N. 516 SENTENZA 14 - 22 dicembre 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzione in via incidentale.
 Previdenza e assistenza - Gestione speciale artigiani -  Pensione  di
 anzianita'  -  Assegno per nucleo familiare - Titolari delle pensioni
 derivanti in misura prevalente da lavoro dipendente - Non spettanza -
 Richiamo alla giurisprudenza della Corte in  materia  (vedi  sentenze
 nn.  54/1987,  31/1986  e  458/1989) - Ragionevolezza del criterio di
 riferimento basato sull'inscindibile  collegamento  fra  il  tipo  di
 pensione  attribuito  per legge ed  i benefici per carico di famiglia
 spettanti   in   base   allo   specifico   titolo   pensionistico   -
 Discrezionalita' legislativa - Non fondatezza.
 
 (D.-L.  13  marzo 1988, n. 69, art. 2, convertito, con modificazioni,
 nella legge 13 maggio 1988, n. 153).
 
 (Cost., art. 3).
(GU n.53 del 27-12-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori
   Presidente:  avv. Mauro FERRI;
   Giudici:    prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo CHELI, dott. Renato
 GRANATA, prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel   giudizio   di   legittimita'  costituzionale  dell'art.  2  del
 decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (Norme in  materia  previdenziale,
 per  il  miglioramento  delle  gestioni  degli enti portuali ed altre
 disposizioni urgenti), convertito, con modificazioni, nella legge  13
 maggio 1988, n. 153, promosso con ordinanza emessa il 1 febbraio 1995
 dal  Pretore  di Tolmezzo, nel procedimento civile vertente tra Savio
 Giovanni e l'INPS, iscritta al n. 137 del registro ordinanze  1995  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 11, prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
   Visti gli atti  di  costituzione  di  Savio  Giovanni  e  dell'INPS
 nonche'  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito nella udienza pubblica  del  21  novembre  1995  il  Giudice
 relatore Cesare Ruperto;
    Uditi  l'avv.  Salvatore  Cabibbo  per  Savio  Giovanni  e Giacomo
 Giordano per l'INPS e l'Avvocato dello Stato Giuseppe  Stipo  per  il
 Presidente del Consiglio dei ministri.
                            Ritenuto in fatto
   1.  -  Nel  corso  di  un  procedimento  civile - promosso da Savio
 Giovanni, titolare di una  pensione  di  anzianita'  a  carico  della
 gestione  speciale  artigiani, per ottenere dall'INPS la liquidazione
 dell'assegno per il nucleo familiare al posto degli assegni familiari
 - il Pretore di Tolmezzo in  funzione  di  giudice  del  lavoro,  con
 ordinanza  emessa  il  1  febbraio 1995, ha sollevato, in riferimento
 all'art.   3   della   Costituzione,   questione   di    legittimita'
 costituzionale  dell'art.    2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69
 (Norme in materia previdenziale, per il miglioramento delle  gestioni
 degli  enti  portuali ed altre disposizioni urgenti), convertito, con
 modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153, nella parte in cui
 non prevede che l'assegno per il nucleo  familiare  spetti  anche  ai
 titolari  delle  pensioni  derivanti  in  misura prevalente da lavoro
 dipendente.
   Il giudice a quo -  premesso  che  il  ricorrente  ha  ottenuto  il
 riconosciuto  trattamento  pensionistico, liquidato dall'INPS ex art.
 9, primo comma, prima parte, della legge n. 463 del 1959, cumulando i
 contributi  relativi  a  circa  trentatre  anni  e  mezzo  di  lavoro
 dipendente  e  un  anno  e  mezzo di lavoro autonomo - osserva che il
 senso letterale e logico della norma  impugnata  non  consente  altra
 interpretazione  che  quella  di ritenere il richiesto beneficio come
 spettante ai soli titolari di  pensioni  derivate  esclusivamente  da
 lavoro dipendente.  Da cio' il dubbio di contrasto con i princi'pi di
 eguaglianza   e   di   ragionevolezza,   la'  dove  la  norma  sembra
 discriminare ingiustificatamente quei lavoratori che, dopo  un  lungo
 periodo  di  attivita'  quali  dipendenti,  abbiano  per  breve tempo
 lavorato in modo autonomo, prescindendo  sia  dalla  durata  assoluta
 della   contribuzione   da   lavoro   dipendente   sia  dal  rapporto
 quantitativo tra le due forme di contribuzione succedutesi nel tempo.
