N. 930 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 ottobre 1995

                                N. 930
   Ordinanza emessa il 24 ottobre 1995 dalla corte d'appello di Napoli
 sull'istanza di ricusazione proposta da Albore Alfredo
 Processo  penale  -  Udienza  preliminare  -  Giudice  delle indagini
    preliminari che abbia applicato  una  misura  cautelare  personale
    interdittiva   o   coercitiva   nei  confronti  degli  imputati  -
    Incompatibilita'  ad  esercitare  le  proprie  funzioni  in  detta
    udienza  -  Omessa previsione - Disparita' di trattamento rispetto
    al coimputato dello stesso reato nei cui confronti non  sia  stato
    emesso  alcun provvedimento di misure cautelari nonche' rispetto a
    situazioni analoghe - Compressione del diritto di difesa - Lesione
    della garanzia  costituzionale  di  imparzialita'  del  giudice  -
    Richiamo  alle  sentenze della Corte costituzionale nn.  401/1991,
    439/1993 e 432/1995.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 24 e 25).
(GU n.3 del 17-1-1996 )
                          LA CORTE DI APPELLO
   Ha  pronunciato  la  seguente   ordinanza   nel   procedimento   di
 ricusazione  del  giudice  per  l'udienza preliminare - ufficio XIX -
 presso  il  Tribunale  di  Napoli,  per  incompatibilita'  ai   sensi
 dell'art.  34,  secondo  comma,  del  c.p.p.  a  partecipare  a detta
 udienza, avendo in precedenza applicato una misura interdittiva.
                               F a t t o
   Il  procuratore  della  Repubblica  presso  il  tribunale di Napoli
 faceva richiesta di rinvio a giudizio di Albore Alfredo (+  32),  per
 il  reato  previsto  dagli  artt.  61, n. 9, 81 c.p.v., 110-112, n. 1
 c.p., 90 d.P.R. n. 570/1960.
   Albore Alfredo, avvisato della fissazione dell'udienza preliminare,
 proponeva dichiarazione di ricusazione,  tempestiva  ed  ammissibile,
 del  g.u.p.,  per  essere  la  stessa  persona  fisica  che  aveva in
 precedenza emesso a suo carico, un'ordinanza applicativa della misura
 interdittiva  della  sospensione  dall'esercizio  delle  funzioni  di
 notaio,  per  il  tempo  di  mesi due dall'inizio dell'esecuzione del
 provvedimento.
   Eccepiva l'incompatibilita' del giudice a  partecipare  all'udienza
 preliminare,  ai sensi dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p., quale
 ipotesi  analoga  a  quella  decisa  con  la  sentenza  della   Corte
 costituzionale  n.  432 del   6-15 settembre 1995, dichiarativa della
 incompatibilita' a partecipare al dibattimento  del  giudice  per  le
 indagini   preliminari  che  abbia  applicato  una  misura  cautelare
 personale.
   In via subordinata alla invocata  estensione  dell'incompatibilita'
 al   giudice   per   l'udienza  preliminare,  eccepiva  e  denunciava
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  secondo  comma  del
 c.p.p.  nella  parte  in  cui  non  prevede che non possa partecipare
 all'udienza preliminare, il giudice per le indagini  preliminari  che
 abbia  adottato una misura cautelare personale di natura interdittiva
 nei confronti dell'imputato.
                             D i r i t t o
   Il carattere tassativo delle  cause  di  incompatibilita'  previste
 dall'art.   34   del  c.p.p.,  rende  la  norma  insuscettibile    di
 interpretazione estensiva ed analogica.
   Neppure puo' derivarsi la  prespettata  causa  di  incompatibilita'
 dall'indicata  sentenza  della  Corte  costituzionale n. 432/1995, in
 quanto priva di disposizioni che consentano di estendere  -  ex  art.
 27  L.C.  11  marzo  1953,  n.  87  -  la  dichiarata  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 34, secondo comma del c.p.p., a  fattispecie
 diverse da quella esaminata.
   La  sollevata  eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art.
 34, secondo comma del c.p.p., e' rilevante, per i dedotti profili  di
 incompatibilita'  del  giudice per l'udienza preliminare, ai fini del
 procedimento di ricusazione in corso,  e  non  appare  manifestamente
 infondata.
