N. 864 ORDINANZA (Atto di promovimento) 7 aprile - 21 novembre 1995

                                N. 864
 Ordinanza   emessa   il   7   aprile   1995   (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il 21 novembre 1995) dalla  Corte  di  cassazione  sui
 ricorsi riuniti proposti dall'I.N.P.S. contro Selva Eugenia ed altro,
 n.q. e da Selva Eugenia ed altro, n.q. contro l'I.N.P.S.
 Previdenza  ed assistenza - Indebito pensionistico percepito in buona
    fede (nella specie:  duplice  corresponsione  di  quote  fisse  di
    contingenza) - Lamentata ripetibilita' - Disparita' di trattamento
    rispetto ai pensionati ex dipendenti pubblici (art. 206 del d.P.R.
    n. 1092/1973) e rispetto ai pensionati che versano nell'ipotesi di
    applicabilita' dell'art. 80 del r.d. n. 1422/1924 (irripetibilita'
    delle assegnazioni indebite di pensione dovute ad errori materiali
    di  liquidazione)  -  Lesione  del  diritto  del  pensionato ad un
    trattamento adeguato a soddisfare i bisogni primari suoi  e  della
    sua  famiglia  - Richiamo alla sentenza della Corte costituzionale
    n. 383/1990.
 (C.C., art. 2033, in relazione alla legge 21 dicembre 1978,  n.  843,
    art. 19, primo comma).
 (Cost., artt. 3 e 38, secondo comma).
(GU n.51 del 13-12-1995 )
                          LA CORTE DI CASSAZIONE
   Ha   pronunciato   la   seguente  ordinanza  sul  ricorso  proposto
 dall'I.N.P.S., in  persona  del  legale  rappresentante  pro-tempore,
 elettivamente domiciliato in Roma, via della Frezza n. 17, presso gli
 avvocati  Enrico  Zicavo,  Fabrizio  Ausenda,  che lo rappresentano e
 difendono giusta procura in calce al ricorso, ricorrente contro Selva
 Eugenia e  Paoni  Giampaolo,  intimati,  e  sul  secondo  ricorso  n.
 8220/1992    r.g.  proposto  da  Selva  Eugenia  e Paoni Giampaolo in
 qualita' di eredi di Paoni Salvatore,  elettivamente  domiciliati  in
 Roma,  via  Cosseria  n.  5,  presso l'avv.   Enrico Romanelli che li
 rappresenta e difende unitamente all'avv.  Giuseppe Di Prima, come da
 delega  a  margine   del   controricorso   e   ricorso   incidentale,
 controricorrenti  e  ricorrenti  incidentali,  contro  l'I.N.P.S.   -
 Istituto nazionale della previdenza sociale, in  persona  del  legale
 rappresentante   pro-tempore,   intimato,  per  l'annullamento  della
 sentenza del tribunale di Udine emessa il 21 febbraio 1992 depositata
 il 21 marzo 1992 r.g. n. 3744/1991;
   Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del  7
 aprile 1995 dal consigliere dott. Vigolo;
   Udito l'avvocato Barbuto per delega Zicavo;
   Udito l'avvocato Alu' per delega Romanelli;
   Udito  il  p.m. in persona del sostituto procuratore generale dott.
 Carlo Tondi che ha concluso per l'accoglimento del ricorso principale
 e l'assorbimento dell'incidentale.
                           Ritenuto in fatto
   Con atto depositato il 4 gennaio  1985,  il  sig.  Salvatore  Paoni
 ricorreva  al pretore, giudice del lavoro, di Pordenone nei confronti
 dell'I.N.P.S. chiedendo (tra l'altro che ora non interessa) di essere
 dichiarato non tenuto alla restituzione allo  stesso  Istituto  della
 somma  di  complessive  L.  7.278.390  indebitamente  erogategli  nel
 periodo 1 gennaio 1979-31 ottobre 1983, a  titolo  di  incremento  di
 scala  mobile  su  seconda  pensione (quando l'art. 19 della legge 21
 dicembre  1978,  n.  843,  dispone  che  dal  1  gennaio  1979  detto
 incremento spetta su un solo trattamento pensionistico).
