N. 512 ORDINANZA 11 - 18 dicembre 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 Processo  penale  -  Riapertura delle indagini a seguito di revoca di
 sentenza di non luogo a procedere - Compimento delle indagini  in  un
 termine  improrogabile non superiore a sei mesi - Insussistenza della
 violazione   del   principio   dell'obbligatorieta'    dell'esercizio
 dell'azione   penale   -   Ragionevolezza   -   Esigenza  di  evitare
 l'applicabilita'di termini troppo estesi per la  persona  oggetto  di
 sentenza di proscioglimento - Manifesta infondatezza.
 
 (C.P.P., art. 436, terzo comma)
 
(GU n.53 del 27-12-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
   Presidente: avv. Mauro FERRI;
   Giudici:  prof.  Enzo  CHELI,  dott. Renato GRANATA, prof. Giuliano
 VASSALLI, prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 436,  comma  3,
 del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 30
 gennaio 1995 dal  Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  di  Napoli  nel  procedimento  penale  a  carico di Savino
 Filippo, iscritta al n. 485 del registro ordinanze 1995 e  pubblicata
 nella   Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  37,  prima  serie
 speciale, dell'anno 1995;
   Udito nella camera di consiglio del 22  novembre  1995  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto  che  il Giudice istruttore presso il Tribunale di Napoli,
 con  sentenza   dell'11   novembre   1983,   aveva   pronunciato   il
 proscioglimento   di  Savino  Filippo  dall'imputazione  di  omicidio
 volontario in danno di Galli Ciro;
     che, successivamente, a distanza di  oltre  dieci  anni  da  tale
 pronuncia,  le  dichiarazioni  di  alcuni  collaboratori di giustizia
 inducevano il Pubblico ministero a domandare la revoca della sentenza
 di proscioglimento a norma dell'art.  434 e seguenti  del  codice  di
 procedura  penale  e  dell'art. 243 del decreto legislativo 28 luglio
 1989, n. 271;
     che, con provvedimento del 4  maggio  1994,  il  Giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  di  Napoli disponeva la
 revoca della sentenza di proscioglimento  pronunciata  nei  confronti
 del  Savino,  con  contestuale  autorizzazione  alla riapertura delle
 indagini, fissando il termine di sei mesi  per  il  compimento  delle
 stesse;
     che,  alla  scadenza del semestre, il Pubblico ministero eccepiva
 l'illegittimita' costituzionale dell'art. 436, comma 3, del codice di
 procedura penale;
     che, con ordinanza  del  30  gennaio  1995,  il  Giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso il Tribunale di Napoli ha sollevato, in
 riferimento agli artt. 3  e  112  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  dell'art. 436, comma 3, del codice di procedura penale,
 nella parte in cui "per  il  compimento  delle  indagini  riaperte  a
 seguito  di  sentenza  di non luogo a procedere stabilisce un termine
 improrogabile non superiore a sei mesi";
     che    il    rimettente    ravvisa   violazione   del   principio
 dell'obbligatorieta' dell'azione penale, per non essere  il  pubblico
 ministero  in  grado  di  compiere  tutta  l'attivita'  investigativa
 ritenuta necessaria, un ostacolo non superabile solo considerando  la
 preesistenza  di un'attivita' acquisitiva (svolta, peraltro, nel caso
 di specie, dal giudice istruttore) giacche' tale attivita' - che  non
 ha condotto ad "utili risultati" - va verificata e sviluppata con gli
 elementi di nuova acquisizione;
     che,   proprio  per  rendere  effettivo  l'esercizio  dell'azione
 penale, l'art. 406 del  codice  di  procedura  penale  facoltizza  il
 pubblico  ministero  a  chiedere  piu'  proroghe del termine previsto
 dall'art.  405, in tal modo consentendo al giudice il controllo sulla
 necessita' di prorogare il termine per le  indagini  per  l'oggettiva
 impossibilita' di concluderle nel termine stabilito dalla legge;
     che,  in  tal  modo, risulterebbe vulnerato anche il principio di
 eguaglianza, per la differenza di trattamento non giustificabile  fra
 la disciplina della durata delle indagini iniziate per la prima volta
 e  la  disciplina  della durata delle indagini riprese dopo la revoca
 della sentenza di non luogo a procedere  (ovvero  della  sentenza  di
 proscioglimento pronunciata nel vigore del codice abrogato);
     che   l'osservanza   dell'art.   3   della  Costituzione  sarebbe
 compromessa anche perche', relativamente ai  reati  di  cui  all'art.
