N. 883 ORDINANZA (Atto di promovimento) 27 settembre 1995

                                N. 883
   Ordinanza emessa il 27 settembre 1995 dal tribunale per i minorenni
 di L'Aquila nel procedimento penale a carico di D.V.
 Processo penale - Dibattimento - Giudice  che,  quale  g.i.p.,  abbia
 convalidato  l'arresto  dell'imputato,  ma  rigettato la richiesta di
 custodia cautelare avanzata dal p.m. - Incompatibilita' ad esercitare
 le funzioni giudicanti a dibattimento - Omessa previsione  -  Lesione
 del  principio  di eguaglianza e della garanzia di un giusto processo
 -Richiamo alla sentenza n. 432/1995.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma).
(GU n.53 del 27-12-1995 )
                     IL TRIBUNALE PER I MINORENNI
   Ha emesso la seguente ordinanza di remissione degli atti alla Corte
 costituzionale.
   Letti gli atti del procedimento penale n.  34/1995  g,  riguardante
 D.V.,  nato  in  Serbia  l'8  aprile  1978, elettivamente domiciliato
 presso lo studio del difensore avv. Rosamaria Fattori,  in  L'Aquila,
 via  Sant'Amico,  10,  imputato del reato di cui agli artt. 110, 628,
 terzo comma, n. 1 e 2 c.p. perche', in concorso con  una  giovane  di
 circa  venticinque  anni  rimasta sconosciuta e quindi agendo in piu'
 persone riunite, usava  minacce  e  violenza  contro  Paolucci  Lucio
 (sorvegliante  della Standa che li aveva sorpresi a rubare e li aveva
 fermati  per  effettuare  il   controllo   della   merce   sottratta)
 spingendolo  contro  il  muro ed immobilizzandolo, per assicurarsi il
 possesso  della  merce  sottratta  e  per  procurare   alla   giovane
 l'impunita'. Accaduto in Pescara l'8 settembre 1994.
                            Fatto e diritto
   Con  verbale datato 8 settembre 1994, i responsabili del Norm della
 Compagnia dei carabinieri di Pescara, comunicavano alla procura della
 Repubblica presso questo tribunale che si era  proceduto  all'arresto
 di  D.V., cittadino serbo. Si riferiva nel predetto verbale che verso
 le ore 14 dell'8 settembre 1994, una  autopattuglia  di  carabinieri,
 dopo  aver ricevuto una segnalazione dalla centrale operativa, si era
 recata presso il supermercato Standa di via Duca degli  Abruzzi,  ove
 l'addetto  alla  vigilanza  aveva fermato un giovane, che si riteneva
 avesse asportato alcuni articoli di merce. Immediatamente giunti  sul
 posto,  i  militari  avevano  preso contatto con tale Paolucci Lucio,
 vigilante all'interno del supermercato, il quale aveva riferito  loro
 di  essere  stato  aggredito  da  un  ragazzo  che  aveva superato la
 barriera delle casse senza aver pagato alcunche' ed  al  quale  aveva
 richiesto  spiegazione  per  il  suo comportamento. Il Paolucci aveva
 riferito, inoltre, che il ragazzo si era trovato in compagnia di  una
 ragazza piu' grande, la quale approfittando dell'aggressione messa in
 essere  dal  complice  nei  confronti di lui Paolucci, era riuscita a
 dileguarsi.   Il ragazzo, identificato  in  D.V.,  veniva  tratto  in
 arresto:  l'arresto  veniva  convalidato  dal giudice per le indagini
 preliminari in data 10 settembre 1994, il quale  rimetteva  pero'  in
 liberta  il  D.,  perche'  aveva  ritenuto  insussistenti le esigenze
 cautelari.  Il   pubblico   ministero   impugnava   tale   decisione,
 relativamente  al  rigetto  della  richiesta  dell'applicazione delle
 misure cautelari, ed il tribunale per  il  riesame,  in  accoglimento
 delle   richieste   citate,   disponeva   in  data  3  ottobre  1994,
 l'applicazione della misura della custodia cautelare in  carcere  per
 il D.
   Con  decreto  datato  30  marzo  1995,  il  giudice  per  l'udienza
 preliminare presso questo tribunale disponeva il  rinvio  a  giudizio
 del D.V., per il reato di rapina, all'udienza del 27 settembre 1995.
