N. 858 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile - 21 novembre 1995
N. 858 Ordinanza emessa il 7 aprile 1995 (pervenuta alla Corte costituzionale il 21 novembre 1995) dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dall'I.N.P.S. contro Zamuner Mario Previdenza e assistenza - Integrazioni al minimo di pensioni previdenziali - Somme erogate in eccedenza rispetto alla misura dovuta - Ripetibilita' incondizionata anche in deroga ai limiti vigenti all'epoca della percezione delle somme stesse e pur in presenza della buona fede del percipiente - Deteriore trattamento dei pensionati percettori in buona fede di indebiti trattamenti di integrazione al minimo rispetto alla piu' favorevole disciplina delle altre ipotesi di indebito pensionistico relativo alle pensioni previdenziali e alle pensioni di ex dipendenti pubblici - Incidenza sulla garanzia previdenziale. (D.-L. 12 settembre 1983, n. 463, art. 6, comma 11-quinquies, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638). (Cost., artt. 3 e 38, secondo comma).(GU n.51 del 13-12-1995 )
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dall'I.N.P.S., in persona dal legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliato in Roma, via della Frezza n. 17, presso gli avv.ti Pasquale Vario, Giorgio Starnoni, Fabrizio Ausenda, Giuseppe Gigante che lo rappresentano e difendono giusta procura in calce al ricorso: ricorrente contro Zamuner Mario elettivamente domiciliato in Roma, via Cola di Rienzo n. 28, presso l'avv. Salvatore Cabibbo che lo rappresenta e difende giusta procura speciale in calce alla copia notificata dal ricorso: resistenza con procura per l'annullamento della sentenza del tribunale di Gorizia emessa il 18 aprile 1991 depositata il 17 maggio 1991 r.g. n. 59/90; Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7 aprile 1995 dal cons. dott. Esposito; Udito l'avv. Barbuto per delega Zicavo; Udito il p.m. in persona del sost. proc. gen. dott. Carlo Tondi che ha concluso per l'accoglimento del ricorso. Ritenuto in fatto Con atto depositato il 2 aprile 1990 Mario Zamuner ricorreva al pretore-giudice lavoro di Gorizia chiedendo che fosse dichiarata l'irripetibilita' da parte dell'I.N.P.S., a norma dell'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88, della somma di L. 1.627.585, che l'Istituto aveva comunicato di avergli corrisposto indebitamente a titolo di integrazione al minimo sulla pensione di vecchiaia di cui era in godimento, in base alla sua situazione reddituale del periodo 1 gennaio 1988-31 dicembre 1989, e che lo stesso Istituto fosse condannato a restituirgli quanto gia' recuperato relativamente all'anno 1988. Costituitosi in giudizio, l'I.N.P.S. opponeva il superamento dei limiti di reddito ex art. 6, comma primo, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, e che lo stesso Zamuner aveva comunicato ad esso Istituito che nel corso dell'88 aveva percepito redditi che rendevano indebita l'avvenuta corresponsione dell'integrazione al minimo; opponeva, altresi', l'inapplicabilita' dell'art. 52 della legge n. 88 dell'89. Con sentenza 14 novembre 1990 l'adito pretore accoglieva integralmente la domanda. Avverso tale decisione proponeva appello davanti al tribunale di Gorizia l'I.N.P.S., con ricorso depositato il 24 dicembre 1990, deducendo l'inapplicabilita' al caso de quo dell'art. 52 citato nel difetto di errore imputabile all'Ente, giacche' questo viene a conoscenza del reddito percepito dal pensionato solo l'anno successivo a quello di produzione, e cioe' solo in occasione dell'annuale dichiarazione dei redditi. Resisteva l'appellato affermando l'esattezza della gravata decisione e chiedendo il rigetto dell'appello. Con sentenza 17 maggio 1991 il tribunale di Gorizia rigettava l'appello dell'I.N.P.S. Ricorre per cassazione l'Istituto di previdenza. L'intimato si e' costitutito con il solo deposito di procura speciale. Osserva in diritto Al solo fine di stabilire la rilevanza della questione di legittimita' costituzionale della quale si dira', oltre, si osserva che l'Istituto di previdenza, deducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88, nonche' motivazione erronea ed insufficiente su punti decisivi della controversia prospettati e documentati dalla parte (art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.), sostiene che il problema interpretativo che si pone nella fattispecie e' quello di stabilire se l'art. 52 citato prefiguri, come sostanzialmente ritenuto dall'impugnata sentenza, l'ipotesi dell'errore in senso oggettivo (per effetto del quale sarebbe irripetibile, in materia previdenziale pensionistica, ogni