N. 896 ORDINANZA (Atto di promovimento) 28 settembre 1995

                                N. 896
   Ordinanza emessa il 28 settembre 1995  dal  pretore  di  Palmi  nel
 procedimento penale  a carico di Alvaro Domenico Fedele ed altro
 Ambiente  (tutela  dell')  -  Inquinamento  - Scarichi provenienti da
 pubbliche fognature che superino limiti di  accettabilita'  stabiliti
 dalle   regioni,  scarichi  provenienti  da  insediamenti  produttivi
 eccedenti limiti di accettabilita' delle tabelle di cui alla legge n.
 319/1976 o, se recapitano  in  pubbliche  fognature,  quelli  fissati
 dall'art.   12, primo comma, n. 2, stessa legge, nonche' scarichi che
 superino i limiti di accettabilita' inderogabili per i  parametri  di
 natura    tossica   persistente   e   bioaccumulabile   -   Lamentata
 depenalizzazione per la prima ipotesi e riduzione della pena  per  le
 altre  -  Irragionevolezza  -  Disparita'  di trattamento rispetto ad
 ipotesi meno gravi, ma punite  con  maggior  severita',  nonche'  tra
 regioni  e  rispetto  alla  disciplina dettata con altre leggi sempre
 sull'inquinamento delle acque  -  Lesione  del  diritto  all'ambiente
 salubre - Omesso adeguamento con le norme del diritto internazionale,
 in particolare con quelle CEE (direttiva n. 271/91).
 (D.-L.  17  marzo  1995, n. 79, art. 3, convertito in legge 17 maggio
 1995, n. 172).
 (Cost., artt. 3, 9, 10 e 32).
(GU n.53 del 27-12-1995 )
                           IL  VICE  PRETORE
   Ha emesso la seguente  ordinanza  dibattimentale  nel  procedimento
 penale n. 4/1995, r.g. aff. pen. a carico di Alvaro Domenico Fedele e
 Panzera  Vittorio,  imputati del reato di cui agli artt. 21, legge n.
 319/1976 e 674 c.p.
                             O s s e r v a
   Che gia' in precedenza la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.  3  d.-l.  17  marzo  1995,  n.  79, piu' volte riproposto,
 convertito in legge in data 17 maggio 1995, ritenuta di non manifesta
 infondatezza, e'  stata  gia'  proposta  all'attenzione  della  Corte
 costituzionale,  argomentando  che  detto  articolo che modificava il
 terzo comma  dell'art.    21  legge  Merli  prevedeva  una  manifesta
 disparita' di trattamento tra coloro che scaricando non osservavano i
 limiti  di  accettabilita'  previsti  dalle  tabelle, e coloro che ai
 sensi del primo comma  dell'art.    21  legge  Merli  scaricavano  in
 difetto  di  prescritta  autorizzazione,  fattispecie per la quale il
 legislatore aveva previsto l'obbligatorieta' della sanzione penale.
   A  parere di questo magistrato la norma citata si pone in contrasto
 con quanto statuito dall'art.  3  della  Costituzione  per  manifesta
 disparita'  di trattamento sanzionatorio che il legislatore prevedeva
 per fattispecie analoghe ed anzi di maggiore gravita' sostanziale per
 quanto  in  particolare  concerneva  la  modifica  del  terzo   comma
 dell'art.  21  legge  Merli come novellato dal decreto-legge citato e
 successivamente convertito in legge n. 172/1995.
   In contrasto altresi' con l'art. 9 della Costituzione in  relazione
 al   secondo  comma  del  medesimo  articolo  in  quanto  la  mancata
 applicazione  della  sanzione  penale  nella   fattispecie   prevista
 dall'art.  3  del  decreto-legge  - come convertito in legge - citato
 appariva insufficiente a tutelare il  paesaggio  nell'accezione  piu'
 lata  che  recenti  pronuncie  della  Corte  Suprema  hanno dato alla
 nozione del paesaggio; infine  la  norma  in  questione  appariva  in
 contrasto  altresi'  con l'art. 10 della Costituzione che impone allo
 Stato italiano di conformarsi alle norme del  diritto  internazionale
 generalmente  riconosciute laddove omette la sostanziale applicazione
 e  attuazione  delle  direttive  CEE  in  materia   di   inquinamento
 ambientale.