   Alla  predetta  udienza il tribunale sollevava ex officio questione
 di legittimita' costituzionale, per  contrasto  dell'art.  34,  comma
 secondo,  c.p.p.  in  riferimento  agli  artt.  3, primo comma, e 24,
 secondo comma, della Costituzione, nella parte  in  cui  non  prevede
 l'incompatibilita' a svolgere la funzione di giudice del dibattimento
 da  parte del giudice delle indagini preliminari che abbia deciso sul
 rigetto di una misura cautelare richiesta dal pubblico  ministero  al
 momento del giudizio di convalida dell'arresto.
   Ritiene   il   Collegio  che  la  questione  sia  rilevante  e  non
 manifestamente infondata.
   Nel caso di specie si versa proprio nell'ipotesi citata: il giudice
 per le indagini preliminari che ordino' a suo tempo la remissione  in
 liberta'  del D. in difformita' dal parere del pubblico ministero, e'
 la stessa persona  fisica  che  attualmente  svolge  la  funzione  di
 presidente  del Collegio nell'odierno dibattimento: dalla definizione
 della costituzionalita' o meno della norma in  questione  dipende  la
 idoneita' dell'odierno Collegio a decidere.
   Circa la non manifesta infondatezza si osserva quanto segue.
   Con  la  sentenza  del  6-15 settembre 1995 (alla quale si rinvia),
 codesta  Corte  ha  stabilito  l'incostituzionalita'  dell'art.   34,
 secondo  comma,  c.p.p., nella parte in cui non prevede che non possa
 partecipare al dibattimento il giudice per  le  indagini  preliminari
 che  abbia  applicato  una  misura  cautelare personale nei confronti
 dell'imputato.
   Secondo  codesta  Corte,  il  nuovo  codice  di  rito presuppone la
 verifica  di  "gravi"  indizi  di  colpevolezza   e   non   piu'   di
 "sufficienti"  indizi,  come  stabiliva  il codice abrogato (specie a
 seguito della riforma  della  disciplina  della  custodia  cautelare,
 avvenuta  con  la  legge 8 agosto 1995, n. 332): pertanto, il giudice
 per  le  indagini  preliminari  deve  compiere  una  valutazione  che
 comporta  la formulazione di un giudizio non di mera legittimita', ma
 di merito, tale da determinare una sua incompatibilita' in futuro.
   Nel caso di specie si versa in una ipotesi diversa da quella che fu
 sottoposta al vaglio di codesta Corte,  quasi  opposta:  infatti  nel
 presente  giudizio  si  e'  in  presenza  del giudice per le indagini
 preliminari che ha rimesso in liberta' l'arrestato (disattendendo  le
 richieste  del pubblico ministero, diretta ad ottenere l'applicazione
 della custodia cautelare in carcere) e che e' divenuto presidente del
 Collegio giudicante, mentre nel caso che fu sollevato  dal  tribunale
 di   Avezzano   il  giudice  per  le  indagini  preliminari  divenuto
 presidente   del   Collegio   giudicante,   dispose   a   suo   tempo
 l'applicazione della misura cautelare.
   Tuttavia la diversita' fra le due situazioni e' soltanto apparente.
 Infatti   in  entrambe  le  ipotesi  il  giudice  per  le    indagini
 preliminari ha svolto una valutazione di merito circa la  sussistenza
 dei  gravi  indizi  di  colpevolezza,  nonche' della ricorrenza delle
 esigenze cautelari, in quel caso in positivo in questo  in  negativo.
 Nel  caso  in  cui  il giudice per le indagini preliminari compia una
 valutazione negativa delle esigenze cautelari, certamente egli dovra'
 valutare il materiale processuale in quel momento a sua  disposizione
 ed  e'  piu'  che probabile, come avviene nella maggioranza dei casi,
 che egli valuti sussistenti i gravi indizi di colpevolezza, ma non le
 esigenze cautelari. I due elementi possono essere connessi in  quanto
 le  une  presuppongono  gli  altri, ma non viceversa: essi restano in
 ogni caso concettualmente separati e distinti, nel senso che  non  vi
 e' tra di loro corrispondenza biunivoca.
   Anche   nel  caso  di  rimessione  in  liberta'  dell'arrestato  in
 flagranza da parte del giudice per  le  indagini  preliminari  ed  in
 contrasto con le richieste del pubblico ministero, si compie comunque
 una valutazione circa le indagini svolte; valutazione che puo' essere
 capovolta  da  una  successiva decisione del tribunale del riesame, a
 seguito del ricorso  del  pubblico  ministero,  come  in  effetti  e'
 avvenuto.
