N. 379 SENTENZA 13 - 25 luglio 1995

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Esperimento  di rogatoria all'estero disposta in
 fase dibattimentale - Omessa garanzia della  presenza  del  difensore
 dell'imputato  -  Esigenza  di  distinguere  tra  norme  che regolano
 l'assunzione della prova e norme che ne disciplinano  l'utilizzazione
 - Insussistenza di preclusioni all'autorita' giudiziaria di procedere
 alla   valutazione   della   eventuale   contrarieta'   ai   principi
 fondamentali costituzionali dell'ordinamento, dell'atto  assunto  per
 rogatoria e segnatamente all'esercizio inderogabile dei diritti della
 difesa - Non fondatezza.
 
 (Legge 23 febbraio 1961, n. 215, art. 2).
 
 (Cost., art. 24).
 
(GU n.34 del 16-8-1995 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
 Presidente: prof. Antonio BALDASSARRE;
 Giudici:  prof.  Vincenzo  CAIANIELLO,  avv. Mauro FERRI, prof. Luigi
    MENGONI, prof. Enzo CHELI, dott. Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
    VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI, prof. Cesare MIRABELLI, prof.
    Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo  VARI,  dott.  Cesare  RUPERTO,
    dott. Riccardo CHIEPPA;
 ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 2 della legge
 23 febbraio 1961, n. 215 (Ratifica ed  esecuzione  della  Convenzione
 europea  di  assistenza  giudiziaria  in  materia  penale,  firmata a
 Strasburgo il 20 aprile 1959), promosso con  ordinanza  emessa  il  6
 maggio 1994 dalla Corte di cassazione sui ricorsi riuniti proposti da
 Maffi Aldo ed altro, iscritta al n. 152 del registro ordinanze 1995 e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 12, prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del 14 giugno 1995 il Giudice
 relatore Mauro Ferri.
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  La  Corte   di   cassazione   dubita   della   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  2  della  legge  23 febbraio 1961, n. 215,
 nella parte in cui, dando  esecuzione  alla  Convenzione  europea  di
 assistenza  giudiziaria  in  materia penale, consente, in connessione
 con il precedente art.  3,  l'esperimento  di  rogatorie  all'estero,
 disposte  in  fase  dibattimentale,  senza  garantire la presenza del
 difensore dell'imputato.
    2. - Premette il giudice a quo che  nel  caso  sottoposto  al  suo
 esame e' applicabile la Convenzione di Strasburgo del 20 aprile 1959,
 sottoscritta  e  resa esecutiva in Italia con legge 23 febbraio 1961,
 n. 215 (art. 2), e operante nei confronti della Francia dal 23 maggio
 1967, dopo la ratifica da parte di quest'ultima.
    Detta  Convenzione,  all'art.  3,  dispone  che lo Stato richiesto
 fara' eseguire "nelle forme previste dalla propria  legislazione"  le
 rogatorie relative a procedimenti penali a lui dirette dall'autorita'
 giudiziaria dello Stato richiedente.
    Al  successivo  art.  4  dispone che le autorita' e "le persone in
 causa" potranno assistere all'esecuzione della rogatoria se lo  Stato
 richiesto "vi consente". Norma che va interpretata in connessione con
 il  precedente  art.  3,  nel  senso  che  lo Stato richiesto, ove la
 propria legislazione lo preveda, puo' consentire o meno la  presenza,
 all'assunzione  della  prova,  delle  "autorita'" e delle "persone in
 causa", senza garantire  il  diritto  all'assistenza  del  difensore,
 anche    ove    tale    diritto    sia   inderogabilmente   garantito
 dall'ordinamento dello Stato richiedente.
    Avendo l'Italia  reso  esecutiva  detta  Convenzione,  ne  deriva,
 secondo  la  Corte  di  cassazione,  che  le  rogatorie  eseguite  in
 conformita' di essa e della legislazione dello Stato richiesto,  sono
 utilizzabili  nel  processo  penale, ponendosi la legge di esecuzione
 come norma speciale - in conformita' a quanto stabilito dall'art. 696
 del codice di procedura penale  -  rispetto  alle  norme  processuali
 generali in tema di assunzione della prova.