   Osserva  questo  pretore  che  le argomentazioni richiamate possono
 riproporsi con riferimento all'art. 3 del d.-l. 17  marzo  1995,  ora
 legge  n.  172/1995,  e  si  ritiene,  pertanto,  di dover dichiarare
 rilevante  e  non   manifestamente   infondata,   la   questione   di
 legittimita' costituzionale dell'art. 3 del d.-l. 17 marzo 1995, cosi
 come  convertito  nella  legge  n.  172/1995,  il  quale,  nella  sua
 integrale stesura  prevede,  in  modifica  globale  del  terzo  comma
 dell'art.  21  della legge n. 319/1976 e successive modificazioni che
 "Fatte salve le disposizioni penali di cui  al  primo  e  al  secondo
 comma,  l'inosservanza  dei  limiti di accettabilita' stabiliti dalle
 regioni ai sensi dell'art. 14, secondo  comma,  ove  non  costituisca
 reato  o  circostanza  aggravante,  e'  punita  con  la sola sanzione
 amministrativa pecuniaria da lire tre milioni a lire trenta  milioni,
 salvo diversa disposizione della legge regionale. Per gli scarichi da
 insediamenti  produttivi,  in  caso  di  superamento  dei  limiti  di
 accettabilita' delle tabelle  allegate  alla  presente  legge  e,  se
 recapitano  in pubbliche fognature, di quelli fissati ai sensi del n.
 2, del primo comma, dell'art. 12, si applica la pena dell'ammenda  da
 lire  quindici  milioni  a lire centocinquanta milioni o dell'arresto
 fino ad un anno. Si applica la pena dell'ammenda da lire  venticinque
 milioni  a  lire  duecentocinquanta milioni o la pena dell'arresto da
 due mesi a due anni qualora siano superati i limiti di accettabilita'
 inderogabili  per  i  parametri  di  natura  tossica  preesistente  e
 bioaccumulabile,  di cui al n. 4 del documento unito alla delibera 30
 dicembre 1980 del Comitato  interministeriale  previsto  dall'art.  3
 della presente legge, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 9 del 10
 gennaio  1981,  e  di  cui  all'elenco  dell'allegato 1 alla delibera
 medesima.   Ai   fini   della   quantificazione    della    pena    e
 dell'ammissibilita'  dell'oblazione  ai  sensi  dell'art. 162-bis del
 codice penale, il giudice tiene conto  dell'entita'  del  superamento
 dei limiti di accettabilita'".
   La  valutazione  del  caso  in  questione richiede un riesame degli
 aspetti giuridici della tutela ambientale, cosa non  agevole  per  la
 vastita' dei problemi sollevati dalle due fondamentali leggi che sono
 state  promulgate  in  merito,  e  precisamente dalla legge 10 maggio
 1976, n. 319, meglio conosciuta sotto il nome di legge Merli, e della
 successiva  legge  24  dicembre  1979, n. 650, comunemente denominata
 Merli-bis.
   La citata  legislazione  speciale  non  si  inseriva  in  un  vuoto
 normativo,  poiche'  gia'  prima della legge Merli, esisteranno degli
 scarichi inquinanti, anche se il bene giuridico protetto era il  piu'
 vario.    Basti  pensare alle norme del testo unico delle leggi sulla
 pesca del 1931, che nell'art. 9  prescrivevano  l'autorizzazione  del
 Presidente   della   Giunta  Provinciale  per  l'effettuazione  degli
 scarichi industriali in acque  pubbliche,  conferendo  alla  predetta
 autorita'  il  potere  di imporre prescrizioni atte ad impedire danni
 all'ittiofauna  e  ad   obbligare   chi   determinava   fenomeni   di
 inquinamento  ad  eseguire  opere  di  ripopolamento ittico. L'art. 6
 della stessa legge,  poi,  vietava,  tra  l'altro  di  gettare  o  di
 infondere  nelle  acque  marine  atte  ad  intorpidire,  stordire  od
 uccidere i  pesci,  con  la  conseguenza  che  attraverso  la  tutela
 dell'ittiofauna     veniva    preservato    il    corso    dell'acqua
 dall'inquinamento  o  comunque  da  forme  di  inquinamento  che  non
 consentissero la vita dei pesci.
   Le  norme del testo unico sanitario che disciplinavano direttamente
 l'igiene e la salubrita' dell'ambiente svolgevano parimenti un  ruolo
 importante,  ad  esempio  in  relazione  allo smaltimento delle acque
 immonde, delle materie escrementizie e di altri rifiuti che ai  sensi
 dell'art.   218  dovevano  avvenire  in  modo  da  non  inquinare  il
 sottosuolo, o in relazione al divieto di immissione nei corsi d'acqua
 che attraversavano l'abitato di fogne o canali di raccolta  di  acque
 immonde,   tra   cui  le  acque  inquinate  provenienti  da  scarichi
 industriali, previsto dall'art. 227.
