N. 936 ORDINANZA (Atto di promovimento) 25 novembre 1995

                                N. 936
   Ordinanza emessa il 25  novembre  1995  dal  pretore  di  Roma  nel
 procedimento penale a carico di Saez Baez Carlos Alberto
 Sicurezza pubblica - Immigrati extracomunitari - Arresto in flagranza
    -  Convalida  -  Prevista  espulsione  su  richiesta  del pubblico
    ministero, salvo il limite delle inderogabili esigenze processuali
    -  Ritenuta  configurazione  di  detta  espulsione   come   misura
    cautelare personale applicabile esclusivamente nei confronti degli
    stranieri  -  Ingiustificata  disparita'  rispetto  al trattamento
    riservato al cittadino italiano - Lamentata introduzione di  norme
    penali  disposta  con  decreto-legge  -  Carenza  dei requisiti di
    necessita' ed urgenza - Lesione del principio di riserva di  legge
    in  materia penale - Violazione dei doveri di solidarieta' sociale
    - Compressione del diritto di difesa.
 (D.-L. 18 novembre 1995, n. 489; d.-l. 30 dicembre  1989,  n.    416,
    art. 7-ter, aggiunto dal d.-l. 18 novembre 1995, n. 489, art.  7).
 (Cost., artt. 2, 3, 24, 25 e 77).
(GU n.3 del 17-1-1996 )
                              IL PRETORE
   Letti  gli  atti  del  procedimento n. 3038/95 R.G.Dib. a carico di
 Saez Baez Carlos Alberto nato a Santiago del Cile il 4  ottobre  1973
 imputato del reato p.p. dagli artt. 624 e 625 n. 4 e 6 c.p.;
   Rilevato  che,  all'udienza  in  data  21 novembre 1995, il p.m. ha
 sollevato questione  di  legittimita'  costituzionale  del  d.-l.  18
 novembre  1995  n.  489  ed  in  particolare  dell'art. 7-ter d.-l.n.
 416/1989 come introdotto da tale decreto, in relazione agli artt.  2,
 3,  25,  27  e  77 della Costituzione e che questo pretore ritiene di
 dover d'ufficio sollevare ulteriore  questione  di  costituzionalita'
 della medesima norma in riferimento altresi' all'art. 24 Cost.;
   Ritenuto, quanto alla rilevanza, che l'imputato veniva arrestato in
 flagranza  in data 20 novembre 1995 e quindi condotto avanti a questo
 pretore per la convalida  dell'arresto  ed  il  conseguente  giudizio
 direttissimo  e  che  -  convalidato l'arresto - il p.m. chiedeva nei
 confronti dell'imputato medesimo la misura dell'espulsione  ai  sensi
 del citato art. 7-ter, primo e terzo comma;
   Ritenuto   in   merito   alla   valutazione   della  non  manifesta
 infondatezza quanto segue:
   1. -  Violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione.
   L'art. 7 del d.-l. 18 novembre 1995 n. 489 introduce - abrogando la
 precedente formulazione dell'art. 7 d.-l. 30 dicembre 1989 n.  416  -
 sette  nuovi articoli (rubricati dal 7 al 7-septies) uno dei quali in
 particolare,  l'art.  7-ter,   risulta   applicabile   nel   presente
 procedimento penale in cui il cittadino straniero sopra generalizzato
 e'  stato  presentato  a  questo Pretore a norma dell'art. 566 c.p.p.
 per la convalida dell'arresto in flagranza operato nei suoi confronti
 in data 20 novembre 1995, ed il contestuale giudizio.
   Deve in primo luogo osservarsi come il  suddetto  art.  7-ter,  nel
 contrapporre  al  primo  comma  il  caso dello straniero arrestato in
 flagranza a quello del soggetto pure straniero  al  quale  sia  stata
 applicata  la  misura della custodia cautelare, evidenzia chiaramente
 la possibilta' per il Giudice - su  richiesta  di  uno  dei  soggetti
 indicati  al  comma  quarto  -  di  disporre  l'espulsione  anche nei
 confronti di colui al quale, pur se arrestato in flagranza, non venga
 applicata alcuna misura cautelare a norma degli art. 272 e ss. c.p.p.