    3.   -   Cio'   premesso,   il  remittente  rileva  che  la  Corte
 costituzionale, gia' in riferimento al precedente codice di procedura
 penale, sin dalle sentenze n. 63 e 64  del  1972,  ha  ritenuto  che,
 mentre  non viola di regola l'art. 24 della Costituzione l'assunzione
 di prove testimoniali in istruttoria senza la presenza del difensore,
 tale presenza deve essere inderogabilmente garantita - perche' non ne
 risulti violato l'art. 24 della Costituzione - ove si tratti di prove
 non ripetibili in dibattimento alla presenza del difensore.
    Da tali decisioni si evincerebbe il principio che l'art. 24  della
 Costituzione  impone  che  la  prova  da  utilizzare, non a meri fini
 istruttori, ma ai fini della decisione, debba essere  necessariamente
 assunta con la partecipazione del difensore.
    Osserva  ancora  il  remittente, che, secondo la giurisprudenza di
 questa Corte, il diritto di difesa, in quanto ineludibile garanzia di
 assistenza tecnico-professionale,  deve  essere  assicurato  in  modo
 effettivo   ed  e'  tra  i  diritti  considerati  dalla  Costituzione
 inviolabili ed irrinunciabili.
    In tale contesto la presenza del difensore alla prova non  avrebbe
 solo  lo  scopo  di  garantire il contraddittorio, ma anche la stessa
 legalita' formale e sostanziale  dell'assunzione,  rientrando  fra  i
 compiti  del  difensore  quello  di  tutelare  l'imputato  attraverso
 l'irrinunciabile controllo, tecnico-professionale, che la  prova  sia
 assunta   in  effettiva  conformita'  alle  regole  processuali,  con
 particolare riferimento a quelle che ne assicurano la "genuinita'".
    Viene, infine, richiamata la sentenza n.  436  del  1990,  con  la
 quale  questa  Corte  ha  affermato  l'essenzialita',  ai  fini della
 garanzia del diritto di difesa,  del  ruolo  del  difensore  in  sede
 d'incidente  probatorio,  in  relazione all'equiparazione della prova
 ivi  assunta  a  quella  assunta  in  dibattimento.  Ne  risulterebbe
 confermata,  indirettamente,  ma  espressamente,  la necessita' della
 presenza  del  difensore  per  l'assunzione  delle  prove   in   fase
 dibattimentale,  in  relazione  alla  tutela  del  diritto  di difesa
 garantito dall'art. 24 della Costituzione.
    In  conclusione  la  Corte  remittente  ritiene non manifestamente
 infondato  il   dubbio   che   la   norma   in   esame,   consentendo
 l'utilizzazione    di    prove    testimoniali   assunte,   in   fase
 dibattimentale,   attraverso   rogatorie   internazionali   che   non
 garantiscono  la presenza del difensore dell'imputato, comprometta il
 diritto di difesa in maniera irreversibile, consentendo di fondare la
 decisione  su  prove  assunte  in  violazione  dell'art.   24   della
 Costituzione.
    4.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che  ha
 concluso   per   l'infondatezza   (recte:   inammissibilita')   della
 questione.
    Rileva l'Avvocatura che la questione, cosi' come formulata, appare
 priva del requisito della rilevanza, perche' cio'  che  nel  caso  in
 esame  viene  in  discussione  non  e'  la  legge  di esecuzione e di
 autorizzazione  alla  ratifica  dell'indicata  Convenzione,  ne'   le
 disposizioni  del  codice  di  rito  concernenti la valutazione degli
 effetti che al mezzo di prova assunto per  rogatoria  possono  essere
 riconosciuti nell'ordinamento interno, ma esclusivamente il risultato
 pratico di una singola domanda di cooperazione.
    La  valutazione  dell'attivita' espletata, ossia il riconoscimento
 degli effetti giuridici dell'atto  assunto  per  rogatoria,  prosegue
 l'Avvocatura  deve  essere  condotta  alla  stregua della legge dello
 stato richiedente e, quindi, nel caso in esame, secondo le norme  del
 codice  di  rito concernenti la valutazione della prova, interpretate
 alla luce dei principi generali dell'ordinamento della Repubblica (ai
 sensi degli artt. 671, primo comma, n. 3, del codice Rocco, e 733 del
 codice vigente,  applicabili  analogicamente),  i  quali  esplicitano
 meglio  il  concetto  di  ordine  pubblico,  di cui all'art. 31 delle
 preleggi.
    In  sostanza  il  giudice  nazionale  dovrebbe  procedere  ad  una
 eventuale valutazione della contrarieta' ai principi fondamentali del
 nostro   ordinamento   giuridico  dell'atto  assunto  per  rogatoria,
 accertare se il contenuto dello stesso, per le modalita' con  cui  si
 e' formato, si risolva o meno in un corpo estraneo al nostro sistema.