   Il codice penale, infine sotto il titolo  VI  dedicato  ai  delitti
 contro  l'incolumita'  pubblica sanzionava penalmente l'avvelenamento
 doloso o colposo di acque destinate  all'alimentazione  umana,  prima
 che  fossero  attinte  o  distribuite per il consumo (vedi i problemi
 collegati all'uso di atrazina).
   Altre norme del codice penale  che  non  sembrano  disciplinare  il
 fenomeno  dell'inquinamento, neanche indirettamente, furono applicate
 dai  pretori  cosiddetti  di  "assalto",   attraverso   un'opera   di
 intelligente   interpretazione   giurisprudenziale,   sostanzialmente
 recepita dalla suprema Corte di cassazione.
   Fu cosi' ritenuto applicabile l'art.  635  del  codice  penale  che
 sanziona  la  condotta  di  chiunque distrugge, disperde, deteriora o
 rende, in tutto o in parte inservibili come mobili o immobili altrui,
 con la contestazione  frequente  dell'aggravante  di  cui  al  n.  3,
 secondo   comma,  della  norma,  in  relazione  all'ipotesi  prevista
 dall'art. 625, n. 7, c.p., per la natura pubblica, la destinazione ad
 uso pubblico o per  la  esposizione  alla  pubblica  fede  del  corso
 d'acqua inquinata.
   Fu  la stessa giurisprudenza di merito a ritenere applicabile anche
 l'art. 674  c.p.  che  unisce  il  getto  pericoloso  di  cose  e  in
 particolare  la  condotta  di  colui che getta o versa in un luogo di
 pubblico transito o in luogo privato ma di comune o  di  altrui  uso,
 come  atte ad offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei
 casi non consentiti dalla legge, revoca emissioni di gas, di vapori o
 di fumo, atti a cagionare tali effetti, in tutti i casi in cui  dallo
 svernamento  delle  sostanze  inquinanti potesse derivare un pericolo
 per la salute o  anche  per  la  decorosa  parvenza  esteriore  della
 persona umana.
   Ora appare evidente che tutte le norme richiamate, la maggior parte
 delle  quali  devono  ritenersi ancora vigenti, non assolvevano pero'
 all'esigenza, da piu' parti sentita, di disciplinare in modo organico
 la materia degli scarichi per una migliore tutela dell'ambiente.
   Questo obiettivo risulta appunto consacrato nell'art. 1 della legge
 10 maggio 1976, n. 319, il quale alla lettera A), testualmente recita
 "la presente legge ha per oggetto la  disciplina  degli  scarichi  di
 qualsiasi  tipo,  pubblici  e privati diretti e indiretti in tutte le
 acque superficiali e sotterranee interne e marine, sia pubbliche  che
 private, nonche' in fognature, sul suolo e nel sottosuolo".
   Occorre  subito  chiarire  che  la legge non fornisce la nozione di
 scarico  e  che,  contrariamente  a  quanto  potrebbe  apparire,   il
 significato  del termine, non e' riferibile a tutti i tipi di scarico
 in senso assoluto.
   La giurisprudenza e la dottrina, attraverso lo  studio  sistematico
 della  normativa,  compresa  la  legge  di  parziale  modifica dell'8
 ottobre 1976, n. 690, e la delibera del comitato dei Ministri per  il
 rilevamento  delle  caratteristiche  dei  corpi  idrici e dei criteri
 metodologici per la formazione e l'aggiornamento dei  catasti  del  4
 febbraio  1977,  hanno precisato il concetto nei seguenti termini: a)
 deve trattarsi innanzitutto di sostanze di scarto, cioe'  di  rifiuti
 derivanti  dall'utilizzazione di altre sostanze; b) in secondo luogo,
 le sostanze devono essere liquidate o quanto meno solubili in  acqua,
 poiche'   solo   in   tali  condizioni  e'  possibile  realizzare  la
 misurazione  dei  limiti  di  accettabilita'   degli   scarichi   con
 riferimento  alle  tabelle  allegate alla legge cosi' come prescritto
 dall'art. 9. Cio' che viene misurato infatti, e' l'acqua la quale non
 puo' che essere l'acqua di rifiuto dell'insediamento.   Cio'  risulta
 evidente   dalla   lettura  del  titolo  quarto  della  legge  ed  in
 particolare dagli artt. 9, 10, 12 e 15.