   Con  sentenza  in  data  21  aprile 1986, il pretore dichiarava non
 ripetibili, a norma dell'art. 80 del r.d. 28 agosto  1924,  n.  1422,
 gli  importi  indebitamente corrisposti dall'Istituto dopo la data di
 entrata in vigore della legge  n.  843/1978  cit.,  dal  momento  che
 l'Istituto non aveva decurtato le "quote fisse" nell'anno dalla detta
 data.
   Il  tribunale di Pordenone, sezione lavoro, con sentenza in data 12
 febbraio  1987  (per  quanto  ora  interessa)  respingeva   l'appello
 principale dell'I.N.P.S.
   Per  la  cassazione  della  sentenza ricorreva l'I.N.P.S.. e questa
 Corte, con  sentenza  27  febbraio  1989-21  agosto  1990,  n.  8504,
 accoglieva  il  ricorso, disponeva il rinvio della causa al tribunale
 di Udine enunciando il principio secondo cui l'art. 80, comma  terzo,
 r.d.    28  agosto 1924, n. 1422, il quale prevede l'inefficacia, sui
 pagamenti pensionistici gia' effettuati dall'I.N.P.S., di  rettifiche
 operate  oltre  l'anno, integra una norma eccezionale, in deroga alla
 regola  della   ripetibilita'   dell'indebito   oggettivo,   che   e'
 applicabile  sia  alla  liquidazione  originaria  sia alle successive
 riliquidazioni, con esclusivo riferimento agli errori di calcolo o di
 determinazione del quantum  della  prestazione.  La  norma  medesima,
 pertanto,  non  e'  invocabile quando il provvedimento dell'Istituto,
 originario o successivo,  sia  inficiato  da  errori  attinenti  alla
 sussistenza  del diritto alla prestazione, ovvero quando si accertino
 sopravvenute modificazioni della posizione dell'assistito  implicanti
 automaticamente  l'estinzione  totale del trattamento pensionistico o
 la diminuzione del suo contenuto.  Ne conseguiva che,  avendo  l'art.
 19 della legge 21 dicembre 1978, n. 843 (sull'aumento dell'indennita'
 integrativa  speciale)  disposto  che  la  quota aggiuntiva di cui al
 comma 3 dell'art. 10 della legge 3 giugno 1975, n.  160,  era  dovuta
 una  sola  volta  in  caso  di  titolarita'  di  piu' pensioni e, con
 decorrenza  dal  1  gennaio  1979,  erano  ripetibili   i   pagamenti
 erroneamente effettuati in violazione di tale limite.
   Alla  riassunzione  della  causa  provvedeva  l'I.N.P.S. insistendo
 perche' fosse affermata la ripetibilita' degli importi  indebitamente
 erogati.  Resistevano in giudizio i signori Eugenia Selva e Giampaolo
 Paoni, quali eredi di Paoni Salvatore.
   Con sentenza in data 21 febbraio-21 marzo  1992,  il  tribunale  di
 Pordenone, in parziale riforma della sentenza del pretore, dichiarava
 la irrepitibilita' dell'importo di L. 10.216.400 ("quote fisse").
   Riteneva  il  giudice  di  rinvio  (per  quanto ora interessa) che,
 rispetto al principio di diritto enunciato da  questa  Corte  con  la
 sentenza  n.  8504  del  1990, dovesse prevalere lo ius superveniens,
 rappresentato dall'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n. 88 che  aveva
 tacitamente  abrogato  il piu' restrittivo art. 80 del r.d. 28 agosto
 1924, n.  1422.
   Ricorre per cassazione  in  via  principale  l'I.N.P.S.  con  unico
 motivo articolato in due profili di annullamento.
   Resistono  gli  eredi  Paoni  con controricorso contenente altresi'
 ricorso incidentale affidato esso pure ad unico motivo.
   All'udienza  di  discussione  gli  eredi  Paoni   hanno   sollevato
 questione di costituzionalita' dell'art. 52 della legge 9 marzo 1989,
 n.  88,  come  interpretato  dalle  sezioni unite di questa Corte con
 sentenza n. 1315 del 1995, in relazione  agli  artt.  3  e  38  della
 Costituzione,  con  riferimento  altresi'  alle  sentenze della Corte
 costituzionale n. 418 del 1991 e n. 39 del 1993.
                          Osserva in diritto
   I ricorsi, siccome proposti avverso la medesima  sentenza,  debbono
 essere riuniti a norma dell'art. 335 del c.p.c.