 E   tale   accertamento,   di   esclusiva  competenza  dell'autorita'
 giudiziaria, andrebbe condotto secondo le regole che  concernono  nel
 nostro  ordinamento  la  valutazione  della  prova,  senza  che possa
 assumere alcuna rilevanza l'indicata legge di esecuzione, la quale si
 e' limitata a predisporre per le autorita' nazionali (cui  spetta  la
 valutazione  dell'opportunita'  e della eventuale rilevanza del mezzo
 formante  oggetto  della  domanda  di  rogatoria)  uno  strumento  di
 cooperazione giudiziaria in materia penale.
    In  conseguenza,  la  circostanza  che  il risultato pratico della
 cooperazione si sia nel  caso  di  specie  risolto,  come  assume  il
 giudice   di  legittimita',  nell'assunzione  di  un  atto  nullo  (o
 inutilizzabile) per il nostro ordinamento, indicherebbe solo i limiti
 della  cooperazione  internazionale,  ma  non  prospetterebbe   alcun
 profilo  di  incostituzionalita'  della  norma  impugnata (o di altre
 disposizioni) avente rilevanza in sede di giudizio incidentale.
                        Considerato in diritto
    1.   -   La   Corte   di   cassazione  dubita  della  legittimita'
 costituzionale dell'art. 2 della legge  23  febbraio  1961,  n.  215,
 nella  parte  in  cui,  dando esecuzione all'art. 4 della Convenzione
 europea di assistenza giudiziaria in materia penale,  sottoscritta  a
 Strasburgo  il  20  aprile 1959, "consente l'esperimento di rogatorie
 all'estero, disposte in fase dibattimentale, anche senza la  presenza
 del difensore dell'imputato".
    Ad   avviso   della  Corte  remittente,  detta  norma,  in  quanto
 consentirebbe "di fondare la decisione" su di una prova assunta senza
 la garanzia della partecipazione del difensore, si pone in insanabile
 contrasto con il  principio  fondamentale  del  diritto  alla  difesa
 sancito dall'art. 24 della Costituzione.
    2.  -  Va  in  primo  luogo  esaminata l'eccezione di infondatezza
 (recte: inammissibilita') sollevata dal Presidente del Consiglio  dei
 ministri,  intervenuto  nel  giudizio e rappresentato dall'Avvocatura
 generale dello Stato.
    La difesa del Governo pone in dubbio la rilevanza della  questione
 nel  giudizio  a  quo  osservando  che  quanto  lamentato dal giudice
 remittente non sarebbe conseguenza  diretta  della  norma  impugnata,
 bensi'   solo  del  risultato  pratico  di  una  singola  domanda  di
 assistenza;  cio'  in  quanto  la  Convenzione   di   Strasburgo   si
 limiterebbe   soltanto  ad  offrire  uno  strumento  di  cooperazione
 giudiziaria in materia penale  alle  Autorita'  nazionali,  lasciando
 nella  facolta'  dello  Stato  richiesto  lo  stabilire  le  concrete
 modalita' di assunzione dell'atto.
    3. - L'eccezione deve essere disattesa.
    Al di la' del risultato concreto di una  singola  rogatoria,  cio'
 che   la   questione   sollevata  intende  censurare  e'  proprio  la
 possibilita',  consentita  dalla  norma  impugnata,  che  si  proceda
 all'assunzione   di  una  prova  all'estero  senza  che  alla  difesa
 dell'imputato venga  permesso  di  assistere;  cio'  in  luogo  della
 auspicata    obbligatorieta'    "della    presenza    del   difensore
 dell'imputato".
    Tanto e' sufficiente per confermare la rilevanza della questione.
    4. - Nel merito la questione non e' fondata nei sensi  di  seguito
 esposti.
    In  linea  generale  e'  del  tutto evidente che, nell'ordinamento
 italiano,  in  base  al  principio   sancito   nell'art.   24   della
 Costituzione,  la  presenza del difensore dell'imputato (o che questi
 sia posto in grado di assistere) si pone come garanzia irrinunciabile
 ai fini dell'assunzione di una prova in fase dibattimentale.
    Del pari evidente e' che,  sulla  base  della  citata  convenzione
 internazionale  di  assistenza giudiziaria, l'atto probatorio assunto
 all'estero per rogatoria non puo' che essere  espletato  nelle  forme
 proprie  dello  Stato richiesto, ove sono ovviamente inapplicabili le
 regole processuali proprie dello Stato richiedente.