   Il  primo  stabilisce,  in  proposito,  che  la  misurazione  degli
 scarichi si intende effettuata subito a monte del punto di immissione
 nei  corpi  ricettori di cui all'art. 1, lettera A), che gli scarichi
 devono  essere  resi  accessibili  per  il  campionamento  da   parte
 dell'autorita'    autorizzata   ad   effettuate   all'interno   degli
 insediamenti  produttivi  tutte  le  ispezioni   che   essa   ritenga
 necessarie  per  l'accertamento delle condizioni che danno luogo alla
 formazione degli scarichi.
   Le altre norme poi, nel disciplinare le modalita' per  il  rilascio
 dell'autorizzazione  allo  scarico  degli  insediamenti  produttivi e
 civili, esistenti o di nuova realizzazione presuppongono tutte che vi
 sia un impianto di scarico, funzionante con  una  certa  continuita'.
 Cio' viene anche confermato dal contenuto dell'art. 5 della legge che
 attribuisce  alle  province  il  compito  di effettuare il catasto di
 tutti gli scarichi pubblici e privati nei corsi d'acqua superficiali.
   La legge, pertanto, secondo taluni non trova applicazione nei  casi
 di  scarico  di  sostanze  solide non solubili in acqua e nei casi di
 scarichi occasionali non  ricollegabili  immediatamente  ad  impianti
 stabili.  Tali  ipotesi  sarebbero  applicabili  altre  norme, sia di
 natura amministrativa, quali ad esempio la legislazione regionale  in
 materia di rifiuti solidi, sia di natura penale qualora ne sussistono
 i  presupposti  (ad  es.  l'art. 674 del c.p. nel caso di pericolo di
 imbrattamento o comunque di offesa alla persona, gli artt. 439 e  452
 del  c.p.,  qualora  dal  fatto  derivi  l'avvelenamento  delle falde
 acquifere, e secondo taluni, l'art. 6 del testo unico sulla pesca, se
 ne sia derivato un pericolo per la vita dei pesci e cosi' via).
   Secondo  altri  per  definire  il  concetto  di   scarico   occorre
 riconsiderare  la  nozione di scarichi che compare nella norma di cui
 all'art. 21 della legge n. 319, onde realizzare il superamento  della
 definizione    restrittiva   prevalente   in   dottrina   sino   alla
 promulgazione della legge n.  650/1979.  In  effetti  all'art.  1  il
 legislatore  ha  disciplinato, come si e' detto, gli scarichi ma tale
 previsione va collegata con quella contenuta nell'art. 26, che abroga
 ogni  altra  norma  che  disciplina  la  materia  in  questione,  sia
 direttamente  che  indirettamente.  Il  precetto  comune e' contenuto
 nell'art. 9, secondo il  quale  "tutti  gli  scarichi  devono  essere
 autorizzati".
   Dalla  modifica  operata  da parte della legge 29 dicembre 1979, n.
 650, all'art. 1 possono ricavarsi concreti elementi a sostegno  della
 posizione  che  si  sta  illustrando, imponendosi una interpretazione
 lata dalla nozione di scarico, e quindi dell'ambito  di  applicazione
 dell'intera normativa dell'inquinamento idrico.
   La   modifica   in   questione   ha   determinato  la  soppressione
 dell'espressione  "immissione  diretta  di  rifiuti  di   lavorazioni
 industriali  o  provenienti  da servizi pubblici o da insediamenti di
 qualsiasi specie" con quella onnicomprensiva di scarichi.
   Ove si sia d'accordo nel ritenere  che  la  nozione  soppressa  sia
 compresa  nel  termine con il quale si e' operata la sostituzione, la
 conseguenza sul piano pratico  sara'  che  nel  concetto  di  scarico
 andra'  compreso  anche quello derivante da singoli episodi isolati o
 periodici, oltre quello proveniente da insediamento.
   Tutto cio' comporta la  positiva  conseguenza  di  un  allargamento
 della  sfera di applicazione delle norme antinquinamento, dotando gli
 operatori di sempre maggior strumenti.
   Quanto alla  disciplina  degli  scarichi,  la  legge  prescrive  in
 particolare che:
     a)  gli  scarichi  degli  insediamenti produttivi (art. 12 e art.
 13) devono rispettare direttamente le tabelle. Fanno eccezione i soli
 scarichi gia' esistenti al 13 giugno 1976 (data di entrata in  vigore
 della  legge) immessi in pubbliche fognature provviste di impianto di
 depurazione  funzionante.  In  tal  caso  il  comune   che   gestisce
 l'impianto puo' prescrivere limiti piu' permissivi;
     b)  gli scarichi degli insediamenti civili in pubbliche fognature
 sono sempre ammessi purche' osservino i  regolamenti  comunali  (art.
