N. 511 ORDINANZA 11 - 18 dicembre 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Reato  in  genere  - Emissione di assegni a vuoto - Perseguibilita' -
 Risarcimento del danno   quale causa di esclusione  -  Richiamo  alla
 giurisprudenza  della  Corte  in materia   (v. sentenza n. 203/1993 e
 ordinanza n. 370/1995) -  Discrezionalita'  legislativa  -  Manifesta
 infondatezza.
 
 (Legge 15 dicembre 1990, n. 386, art. 8).
 
 (Cost., artt. 3 e 112).
(GU n.53 del 27-12-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
   Presidente: avv. Mauro FERRI;
   Giudici:  prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott. Renato
 GRANATA, prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 8  della  legge
 15  dicembre  1990,  n.  386  (Nuova  disciplina  sanzionatoria degli
 assegni bancari), promosso con ordinanza emessa il 27  febbraio  1995
 dal   Pretore   di   Venezia,   sezione  distaccata  di  Mestre,  nel
 procedimento penale a carico di Berenato Francesco,  iscritta  al  n.
 349 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito nella camera di consiglio dell'8  novembre  1995  il  Giudice
 relatore Renato Granata;
   Ritenuto che nel corso del procedimento penale a carico di Berenato
 Francesco,  imputato del reato di emissione di assegno bancario senza
 provvista, il Pretore di Venezia,  sez.  distaccata  di  Mestre,  con
 ordinanza del 27 febbraio 1995 ha sollevato questione di legittimita'
 costituzionale in via incidentale dell'art. 8 della legge 15 dicembre
 1990,  n.  386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari)
 con riferimento agli artt. 3 e 112 Cost.;
     che secondo il giudice rimettente la  disposizione  censurata  ha
 introdotto  una  condizione  di procedibilita', rimessa all'esclusiva
 volonta'  di  colui  che  l'illecito  ha  realizzato,  essendo   egli
 assolutamente  libero  di  porre  in  essere  il  meccanismo previsto
 dall'art. 8 citato, influendo cosi' direttamente sulla nascita di  un
 procedimento penale a proprio carico;
     che  in tal modo sarebbero violati il principio di ragionevolezza
 e  quello  dell'obbligatorieta'  dell'azione   penale   non   essendo
 possibile  che  l'autore  di un reato possa decidere lui stesso della
 propria perseguibilita';
     che - nella prospettazione del giudice rimettente  -  vi  sarebbe
 anche  violazione  del principio di eguaglianza perche' l'art. 8 cit.
 prevede quale causa di esclusione della perseguibilita' del reato  il
 risarcimento   del   danno,  ancorche'  parziale  e  solo  legalmente
 determinato, mentre  tale  operoso  comportamento  in  altre  ipotesi
 delittuose  (anche piu' lievi di quella in esame) viene assunto quale
 mero elemento circostanziale di attenuazione della pena;
     che e' intervenuto  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo
 che  la  questione  sollevata sia dichiarata manifestamente infondata
 per essere gia' stata dichiarata non fondata con sentenza n. 203  del
 1993;
   Considerato che la conformita' al principio di ragionevolezza della
 disposizione  censurata  e'  assicurata  dalla  sua  ratio che - come
 questa Corte ha  gia'  evidenziato  (sentenza  n.  203  del  1993)  -
 consiste nella finalita' deflattiva dei procedimenti penali aventi ad
 oggetto   la  violazione  della  disciplina  degli  assegni  bancari,
 unitamente  alla  tutela  del  bene  giuridico  della  pubblica  fede
 attraverso la previsione disincentivante di dover corrispondere oltre
 all'importo  dell'assegno  anche  gli  accessori (interessi, penale e
 spese  per  il  protesto),  indipendentemente  dalla  richiesta   del
 creditore ed anche in presenza di remissione del debito (ordinanza n.
 370 del 1995);
     che  ragionevole appare il bilanciamento degli interessi, operato
 dal legislatore, in relazione  a  comportamenti  che  destano  minore
 allarme  sociale perche' seguiti dal pagamento della somma capitale e
 degli accessori;
     che  non  e'  fondatamente  deducibile   alcuna   disparita'   di
 trattamento  rispetto  ad  altre  ipotesi  in cui il risarcimento del
 danno e' valutato  come  mera  circostanza  del  reato,  non  essendo
 comparabili  le  situazioni  confrontate  (sentenza  n. 203 del 1993,
 cit.);
     che  non  sussiste  un  vincolo  costituzionale  che   limiti   a
 determinate  fattispecie nominate la discrezionalita' del legislatore
 nella previsione di nuove ipotesi di  condizioni  di  procedibilita',
 sicche'  nessuna  lesione  e'  ravvisabile  sotto  questo profilo del
 principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale;
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.    8  della legge 15 dicembre 1990, n.  386
 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), sollevata, in
 riferimento agli artt.  3 e 112 della Costituzione,  dal  Pretore  di
 Venezia,  sez.  distaccata  di  Mestre,  con  l'ordinanza indicata in
 epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 1995.
                         Il Presidente:  Ferri
                        Il redattore:  Granata
                       Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 1995.
               Il direttore della cancelleria:  Di Paola
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