   La  questione  trae  spunto  dalla  natura  dei  poteri  valutativi
 attribuibili al giudice per le indagini  preliminari  che  emetta  un
 provvedimento applicativo di misure cautelari personali (coercitive o
 interdittive),  anche  a  seguito  della  citata sentenza della Corte
 costituzionale n. 432/1995; dalla espansione dei poteri  cognitivi  e
 valutativi  attribuibili al giudice per l'udienza preliminare e dalla
 natura del provvedimento conclusivo di tale udienza, alla luce di una
 registrabile evoluzione nell'intepretazione  giurisprudenziale  e  in
 conseguenza  della  legge  8  aprile  1993, n. 105, che ha modificato
 l'art. 425 del c.p.p.; dal raffronto con  situazioni  analoghe,  gia'
 esaminate dalla Corte costituzionale.
   E''  principio affermato con la sentenza della Corte costituzionale
 n. 432/1995 che il giudice per le indagini preliminari, nel dispporre
 una  misura  cautelare  personale  di  qualsiasi  tipo  (e,   quindi,
 coercitiva  o interdittiva), deve compiere valutazioni comportanti la
 formulazione  di un giudizio non di mera legittimita', ma di merito -
 sia pure prognostico ed allo stato degli atti  -  sulla  colpevolezza
 dell'indagato; una valutazione sul merito della res iudicanda.
   A   tale  conclusione,  la  Corte  costituzionale  e'  pervenuta  -
 rivisitando il contrario orientamento in precedenza espresso -  anche
 per  l'intervenuto  mutamento  del quadro normativo per effetto della
 legge 8  agosto  1995,  n.  332,  che  accentuando  il  carattere  di
 eccezionalita'  delle  misure  cautelari personali (in particolare di
 quelle limitative della liberta' personale),  impone  al  giudice  un
 piu'  pregnante  apprezzamento  degli  elementi  a carico ed a favore
 dell'indagato,  emersi  dall'attivita'  di  indagine  del   p.m.,   e
 l'obbligo  di  dar  conto dei motivi per i quali ritiene che assumono
 rilevanza,  pena   la   nullita'   del   provvedimento   applicativo,
 espressamente sancita dal comma 2-ter dell'art. 292 c.p.p.
   E'  da  aggiungere,  a conferma della compiutezza dell'attivita' di
 valutazione  nel  merito  attribuita  al  giudice  per  le   indagini
 preliminari,  come  essa  implichi  e  attenga  anche alla previsione
 quantitativa della pena (valutazione gia' inclusa  nel  principio  di
 proporzionalita' della misura, di cui all'art. 275, secondo comma del
 c.p.p.),  considerato  l'espresso  divieto normativamente disposto al
 comma 2-bis dell'art.  275 del c.p.p. (introdotto  con  la  legge  n.
 332/1995),  di  applicare la custodia cautelare se si ritiene che con
 la sentenza possa essere concessa la sospensione  condizionale  della
 pena.
   Nell'udienza  preliminare,  fase  terminativa  delle  indagini,  il
 giudice e' tenuto a compiere la verifica processuale  dell'iniziativa
 del  p.m.,  nel  contraddittorio  fra  le  parti,  mediante  la piena
 cognizione di tutti i risultati dell'attivita' di indagine,  al  fine
 dell'accertamento  della  loro  idoneita'  a giustificare un pubblico
 processo.
   Accertamento che,  pur  essendo  di  ordine  processuale  per  tale
 finalita'  di  introduzione del giudizio, non puo' prescindere da una
 valutazione di merito di tutti gli elementi probatori.
   Lo stesso potere attribuito al giudice per  l'udienza  preliminare,
 di  procedere ad integrazioni probatorie ai sensi e nei limiti di cui
 all'art. 422 del c.p.p., nonche' la riconosciuta possibilita' ex art.