 14, primo comma);
     c)  gli  scarichi da pubbliche fognature (art. 14, secondo comma)
 sono disciplinati dalle regioni, le quali devono  tener  conto  delle
 direttive  statali  (emesse  con  delibera del 30 dicembre 1980), dei
 limiti delle tabelle e delle situazioni locali.  In  particolare,  le
 citate  direttive  statali,  mentre  sono  molto elastiche e nulla di
 preciso prescrivono in relazione a questi insediamenti civili  (salvo
 la  predisposizione  di incentivi per favorirne l'allaccio in fogna),
 stabiliscono invece per le pubbliche fognature  che  le  regioni  non
 possono  mai  derogare  ai  limiti  piu'  restrittivi  previsti dalle
 tabelle in relazione ai parametri di natura  tossica,  persistente  e
 bioaccumulabile  (specificati  in un elenco) e che, quanto agli altri
 parametri, deroghe (permissive) alle  tabelle  sono  consentite  solo
 quando  "La  presenza  degli  scarichi  provenienti  da  insediamenti
 produttivi  non  sia  tale  da  conferire  il  liquame  in   ingresso
 all'impatto     di     depurazione     caratteristiche    qualitative
 sostanzialmente  diverse  da  quelle   attribuibili   agli   scarichi
 provenienti  da  soli  insediamenti  civili". Solo quando, cioe', gli
 scarichi  industriali  siano  di  minima  entita'   o   siano   stati
 efficacemente pretrattati a monte.
   Quanto  alle  sanzioni,  la  omessa  richiesta di autorizzazione e'
 punita alternativamente con l'ammenda da 1.500.000 a 10.000.000 o con
 l'arresto da due mesi a due anni (art. 21, primo  e  secondo  comma),
 mentre,  per  il  superamento  dei  limiti,  l'art.  21, terzo comma,
 prevede che "si applica sempre la pena dell'arresto (da  due  mesi  a
 due anni) se lo scarico supera i limiti di accettabilita' di cui alle
 tabelle  allegate  alla  legge,  nei  rispettivi  limiti  e  modi  di
 applicazione", con l'ulteriore pena  accessoria  dell'incapacita'  di
 contrattare con la pubblica amministrazione.
   In  conclusione,  la  legge  Merli  basa la sua operativita' su tre
 ordini di obblighi, tutti penalmente  sanzionati  e  tutti  fra  loro
 connessi,  nei  confronti  dei  titolari  di  scarichi:  l'obbligo di
 richiedere l'autorizzazione, l'obbligo di rispettare le  prescrizioni
 dell'autorizzazione  e  l'obbligo  di  rispettare  limiti prefissati,
 direttamente o indirettamente, dalla legge.
   Con riferimento a tale quadro normativo venivano emessi  una  serie
 di  decreti-legge  l'ultimo dei quali 17 marzo 1995 n. 79, convertito
 in legge in data 17 maggio 1995. Le  principali  modifiche  apportate
 alla legge Merli dalla legge 172/1995:
     A)  in relazione all'obbligo di richiedere autorizzazione dopo 18
 anni, si riaprono i termini per tutti gli  inadempimenti  e,  per  il
 passato, si riazzera tutto e si estinguono i reati commessi purche' i
 contravventori   presentino,   oggi,  domanda  di  autorizzazione  in
 sanatoria entro 90 giorni dalla legge di  conversione  e  paghino  da
 500.000 a 3.000.000 (art. 7);
     B)  quanto  ai limiti da rispettare nello scarico, scompaiono una
 serie di obblighi  (validi  a  livello  nazionale).  Ad  esempio  gli
 scarichi  da  pubbliche  fognature e quelli degli insediamenti civili
 non  in  pubbliche  fognature  devono  rispettare  limiti  non   piu'
 prefissati  ma rimessi alla discrezionalita' di regioni o comuni, che
 possono  tranquillamente  derogare  alle  tabelle;   anche   se   per
 l'immediato  e fino a nuove direttive, "restano ferme le prescrizioni
 adottate anteriormente ed in particolare quelle di cui alla  delibera
 del  30  dicembre 1980".   Di modo che vengono penalizzate le regioni
 che a questa  delibera  si  erano  adeguate  e  vengono  premiate  le
 inadempienti);
     C)  la  inosservanza  dei  limiti  tabellari  e non e' punita, di
 regola, non piu' con l'arresto ma con  sanzione  alternativa.  Quanto
 alle  ulteriori conseguenze per il superamento di limiti, venuta gia'
 meno con il nuovo codice  di  procedura  penale  la  possibilita'  di
 costudia  cautelare  in  caso  di  recidiva,  la nuova legge cancella
 rispetto alla legge Merli anche la pena accessoria della  incapacita'
 di contrattare con la pubblica amministrazione;
     D)   analogamente,   l'  inosservanza  delle  prescrizioni  delle
 autorizzazioni allo scarico, sanzionata penalmente dalla legge  Merli
 con  arresto  o ammenda, comporta, con la legge n. 172/1995, solo una
 sanzione amministrativa da 2 a 24 milioni.
