N. 895 ORDINANZA (Atto di promovimento) 6 aprile - 1 dicembre 1995

                                N. 895
   Ordinanza  emessa  il  6  aprile   1995   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  1  dicembre  1995)  dal  pretore  di Grosseto nel
 procedimento penale a carico di Cioni Romano
 Ambiente (tutela dell') -  Inquinamento  -  Scarichi  provenienti  da
 pubbliche  fognature  che superino limiti di accettabilita' stabiliti
 dalle  regioni,  scarichi  provenienti  da  insediamenti   produttivi
 eccedenti limiti di accettabilita' delle tabelle di cui alla legge n.
 319/1976  o,  se  recapitano  in  pubbliche fognature, quelli fissati
 dall'art.  12, primo comma, n. 2, stessa legge, nonche' scarichi  che
 superino  i  limiti di accettabilita' inderogabili per i parametri di
 natura   tossica   persistente   e   bioaccumulabile   -    Lamentata
 depenalizzazione  per  la prima ipotesi e riduzione della pena per le
 altre - Irragionevolezza -  Disparita'  di  trattamento  rispetto  ad
 ipotesi  meno  gravi,  ma  punite  con maggior severita', nonche' tra
 regioni e rispetto alla disciplina dettata  con  altre  leggi  sempre
 sull'inquinamento  delle  acque  -  Lesione  del diritto all'ambiente
 salubre - Omesso adeguamento con le norme del diritto internazionale,
 in particolare con quelle CEE (direttiva n. 271/91).
 (D.-L. 17 marzo 1995, n. 79, art. 3, convertito in  legge  17  maggio
 1995, n. 172).
 (Cost., artt. 3, 9, 10 e 32).
(GU n.53 del 27-12-1995 )
                              IL PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale di cui
 sopra, a carico di Cioni Romano, imputato dei reati di cui agli artt.
 21, primo comma, e 21, terzo comma, legge n. 319/1976, osserva che il
 p.m.  di  udienza  ha richiesto pronunzia di questo pretore in ordine
 all'ipotesi  di  non  manifesta  infondatezza  della   questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  3 del d.-l. 17 marzo 1995 n.
 79,  motivando che la norma citata si pone in contrasto con gli artt.
 3, 9, 10 e 32 della Costituzione.
   Cio' posto, il pretore osserva che la richiesta del p.m. e' fondata
 e  si  ritiene,  pertanto,  di  dover  dichiarare  rilevante  e   non
 manifestamente  infondata,  per  violazione degli artt. 3, 9, 10 e 32
 della  Costituzione,  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  3  del  17 marzo 1995 n. 79, il quale, nella sua integrale
 stesura, prevede la modifica globale del  terzo  comma  dell'art.  21
 della  legge  n.  319/1976  e,  sospendendo il presente procedimento,
 dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
   Il pretore rileva che gia' in  precedenza,  con  ordinanze  dell'11
 ottobre  1994 e del 28 ottobre 1994, nei procedimenti penali a carico
 di Ferraiolo Alessandro e  Gelli  Paolo  e  di  Innocenti  Giancarlo,
 imputati  del reato di cui all'art. 2l, legge n. 319/1976, il pretore
 di Grosseto si e' pronunziato in ordine all'ipotesi di non  manifesta
 infondatezza della questione di legittimita' costituzionale dell'art.
 3  del d.-l.   19 settembre 1994, n. 537, con trasmissione degli atti
 alla Corte costituzionale, per le argomentazioni  in  esse  ordinanze
 esposte.
   Considerato  che  il  citato decreto-legge, decaduto per non essere
 stato convertito in legge, e' stato sostituito integralmente e  senza
 alcuna modifica per quanto concerne l'art. 3, con il d.-l. 16 gennaio
 1995, n. 9 e che, in merito a quest'ultimo decreto-legge, con recente
 ordinanza,  in  data  31  gennaio  1995,  il  pretore  di Grosseto ha
 sollevato ugualmente la  questione  di  legittimita'  costituzionale,
 cosi' come con ordinanze di questo pretore, in data 9 febbraio 1995 e
 16 febbraio 1995.
   Rilevato che, decaduto anche tale decreto-legge, l'art. 3 del d.-l.
 16  gennaio 1995 n. 9, e' stato sostituito, senza alcuna modifica per
 i profili che qui concernono, con l'art. 3 del d.-l. 17 marzo 1995 n.
 79.