   Esaminando  il  ricorso principale al fine di valutare la rilevanza
 della questione di  legittimita'  costituzionale  della  quale  sara'
 detto  oltre,  rileva  la Corte che con l'unico motivo, il ricorrente
 principale deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 384 del
 c.p.c., 143 delle disp.att. del c.p.c., 52, comma  secondo,  legge  9
 marzo  1989,  n.  88,  come  autenticamente interpretato dall'art. 13
 della legge 30 dicembre 1991, n. 412, 437  del  c.p.c.  e  16,  sesto
 comma,  della  legge  30  dicembre  1991,  n.  412;  deduce  altresi'
 contraddittoria motivazione su piu' punti decisivi della controversia
 (art. 360, nn. 3 e 5 del c.p.c.).
   Sotto un primo profilo, sostiene che il giudice  di  rinvio  si  e'
 discostato  dal  principio  di  diritto  enunciato  dalla sentenza di
 questa  Corte  n.  8504/1990,  la  quale   aveva   escluso   che   il
 provvedimento   dell'I.N.P.S.     fosse  modificato  della  posizione
 pensionistica, siccome emanato ope legis e quindi esente da qualsiasi
 errore per il quale  si  potesse  invocare  sanatoria:  si  trattava,
 infatti di provvedimento legittimo, indipendentemente dal ritardo col
 quale era stato emesso.
   Ne'  era  applicabile  l'art.  52  della legge 9 marzo 1989, n. 88,
 autenticamente interpretato dall'art.  13  della  legge  30  dicembre
 1991,  n.  412,  presupponendo  quest'ultima  norma  un provvedimento
 formale affetto da errore, mentre non poteva considerarsi erroneo  un
 provvedimento  imposto  da  norme  di  legge  (art. 19 della legge 21
 dicembre 1978, n. 843 che vieta la duplice indicizzazione di  diversi
 trattamenti pensionistici).
   Sotto   altro  profilo,  il  ricorrente  principale  si  duole  del
 riconoscimento in favore degli eredi dell'assicurato del diritto alla
 rivalutazione, malgrado l'appello incidentale fosse stato  dichiarato
 inammissibile.
   In ordine al primo profilo di anullamento, rileva la Corte che esso
 non  sembra  decisivo  laddove  si denuncia l'erronea applicazione da
 parte del tribunale dell'art. 52, comma secondo, della legge 9  marzo
 1989,  n.  88,  come  autenticamente  interpretato dall'art. 13 della
 legge 30 dicembre 1991, n. 412, dal momento  che  quest'ultima  legge
 (non  ancora  in  vigore  al  momento dei pagamenti illeciti e, nella
 parte  in  cui  essa  si  prospetta  come   retroattiva,   dichiarata
 costituzionalmente   illegittima   dalla   Corte  costituzionale  con
 sentenza  10  febbraio  1993,  n.   39)   prevede   ai   fini   delle
 irreperibilita'  che  l'indebito  sia  stato  pagato  in  relazione a
 formale e definitivo provvedimento che risulti viziato, mentre  nella
 specie  l'indebito nasceva dal divieto di cui all'art. 19 della legge
 21 dicembre 1978, n. 843.
   Per contro, l'applicazione da parte  del  tribunale  dell'art.  52,
 comma  secondo,  della  legge  n.  88/1989 non e' conforme, per altro
 verso, alla giurisprudenza delle sezioni unite  di  questa  Corte  (e
 cio'  il  collegio,  che  ad essa aderisce, puo' rilevare di ufficio,
 nell'ambito del compito  assegnato  al  giudice  di  interpretare  le
 leggi).