   2. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri,  rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha
 concluso chiedendo che la  questione  sia  dichiarata  infondata,  in
 quanto  -  attese  le  peculiarita'  delle  diverse  fattispecie - il
 legislatore   non   avrebbe  fatto  uso  arbitrario  del  suo  potere
 discrezionale con l'attribuire il beneficio  in  questione  solo  nel
 caso  di contribuzione derivante esclusivamente da lavoro dipendente,
 ovvero inammissibile, poiche' la  pronuncia  richiesta  esorbiterebbe
 dai poteri della Corte costituzionale.
   In   una   memoria   depositata   nell'imminenza  dell'udienza,  il
 Presidente del Consiglio dei ministri sottolinea ulteriormente come -
 pacifica in atti  la  spettanza  alla  parte  della  pensione  per  i
 lavoratori  autonomi  -  risulti  legittima l'avvenuta corresponsione
 degli assegni  familiari,  anziche'  di  quelli  relativi  al  nucleo
 familiare,  giacche'  non  sarebbe  giustificato  che  il trattamento
 riguardante le prestazioni economiche familiari debba  soggiacere  ad
 un  regime  diverso  da  quello  previsto  per  la  pensione; rileva,
 inoltre, che il remittente avrebbe dovuto semmai censurare  le  norme
 riguardanti  la  disciplina  dei  casi  di ricongiunzione dei periodi
 assicurativi.
   3. - Si e' costituita in giudizio la parte privata, che ha concluso
 per l'infondatezza della questione,  prospettata  dal  remittente  su
 un'errata interpretazione della norma censurata, il cui dato testuale
 e  la  cui  ratio  rendono  rilevante ai fini dell'attribuzione della
 prestazione de qua il rapporto (esistente nella fattispecie)  tra  lo
 status  di  pensionato  e quello precedente di lavoratore dipendente,
 eletto quest'ultimo dal legislatore a presupposto  della  prestazione
 stessa.  Nel caso di diversa interpretazione, la parte ha concluso in
 via   gradata   chiedendo   la   dichiarazione   di    illegittimita'
 costituzionale della norma.
   4.  -  Si  e', altresi', costituito in giudizio l'INPS, concludendo
 per la dichiarazione di non fondatezza  della  questione,  in  quanto
 prospettata    dal   remittente   alla   stregua   di   un'apodittica
 equiparazione della posizione dei titolari di pensione a carico della
 gestione dei lavoratori dipendenti a quella dei lavoratori  autonomi,
 esclusa  dalla stessa giurisprudenza costituzionale, che ha affermato
 come  -  ritenute  le  molteplici  differenti   caratteristiche   dei
 complessivi  regimi  previdenziali  goduti  dalle  due  categorie  di
 pensionati  -  i  trattamenti  relativi  ai  carichi  familiari   non
 risultino comparabili al fine di saggiarne la rispondenza dei singoli
 aspetti  al principio di uguaglianza e di estendere a favore dell'una
 le provvidenze dettate per l'altra (sentenze n. 458 del 1989, n.  108
 del  1989,  n.  220  del  1988, n. 527 del 1987 e n. 31 del 1986). Il
 giudice a quo, invece, non considera che, a differenza dei pensionati
 della gestione dei lavoratori dipendenti (i quali usufruiscono di una
 specifica prestazione del tutto distinta ed  autonoma  rispetto  alla
 pensione,  erogata  da un'apposita gestione previdenziale, ex art. 24
 della legge  n.  88  del  1989),  i  pensionati  delle  gestioni  dei
 lavoratori   autonomi   godono,  per  i  familiari  a  carico,  degli
 incrementi di pensione, di misura identica agli assegni familiari  ma
 erogati  dalle  medesime  gestioni  sulla base di distinti criteri di
 attribuzione delle quote di maggiorazioni.
   Secondo l'INPS - il quale sottolinea la manifesta  inammissibilita'
 di  una pronuncia additiva che adotti un criterio selettivo collegato
 alla  prevalenza  del  tipo  contributivo  accreditato  -  la   norma
 impugnata,  pertanto,  a ragione individua i beneficiari dell'assegno
 de quo con riferimento certo ed inequivocabile  alla  gestione  sulla
 quale  grava l'onere del pagamento della pensione, cui la prestazione
 familiare si aggiunge, essendo rilevante la posizione assicurativa  e
 contributiva   sottostante,   riconnessa   al   titolo  pensionistico
 concretamente attribuito per legge al soggetto anche in  forza  (come
 nella specie) di un accreditamento di contribuzione mista.