   Rilevato che le  problematiche  applicative  appaiono  strettamente
 collegate   al   caso   in   oggetto   e  le  argomentazioni  esposte
 nell'indicata ordinanza del  31  gennaio  1995,  vanno  condivise  e,
 quindi,   ribadite   e   richiamate  integralmente  con  la  presente
 ordinanza,  da  valersi  pienamente  anche  per  quanto  concerne  la
 fattispecie relativa al d.-l.  17 marzo 1995 n. 79, in esame.
   Le  argomentazioni  essenziali  poste  a  sostegno  della sollevata
 questione costituzionale, riflettono quanto in appresso riportato.
   "Quanto alla disciplina  degli  scarichi,  la  legge  prescrive  in
 particolare che:
    a) gli scarichi degli insediamenti produttivi (art. 12 e art.  13)
 devono  rispettare  direttamente  le  tabelle. Fanno eccezione i soli
 scarichi gia' esistenti al 13 giugno 1976 (data di entrata in  vigore
 della  legge) immessi in pubbliche fognature provviste di impianto di
 depurazione  funzionante.  In  tal  caso  il  comune   che   gestisce
 l'impianto puo' prescrivere limiti piu' permissivi;
    b)  gli  scarichi degli insediamenti civili in pubbliche fognature
 sono sempre ammessi purche' osservino i  regolamenti  comunali  (art.
 l4, primo comma);
    c)  gli  scarichi  da pubbliche fognature (art. 14, secondo comma)
 sono disciplinanti dalle regioni, le quali devono tener  conto  delle
 direttive  statali  (emesse  con  delibera del 30 dicembre 1980), dei
 limiti delle tabelle e delle situazioni locali.
   In  particolare,  le  citate  direttive  statali, mentre sono molto
 elastiche e nulla  di  preciso  prescrivono  in  relazione  a  questi
 insediamenti  civili  (salvo  la  predisposizione  di  incentivi  per
 favorirne l'allaccio in fogna), stabiliscono invece per le  pubbliche
 fognature  che  le  regioni  non  possono mai derogare ai limiti piu'
 restrittivi previsti dalle  tabelle  in  relazione  ai  parametri  di
 natura  tossica,  persistente  e  bioaccumulabile  (specificati in un
 elenco) e che, quanto agli altri parametri, deroghe (permissive) alle
 tabelle sono consentite  solo  quando  "la  presenza  degli  scarichi
 provenienti  da  insediamenti produttivi non sia tale da conferire al
 liquame  in  ingresso  all'impianto  di  depurazione  caratteristiche
 qualitative  sostanzialmente  diverse  da  quelle  attribuibili  agli
 scarichi provenienti  da  soli  insediamenti  civili".  Solo  quando,
 cioe', gli scarichi industriali siano di minima entita' o siano stati
 efficacemente pretrattati a monte.
   Quanto  alle  sanzioni,  la  omessa  richiesta di autorizzazione e'
 punita alternativamente con l'ammenda da L. 500.000 e  10  milioni  o
 con  l'arresto  da  due  mesi  a  due  anni (art. 21, primo e secondo
 comma), mentre, per il  superamento  dei  limiti,  l'art.  21,  terzo
 comma,  prevede  che  "si applica sempre la pena dell'arresto (da due
 mesi a due anni) se lo scarico supera i limiti di  accettabilita'  di
 cui alle tabelle allegate alla legge, nei rispettivi limiti e modi di
 applicazione",  con la ulteriore pena accessoria della incapacita' di
 contrattare con la pubblica amministrazione.
   In conclusione, la legge Merli basa  la  sua  operativita'  su  tre
 ordini  di  obblighi,  tutti  penalmente  sanzionati e tutti fra loro
 connessi, nei  confronti  dei  titolari  di  scarichi:  l'obbligo  di
 richiedere  l'autorizzazione, l'obbligo di rispettare le prescrizioni
 dell'autorizzazione e  l'obbligo  di  rispettare  limiti  prefissati,
 direttamente o indirettamente, dalla legge".
   Con  riferimento  a tale quadro normativo venivano emessi una serie
 di decreti-legge, l'ultimo dei quali in data l7 marzo 1995 con il  n.