     In conclusioni, limiti certi vengono sostituiti da limiti rimessi
 alla  discrezionalita'  quasi  totale  di  regioni  e  comuni, con il
 pericolo di gravi disparita' di trattamento e di vuoti di tutela;  in
 piu',   l'inosservanza   di   questi   limiti,   con  il  conseguente
 inquinamento, di regola puo' comportare o una sanzione amministrativa
 pecuniaria ovvero una ammenda oblabile  senza  vero  rischio  penale.
 Questo   rischio,   paradossalmente,   resta   solo   per  violazioni
 soprattutto formali e "burocratiche" (quali la  omessa  richiesta  di
 autorizzazione  allo  scarico).  Ma, comunque, per esse dopo 18 anni,
 scatta una  totale  sanatoria  rispetto  al  passato,  premiando  gli
 inottemperanti e penalizzando chi ha rispettato la legge.
   Appare  evidente  che la legge n. 172/1995, scardina, o quanto meno
 depotenzia in modo rilevante, tutti e tre i capisaldi su cui fonda la
 legge  Merli  (obbligo  di  richiedere  autorizzazione,  obbligo   di
 rispettare   le   prescrizioni   dell'autorizzazione  ed  obbligo  di
 rispettare limiti prefissati).
   Per tutto quanto sopra detto, la legge in esame, come gia' rilevato
 per i precedenti decreti-legge che si sono succeduti  fino  alla  sua
 conversione,  (cfr.  l'ord. del pretore di Vicenza del 2 agosto 1994,
 pretore di Terni 27 settembre 1994, pretore  di  Grosseto  1  ottobre
 1994,  pretore  di  Grosseto  28 ottobre 1994, pretore di Grosseto 30
 gennaio 1995, e lucidamente sostenuto in scritti (G. Amendola)  viola
 il   principio   di  uguaglianza  sancito  dall'art.  3  della  legge
 fondamentale dello Stato.
   Emerge, prima facie, che, dopo le modifiche introdotte dalla  legge
 n.   172/1995   nel  sistema  sanzionatorio  della  legge  Merli,  la
 violazione  di  obblighi  "burocratici"  e  formali,  certamente  non
 ricollegabili  ad  un danno all'ambiente quali la omessa richiesta di
 autorizzazione allo scarico, viene punita,  ai  sensi  dell'art.  21,
 primo  comma,  come  reato  con  la pena dell'arresto o dell'ammenda;
 mentre la fattispecie di ben  maggiore  gravita'  sostanziale,  quale
 l'inquinamento dell'ambiente provocato con il superamento dei limiti,
 prevista  dall'art.  21, terzo comma, e proprio per questo sanzionata
 fino alla conversione del decreto-legge n. 79/1995; con la pena  piu'
 severa di tutta la  legge  (solo  arresto,  pena  accessoria),  viene
 punita  come  illecito  amministrativo  con  una  sanzione pecuniaria
 ovvero, con la pena  alternativa  dell'ammenda  o  dell'arresto  (con
 tutte  le  conseguenze piu' favorevoli che questo comporta). Insomma,
 in tal modo, fatti gravi vengono illogicamente puniti in  modo  molto
 piu'  benevolo di fatti certamente piu' lievi.  Peraltro, in tal modo
 si introduce una disparita' di trattamento anche rispetto al  sistema
 complessivo   della   normativa   di  tutela  ambientale  che  si  e'
 rappresentato in precedenza (cfr. ad esempio, il d.P.R.    24  maggio
 1988,  n.  203,  sull'inquinamento  atmosferico  da industrie), ed in
 particolare con le altre leggi che si occupano,  come  la  Merli,  di
 inquinamento  delle  acque  (quale la legge a difesa del mare n.  979
 del 31 dicembre 1981 e il decreto legislativo  27  gennaio  1992,  n.