                         Considerato in diritto
   1.   -   Il   Pretore   di   Tolmezzo   dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 2 del decreto-legge 13  marzo  1988,  n.  69
 (convertito,  con modificazioni, nella legge 13 maggio 1988, n. 153),
 nella parte in cui non prevede che l'assegno per il nucleo  familiare
 spetti   anche   ai  titolari  delle  pensioni  derivanti  in  misura
 prevalente da lavoro dipendente.
   Secondo il giudice a  quo,  la  norma  censurata  -  il  cui  senso
 letterale  e  logico non consente altra interpretazione che quella di
 ritenere il richiesto beneficio come spettante ai  soli  titolari  di
 pensioni  derivate  esclusivamente  da lavoro dipendente - si pone in
 contrasto con l'art. 3 della Costituzione, poiche', prescindendo  sia
 dalla  durata  assoluta  della contribuzione da lavoro dipendente sia
 dal  rapporto  quantitativo  tra  le  due  forme   di   contribuzione
 succedutesi nel tempo, discrimina ingiustificatamente quei lavoratori
 che,  dopo  un  lungo  periodo  di attivita' come dipendenti, abbiano
 svolto per breve tempo lavoro autonomo.
   2. - La questione non e' fondata.
   2.1. - Nella sua piena autonomia interpretativa, il giudice  a  quo
 ha  ritenuto  che  il senso letterale e logico della norma denunciata
 non consenta altra soluzione se non quella di riconoscere il  diritto
 all'assegno  per  il  nucleo  familiare  ai soli titolari di pensioni
 derivanti esclusivamente da lavoro dipendente.
   In assenza di un diverso indirizzo  giurisprudenziale  in  materia,
 siffatta interpretazione va assunta da questa Corte come premessa del
 richiesto  scrutinio  di  costituzionalita',  in quanto improntata al
 canone  ermeneutico  di  cui  al  primo  comma  dell'art.  12   delle
 disposizioni sulla legge in generale.
   Ne',  d'altronde,  v'e'  luogo per ricorrere ad una interpretazione
 adeguatrice,  giacche'  -  anche  nell'interpretazione   datane   dal
 remittente  -  la  denunciata  norma  non  risulta  contrastante  con
 l'evocato  parametro  costituzionale,  come  emerge  dalle   seguenti
 considerazioni.
   2.2. - Tale norma ha radicalmente innovato l'istituto degli assegni
 familiari,  trasformandolo  -  con  riguardo  alla sola categoria dei
 lavoratori  dipendenti,  pubblici  e  privati,  in  servizio   o   in
 quiescenza,   ed   a   quella  dei  lavoratori  assistiti  contro  la
 tubercolosi - in assegno per il nucleo familiare, attribuito  secondo
 un  criterio  selettivo  fondato  sulla limitatezza del reddito della
 famiglia in correlazione al numero delle persone  facenti  parte  del
 nucleo familiare.
   Si  e'  cosi'  portato  a  compimento  il  progressivo  disegno del
 legislatore - iniziato con il  decreto-legge  2  marzo  1974,  n.  30
 (convertito  nella  legge  16  aprile  1974, n. 114) e proseguito col
 decreto-legge 29 gennaio 1983, n. 17 (convertito nella legge 25 marzo
 1983, n.  79)  -  di  diversificare  i  trattamenti  del  "carico  di
 famiglia"   gravante   sui  pensionati,  a  seconda  che  i  soggetti
 beneficiati fossero  titolari  di  pensioni  amministrate  dal  Fondo
 pensioni dei lavoratori dipendenti ovvero dalle gestioni speciali dei
 lavoratori  autonomi,  attribuendo soltanto ai primi - in luogo delle
 maggiorazioni della pensione precedentemente percepite,  e  mantenute
 per  i soli pensionati ex lavoratori autonomi - gli assegni familiari
 di cui al testo unico approvato con d.P.R. 30 maggio 1955, n. 797.