pagamento non dovuto, ancorche' dipendente da errore incolpevole dell'ente erogatore, salvo il caso di dolo dell'interessato), oppure, come ritenuto da esso Istituto, l'ipotesi dell'errore in senso soggettivo (per effetto del quale sarebbe irripetibile solo il pagamento non dovuto che fosse determinato da errore imputabile al solvens, salvo il caso di dolo dell'interessato). In sostanza - secondo il ricorrente - la pur pacifica irrilevanza della natura dell'errore non autorizza minimamente l'interprete, pena il sospetto di mancanza di ragionevolezza della norma, a prescindere dalla riferibilita' dell'errore al solvens, onde l'irripetibilita' non compete quando l'errore non sia imputabile all'ente erogatore, ma sia determinato dal fatto che l'interessato ha omesso di comunicare tempestivamente all'ente stesso i fatti ostativi sopravvenuti. Rileva il Collegio come le sezioni unite di questa Corte (sentenza 22 febbraio 1995, n. 1965) hanno affermato che la ripetibilita' delle somme versate a titolo di integrazione al trattamento minimo e non dovute per mancanza dei presupposti di cui all'art. 6, primo comma, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito nella legge 11 novembre 1983, n. 638 - a norma del quale l'erogazione dell'integrazione al minimo e' ammissibile soltanto nel caso in cui non venga superato un dato limite di reddito - prescinde dalla sussistenza di un errore commesso dall'I.N.P.S. nella fase di erogazione delle suddette somme (e non e' pertanto sussumibile nelle ipotesi disciplinate dagli artt. 2033 cod. civ., 80 del r.d. 28 agosto 1824, n. 1422, 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 e 13 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, che attribuiscono rilievo all'errore), ma e' ammessa in quanto espressamente prevista dall'art. 6, comma 11-quinquies del d.-l. n. 463 del 1983 citato, che, nel presupporre una fisiologica sfasatura temporale tra il momento in cui deve avvenire l'erogazione della pensione ed il momento in cui puo' venire meno il requisito reddituale, esclude la rilevanza dell'errore da parte dell'Istituto nell'erogazione di somme non dovute. L'enunciato principio puo' ritenersi espressione del "diritto vivente" per la funzione attribuita alle sezioni unite dall'art. 374, secondo comma, c.p.c., di composizione dei contrasti che insorgano (come nella specie; v. per diversa soluzione della questione: Cass., 18 novembre 1992, n. 12330; 27 dicembre 1993, n. 12822) tra le sezioni semplici. Deve essere, conseguentemente, disatteso l'assunto del tribunale, secondo cui sarebbe invece applicabile al caso in esame l'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88. Cio' posto, mentre non sarebbe rilevante la questione di legittimita' costituzionale che volesse proporsi con riferimento all'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88, la Corte ritiene che debba essere sollevata d'ufficio questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 11-quinquies del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638 (il quale dispone che "le gestioni previdenziali possono procedere al recupero sul trattamento di pensione delle somme erogate in eccedenza anche in deroga ai limiti posti dalla normativa vigente"), in relazione agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione. La rilevanza di quest'ultima questione nasce evidentemente dalla circostanza che, secondo la citata pronuncia delle sezioni unite, deve farsi applicazione nella decisione della presente controversia proprio della disposizione della cui legittimita' costituzionale di dubita. La questione, inoltre, non appare manifestamente infondata. Osserva questo Collegio che per effetto dell'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88, le altre categorie di pensionati, per le quali l'indebito non attenga all'integrazione al minimo della pensione, godono di un regime della ripetizione dell'indebito pensionistico assolutamente di maggior favore. L'art. 52 citato dispone, infatti, che: "1. - Le pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidita', la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti, delle gestioni obbligatorie sostitutive o, comunque, integrative della medesima, della gestione speciale minatori, delle gestioni speciali per i commercianti, gli artigiani, i coltivatori diretti, mezzadri e coloni nonche' la pensione sociale di cui all'art. 26 della legge 30 aprile 1969, n. 153, possono essere in ogni momento rettificante dagli enti o fondi erogatori, in caso di errore di qualsiasi natura commesso in sede di attribuzione, erogazione o riliquidazione della prestazione. 