 407,  comma  2, lettera a, del codice di procedura penale (addebitati
 nel caso di specie), il termine iniziale e' addirittura di un anno, a
 prescindere dall'operativita' dell'istituto  della  proroga,  con  la
 conseguenza  che non trova comunque giustificazione il piu' ristretto
 termine assegnato alle indagini per tali reati a  seguito  di  revoca
 della  sentenza  di  non  luogo a procedere (ovvero della sentenza di
 proscioglimento pronunciata nel vigore del codice abrogato);
     che davanti a questa Corte non si e' costituita la parte  privata
 ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri;
   Considerato     che     nessuna     violazione     del    principio
 dell'obbligatorieta'  dell'esercizio  dell'azione  penale  e'   nella
 specie ravvisabile perche', come gia' questa Corte ha avuto occasione
 di  statuire  in  via  generale,  "la  previsione di specifici limiti
 cronologici  per   lo   svolgimento   delle   indagini   preliminari"
 rappresenta la risultante di una precisa scelta della legge-delega al
 fine   di  soddisfare,  da  un  lato,  la  "necessita'  di  imprimere
 tempestivita' alle investigazioni" e, dall'altro lato, l'esigenza "di
 contenere in un lasso di tempo predeterminato la condizione di chi  a
 tali  indagini e' assoggettato", con la conseguenza che quel termine,
 in se' e per se' considerato, non costituisce "un fattore che  sempre
 e comunque e' astrattamente idoneo a turbare le determinazioni che il
 pubblico  ministero e' chiamato ad assumere al suo spirare, cosicche'
 l'eventuale necessita' di svolgere ulteriori atti  di  investigazione
 viene  a profilarsi unicamente come ipotesi di mero fatto che, per un
 verso, non impedisce allo stesso  pubblico  ministero  di  stabilire,
 allo  stato  delle  indagini  svolte, se esercitare o meno l'azione",
 mentre, sotto altro profilo, puo' essere  adeguatamente  soddisfatto,
 fra  l'altro,  con  "la riapertura delle indagini di cui all'art. 414
 del codice di procedura penale" (v. ordinanze n. 48 del 1993 e n.
  485 del 1993);
     che, con specifico riferimento alla durata delle indagini in caso
 di revoca  della  sentenza  di  non  luogo  a  procedere,  mentre  va
 affermata  -  per l'identica ratio decidendi riferibile alle pronunce
 ora ricordate - la piena compatibilita' del termine improrogabilmente
 stabilito  dalla  norma denunciata con il principio sancito dall'art.
 112  della  Costituzione,  deve  essere  anche  precisato   come   il
 "correttivo"  sopra  indicato trovi sicura applicazione pure nel caso
 di riapertura delle  indagini,  essendo  la  richiesta  di  rinvio  a
 giudizio solo uno degli epiloghi possibili dell'attivita' di indagine
 spiegata dal pubblico ministero;
     che pure a tacere della alternativita' del petitum perseguito dal
 giudice  a  quo - oscillante, attraverso il richiamo a plurimi tertia
 comparationis incentrati sull'estensione ora della  proroga  ora  del
 particolare  regime stabilito per taluni tipi di reato dall'art.  407
 del codice di procedura penale -  anche  le  questioni  che  invocano
 l'art. 3 della Costituzione sono prive di fondamento;
     che  con  riferimento  alla  mancata previsione sia della proroga
 delle indagini - e, quindi, alla dedotta  disparita'  di  trattamento
 rispetto  alle  prescrizioni  dell'art.  406  del codice di procedura
 penale  -  sia  del  regime  contemplato  per  i  delitti  rientranti
 nell'elencazione  dell'art.  407,  comma  2, lettera a, del codice di
 procedura penale (sostituito dall'art.  21 della legge 8 agosto 1995,
 n. 332,  un  assetto  normativo,  quest'ultimo,  che,  tuttavia,  non
 modifica  i  termini della questione), la diversita' di disciplina si
 rivela non irrazionale ne' arbitraria;
     che, infatti, mentre, per un verso, il  limite  invalicabile  dei
 sei  mesi  trova  giustificazione nel rilievo che la riapertura delle
 indagini consegue alla revoca della sentenza di non luogo a procedere
 (nella specie, anzi, alla revoca di una sentenza  di  proscioglimento
 pronunciata  nel  vigore del codice abrogato), con la possibilita' di
 utilizzare le fonti di prova  (o  le  prove)  acquisite  prima  della
 sentenza   suddetta,   per   un   altro  verso,  la  presenza  di  un
 provvedimento  di  non  luogo  a  procedere  costituisce  ragionevole
 elemento  ostativo  a sottoporre il prosciolto al regime della durata
 delle indagini previsto per le indagini compiute per la prima volta;
     che  tutto  cio'  emerge,  anzitutto,  dalla  prima  subdirettiva
 dell'art.   2, numero 56, della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81,
 che prescrive la "determinazione dei casi e delle forme,  con  idonee
 garanzie  per  l'imputato,  in  cui  puo'  essere esercitata l'azione
 penale per fatti precedentemente oggetto delle sentenze di non  luogo
 a  procedere  indicate  nel  numero  52",  garanzie correttamente non
 circoscritte dal legislatore  delegato  al  contraddittorio  previsto
 dall'art.  435,  comma  3, ma estese a ricomprendere la previsione di
 "un termine massimo di  sei  mesi  per  lo  svolgimento  delle  nuove
 indagini"  (v. Relazione al progetto preliminare, pag. 229), cosi' da
 evitare l'applicabilita' di termini troppo estesi per la persona  nei
 confronti  della  quale,  all'esito  delle  indagini  (o  della  fase
 istruttoria), sia stata pronunciata sentenza di non luogo a procedere
 (o di proscioglimento);
     che,  dunque,  le  questioni,  sono  da  ritenere  manifestamente
 infondate;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  la manifesta infondatezza delle questioni di legittimita'
 costituzionale dell'art.  436,  comma  3,  del  codice  di  procedura
 penale,   sollevate,   in  riferimento  agli  artt.  3  e  112  della
 Costituzione, dal Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale di Napoli con ordinanza del 30 gennaio 1995.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'11 dicembre 1995.
                         Il Presidente:  Ferri
                        Il redattore:  Vassalli
                       Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 1995.
               Il direttore della cancelleria:  Di Paola
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