   Di fronte a siffatta evoluzione del quadro  normativo  -  incidente
 sulla  struttura  e  sulle  modalita'  di  erogazione dei trattamenti
 medesimi,   in   ragione   della   specificita'   della   prestazione
 previdenziale   dell'assegno   per  il  nucleo  familiare,  non  piu'
 costituente elemento integrante della  pensione  -  questa  Corte  ha
 avuto  modo  di  sottolineare  (v.  sentenza n. 458 del 1989) come il
 processo di trasformazione degli assegni familiari ed il  conseguente
 approfondimento  del  divario nella struttura e nelle finalita' della
 nuova   disciplina   rispetto   a    quella    delle    maggiorazioni
 pensionistiche,  costituiscano  elementi  idonei  a far ritenere che,
 almeno allo stato, i trattamenti  relativi  ai  carichi  di  famiglia
 siano dotati - stanti le peculiari forme di contribuzione e i diversi
 enti  erogatori  -  di una propria autonoma individualita'.  La quale
 (va ribadito anche in questa sede) rende incompatibili  tra  loro,  a
 causa  delle  rispettive  molteplici  differenti  caratteristiche,  i
 regimi previdenziali goduti dalle due categorie  di  pensionati  gia'
 lavoratori  dipendenti  e  di pensionati gia' lavoratori autonomi (v.
 sentenze n. 54 del 1987 e n. 31 del 1986).
   La scelta operata dal legislatore di limitare  la  concessione  del
 beneficio  de  quo  ai  soli  soggetti  entrati  in  quiescenza quali
 dipendenti non puo' quindi ritenersi  incoerente  ne'  irragionevole,
 soprattutto   se   valutata   anche   alla   luce  delle  contingenti
 disponibilita'   finanziarie   (evidenziate   in   sede   di   lavori
 preparatori);  e  considerato,  per altro verso, che i trattamenti di
 famiglia  per  i  pensionati  delle  gestioni  autonome  sono   stati
 espressamente  conservati  dal  comma  12-bis  dello  stesso  art.  2
 censurato,  per  cui  le  relative  posizioni  appaiono  congruamente
 tutelate.
   2.3.  -  Ebbene, la ritenuta legittimita' costituzionale del quadro
 normativo cui, come si e' detto, e'  pervenuto  il  legislatore,  non
 puo'   non   comportare   la   legittimita'   anche   delle  relative
 implicazioni, fra le quali va annoverata la situazione in cui vengono
 a trovarsi i soggetti titolari della pensione di anzianita'  maturata
 e  liquidata nella gestione speciale artigiani, ai sensi dell'art. 9,
 primo comma, prima parte, della legge n. 463 del 1959, in virtu'  del
 cumulo dei successivi periodi di contribuzione da lavoro dipendente e
 da lavoro autonomo.
   Non  irragionevole si palesa, infatti, l'aver basato il criterio di
 riferimento, circa la spettanza o meno  dell'assegno  per  il  nucleo
 familiare,  sull'inscindibile  collegamento  tra  il tipo di pensione
 attribuito per legge al  soggetto    ed  i  benefici  per  carico  di
 famiglia   a   lui   spettanti   in  base  a  tale  specifico  titolo
 pensionistico. Il quale non puo'  che prescindere  dalla  circostanza
 dell'eventuale  accreditamento  da contribuzione mista, allorquando -
 non  emersa  alcuna  problematica  riguardante  le  modalita'   della
 ricongiunzione  dei periodi assicurativi ex lege n. 29 del 1979  - il
 diritto al trattamento pensionistico sia sorto  comunque  in  ragione
 della  contribuzione da lavoro autonomo e presso la relativa gestione
 speciale. Anzi, logicamente ingiustificata si  dovrebbe  considerare,
 al  contrario,  la  soluzione  prospettata  dal  remittente, la quale
 comporta  il  venir meno di quel criterio oggettivo di individuazione
 della spettanza dello specifico  beneficio,  costituito  appunto  dal
 nesso  tra  l'ordinamento  proprio della gestione che ha in carico la
 pensione ed il trattamento di famiglia effettivamente dovuto in  base
 alla   disciplina   di   siffatto  ordinamento;  con  la  conseguente
 necessita', fra l'altro, di prevedere uno strumento  selettivo  delle
 contribuzioni  accreditate,  la  cui adozione sarebbe in ogni caso da
 ritenere riservata alla discrezionalita' del legislatore, stante   la
 pluralita'  delle possibili scelte relative alla concretizzazione, in
 termini quantitativi, del richiamato concetto di "prevalenza".
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  2 del decreto-legge 13 marzo 1988, n. 69 (Norme in materia
 previdenziale,  per  il  miglioramento  delle  gestioni  degli   enti
 portuali    ed   altre   disposizioni   urgenti),   convertito,   con
 modificazioni, nella legge 13 maggio 1988,  n.  153,  sollevata,  con
 riferimento  all'art.  3 della Costituzione, dal Pretore di Tolmezzo,
 con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 1995.
                         Il Presidente:  Ferri
                        Il redattore:  Ruperto
                       Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in cancelleria il 22 dicembre 1995.
               Il direttore della cancelleria:  Di Paola
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