 133, sugli scarichi di sostanze pericolose), le quali prevedono tutte
 sanzioni  penali  (e  non amministrative) per fatti di inquinamento o
 per violazione delle prescrizioni dell'autorizzazione.
   In questo quadro, appare allora sufficiente richiamare la  costante
 giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui il principio di
 uguaglianza  consente  al  legislatore di emanare norme differenziate
 riguardo a situazioni obiettivamente diverse solo  a  condizione  che
 tali  norme  rispondano all'esigenza che la disparita' di trattamento
 sia fondata su presupposti logici obiettivi, i quali razionalmente ne
 giustifichino l'adozione (cfr. illuminante in merito la sentenza n. 3
 del 1963). Per cui la  Corte  ha  dichiarato  illegittime  norme  che
 prevedevano     un    trattamento    sanzionatorio    irrazionalmente
 differenziato  rispetto  a  quello  previsto  da  altre  fattispecie,
 diminuendo,  ad  esempio, la pena edittale minima per l'oltraggio (n.
 341 del 1994); ovvero, con una decisione proprio relativa all'art. 21
 della legge Merli (ove si fa espresso riferimento anche al  complesso
 della normativa ambientale), eliminando il divieto di applicazione di
 sanzioni sostitutive (sentenza n. 25 del 20-23 giugno 1994).
   Orbene,  in  questa  sentenza,  ricorda  la  Corte  che si viola il
 principio di uguaglianza qualora con  leggi  successive  si  pone  in
 essere   un   "sistema  normativo  assolutamente  squilibrato",  come
 avviene, ad esempio, quando si favorisce "chi ha posto in essere, fra
 due condotte gradatamente lesive dell'identico bene, quella connotata
 da maggiore gravita', discriminando invece chi ha realizzato il fatto
 che meno offende lo stesso valore  giuridico  (sentenza  n.  249  del
 1993)".
   Esattamente  quello  che  ha  fatto  il legislatore con la legge in
 esame.
   Ma l'art. 3 della Costituzione risulta violato  anche  sotto  altri
 profili.   La  nuova  formulazione  dell'art.  14,  concedendo  ampia
 discrezionalita' alle regioni per la fissazione di  limiti  comporta,
 con   ogni   evidenza,  la  possibilita'  che  vi  siano  marcate  ed
 irrazionali disparita' di trattamento da regione a regione. In  detto
 svuotamento sanzionatorio di uno dei reati piu' importanti in materia
 di  tutela  ambientale (forse il reato piu' importante in assoluto in
 materia di inquinamenti) si profila ad avviso di questo giudice,  una
 violazione   del   disposto   dell'art.   9,   secondo  comma,  della
 Costituzione, laddove la tutela del paesaggio, inteso secondo le piu'
 recenti  pronunce  della  Corte   di   cassazione   e   della   Corte
 costituzionale, non deve essere inteso solo come bellezza estetica da
 cartolina ma come ambiente naturale in senso lato, quindi comprensivo
 anche degli inevitabili ed inscindibili aspetti bionaturalistici.
   Per  gli  stessi  motivi  esposti  in  relazione  all'art.  9 della
 Costituzione, si ritiene che la norma in esame si ponga in  contrasto
 anche con l'art. 32 della Carta costituzionale.
   Infatti,  nel  concetto  di  tutela  della  salute  come  principio
 costituzionalmente garantito deve, per forza di cose  ricomprendersi,
 il  piu'  vasto  concetto  della  salute  pubblica  nel  senso  delle
 salubrita' dell'ambiente naturale ed  urbano  ove  ciascun  cittadino
 vive.  Il  diritto alla salute inteso anche come diritto all'ambiente
 salubre e' stato ormai ripetutamente accertato in giurisprudenza  (si
 veda  per  tutte  la famosa sentenza delle Sezioni Unite n. 517 del 6
 ottobre 1979, nonche' la Corte costituzionai'e in  data  31  dicembre
 1987,  n.  641,  ed in data 16 marzo 1990, n. 17).  E' fuor di dubbio
 che la diminuita,  ed  anzi  per  certi  versi  di  fatto  del  tutto
 caducata,  possibilita'  di intervento deterrente/punitivo in sede di
 illeciti da inquinamento idrico crea i presupposti per una evoluzione
 incontrollata  del  fenomeno,  incoraggiata  dall'abbassamento  della
 guardia  in  sede  di  controlli di p.g. e possibilita' di intervento
 processuale; e tutto questo si traduce in via diretta in un danno per
 la  salute  e  salubrita'  pubblica  in  un  ambiente che resta cosi'
 maggiormente ed incontrollatamente esposto al degrado inquinante.