2. - Nel caso in cui, in conseguenza del provvedimento modificato, siano state riscosse rate di pensione risultanti non dovute, non si fa luogo a recupero delle somme corrisposte, salvo che l'indebita percezione sia dovuta a dolo dell'interessato...". evidente la maggiore ampiezza della irripetibilita' riconosciuta dalla nuova normativa che sancisce il solo limite del dolo dell'assicurato ed astrae percio' e dalla circostanza che l'indebito trovi origine nell'atto attributivo della pensione od in fatto sopravvenuto, e dal tipo di errore nel quale l'Istituto sia incorso. La Corte costituzionale, investita della questione di legittimita' costituzionale (con riferimento, anche allora, agli artt. 3 e 38, secondo comma, Cost.) dell'art. 52, secondo comma, legge ult. citata, interpretato nel senso che, in caso di prestazione pensionistica indebita, non ne viene esclusa la ripetibilita' in tutte le ipotesi in cui la percezione del trattamento non dovuto sia avvenuta senza dolo dell'interessato e, quindi, anche quando l'errore abbia riguardato la sussistenza stessa del diritto alla prestazione, ha dichiarato l'infondezza della questione medesima osservando che la disposizione sospettata di illegittimita' costituzionale "risolve radicalmente tutta la problematica insorta in materia di rettifica di errori in cui puo' incorrere l'ente erogatore delle pensioni e in quella conseguente della ripetibilita' delle somme riscosse dal pensionato. Si sancisce che non sono ripetibili le somme riscosse, qualunque sia stata la ragione dell'errore e qualunque sia stato il provvedimento, sul quale ha inciso l'errore dell'ente, compresa la ritenuta sussistenza dei presupposti per il riconoscimento del diritto, compresi i provvedimenti di annullamento e di revoca delle prestazioni previdenziali non seguiti da altri atti amministrativi". "In altri termini e' sancita la irripetibilita' delle somme erogate, sia che l'errore sia caduto sull'an sia sul quantum. Unica condizione richiesta e' quella della mancanza di dolo dell'interessato" (Corte cost., 31 luglio 1990, n. 383). Trattandosi di sentenza interpretativa di rigetto, essa non puo' avere efficacia al di fuori del giudizio nel quale venne sollevata la questione, ma non puo' disconoscersi sul piano ricostruttivo il valore delle affermazioni di principio da essa assunte quali rationes decidendi, laddove si sottolinea come l'interpretazione della norma fatta propria (all'epoca) dalla Corte di cassazione (v., in particolare, sent. 14 novembre 1989, n. 4805), nei termini sopra riferiti - recepita dunque dal giudice delle leggi come "diritto vivente" - sia "adeguatrice ai precetti costituzionali, ponendo su un piano di parita' il trattamento dei pensionati dell'I.N.P.S. e quello dei pensionati ex dipendenti pubblici e rispettando altresi' la destinazione delle somme percepite al soddisfacimento dei bisogni fondamentali e delle esigenze di vita del lavoratore e della sua famiglia". Tali essendo i valori che siffatta interpretazione dell'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88, fa salvi - si' da restare esclusa (secondo la Corte costituzionale) qualsiasi violazione vuoi dell'art. 3 della Costituzione, per pretesa disparita' di trattamento tra pensionati I.N.P.S. e pensionati ex dipendenti pubblici (art. 206 t.u. n. 1092 del 1973) e tra gli stessi pensionati I.N.P.S., vuoi dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione, secondo la prospettazione dell'autorita' giudiziaria remittente la quale aveva sottolineato come la diminuita tutela della buona fede dell'accipiens, in tutte le ipotesi di errori commessi dall'ente erogatore, avrebbe inciso su un trattamento diretto a soddisfare i bisogni primari del lavoratore e della sua famiglia -, la questione di costituzionalita' si ripropone in termini analoghi a quelli allora prospettati in ordine all'art. 6, comma 11 - quinquies della legge 11 novembre 1983, n. 638, che sancisce la ripetiblita' incondizionata, anche in deroga ai limiti posti dalla normativa vigente, astraendo dalla "buona fede" dell'accipiens (la quale, nel caso in esame, non e' contestata), delle somme erogate in eccedenza sul trattamento di pensione. Sembra palese la disparita' di trattamento tra pensionati che abbiano riscosso in buona fede indebitamente trattamenti di integrazione al minimo cui si applica l'art. 6, comma 11-quinquies, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, ed altri pensionati percettori di indebito pensionistico cui si applica l'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 e tra i primi ed i pensionati ex dipendenti