 o per assenza di richieste in merito da parte del p.m. - come appunto
 e'  avvenuto  nel  presente  procedimento  penale  -  o  per  mancata
 concessione  da parte del Giudice che procede delle misure richieste:
 a prescindere ora dalla questione relativa alla necessita' o meno  di
 trovarsi  in  presenza  comunque  di  un arresto almeno convalidato -
 questione cui deve inevitabilmente darsi in sede  di  interpretazione
 logica  risposta  affermativa  -  la  norma  censurata  introduce  la
 possibilita' di disporre la "misura" dell'espulsione, come lo  stesso
 art.  7-ter  la  definisce,  su  mera  richiesta del p.m. - oltreche'
 dell'interessato e  del  difensore  -  senza  prevedere  alcun  altro
 elemento   valutativo  ai  fini  della  decisione  del  Giudice,  che
 sembrerebbe anzi tenuto all'accoglimento di  tale  istanza,  "...  e'
 disposta  l'espulsione",  con la sola esclusione della sussistenza di
 "... inderogabili esigenze processuali".
   Considerato ora il momento processuale nel quale tale richiesta  di
 espulsione  si colloca e valutato inoltre che altre norme della nuova
 disciplina introdotta con il d.-l. n. 489/95 espressamente  prevedono
 il  provvedimento  di  espulsione quale misura di sicurezza (art. 7),
 misura di prevenzione (art. 7-bis), nonche'  quale  contenuto  di  un
 provvedimento   amministrativo   (artt.   7-quater   e  7-quinquies),
 all'espulsione disposta dal giudice ai sensi dell'art. 7-ter dovrebbe
 riconoscersi,  nell'ipotesi in cui la relativa richiesta provenga dal
 p.m. circostanza che rappresenta poi l'elemento di  maggiore  novita'
 della  disciplina in esame rispetto a quella gia' contenuta nell'art.
 7,  comma  12-ter  d.-l.  n.  416/89,  natura  di  misura   cautelare
 personale;   a   sostegno   di  tale  inquadramento  devono  altresi'
 richiamarsi l'espressione contenuta nell'ultima parte dell'art. 7-ter
 primo comma, che subordina l'espulsione dello straniero in  stato  di
 custodia  cautelare  alla possibilita' di soddisfare con tale diversa
 "misura" le esigenze  cautelari  del  caso  concreto,  l'attribuzione
 della  competenza  a  decidere  circa  la  richiesta di espulsione al
 Giudice competente in tema di misure cautelari individuato  ai  sensi
 dell'art.  279 c.p.p. ed infine la previsione, quale mezzo di gravame
 avverso  l'ordinanza  di  espulsione,  del  ricorso  per   cassazione
 previsto  e  regolato  dall'art.  311  c.p.p.    in materia di misure
 cautelari.
   Deve osservarsi allora come  l'introduzione  di  una  nuova  misura
 cautelare  personale,  applicabile  esclusivamente  nei confronti dei
 cittadini  stranieri,  appaia  in  contrasto  con  il  principio   di
 uguaglianza  sancito  dall'art. 3 Cost., comportando per lo straniero
 una ingiustificata disparita' di trattamento  rispetto  al  cittadino
 italiano,  disparita'  resa  ancor  piu' incisiva dal fatto che, come
 detto, l'applicazione di tale misura da  un  lato  risulta  di  fatto
 sganciata   dalla   sussistenza  delle  esigenze  cautelari  previste
 dall'art. 274 c.p.p. ed appare anzi  quasi  automatica,  in  caso  di
 richiesta  di  parte,  fatto salvo l'unico limite delle "inderogabili
 esigenze processuali", e dall'altro e' rimessa,  quanto  alla  durata
 (art. 7-ter, quarto comma, ultima parte) alla decisione discrezionale
 del  gudice  che  non  risulta  vincolata neppure dalla previsione di
 termini massimi, quali quelli previsti dagli artt. 303 e ss.  c.p.p.:
 pertanto,  a fronte della medesima condizione di arresto in flagranza
 per lo stesso reato, magari consumato in concorso  tra  loro,  e  nel
 caso  in  cui - convalidato per entrambi l'arresto - non vi sia stata
 alcuna applicazione di misure cautelari a norma  degli  artt.  272  e
 seguenti c.p.p., il cittadino italiano beneficierebbe della immediata
 liberazione  mentre  il cittadino straniero, in caso di richiesta del
 p.m., dovrebbe essere espulso da  parte  del  Giudice,  con  il  solo
 limite  delle  inderogabili  esigenze processuali, e con interdizione
 dal  territorio  dello  Stato  per  un  arco  temporale   liberamente
 determinato  a norma dell'artt. 7-ter, quarto comma e 7-sexies, primo
 comma.