   Con  sentenza  3  febbraio  1995 n. 1315 (ricorso n. 620/1991 r.g.,
 I.N.P.S.  contro  Tabellini)  le  sezioni   unite   hanno   anzitutto
 richiamato  il principio, costantemente ribadito dalla giurisprudenza
 di legittimita', secondo il quale,  alla  stregua  della  teoria  del
 fatto  compiuto,  la  legge  nuova  puo' essere applicata soltanto ai
 fatti, agli status ed alle situazioni esistenti o  sopravvenute  alla
 data  della  sua  entrata  in  vigore,  non anche al facta praeterita
 quando risultano introdotti ovvero siano soppressi o  limitati  dalla
 legge   sopravvenuta   presupposti,  condizioni  o  facolta'  per  il
 riconoscimento del diritto od obblighi  inerenti  al  relativo  fatto
 costitutivo.  Per  tali facta invero l'applicazione della nuova legge
 finirebbe per sconvolgere le situazioni giuridiche sorte  durante  il
 periodo  di  vigenza della vecchia legge, sol perche' non esaurite al
 momento dell'entrata in  vigore  della  nuova  (in  quanto  beninteso
 svolgentisi  nell'ambito  di un rapporto di durata) o perche' tuttora
 oggetto di accertamento giudiziale. Solo quando,  invece,  si  tratti
 non  di fatto compiuto generatore del diritto, bensi' di meri effetti
 di esso, che trovano  il  loro  normale  svolgimento  nel  tempo,  e'
 consentita  l'applicazione retroattiva dello ius superveniens e cioe'
 l'attribuzione di effetti nuovi a fatti passati. In  applicazione  di
 tale  principio,  le  sezioni unite hanno negato la correttezza della
 attribuzione del carattere di  ius  superveniens  all'art.  52  cit.,
 siccome  frutto dell'erronea attribuzione all'indebito previdenziale,
 dal quale non nasce un rapporto di durata,  di  una  connotazione  di
 durata,  questo  carattere  essendo,  invece,  proprio  del  rapporto
 previdenziale.  Del pari inesatta era l'affermazione della  incidenza
 dell'art.  52  cit.  sui rapporti di assicurazione sociale non ancora
 estinti, vertendosi in materia di repetitio e  di  deroghe  relative,
 non   di   rapporto  previdenziale  (di  durata)  in  senso  stretto.
 Conclusivamente, la citata sentenza delle sezioni unite afferma che e
 al momento dell'esecuzione del pagamento poi risultato  indebito  che
 occorre  fare riferimento per stabilire quale delle norme succedutesi
 nel tempo debba trovare applicazione.
   Peraltro, se  ratione  temporis  la  fattispecie  in  esame  si  e'
 realizzata  nel vigore dell'art. 80 del r.d. 28 agosto 1924, n. 1422,
 l'applicabilita' di tale norma e' stata  esclusa  in  concreto  dalla
 sentenza  di questa Corte (n. 8504/1990) che ha disposto il rinvio al
 tribunale di Udine e che ha affermato la ripetibilita' dei  pagamenti
 erroneamente  effettuati  in violazione del limite di cui all'art. 19
 della legge 21 dicembre 1978, n. 843.
   Non puo' quindi rimproverarsi, sic et simpliciter,  al  giudice  di
 rinvio di essersi discostato dal principio di diritto enunciato dalla
 Corte  di  cassazione,  essendo lo stesso giudice tenuto ad applicare
 l'eventuale ius superveniens; l'errore del tribunale di Udine sembra,
 invece, riavvisabile, per quanto detto, nella qualificazione come ius
 superveniens dell'art. 52 cit..
   La  sentenza  di  questa  Corte  n.  8504/1990,  nell'affermare  la
 ripetibilita'   delle   "quote   aggiunte",  ha  evidentemente  fatto
 applicazione (non avendo ritenuto applicabile l'art. 80 del  r.d.  28
 agosto  1924,  n.   1422) del generale principio di cui all'art. 2033
 del c.c.
   Questo collegio, peraltro, nel  momento  in  cui,  in  applicazione
 dell'art. 383 del c.p.c., dovrebbe rinviare la causa ad altro giudice
 enunciando  il  principio  che l'art. 52 della legge 9 marzo 1989, n.
 88 non costituisce ius superveniens rispetto all'art. 80 del r.d.  28
 agosto  1924,  n. 1422 (e neppure rispetto all'art. 2033 del c.c., il
 che pure  era  invece  presupposto  nella  sentenza  del  giudice  di
 rinvio),  mentre  ritiene  irrilevante  la  questione di legittimita'
 costituzionale sollevata  dai  controriccorrenti,  in  riferimento  a
 norma  di  legge  inapplicabile alla concreta fattispecie, propone di
 ufficio questione di legittimita' costituzionale, in riferimento agli
 artt. 3 e 38, comma secondo, Cost.,  dell'art.  2033  del  c.c.    in
 quanto  lo si ritenga applicabile all'indebito pensionistico (ex art.