   Va ancora rilevato che la norma  in  esame  pare  porsi  in  totale
 contrasto   con  gli  obblighi  che  derivano  al  nostro  Paese  per
 l'appartenenza all'Unione europea. Gia' due volte la Corte europea di
 giustizia ha condannato il nostro  Paese  per  il  contrasto  tra  la
 "Legge  Merli"  e  le direttive comunitarie, tra l'altro anche per la
 permissivita'  del  sistema  autorizzatorio   previsto   e   per   la
 "insufficienza"  delle  sanzioni  penali  previste  dall'art.  22  in
 relazione  all'inosservanza  delle  prescrizioni  dell'autorizzazione
 (Corte  di  giustizia  28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990). La sopra
 esposta generale repressione  sanzionatoria  creata  dalla  legge  in
 esame  concretizza  di conseguenza una ulteriore evoluzione del grado
 di inadempienza italiana verso le direttive CEE e verso  le  sentenze
 della Corte europea.
   Peraltro,  il  decreto  cosi'  come  convertito e, quindi, legge n.
 172/1995, si pone in evidente contrasto con la direttiva CEE  n.  271
 del  21 maggio 1991 sul trattamento delle acque reflue urbane, che lo
 Stato Italiano avrebbe dovuto gia' recepire entro  lo  scorso  giugno
 1993 e che fissa obblighi e limiti ben precisi, con ben pochi margini
 di  discrezionalita'  specie  per le "aree sensibili". E del resto il
 contrasto e' apparso chiaramente sin  dalla  redazione  del  decreto,
 ripetutamente  riproposto fino alla sua conversione in legge, se esso
 richiama espressamente nell'art. 1 la direttiva  CEE  91/217  del  21
 maggio  1991. Dunque da un lato l'Italia non ha recepito la direttiva
 CEE nei termini stabiliti e dall'altro ha adottato  una  legislazione
 in  antitesi  ai  principi  della  direttiva  stessa,  con  una  mora
 temporale applicata illogica. Dal momento che il decreto  n.  79/1995
 e'  stato  convertito in legge, le sue prescrizioni si applicheranno,
 dunque, finche' non si sara' data attuazione alla  citata  direttiva;
 attuazione che avrebbe dovuto invece concretizzarsi, secondo la legge
 comunitaria  1993 n. 146 del 22 febbraio 1994, entro il marzo 1995 e,
 peraltro,  con  rigidi  principi  di  attuazione  predeterminati  dal
 Parlamento  (art.    37,  primo  comma)  in evidente contrasto con la
 elasticita' e genericita' della legge in esame,  il  che  provochera'
 ulteriore confusione ed incertezza del diritto.
   Ed  in  ogni  caso  va  sottolineato  che,  secondo la citata legge
 comunitaria, il Governo  avrebbe  dovuto  dare  attuazione  a  questa
 direttiva  provvedendo  all'"adeguamento della normativa vigente alla
 disciplina  comunitaria,  apportando  alla  prima   ogni   necessaria
 modifica ed integrazione allo scopo di definire un quadro omogeneo ed
 organico delle disposizioni di settore" (art. 36, lett. c)).
   Dato  il  carattere regressivo in sede sanzionatoria del decreto n.
 79/1995, convertito in legge n. 172/1995, ritiene lo scrivente che si
 appalesa un contrasto con l'art. 10 della  Costituzione  per  mancata
 conformazione alle citate norme del diritto internazionale.
   Da  quanto  sopra  esposto  emerge  la  rilevanza  della  sollevata
 eccezione sul caso in esame, ove risulta  contestato  il  superamento
 dei  limiti  tabellari,  con  le differenze normative richiamate e le
 diverse strategie processuali percorribili da parte della difesa, sia
 in caso di rigetto che di accoglimento della eccezione.
                                P. Q. M.
   Dichiara rilevante e manifestamente infondata, per violazione degli
 artt.  3, 9, 10 e 32 della Costituzione, la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 3,  integrale  formulazione,  del  d.-l.  17
 marzo 1995, convertito in legge 17 maggio 1995;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Ordina che, a cura della cancelleria,  la  presente  ordinanza  sia
 notificata agli imputati, ai difensori, al pubblico ministero nonche'
 al  Presidente  del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente
 della  Camera  dei  deputati  ed  al  Presidente  del  Senato   della
 Repubblica.
     Palmi, addi' 28 settembre 1995
                      Il vice pretore:  Lombardo
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