   Va detto peraltro che l'ingiustificata  disparita'  di  trattamento
 pare   ravvisabile   in   prospettiva  diametralmente  opposta  anche
 nell'ipotesi in cui, in presenza delle stesse condizioni di  fatto  e
 di  diritto,  al  cittadino  italiano venga applicata la misura della
 custodia  cautelare  in  carcere  mentre  a  quello  straniero  -  su
 richiesta del p.m. - la misura custodiale venga sostituita con quella
 dell'espulsione  ex  art.  7-ter   che potrebbe in ipotesi garantire,
 secondo quanto richiesto dalla norma, la soddisfazione delle esigenze
 cautelari  del  caso,  ma  che  presenta  palesemente   un'intensita'
 coercitiva  di  tutt'altro peso rispetto a quella di cui all'art. 285
 c.p.p.
   Va   detto   peraltro   che   la  riconducibilita'  dell'espulsione
 disciplinata dall'art.  7-ter  nell'ambito  delle  misure  cautelari
 potrebbe  ritenersi  dubbia  in  relazione alla possibilita' che essa
 venga  disposta  su  richiesta  anche  dell'interessato  o  del   suo
 difensore - in contrasto con il disposto dell'art. 291 c.p.p. - salvo
 individuare  in  tale  fattispecie,  gia'  presente  come detto nella
 normativa previgente, un'ipotesi di  sospensione  dell'esecuzione  di
 una   misura   cautelare   custodiale,  come  affermato  dalla  Corte
 costituzionale con la sentenza n. 62/94.
   Del resto il differente inquadramento dell'istituto in esame tra le
 ipotesi di  applicazione  provvisoria  di  una  misura  di  sicurezza
 personale,  oltre a non sottrarsi ad evidenti motivi di contrasto con
 i principi costituzionali - in particolare la mancata previsione  nel
 procedimento  applicativo  delineato dall'art. 7-ter della necessita'
 di accertare l'effettiva pericolosita' sociale dello straniero di cui
 e'  richiesta  l'espulsione  in  violazione  del  principio  generale
 dettato  dall'art.  31  legge n. 663/86 e recentemente ribadito dalla
 Corte costituzionale (sent. n. 58/95) - si scontrerebbe con l'analoga
 censura  dell'illogicita'  ed  inammissibilita'  (art.  312   c.p.p.)
 dell'applicazione di una misura di sicurezza su richiesta proveniente
 dall'interessato o dal suo difensore.
   La possibilita' poi - a fronte come detto di una situazione di mero
 arresto  in  flagranza  al  quale,  in  difetto di applicazione delle
 misure cautelari di cui agli artt. 280 e  seguenti  c.p.p.,  dovrebbe
 seguire  l'immediata liberazione - che il cittadino straniero, magari
 del tutto incensurato non essendovi come detto limiti di sorta  nella
 norma,  possa essere su richiesta del p.m. - al primo contatto con il
 "circuito  penale"  -   radicalmente   allontanato   per   un   tempo
 indeterminato  dal  nostro  Stato ai sensi del primo comma, dell'art.
 7-ter, appare in contrasto con quei doveri di solidarieta' sociale  -
 da  esplicarsi in primo luogo nei confronti dei soggetti deboli - cui
 la nostra Repubblica e' chiamata in forza del dettato  costituzionale
 (art.  2 Cost.).
   Il  contrasto  risulta  poi  ancor  piu'  netto  ove si osservi che
 destinatario del provvedimento  di  espulsione,  ai  sensi  dell'art.
 7-ter  in  relazione all'art. 7-sexies, nono comma, puo' essere anche
 lo straniero regolarmente residente nel nostro Stato, se da un  tempo
 inferiore  a  cinque  anni,  ovvero convivente con cittadini italiani
 diversi dai parenti entro il quarto  grado,  senza  quindi  rilevanza
 alcuna  di  eventuali  vincoli di coniugio o affinita', e pertanto un
 soggetto che nel nostro  Stato  puo'  aver  instaurato  situazioni  o
 rapporti  di  carattere  personale,  sociale  o  lavorativo  anche di
 notevole  rilevanza:  ebbene  in  tali  ipotesi  la  possibilita'  di
 immediata  espulsione  su  richiesta del p.m. sembra rappresentare un
 vulnus  rispetto  al  principio   dell'inviolabilita'   dei   diritti
 dell'individuo - sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si
 svolge   la  sua  personalita'  -  non  proporzionato  rispetto  alla
 situazione presupposta dall'art. 7-ter primo comma, nella quale  come
 come  detto  il  giudice  si trova in presenza di una mera notizia di
 reato, sia pure corredata da determinati caratteri, ma  che  comunque
 prescinde  dall'effettivo  accertamento  della penale responsabilita'
 realizzabile solo attraverso la formazione della sentenza di condanna
 divenuta irrevocabile (art. 27 Cost.).