 19  legge  21  dicembre  1978,  n.  843)  percepito  in  buona   fede
 dall'interessato.
   La    rilevanza   della   questione   nasce   evidentemente   dalla
 considerazione che, secondo la citata sentenza delle sezioni unite di
 questa Corte deve farsi applicazione nella decisione  della  presente
 controversia proprio della disposizione (che, come detto, deve essere
 indicata nel principio di diritto da formulare di nuovo al designando
 giudice di rinvio, non essendosi riscontrata la mera inosservanza, da
 parte  del tribunale di Udine, del principio enunciato nella sentenza
 di questa Corte n. 8504/1990) della cui  legittimita'  costituzionale
 si dubita.
   La questione, inoltre, non appare manifestamente infondata.
   Occorre,  al  riguardo,  richiamare  principi enunciati dal giudice
 delle leggi, sia pure in sede di scrutinio della diversa norma,  gia'
 piu'  volte  ricordata,  di  cui  all'art. 52, comma secondo, legge 9
 marzo 1989, n. 88, introduttivo di un piu'  favorevole  regime  della
 irripetibilita'    dell'indebito    pensionistico,    irripetibilita'
 riconosciuta con il solo limite del dolo, astraendosi  percio',  vuoi
 dalla  circostanza che l'indebito trovi origine nell'atto attributivo
 della pensione od in fatto sopravvenuto, vuoi dal tipo di errore  nel
 quale l'Istituto sia incorso.
   La  Corte costituzionale, investita della questione di legittimita'
 costituzionale (con riferimento, anche allora, agli  artt.  3  e  38,
 secondo  comma,  Cost.) dell'art. 52, secondo comma, legge ult. cit.,
 interpretato nel senso che, in caso  di  presentazione  pensionistica
 indebita,  non  si esclude la ripetibilita' dell'indebito in tutte le
 ipotesi in cui la percezione del trattamento non dovuto sia  avvenuta
 senza  dolo  dell'interessato  e, quindi, anche quando l'errore abbia
 riguardato la sussistenza stessa del  diritto  alla  prestazione,  ha
 dichiarato  l'infondatezza della questione medesima osservando che la
 disposizione sospettata  di  illegittimita'  costituzionale  "risolve
 radicalmente tutta la problematica insorta in materia di rettifica di
 errori  in  cui  puo'  incorrere l'ente erogatore delle pensioni e in
 quella conseguente  della  ripetibilita'  delle  somme  riscosse  dal
 pensionato.  Si  sancisce  che non sono ripetibili le somme riscosse,
 qualunque sia stata la ragione dell'errore e qualunque sia  stato  il
 provvedimento,  sul  quale  ha inciso l'errore dell'ente, compresa la
 ritenuta  sussistenza  dei  presupposti  per  il  riconoscimento  del
 diritto,  compresi  i provvedimenti di annullamento e di revoca delle
 prestazioni previdenziali non seguiti da altri atti amministrativi".
   "In  altri  termini  e'  sancita  la  irripetibilita'  delle  somme
 erogate,  sia  che l'errore sia caduto sull'an sia sul quantua. Unica
 condizione   richiesta   e'   quella   della   mancanza    di    dolo
 dell'interessato". (C.  cost., 31 luglio 1990, n. 383).
   Trattandosi di sentenza interpretativa di rigetto (riguardante, per
 giunta,   disposizione   diversa  dall'art.  2033  del  c.c.),  detta
 pronuncia non puo' avere efficacia al di fuori del giudizio nel quale
 venne sollevata la questione, ma, considerata  l'autorevolezza  della
 fonte,  non  puo'  disconoscersi  il  valore  delle  affermazioni  di
 principio in essa contenute, quali  rationes  decidendi,  laddove  si
 sottolinea   come   l'interpretazione   della   norma  fatta  propria
 (all'epoca) dalla Corte di cassazione (v., in particolare,  sent.  14
 novembre 1989, n. 4805), nei termini sopra riferiti dal giudice delle
 leggi   come   "diritto   vivente",   sia  "adeguatrice  ai  precetti
 costituzionali, ponendo su un piano di  parita'  il  trattamento  dei
 pensionati  dell'I.N.P.S.    e  quello  dei  pensionati ex dipendenti
 pubblici e rispettando altresi' la destinazione delle somme percepite
 al soddisfacimento dei bisogni fondamentali e delle esigenze di  vita
 del lavoratore e della sua famiglia".