    Peraltro - e'  appena  il  caso  di  sottolineare  -  non  potendo
 certamente  essere  imposto  in  sede  internazionale  (in difetto di
 diversa norma  pattizia),  il  principio  dell'obbligatorieta'  della
 presenza  del  difensore  nell'assunzione delle prove dibattimentali,
 anche l'accoglimento della questione, in ipotesi, non potrebbe  avere
 altro  effetto  che  quello  di  precludere  del  tutto all'Autorita'
 giudiziaria italiana qualsiasi possibilita' di formulare richieste di
 rogatoria.
    Occorre,  invece,  distinguere tra norme che regolano l'assunzione
 della prova e norme che ne disciplinano l'utilizzazione.
    Sul punto non puo' essere  condivisa  l'affermazione  del  giudice
 remittente   secondo   cui   le  prove  assunte  nel  rispetto  della
 Convenzione sono, per cio'  stesso,  pienamente  utilizzabili;  nulla
 afferma  la Convenzione sulla utilizzabilita' delle prove assunte per
 rogatoria, ne' dalle suddette norme, o da altro,  puo'  ricavarsi  il
 principio della rinuncia del giudice nazionale a verificare, in piena
 indipendenza   e   secondo   i   principi  fondamentali  del  proprio
 ordinamento, se le modalita' con  cui  l'atto  e'  stato  assunto  lo
 rendano utilizzabile come prova.
    In  breve,  posto che la domanda di assistenza giudiziaria crea un
 rapporto tra Stati, ciascuno dei quali si presenta nel proprio ordine
 indipendente e sovrano, il medesimo  principio  postula  che,  da  un
 lato,    l'esecuzione    materiale   degli   atti   richiesti   debba
 necessariamente  avvenire  nei  modi  previsti  dalla  lex  fori   e,
 dall'altro, che la valutazione delle attivita' espletate (ossia degli
 effetti  che  a detti atti possono essere riconosciuti) vada condotta
 alla stregua dell'ordinamento dello Stato richiedente.
    Ne' il contrario orientamento espresso  dal  giudice  a  quo  puo'
 essere  considerato  diritto vivente, posto che altre decisioni della
 medesima  Corte  hanno  da  tempo  avvertito  che,  ai   fini   della
 utilizzabilita'  di  un  atto,  non basta che questo risulti compiuto
 secondo le regole vigenti nello Stato in cui  e'  stato  assunto,  ma
 occorre  anche che dette modalita' non si pongano in contrasto con le
 leggi interne proibitive concernenti le persone  e  gli  atti  e  con
 quelle  che,  in qualsiasi modo, riguardino l'ordine pubblico, tra le
 quali,  prime  tra   tutte,   quelle   che   riguardano   l'esercizio
 inderogabile dei diritti della difesa.
    La  norma  impugnata,  quindi,  sulla  base  di un'interpretazione
 costituzionalmente vincolata dal rispetto della garanzia sancita  dal
 secondo  comma dell'art. 24 della Costituzione, non solo consente che
 il giudice italiano, prima dell'espletamento dell'atto, si avvalga di
 tutte le facolta'  riconosciutegli  dalla  Convenzione  medesima  per
 ottenere  il  consenso  dello Stato richiesto in ordine alla presenza
 delle parti interessate (e dei rispettivi difensori), ma non preclude
 in alcun modo all'Autorita' giudiziaria di procedere alla valutazione
 della eventuale contrarieta', ai  principi  fondamentali  del  nostro
 ordinamento,   dell'atto   assunto   per  rogatoria,  e,  quindi,  di
 accertare, caso per caso,  se  il  contenuto  dello  stesso,  per  le
 modalita' con cui si e' formato, possa o meno essere utilizzato.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione
 di  legittimita'  costituzionale  dell'art. 2 della legge 23 febbraio
 1961, n. 215 (Ratifica ed esecuzione  della  Convenzione  europea  di
 assistenza  giudiziaria in materia penale, firmata a Strasburgo il 20
 aprile  1959)   sollevata,   in   riferimento   all'art.   24   della
 Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza in epigrafe.
    Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1995.
                      Il Presidente: BALDASSARRE
                          Il redattore: FERRI
                       Il cancelliere: DI PAOLA
    Depositata in cancelleria il 25 luglio 1995.
               Il direttore della cancelleria: DI PAOLA
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