norma  integrativa  del
 regolamento  contrattuale,  puo'  essere  modificato  da  una   legge
 successiva,  con  effetto  ex  nunc e salvo il diritto di disdetta da
 parte del concessionario; che, infine,  l'art.  32,  comma  8,  della
 legge  23  dicembre 1994, n. 724, ha disposto che, "a decorrere dal 1
 gennaio 1995, i canoni annui per i beni  appartenenti  al  patrimonio
 indisponibile  dei  comuni sono, in deroga alle disposizioni di legge
 in vigore, determinati dai comuni in  rapporto  alle  caratteristiche
 dei  beni,  ad  un valore comunque non inferiore a quello di mercato,
 fatti salvi gli scopi sociali". A questa regola i Comuni di  Massa  e
 Carrara  devono fin d'ora uniformarsi, indipendentemente dall'entrata
 in vigore dei regolamenti piu' volte ricordati.
   4.2. - Quanto al requisito della temporaneita',  occorre  precisare
 preliminarmente  che  la  disciplina delle cave in concessione non e'
 soggetta alla norma di diritto  intertemporale  di  cui  all'art.  53
 della  legge  mineraria, secondo cui "le concessioni e le investiture
 di miniere date senza limite di tempo, in base alle leggi fino ad ora
 vigenti, sono mantenute come concessioni perpetue,  quando  per  esse
 non  siasi incorso in motivi di decadenza". L'art. 45, secondo comma,
 richiama soltanto le norme  contenute  nel  titolo  II  del  decreto,
 mentre  l'art.  53  e'  collocato  nel  titolo  VI. Inoltre l'origine
 storica e  la  ratio  della  norma,  introdotta  per  le  concessioni
 perpetue  di miniere nelle regioni in cui vigevano la legge sarda del
 1859 e la legge lucchese  del  1847,  ne  escludono  l'applicabilita'
 anche per analogia.
   Cio'   non  significa  che  la  regola  della  temporaneita'  delle
 concessioni,  che  i  regolamenti  dei  Comuni  di  Massa  e  Carrara
 introdurranno  in  ossequio  al  principio  dell'art.  21 della legge
 mineraria, avra' incondizionatamente efficacia  immediata  anche  sui
 rapporti  di  concessione  in  corso,  costituiti come perpetui sotto
 l'impero della legislazione estense.  Sebbene  l'efficacia  immediata
 della  nuova legge non sia una forma di retroattivita', nel campo dei
 rapporti    contrattuali    (nella    specie     si     tratta     di
 concessioni-contratto)  essa  non  opera  in  linea  di principio, ma
 soltanto  se  cosi'  dispone  la   legge   sopravvenuta   (altrimenti
 sopravvive  la  disciplina  precedente,  la  nuova  dovendosi  allora
 intendere riferita ai soli contratti futuri),  nell'esercizio  di  un
 potere discrezionale limitato dal criterio della ragionevolezza (cfr.
 sentenze nn. 306 del 1993, 822 del 1988). L'attribuzione di efficacia
 immediata  alla  nuova  legge  sui  rapporti pendenti, in relazione a
 modalita' qualificanti del loro contenuto come la clausola di  durata
 perpetua,  deve essere giustificata da esigenze di pubblico interesse
 o di  ordine  pubblico,  emergenti  nel  caso  in  discussione  dalla
 denunciata   degenerazione   della   perpetuita'   -  originariamente
 apprezzata dal legislatore  estense  come  incentivo  dell'iniziativa
 privata ai fini dello sfruttamento razionale dei giacimenti marmiferi
 -  in  una  causa  di inoperosita' dei concessionari e di correlativo
 incremento delle subconcessioni abusive; tenuto conto anche del fatto
 che in molti casi di  subconcessione  non  autorizzata  l'azione  del
 Comune  per  far pronunciare la decadenza del concessionario e' ormai
 prescritta, essendo in sostanza un'azione di impugnativa negoziale.
   Non viene, invece, in  considerazione  il  limite  dell'obbligo  di
 indennizzo,   posto   che   l'assoggettamento   alla   regola   della
 temporaneita' anche dei rapporti pendenti  non  comporta  revoca,  ma
 rinnovo  della  concessione  in  favore  del medesimo concessionario,
 secondo la disciplina stabilita dal regolamento.
   La  genericita'  della  legge  regionale,  a  torto  censurata  dal
 Governo,  ha il pregio di lasciare impregiudicate le condizioni - che
 dovranno concretamente  essere  valutate  dai  Comuni  nell'esercizio
 della  potesta'  regolamentare  di cui sono investiti - alle quali il
 principio  della  temporaneita'  della  concessione  avra'  efficacia
 immediata anche sulla disciplina delle concessioni in corso alla data
 di entrata in vigore dei regolamenti.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondate  le questioni di legittimita' costituzionale
 della legge della Regione Toscana riapprovata  il  28  febbraio  1995
 (Disciplina  degli agri marmiferi di proprieta' dei Comuni di Massa e
 Carrara), sollevata, in riferimento all'art. 117 della  Costituzione,
 dal Presidente del Consiglio dei ministri col ricorso in epigrafe.
      Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale,
                                Palazzo
 della Consulta, l'8 novembre 1995.
                         Il Presidente:  Ferri
                         Il redattore:  Mengoni
                       Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in cancelleria il 20 novembre 1995.
               Il direttore della cancelleria:  Di Paola
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