 79.  Le  principali  modifiche  apportate alla legge Merli dal citato
 decreto sono:
     A) In relazione all'obbligo di richiedere autorizzazione dopo  18
 anni,  si  riaprono  i  termini  per tutti gli inadempienti e, per il
 passato, si riazzera tutto e si  estinguono  i  reati  gia'  commessi
 purche'  i contravventori presentino, oggi, domanda di autorizzazione
 in sanatoria entro  novanta  giorni  dalla  legge  di  conversione  e
 paghino da 500.000 a 3 milioni (art. 7);
     B)  Quanto  ai limiti da rispettare nello scarico, scompaiono una
 serie di obblighi  (validi  a  livello  nazionale).  Ad  esempio  gli
 scarichi  da  pubbliche  fognature e quelli degli insediamenti civili
 non  in  pubbliche  fognature  devono  rispettare  limiti  non   piu'
 prefissati  ma rimessi alla discrezionalita' di regioni o comuni, che
 possono  tranquillamente  derogare  alle  tabelle;   anche   se   per
 l'immediato  e  fino a nuove direttive, restano ferme le prescrizioni
 adottate anteriormente ed in particolare quelle di cui alla  delibera
 del 30 dicembre 1980.  Di modo che vengono penalizzate le regioni che
 a   questa   delibera   si  erano  adeguate  e  vengono  premiate  le
 inadempienti;
     C) La inosservanza dei limiti tabellari non e' punita, di regola,
 non  piu'  con  l'arresto  ma  con  sanzione alternativa. Quanto alle
 ulteriori conseguenze per il superamento di limiti, venuta gia'  meno
 con  il  nuovo codice di procedura penale la possibilita' di custodia
 cautelare in caso di recidiva, il  decreto-legge  in  esame  cancella
 della  legge  Merli  anche  la  pena  accessoria della incapacita' di
 contrattare con la pubblica amministrazione;
     D)  Analogamente,  la  inosservanza  delle   prescrizioni   delle
 autorizzazioni  allo scarico, sanzionata penalmente dalla legge Merli
 con arresto o ammenda, comporta, con il decreto-legge in  esame  solo
 una sanzione amministrativa da 2 a 24 milioni.
   In  conclusione,  limiti certi vengono sostituiti da limiti rimessi
 alla discrezionalita' quasi  totale  di  regioni  e  comuni,  con  il
 pericolo  di gravi disparita' di trattamento e di vuoti di tutela; in
 piu',  la  inosservanza  di  questi  limiti,   con   il   conseguente
 inquinamento, di regola puo' comportare o una sanzione amministrativa
 pecuniaria  ovvero  una  ammenda  oblabile senza vero rischio penale.
 Questo  rischio,   paradossalmente,   resta   solo   per   violazioni
 soprattutto  formali  e  "burocratiche" (quali la omessa richiesta di
 autorizzazione allo scarico). Ma, comunque, per esse  dopo  18  anni,
 scatta  una  totale  sanatoria  rispetto  al  passato,  premiando gli
 inottemperanti e penalizzando chi ha rispettato la legge.
    Appare evidente che  il  decreto-legge  n.  79/1995,  scardina,  o
 quanto  meno depotenzia in modo rilevante, tutti e tre i capisaldi su
 cui fonda la  legge  Merli  (obbligo  di  richiedere  autorizzazione,
 obbligo  di rispettare le prescrizioni dell'autorizzazione ed obbligo
 di rispettare limiti prefissati.
   Per tutto quanto sopra detto il decreto-legge in esame,  come  gia'
 rilevato  per  i precedenti (cfr. l'ord. del pretore di Vicenza del 2
 agosto 1994, pretore di Terni 27 settembre 1994, pretore di  Grosseto
 11  ottobre  1994, pretore di Grosseto 28 ottobre 1994) e lucidamente
 sostenuto in scritti (G. Amendola) viola il principio di  uguaglianza
 sancito  dall'art.  3  della  legge  fondamentale dello Stato. Appare
 evidente che, dopo le modifiche introdotte dal  decreto  nel  sistema
 sanzionatorio   della   legge   Merli,   la  violazione  di  obblighi
 "burocratici" e formali, certamente non  ricollegabili  ad  un  danno
 all'ambiente   quali  la  omessa  richiesta  di  autorizzazione  allo
 scarico, viene punita, ai sensi dell'art. 21, primo comma, come reato
 con la pena dell'arresto o dell'ammenda; mentre la fattispecie di ben
 maggiore gravita'  sostanziale,  quale  l'inquinamento  dell'ambiente
 provocato con il superamento dei limiti, prevista dall'art. 21, terzo
 comma  e proprio per questo sanzionata fino al decreto-legge in esame
 con la pena piu'  severa  di  tutta  la  legge  (solo  arresto,  pena
 accessoria)   viene  punita  come  illecito  amministrativo  con  una
 sanzione pecuniaria ovvero, con la pena  alternativa  dell'ammenda  o
 dell'arresto  (con  tutte  le  conseguenze piu' favorevoli che questo
 comporta). Insomma, in tal modo, fatti  gravi  vengono  illogicamente
 puniti  in  modo  molto piu' benevolo di fatti certamente piu' lievi.