   2. - Violazione dell'art. 24 della Costituzione.
   La  regolamentazione  dell'espulsione  a richiesta di parte dettata
 dal  censurato  art.  7-ter  appare   altresi'   in   contrasto   con
 l'inviolabilita'  del  diritto  di  difesa,  nell'ipotesi  in  cui la
 richiesta di espulsione provenga dal p.m. sotto due  profili:  da  un
 lato  la  norma, nell'omettere di indicare qualunque presupposto - di
 fatto o di diritto - al di la' della  mera  condizione  di  cittadino
 straniero  arrestato  in flagranza o sottoposto a custodia cautelare,
 per l'emanazione del provvedimento di espulsione (cui deve come detto
 riconoscersi  natura  di  ordinanza   applicativa   di   una   misura
 cautelare),  preclude  di fatto sul punto all'imputato l'esercizio di
 qualunque diritto di difesa rispetto all'adozione di un provvedimento
 i cui effettivi limitativi  sulla  liberta'  personale  dell'imputato
 sono di piena evidenza.
   Ancora  in  costrasto  con  il  dettato  dell'art.  24 Cost. appare
 l'ipotesi dell'espulsione su richiesta del p.m. nell'ipotesi  in  cui
 nei  confronti  del  cittadino  straniero  arrestato  in flagranza si
 proceda poi immediatamente al giudizio a norma dell'art.  566,  sesto
 comma  c.p.p.: in tale ipotesi infatti il provvedimento di espulsione
 - disposto a norma dell'art.  7-ter primo comma, - dovrebbe ricevere
 esecuzione ai sensi  dell'art.    7-sexies  mediante  accompagnamento
 immediato  alla frontiera, ed in tale circostanza la previsione (art.
 7-sexies,  undicesimo  comma)  della  possibilita'  di  chiedere   ed
 ottenere  un'autorizzazione a rientrare in Italia onde partecipare al
 processo,  risulterebbe  di  fatto  vanificata   dalla   celebrazione
 immediata  di un dibattimento al quale al cittadino straniero espulso
 sarebbe di fatto preclusa la partecipazione, con  conseguente  palese
 ed  incisiva  violazione dei diritti difensivi, tra i quali quelli di
 avanzare richiesta dei cd. riti alternativi.
   Ne'  puo'  ipotizzarsi  che  il  diritto  dell'arrestato  cittadino
 straniero  di  partecipare, se lo desideri, al proprio processo possa
 venire realizzato mediante  rigetto  della  richiesta  di  espulsione
 avanzata dal p.m. per le "inderogabili esigenze processuali" previste
 dal  primo  comma  dell'art.  7-ter,  posto  che  altrimenti la norma
 avrebbe potuto piu' chiaramente prevedere, per il cittadino straniero
 arrestato in flagranza e quindi espulso su  richiesta  del  p.m.,  la
 possibilita'  di  chiedere  il  differimento della decisione o quanto
 meno  dell'esecuzione  dell'ordinanza   di   espulsione   sino   alla
 conclusione del giudizio direttissimo.
   Viceversa   la   norma   nell'attuale   formulazione   testuale   -
 "inderogabili esigenze processuali" - appare riferita alla necessita'
 di assicurare la presenza dell'imputato cittadino straniero  rispetto
 allo  svolgimento  di  atti  processuali  (quali  un  confronto o una
 ricognizione personale) irrealizzabili in sua assenza e che  pertanto
 si  pongono  come  ostative  rispetto all'emissione dell'ordinanza di
 espulsione.
   3. - Violazione degli artt. 25 e 77 della Costituzione.