   Tali  essendo  i  valori  che siffatta interpretazione dell'art. 52
 della legge 9 marzo 1989, n. 88 fa salvi -  si'  da  restare  esclusa
 qualsiasi  violazione, da parte di tale norma, vuoi dell'art. 3 della
 Cost., per  disparita'  di  trattamento  tra  pensionati  I.N.P.S.  e
 pensionati  ex  dipendenti  pubblici  (art.  206 del t.u. n. 1092 del
 1973) e tra gli stessi pensionati I.N.P.S., vuoi dell'art. 38,  comma
 secondo,  della  Costituzione,  in  quanto  la diminuita tutela della
 buona fede dell'accipens, in tutte  le  ipotesi  di  errori  commessi
 dall'ente  erogatore  incide su un trattamento diretto a soddisfare i
 bisogni primari del pensionato e della sua famiglia - la questione di
 costituzionalita' si ripropone in termini analoghi  per  l'art.  2033
 del  c.c.,  in quanto esteso alla ripetizione dell'indebito di cui si
 tratta,  per  disparita'  di  trattamento  dei  pensionati   I.N.P.S.
 rispetto  ai  pensionati  ex dipendenti pubblici ed anche per diverso
 trattamento,  razionalmente  non  giustificato,  tra  pensionati  che
 versano  nell'ipotesi  di  applicabilita'  dell'art.  80  del r.d. 28
 agosto  1924,  n.  1422,  in  presenza  di  "rettifiche   di   errori
 materiali",  e  pensionati cui, invece, debba applicarsi la normativa
 codicistica.
   Ne'  puo'  sostenersi  che  l'adeguamento  dei  trattamenti   possa
 ipotizzarsi  al  livello di assoluto rigore della norma sospettata di
 incostituzionalita', proprio per i valori che le norme derogatorie al
 principio generale da essa espresso hanno inteso tutelare  (posti  in
 luce   dalla   citata   sentenza   n.   383   del  1990  della  Corte
 costituzionale)  e  per  la  circostanza  che  le  quote   fisse   di
 contingenza   vengono   corrisposte  per  far  fronte  alle  esigenze
 derivanti dall'aumentato costo della vita per soggetti economicamente
 e socialmente "deboli" quali di norma sono i pensionati,  talche'  la
 ripetizione  dell'indebito  verrebbe  ad  esporli  per  periodo anche
 rilevante ad  una  sensibile  decurtazione  operata  sul  trattamento
 pensionistico  dovuto,  sino a ridurlo al di sotto del minimo preteso
 dall'art. 38, comma secondo, della Costituzione.
   Vero e' che  l'art.  3  (intitolato  "Interpretazione  autentica  e
 integrazione  dell'art. 206 del t.u. approvato con d.P.R. 29 dicembre
 1973, n.  1092") della legge 7 agosto 1985, n. 428,  dispone  che  la
 norma  di  cui all'art. 206 predetto "deve intendersi applicabile nel
 caso in cui, verificandosi le condizioni stabilite negli artt. 204  e
 205   dello  stesso  testo  unico,  il  provvedimento  definitivo  di
 concessione venga  modificato  o  revocato  con  altro  provvedimento
 formale  soggetto  a  registrazione"  -, ma la retroattivita' di tale
 norma  (e parte della ripetizione attiene a pagamenti anteriori) deve
 essere esclusa in via  interpretativa  alla  luce  di  considerazioni
 analoghe  a  quelle  che  hanno  indotto  la  Corte  costituzionale a
 dichiarare la illegittimita'  costituzionale  dell'analogo  art.  13,
 primo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, nella parte in cui
 lo stesso e' applicabile anche ai rapporti sorti precedentemente alla
 data della sua entrata in vigore o comunque pendenti alla stessa data
 (v. C. cost., 10 febbraio 1993, n. 39).