pubblici, ai quali si applica l'art. 206 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, quale "interpretato autenticamente" dall'art. 3 della legge 7 agosto 1985, n. 428. Ne' puo' sostenersi, proprio per i valori che le norme in esame hanno inteso tutelare (posti in luce dalla citata sentenza della Corte costituzionale), che l'adeguamento dei trattamenti debba avvenire al livello di assoluto rigore derivante dall'applicazione della norma sospetta di incostituzionalita'. Non costituisce, infine, ad avviso di questo Collegio, elemento di discrimine tra le situazioni, volta a volta poste a confronto, tale da giustificare, sul piano razionale, la differenziazione della disciplina dell'indebito pensionistico: A) quanto agli altri pensionati I.N.P.S., la circostanza che l'art. 6, comma 11-quinquies, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, prescinda dall'errore dell'Istituto e trovi la sua ratio nella "fisiologica sfasatura tra il momento in cui deve avvenire l'erogazione della pensione ed il momento in cui puo' venire meno il requisito reddituale" (Cass., s.u., n. 1965/1995 cit.). Infatti, fermo restando che eventuali comportamenti dolosi (anche sul piano della reticenza) del pensionato, di per se' escluderebbero la non ripetibilita', la "fisiologica sfasatura", considerata dal lato dell'accipiens, non elimina affato, ne' giustifica la lesione dei diritti costituzionali allo stesso garantiti dall'art. 38, secondo comma, della Costituzione, mentre, dal lato del solvens, non puo' porsi in dubbio che la protratta ignoranza delle condizioni di fatto o di diritto ostative alla erogazione si risolve essa pure per l'Ente in una falsa rappresentazione della realta' (non esente, talora, da connotazioni di "colpa" dello stesso Istituto previdenziale: nel caso in esame l'integrazione che l'I.N.P.S. assume non dovuta si e' protratta per un biennio) le cui conseguenze non appare razionale siano poste a carico (di diritti costituzionali) dell'assicurato. Se si aggiunge che la mancanza di meccanismi normativi in qualche modo analoghi (in via esemplificativa) allo spatium deliberandi sottostante alla disposizione di cui all'art. 7 della legge 11 agosto 1973, n. 533, non consente di stabilire entro quali termini temporali la "sfasatura" di cui si e' detto possa considerarsi "fisiologica", risulta chiaro come tale supposta "discriminante" tra le situazioni poste a confronto condurrebbe in concreto ad una compressione, non giustificabile sul piano della razionalita', della situazione soggettiva di taluni pensionati che non si verifica per altri; B) quanto ai pensionati ex dipendenti pubblici, non costituiscono elementi differenziali tra le situazioni poste a confronto, tali da giustificare la differenziazione della disciplina dell'indebito pensionistico, la circostanza - del tutto estrinseca - della necessita' di un precedente provvedimento (poi revocato o modificato) che abbia dato luogo a riscossioni indebite di trattamenti pensionistici e di un successivo atto di revoca o di modifica dello stesso (elementi formali gia' richiesti secondo l'interpretazione dell'art. 206 citato dalla precedente giurisprudenza amministrativa e sottolineati dall'art. 3 della legge n. 428 del 1985 citata, il quale richiede altresi' la "definitivita'" del primo provvedimento e l'assoggettabilita' del secondo a "registrazione", stante la prevalenza assoluta dei valori posti in luce dalla sentenza della Corte costituzionale n. 383/1990, citata. Dalle considerazioni sin qui svolte, particolarmente in punto di mancata tutela della buona fede dell'accipiens e di incidenza del "recupero" sulle residue risorse pensionistiche dell'interessato, risulta evidente come, anche in relazione all'art. 38, secondo comma, Cost. (diritto del pensionato ad un trattamento adeguato a soddisfare i bisogni primari suoi e della sua famiglia) non sia manifestamente infondato il dubbio circa la costituzionalita' dell'art. 6, comma 11-quinquies, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, nei sensi di cui in motivazione, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 11-quinquies, del d.-l. 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638; Sospende il presente giudizio di cassazione; Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Dispone che, a cura della cencelleria, la presente ordinanza sia notificata alle parti in causa, al procuratore generale presso questa Corte nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e sia comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Cosi' deciso in Roma, addi' 7 aprile 1995. Il presidente: Pontrandolfi 95C1533