   Il principio di riserva di legge in materia penale (art. 25  Cost.)
 possiede,  quale primo e fondamentale significato, quello secondo cui
 le  scelte  di  politica  criminale  sono  monopolio  esclusivo   del
 Parlamento  mentre  l'ammissibilita' di nuove norme di diritto penale
 introdotte attraverso decreti legislativi o decreti legge e' connessa
 alla  circostanza  che  sia  comunque  assicurato  l'intervento   del
 Parlamento in posizione sovraordinata, ora quale organo delegante ora
 quale  organo  cui  e'  rimesso  il  potere di conferire stabilita' e
 durevolezza,  attraverso  la  legge  di  conversione,  a disposizioni
 normative precarie, soggette a decadenza in caso di  inutile  decorso
 del  termine  di  60  gg.  dettato  dall'art. 77 Cost. ed emanate dal
 Governo in casi straordinari di necessita' ed  urgenza  tali  da  non
 consentire  la normale legiferazione in via ordinaria del Parlamento.
 Deve inoltre osservarsi come  recentemente  la  Corte  costituzionale
 (sent.  n.  29/95)  abbia  rivendicato  a  se'  il potere di valutare
 l'esistenza  dei  presupposti  di  necessita'  ed  urgenza  richiesti
 dall'art.  77  Cost.  per  l'emanazione  di  decreti-legge  da  parte
 dell'esecutivo,  affermando  che  "...  la   pre-esistenza   di   una
 situazione   di   fatto  comportante  la  necessita'  ed  urgenza  di
 provvedere tramite  l'utilizzazione  di  uno  strumento  eccezionale,
 quale  il  decreto  legge,  costituisce  un  requisito  di  validita'
 costituzionale  dell'adozione  del  predetto  atto,   di   modo   che
 l'eventuale  evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un
 vizio di legittimita' costituzionale del  decreto-legge,  in  ipotesi
 adottato  al  di  fuori  dell'ambito  delle  possibilita' applicative
 costituzionalmente previste, quanto  un  vizio  in  procedendo  della
 stessa legge di conversione...".
   Rispetto  ora al d.-l. 18 novembre 1995 n. 489 puo' osservarsi come
 nel preambolo venga "ritenuta la straordinaria necessita' ed  urgenza
 di  adeguare  in  termini  piu'  razionali  la  normativa  in tema di
 immigrazione nel territorio dello Stato  da  parte  di  cittadini  di
 Paesi  non  appartenenti  all'Unione Europea al fine di renderne piu'
 efficace  l'operativita'":    non  manifestamente  infondata  risulta
 pertanto   la  questione  relativa  alla  effettiva  sussistenza  dei
 requisiti di staordinaria necessita' ed urgenza  rispetto  alla  mera
 esigenza  di  razionalizzazione  di normativa gia' da tempo esistente
 (in particolare d.-l. 30 dicembre 1989 n.  416 convertito nella legge
 28 febbraio 1990 n. 39) in relazione  ad  un  fenomeno  sociale  come
 quello dell'immigrazione extracomunitaria che, anche nei suoi aspetti
 per  cosi' dire "patologici", appare ormai stabilmente presente nella
 fisionomia del nostro Stato ed in relazione  al  quale  non  appaiono
 essersi  realizzati  in  tempi  recenti  modifiche  od  evoluzioni di
 portata  talmente   straordinaria   da   richiedere   un   intervento
 legislativo  immediato  nelle forme e con gli effetti di cui all'art.
 77 Cost., soprattutto in relazione all'introduzione di  quelle  norme
 aventi immediata rilevanza penale - sono tra l'altro previste diverse
 nuove  fattispecie  delittuose  -  per  le quali quindi, in eventuale
 assenza  di  effettive  circostanze  straordinarie,  la  decretazione
 d'urgenza  appare incompatibile con l'elevatezza dei valori in gioco,
 anche in relazione al rischio di formulazioni prive di quei caratteri
 di chiarezza ed  assoluta  determinatezza  sottesi  al  principio  di
 riserva di legge in materia penale consacrato dall'art. 25 Cost.
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 9 febbraio 1948, n. 1;
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 costituzionalita' del d.-l. 18 novembre 1995 n. 489 ed in particolare
 dell'art. 7-ter d.-l. n. 416/1989 come introdotto dall'art.  7  d.-l.
 n. 489/1995, in relazione agli artt. 2, 3 24, 25 e 77 Cost.;
   Ordina la sospensione del giudizio in corso, disponendo l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Manda  alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al
 Presidente del Consiglio dei  Ministri  e  per  la  comunicazione  al
 Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della
 Repubblica.
     Roma, addi' 25 novembre 1995
                          Il pretore:  Agrimi
 96C0018