 Peraltro, in tal modo si  introduce  una  disparita'  di  trattamento
 anche  rispetto  al  sistema  complessivo  della  normativa di tutela
 ambientale che si e' rappresentato in precedenza (cfr. ad esempio, il
 d.P.R.   24 maggio  1988  n.  203  sull'inquinamento  atmosferico  da
 industrie),  ed  in  particolare  con le altre leggi che si occupano,
 come la Merli, di inquinamento delle acque (quale la legge  a  difesa
 del  mare  n.    979 del 31 dicembre 1981 e il decreto legislativo 27
 gennaio  1992 n. 133 sugli scarichi di sostanze pericolose), le quali
 prevedono tutte sanzioni penali (e non amministrative) per  fatti  di
 inquinamento o per violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione.
   In  questo quadro, appare allora sufficiente richiamare la costante
 giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui il principio di
 eguaglianza consente al legislatore di  emanare  norme  differenziate
 riguardo  a  situazioni  obiettivamente diverse solo a condizione che
 tali norme rispondano all'esigenza che la disparita'  di  trattamento
 sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne
 giustifichino  l'adozione (cfr. per tutta la sentenza n. 3 del 1963).
 Per cui la Corte ha dichiarato illegittime norme che  prevedevano  un
 trattamento  sanzionatorio  irrazionalmente  differenziato rispetto a
 quello previsto da altre fattispecie, diminuendo, ad esempio, la pena
 edittale minima per l'oltraggio (n. 341 del 1994);  ovvero,  con  una
 decisione  proprio  relativa all'art. 21 della legge Merli (ove si fa
 espresso riferimento anche al complesso della normativa  ambientale),
 eliminando   il  divieto  di  applicazione  di  sanzioni  sostitutive
 (sentenza n. 254 del 20-23 giugno 1994).
   Orbene, in questa sentenza,  ricorda  la  Corte  che  si  viola  il
 principio  di eguaglianza qualora con leggi successive si dia vita ad
 un "sistema normativo assolutamente squilibrato",  come  avviene,  ad
 esempio,  quando  si  favorisce  "chi  ha  posto  in  essere, fra due
 condotte gradatamente lesive dell'identico bene, quella connotata  da
 maggiore  gravita',  discriminando  invece che ha realizzato il fatto
 che meno offende lo stesso valore  giuridico  (sentenza  n.  249  del
 1993)".   Esattamente   quello   che  ha  fatto  il  governo  con  il
 decreto-legge in esame.
   Ma l'art. 3 della Costituzione risulta violato  anche  sotto  altri
 profili.   La  nuova  formulazione  dell'art.  14,  concedendo  ampia
 discrezionalita' alle regioni per la fissazione di  limiti  comporta,
 con   ogni   evidenza,  la  possibilita'  che  vi  siano  marcate  ed
 irrazionali disparita' di trattamento da regione a regione.
   In detto svuotamento sanzionatorio di uno dei reati piu' importanti
 in materia di tutela ambientale (forse il reato  piu'  importante  in
 assoluto  in  materia  di  inquinamenti)  si  profila ad avviso dello
 scrivente pretore, una violazione del disposto dell'art.  9,  secondo
 comma,  della  Costituzione,  laddove la tutela del paesaggio, inteso
 secondo le piu' recenti pronuncie della Corte di cassazione  e  della
 Corte  costituzionale,  non  deve  essere  inteso  solo come bellezza
 estetica da cartolina ma come anbiente naturale in senso lato, quindi
 comprensivo  anche  degli   inevitabili   ed   inscindibili   aspetti
 bionaturalistici.
   Per  gli  stessi  motivi  esposti  in  relazione  all'art.  9 della
 Costituzione, si ritiene che la norma in esame si ponga in  contrasto
 anche con l'art. 32 della Carta costituzionale.
   Infatti,  nel  concetto  di  tutela  della  salute  come  principio
 costituzionalmente garantito deve, per forza di cose  ricomprendersi,
 il  piu'  vasto  concetto  della  salute  pubblica  nel  senso  delle
 salubrita' dell'ambiente naturale ed  urbano  ove  ciascun  cittadino
 vive.  Il  diritto alla salute inteso anche come diritto all'ambiente
 salubre e' stato ormai ripetutamente accertato in giurisprudenza  (si
 veda  per  tutte  la famosa sentenza delle sezioni unite n. 517 del 6
 ottobre 1979, nonche' la Corte costituzionale  in  data  31  dicembre
 1987  n.  641 ed in data 16 marzo 1990 n. 17).  E' fuor dubbio che la
 diminuita,  ed  anzi  per  certi  versi  di fatto del tutto caducata,
 possibilita' di intervento deterrente/punitivo in sede di illeciti da
 inquinamento  idrico  crea   i   presupposti   per   una   evoluzione
 incontrollata  del  fenomeno,  incoraggiata  dall'abbassamento  della
 guardia in sede di controlli di p.g.  e  possibilita'  di  intervento
 processuale; e tutto questo si traduce in via diretta in un danno per
 la  salute  e  salubrita'  pubblica  in  un  ambiente che resta cosi'
 maggiormente ed incontrollatamente esposto al degrado inquinante.