 423 del c.p.p. di sollecitare  con un proprio provvedimento  il  p.m.
 alla  modifiche  dell'imputazione  anche  dopo  la  discussione delle
 parti,  purche' nel corso dell'udienza (sentenza Corte cost.   n.  88
 del  7-15 marzo 1994), confermano da un lato l'effettuazione da parte
 del g.u.p. di un vaglio critico e di merito delle prove  e  fonti  di
 prova  gia'  in  atti,  sfociato  in  un  giudizio  di  inidoneita' a
 consentire una decisione allo stato degli  atti  (per  incompletezza,
 lacunosita'  o  non  rispondenza  alla  fattispecie contestata); sono
 preordinati, d'altro lato, a portare all'esame del g.u.p.  un  quadro
 degli elementi probatori, quanto piu' completo possibile "prima della
 pronuncia  dei  provvedimenti  previsti sul merito della regiudicanda
 dall'art. 424 c.p.p." (sentenza della Corte cost. citata n. 88/1994).
   La  legge  8  aprile  1993,  n.  105,  abrogatrice   del   criterio
 "dell'evidenza" richiesto dall'art. 425 del c.p.p., che consentiva al
 giudice  per l'udienza preliminare di procedere ad una valutazione di
 merito dell'imputazione con esclusivo riferimento ad un parametro  di
 non  evidente  infondatezza  dell'accusa, limitandone i poteri a mero
 controllo  di  legittimita'  e  correttezza  delle fonti di prova, ha
 ulteriormente rafforzato ed ampliato i poteri valutativi del giudice,
 rendendoli tanto penetranti nel merito dell'accusa, da  poter  essere
 assimilati  a quelli attibuiti al giudice del dibattimento, allorche'
 rimanga  immutato  il  quadro  probatorio;  comunque,  la  diversita'
 dell'apprezzamento e' solo di ordine quantitativo, e non qualitativo,
 nel caso di acquisizione di ulteriori prove.
   Conseguenza  di  tale  modifica legislativa e', quindi, la modifica
 della regola di giudizio che sottende alla sentenza di  non  luogo  a
 procedere,  non  piu'  di  controllo  di  legittimita' degli elementi
 probatori, ma di pieno merito.
   La stessa Corte costituzionale,  con  la  sentenza  n.  82  del  26
 febbraio-11  marzo  1993 - precedente alla modifica dell'art. 425 del
 c.p.p. ex legge n. 105/1995 - affermo' il principio che "e'  l'intero
 merito  a  dover  essere  valutato dal giudice", pur sottolineando la
 diversita' di struttura e funzione dell'udienza preliminare  rispetto
 alla   fase  del  dibattimento,  in  conformita'  alla  volonta'  del
 legislatore delegante di limitare  ai  soli  casi  di  "evidenza"  le
 ipotesi   in   cui   era   consentito   al   giudice  di  apparezzare
 l'infondatezza dell'imputazione.
   Caduta tale limitazione, il proscioglimento ex art. 425 del c.p.p.,
 comporta un giudizio di merito pieno, che  anticipa  l'attivita'  del
 dibattimento,  rendendolo  inutile, sicche' ne' il mantenimento della
 qualificazione come "sentenza di  non  luogo  a  procedere",  ne'  il
 carattere di non definitivita' di tale sentenza (in quanto soggetta a
 revoca  nei  casi  di  cui  all'art.  434  c.p.p.),  possono valere a
 confinare  la  decisione  del  giudice  nell'area   delle   soluzioni
 processuali dell'udienza preliminare, e non di merito.
   Posto  che l'alternativa decisoria offerta al giudice per l'udienza
 preliminare,  investito  della  richiesta  del  p.m.    di  rinvio  a
 giudizio,  e'  la  sentenza  di  non  luogo a procedere nei confronti
 dell'imputato; affermato che ai fini  del proscioglimento ex art. 425
 del c.p.p., e' l'intero merito a dover essere valutato  dal  giudice;
 rilevato  che    solo  la  negativita'  di tale valutazione puo' dare
 ingresso al giusto processo, e'  chiara,  anzitutto,  la  unitarieta'
 dei  poteri  valutativi di merito che presiedono all'opzione da parte
 del giudice per l'udienza preliminare per  l'una o l'altra soluzione.