   Ne' comunque costituiscono elementi differenziali tra le situazioni
 poste  a  confronto,  tali  da giustificare la differenziazione della
 disciplina dell'indebito pensionistico, la circostanza  -  del  tutto
 estrinseca  -  della  necessita'  di  un precedente provedimento (poi
 revocato o modificato) che abbia dato luogo a riscossioni indebite di
 trattamenti pensionistici e di un successivo  atto  di  revoca  o  di
 modifica  dello  stesso  (elementi  formali  gia'  richiesti  secondo
 l'interpretazione dell'art. 206 cit. della precedente  giurisprudenza
 amministrativa  e  sottolineati  dall'art.  3 della legge n. 428/1985
 cit.,  il  quale  richiede  altresi'  la  "definitivita'"  del  primo
 provvedimento e l'assoggettabilita' del secondo a "registrazione".
   Assumono,  infatti,  assoluta  premienza i valori costituzionali in
 giuoco, recepiti dalla ricordata sentenza n.  383/1990)  della  Corte
 costituzionale.
   Nemmeno  costituisce,  poi,  ad  avviso  del  collegio, elemento di
 discrimine  tra  le  situazioni  dei  pensionati  I.N.P.S.  poste   a
 confronto,  tale da giustificare la differenziazione della disciplina
 dell'indebito pensionistico, la  circostanza  che  la  norma  di  cui
 all'art.  80  r.d.    cit.  attenga  ai  soli  errori di calcolo o di
 determinazione  del  quantum  della  prestazione,  e  non  sia  anche
 applicabile  in  presenza  di  errori  attinenti alla sussistenza del
 diritto alla prestazione (secondo quanto ritenuto dalla  sentenza  n.
 8504/1990  di  questa  Corte  che  dispose  il  rinvio) o (secondo la
 diversa interpretazione di Cass., s.u., 3 febbraio 1995, n. 1315) sia
 inapplicabile  in  caso  di  "mero   ritardo   nell'accertamento   di
 successive  modificazioni  di  diritto  automaticamente operative nel
 senso  della  estinzione  del  diritto  originariamente   esistente",
 perche'  l'"errore"  presupposto  dalla interpretazione fatta propria
 dalla sentenza e' lo stesso "errore oggettivo"  presupposto  (secondo
 le  stesse  sezioni  unite:  v.  sent.  22  febbraio  1995,  n. 1965)
 dall'art. 2033 del c.c. ed  anche  il  ritardo  nell'accertamento  si
 risolve  in  una  errata  percezione  della realta' in relazione alle
 intervenute modifiche normative (seppure  automaticamente  operative)
 non  dissimile  dall'errore  oggettivo  di  cui  si  e' detto, le cui
 conseguenze   non   debbono   riversarsi   a   danno   dei   (diritti
 costituzionalmente garantiti dei) pensionati.
   Dalle  considerazioni  sin  qui svolte, particolarmente in punto di
 mancata tutela della buona fede dell'accipiens e di normale incidenza
 dell'azione  di  recupero  sulle   residue   risorse   pensionistiche
 dell'interessato,  risulta evidente come, anche in relazione all'art.
 38, comma secondo, Cost. (diritto del pensionato  ad  un  trattamento
 adeguato  a  soddisfare  i bisogni primari suoi e della sua famiglia)
 non sia manifestamente infondato il dubbio circa la costituzionalita'
 dell'art.  2033  del  c.c.  in  quanto  venga  ritenuto   applicabile
 all'indebito  pensionistico  ex art. 19 della legge 21 dicembre 1978,
 n. 843, percepito in buona fede.
                               P. Q. M.
   Riunisce  i  ricorsi  e  dichiara  rilevamente e non manifestamente
 infondata, in riferimento agli artt. 3 e  38,  comma  secondo,  della
 Costituzione,  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 2033 del c.c. in quanto sia ritenuto applicabile anche alla  indebita
 erogazione,  ricevuta  in  buona  fede, dei trattamenti pensionistici
 aggiuntivi  previsti  dall'art.  19,  comma  primo,  della  legge  21
 dicembre 1978, n. 843;
   Sospende il presente giudizio di cassazione;
   Ordina la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Dispone  che,  a  cura della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata alle parti in causa, al procuratore generale presso questa
 Corte  nonche'  al  Presidente  del  Consiglio  dei  Ministri  e  sia
 comunicata al Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della
 Repubblica.
   Cosi' deciso in Roma, addi' 7 aprile 1995.
                      Il presidente: Pontrandolfi
 95C1539