   Va ancora rilevato che la norma  in  esame  pare  porsi  in  totale
 contrasto   con  gli  obblighi  che  derivano  al  nostro  Paese  per
 l'appartenenza all'Unione europea. Gia' due volte la Corte europea di
 giustizia ha condannato il nostro  Paese  per  il  contrasto  tra  la
 "legge  Merli"  e  le direttive comunitarie, tra l'altro anche per la
 permissivita'  del  sistema  autorizzatorio   previsto   e   per   la
 "insufficienza"  delle  sanzioni  penali  previste  dall'art.  22  in
 relazione alla inosservanza  delle  prescrizioni  dell'autorizzazione
 (Corte  di  giustizia  28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990). La sopra
 esposta generale regressione sanzionatoria creata  dal  decreto-legge
 in  esame  concretizza  di  conseguenza  una ulteriore evoluzione del
 grado di inadempienza italiana verso le  direttive  CEE  e  verso  le
 sentenze della Corte europea.
   Peraltro  il  decreto  stesso, si pone in evidente contrasto con la
 direttiva CEE n. 271 del 2l maggio 1991 sul trattamento  delle  acque
 reflue  urbane,  che  lo  Stato italiano avrebbe dovuto gia' recepire
 entro lo scorso giugno  1993  e  che  fissa  obblighi  e  limiti  ben
 precisi,  con  ben  pochi  margini  di discrezionalita' specie per le
 "aree sensibili".  E del resto il contrasto e' apparso  evidentemente
 gia'  in  sede di redazione del testo in esame se il decreto richiama
 espressamente nell'art. 1 la direttiva 91/217/CEE del 2l maggio 1991.
   Ove il decreto n. 79/1995 dovesse essere convertito  in  legge,  le
 prescrizioni  si  applicheranno  dunque  finche'  non  si  sara' data
 attuazione alla citata direttiva; attrazione che  dovrebbe  avvenire,
 secondo la legge comunitaria 1993 n. 146 del 22 settembre 1994, entro
 il  marzo  1995  e,  peraltro,  con  rigidi  principi  di  attuazione
 predeterminati dal Parlamento (art.  37,  primo  comma)  in  evidente
 contrasto  con  la elasticita' e genericita' del decreto in esame, il
 che provochera' ulteriore confusione ed incertezza del diritto.
   Ed in ogni caso  va  sottolineato  che,  secondo  la  citata  legge
 comunitaria,  il  Governo dovrebbe dare attuazione a questa direttiva
 provvedendo all' "adeguamento della normativa vigente alla disciplina
 comunitaria,  apportando  alla  prima  ogni  necessaria  modifica  ed
 integrazione  allo  scopo  di definire un quadro omogeneo ed organico
 delle disposizioni di settore" (art. 36 lett. c).
   Dato il carattere regressivo in sede sanzionatoria del  decreto  n.
 79/1995, ritiene lo scrivente che si appalesa un contrasto con l'art.
 10 della Costituzione per mancata conformazione alle citate norme del
 diritto internazionale.
   Da  quanto  sopra  esposto  emerge  la  rilevanza  della  sollevata
 eccezione sul caso in esame, ove risulta  contestato  il  superamento
 dei  limiti  tabellari,  con  le differenze normative richiamate e le
 diverse strategie processuali percorribili da parte della difesa, sia
 in caso di rigetto che di accoglimento della eccezione.
                               P. Q. M.
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata, per violazione
 degli artt. 3, 9,  10  e  32  della  Costituzione,  la  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 3, integrale formulazione, del
 d.-l. 17 marzo 1995 n. 79;
   Dispone   l'immediata   tarsmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale;
   Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata agli imputati, ai difensori, al pubblico ministero nonche'
 al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata  al  Presidente
 della   Camera  dei  deputati  ed  al  Presidente  del  Senato  della
 Repubblica.
     Grosseto, addi' 6 aprile 1995
                                                  Il pretore: GIORDANO
 95C1570