   E'  anche  evidente  l'impossibilita'  di  sicndere   tali   poteri
 valutativi,  qualificandoli  rispetto  alla  richiesta  di  rinvio  a
 giudizio,  non  di  merito  ma  di   controllo   sulla   legittimita'
 dell'esercizio  dell'azione  penale, e assegnare, invece, al medesimo
 giudice, nello stesso contesto dell'udienza  preliminare  e  rispetto
 allo  stesso materiale probatorio, un potere cognitivo pieno rispetto
 alla sentenza di non luogo a procedere.
   Le  precedenti   considerazioni   consentono   di   affermare   che
 l'attivita'  di  valutazione  che  compie  il  giudice  per l'udienza
 preliminare  investito  della  richiesta   di   rinvio   a   giudizio
 dell'imputato,  e' identica a quella che deve compiere nell'applicare
 una misura cautelare personale, anche sotto il profilo  quantitativo,
 allorche' si presenti al g.u.p.  un quadro probatorio immutato.
   V'e'  ragione  di  ritenere,  quindi,  che  la precedente decisione
 assunta dal giudice per  le  indagini  preliminari  nell'emettere  un
 provvedimento  cautelare,  possa  influenzare  quella del giudice per
 l'udienza preliminare, stessa persona fisica.
   Ma, anche nel caso di arricchimento degli elementi probatori, si ha
 motivo di dubitare che il vaglio critico che il giudice per l'udienza
 preliminare  estende  ai  nuovi  indizi,  avvenga  in  condizioni  di
 assoluta  liberta'  da  pregiudizi  derivanti  dalla  gia'   compiuta
 valutazione di quelli discponibili nel momento in cui ha disposto una
 misura  cautelare  e  che,  quindi,  la  decisione  sul provvedimento
 conclusivo dell'udienza preliminare sia assunta in  piena  serenita',
 obbiettivita' ed imparzialita'.
   La  concentrazione in capo allo stesso giudice, come persona fisica
 - prevista, peraltro, dalla direttiva n. 40  della  legge  delega  16
 dicembre  1987,  n. 81, solo in via di "possibilita'" - di poteri che
 spaziano dall'adozione di provvedimenti cautelari  fino  all'adozione
 del  provvedimento  conclusivo dell'udienza preliminare, puo' creare,
 per le esposte ragioni, il prospettato caso di incompatibilita',  per
 cui  l'art.  34,  secondo  comma  del  c.p.p., nella parte in cui non
 prevede che non possa partecipare all'udienza preliminare, il giudice
 per le indagini preliminari che abbi adottato  una  misura  cautelare
 personale,  contrasta  con  le norme costituzionali di cui agli artt.
 3, 24 e 25.
   La diversita' di trattamento e'  rilevabile  nei  confronti  di  un
 coimputato   dello   stesso  reato  nel  medesimo  procedimento,  non
 raggiunto  da  misure  cautelari  personali,  rispetto  al  quale  la
 decisione  del  giudice  per  l'udienza  preliminare  e' frutto di un
 approccio valutativo non pregiudicato.
   E', altresi',  rilevabile  rispetto  a  situazioni  analoghe,  gia'
 esaminate dalla Corte costituzionale.
   Con  sentenza  n. 401/1991 e' stata dichiarata l'incompatibilita' a
 partecipare al successivo giudizio abbreviato   del  giudice  per  le
 indagini   preliminari   presso   il   tribunale,  che  abbia  emesso
 l'ordinanza di cui all'art. 409,  quinto comma del c.p.p.
   Con sentenza n. 439 del 2-16 dicembe 1993 e'  stata  dichiarata  la
 illegittimita'  dell'art. 34, secondo comma del c.p.p. nella parte in
 cui  non  prevede  l'incompatibilita'  a  partecipare   al   giudizio
 abbreviato,  del  giudice  per  le  indagini  preliminari  che  abbia
 rigettato la richiesta di applicazione di pena concordata ex art. 444
 del c.p.p.
   Anche in tali casi, il momento processuale pregiudicante attiene  a
 provvedimenti   implicanti   un'attivita'   valutativa   del   merito
 dell'imputazione; diverso, rispetto al caso  in  esame,  e'  solo  il
 termine di confronto.