   Il  giudice  per le indagini preliminari puo', in sede di convalida
 dell'arresto, attribuire al fatto reato, sia  pur  ai  limitati  fini
 dell'emanando  provvedimento, una qualificazione giuridica diversa da
 quella  prospettata  dal  pubblico  ministero  e   poiche'   per   la
 valutazione  della  gravita'  degli elementi raccolti nel corso delle
 indagini preliminari si richiede da  parte  del  citato  giudice  una
 valutazione diversa da quella eseguita dal pubblico ministero stesso,
 egli  non  e' tenuto ad utilizzare soltanto gli elementi acquisiti al
 momento della  richiesta  di  quest'ultimo,  potendo  valutare  altri
 elementi, come ad esempio le giustificazioni fornite dall'arrestato.
   Anche  una  valutazione in negativo della ricorrenza delle esigenze
 cautelari, che puo' presupporre la valutazione dei  gravi  indizi  di
 colpevolezza,   e'   idonea   a   pregiudicare   la  serenita'  e  la
 imparzialita' del giudice chiamato a giudicare nel merito, al pari di
 quanto avviene nel caso di valutazione in positivo: avendo egli avuto
 conoscenza  degli  atti  (come nel caso di specie) ed avendoli dovuti
 comunque  valutare,  sia  pur  in  una  fase  prodromica,  e'   stata
 compromessa la sua imparzialita'.
   E'  principio  immanente  all'ordinamento  processuale,  cosi' come
 voluto dal legislatore del 1988, che il giudice del dibattimento  non
 debba  conoscere  quanto  avvenuto  nelle  indagini preliminari o che
 comunque che la sua conoscenza a tale riguardo sia ridotta al minimo.
 A tale ratio si  ispira,  ad  esempio,  l'art.  431  c.p.p.,  che  ha
 tassativamente  stabilito  quali documenti possano essere allegati al
 fascicolo del dibattimento. Qualora fosse permesso di partecipare  al
 dibattimento  ad  un  giudice  che  avesse avuto accesso al materiale
 raccolto nel corso delle  indagini  preliminari,  verrebbe  frustrata
 l'esigenza  appena  espressa:  in  tal  caso  la  mancata  previsione
 dell'incompatibilita'  sarebbe  suscettibile  di   compromettere   la
 genuita'  e  la  correttezza del processo formativo del convincimento
 del giudice del  dibattimento,  in  quanto  la  valutazione  potrebbe
 essere  condizionata  dalla  cosiddetta forza di prevenzione cioe' da
 quella inevitabile tendenza a mantenere un giudizio gia'  espresso  o
 un  atteggiamento  gia'  assunto  in  altri momenti decisionali dello
 stesso  procedimento.  A  causa  della  mancata   previsione   citata
 rischierebbero  di essere fortemente compromessi quei principi che si
 ricollegano alla garanzia costituzionale del giusto processo.
   La predetta omissione  urterebbe,  inoltre,  con  il  principio  di
 uguaglianza,  per disparita' di trattamento rispetto a quelle ipotesi
 di incompatibilita'  stabilite  da  codesta  Corte,  sempre  riguardo
 all'articolo  de  quo agitur (sent. n. 186 del 1992; sent. n. 124 del
 1992; n. 502 del 1992, n.  432 del 1995, etc.).
                                P. Q. M.
   Letti gli artt. 134 e 137 della Costituzione;
   Letto l'art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1;
   Letto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p.,
 nella parte in cui  non  prevede  l'incompatibilita'  a  svolgere  la
 funzione  di  giudice  del  dibattimento  da  parte del giudice delle
 indagini preliminari che abbia  deciso  sul  rigetto  di  una  misura
 cautelare richiesta dal pubblico ministero al momento del giudizio di
 convalida  dell'arresto,  con  riferimento agli artt. 3 e 24, secondo
 comma,  della  Costituzione  e  a  tutti  quegli  articoli   ritenuti
 illegittimi,   a   parere   di   codesta   Corte,   nel  giudizio  di
 costituzionalita';
   Ordina la  sospensione  del  presente  procedimento  e  l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Ordina  che  la  presente  ordinanza, a cura della cancelleria, sia
 notificata  all'imputato  D.V.,  al  Presidente  del  Consiglio   dei
 Ministri  e comunicata al Presidente del Senato della Repubblica e al
 Presidente della Camera dei deputati.
     L'Aquila, addi' 27 settembre 1995
                    Il presidente estensore:  Eramo
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