   Ma,  tra  l'alternativa  offerta  al  giudice  di  definire la fase
 processuale dell'udienza preliminare con il rinvio a giudizio  o  con
 il  proscioglimento  dell'imputato  ex  art.  425  del  c.p.p.,  e la
 possibilita' di definire tale fase con il giudizio  abbreviato,  v'e'
 un   marcato  parallelismo  per  la  comunanza  dei  presupposti,  di
 decisione allo stato  degli  atti  e  di  possibilita'  degli  stessi
 epiloghi assolutori.
   Il  discrimine  e' ridotto (come osservato anche in dottrina), alle
 sole scelte di strategia processuale dell'imputato, che  puo'  optare
 per  il  giudizio  abbreviato  per  garantirsi,  in  caso  di mancata
 assoluzione, la prevista riduzione di pena.
   L'affermata,    in   precedenza,   assimilabilita'   dell'attivita'
 valutativa del giudice  per  l'udienza  preliminare  con  quella  del
 giudice  del  dibattimento,  che  puo'  registrare,  ma  non  sempre,
 differenze di ordine quantitativo, ossia di completamento  probatorio
 e  di  nuove  acquisizioni,  e  la  quasi  omogeneita'  delle formule
 conclusive previste dall'art.   425 del  c.p.p.  con  quelle  di  cui
 all'art.  430  del  c.p.p.,  consentono  di  ravvisare un'analogia di
 situazioni anche tra il caso in esame e quello verificato dalla Corte
 costituzionale con la  sentenza  n.    432/1995,  dichiarativa  della
 incompatibilita'  del  giudice  per le indagini preliminari che abbia
 disposto una misura cautelare personale, a  partecipare  al  giudizio
 dibattimentale.
   E'  da rilevare, anzi, che il giudice per l'udienza preliminare, in
 quanto non coinvolto nella dialettica della collegialita',  e'  ancor
 piu' esposto agli effetti trascinanti di un giudizio sulla fondatezza
 dell'accusa, gia' espresso in precedenza.
   La lesione del diritto di difesa, costituzionalmente protetto (art.
 24)  e'  conseguenza inevitabile della possibile prevenzione che puo'
 inquinare il convincimento del giudice, per la  ridotta  valenza  che
 assumono le argomentazioni difensive di fronte alla naturale tendenza
 a mantenere un  giudizio gia' espresso.
   L'identita'  soggettiva  tra il giudice per le indagini preliminari
 che ha disposto l'applicazione di  una  misura  cautelare  personale,
 esprimendosi  in  termini  di  valutazione  di  alta probabilita' del
 fondamento  dell'accusa,  e  il  giudice  per  l'udienza  preliminare
 chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, e' idonea a
 determinare  (o  far  apparire)  un  pregiudizio che mina la garanzia
 costituzionale  di  imparzialita'  del  giudice  (art.  25),  la  cui
 esigenza  e' particolarmente avvertita dalla coscienza collettiva, in
 ispecie nell'attuale momento  storico,  connotato  dall'ansia  di  un
 rigoroso garantismo.
                                P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata, per violazione
 degli  artt.  3,  24  e  25  della  Costituzione,  la  questione   di
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 34, secondo comma del c.p.p.,
 nella parte in  cui  non  prevede  l'incompatibilita'  a  partecipare
 all'udienza  preliminare, del giudice per le indagini preliminari che
 abbia  disposto  una  misura  cautelare   personale   (coercitiva   o
 interdittiva) nei confronti dell'imputato;
   Sospende il procedimento di ricusazione in corso;
   Ordina  che  il giudice per l'udienza preliminare ricusato sospenda
 ogni attivita' processuale nei confronti dell'imputato ricusante;
   Dispone   l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla    Corte
 costituzionale;
   Dispone  che  la  presente  ordinanza venga notificata, a cua della
 cancelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri; al giudice per
 l'udienza preliminare presso il Tribunale di Napoli - ufficio XIX; al
 P.G.; all'imputato; e che venga comunicata ai  Presidenti  delle  due
 Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Napoli il 24 ottobre 1995.
                       Il presidente:  De Tullio
                    I giudici: (firme illeggibili)
 96C0012