N. 947 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 giugno - 29 dicembre 1995

                                N. 947
   Ordinanza  emessa  il  1  giugno   1995   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  29  dicembre  1995)  dal  pretore  di  Milano nel
 procedimento penale a carico di Margutti Achille
 Pena - Possesso ingiustificato di chiavi alterate  o  di  grimaldelli
    (nella  specie:  attrezzi  atti a forzare serrature) - Trattamento
    sanzionatorio - Previsione di una pena minima edittale di sei mesi
    di arresto - Lamentata eccessiva afflittivita' -  Irragionevolezza
    rispetto  ai  delitti  contro  il  patrimonio  -  Riferimento alla
    sentenza della Corte costituzionale n. 341/1994.
 (C.P., art. 707).
 (Cost., artt. 3, primo comma, e 27, terzo comma).
(GU n.4 del 24-1-1996 )
                              IL  PRETORE
   Ha pronunciato la seguente ordinanza nel proc. pen.  n.  7833/1994,
 imputato: Margutti Achille.
   All'attuale   imputato   e'  stata  contestata  la  contravvenzione
 all'art.   707 c.p.,  perche',  essendo  stato  gia'  condannato  per
 delitti  determinati  da fini di lucro, veniva colto in possesso, non
 giustificato, di attrezzi atti a forzare serrature.
   Preso atto anche sotto il profilo della  rilevanza  che  del  fatto
 materiale  riportato  in  imputazione vi e' stata conferma in sede di
 istruttoria dibattimentale, in diritto e' ben  noto  quali  e  quanti
 problemi sia interpretativi sia di costituzionalita' abbia dato luogo
 la  norma  in  questione, sottoposta a fortissime critiche dottrinali
 (che hanno trovato larga  eco  soprattutto  nella  giurisprudenza  di
 merito)  per  la  natura  di  reato di "sospetto", per il correlativo
 preponderante e anomalo rilievo che assume lo status di pregiudicato;
 per l'inversione dell'onere della prova; per  la  sproporzione  della
 pena.
   Proprio sotto quest'ultimo profilo pare al giudicante che il minimo
 edittale   dell'art.   707   determini   conseguenze   paradossali  e
 contraddizioni talmente stridenti da  determinare  nella  persistente
 inerzia  del  legislatore dubbi di compatibilita' con la Costituzione
 non eludibili con interpretazioni "adeguatrici" dal  momento  che  se
 anche  il  giudice  ha una discrezionalita' - fortemente esaltata con
 riferimento al reato de quo sin dal 1975 della Corte costituzionale -
 che si estende "previamente al  giudizio  sull'esistenza  stessa  del
 reato"  e  cosi'  "essendo  a  lui attribuito il piu' largo potere in
 ordine alle cause generali di giustificazione (i cosiddetti  elementi
 negativi  del  reato) ... non puo' negarsi che rientri nel sistema la
 sussunzione  ad  elemento   oppure   a   condizione   della   mancata
 giustificazione  del  possesso  di  determinati  oggetti"  (cosi'  si
 esprimeva  la  sentenza  n.  236/1975  della  Corte  costituzionale),
 nessuna  discrezionalita'  possiede  invero,  il giudice di fronte al
 limite edittale della pena (fatta salva la  sola  applicazione  delle
 attenuanti  generiche,  che  non  sposta  comunque  i  termini  della
 questione), che nel minimo l'art.  707  stabilisce  in  mesi  sei  di
 arresto.
   Trattasi  di  una  "soglia" particolarmente alta, se rapportata sia
 alla previsione generale dell'art. 25 c.p. ("La pena dell'arresto  si
 estende  da  cinque  giorni  ..."),  sia  alle  altre contravvenzioni
 concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio (cfr.   ad
 es.  il minimo edittale di tre mesi dell'art. 708 c.p., che ha comune
 presupposto soggettivo), sia  ancora  al  piu'  generale  trattamento
 sanzionatorio  dei  delitti  contro  il  patrimonio,  dove  il  furto
 semplice e' punito con minimo di giorni quindici di pena detentiva  e
 la  stessa pena, per effetto di intervento del legislatore ormai piu'
 che ultraventennale (legge n. 220 del  1974)  e'  possibile  irrogare
 attraverso   l'equivalenza  tra  attenuanti  generiche  e  aggravanti
 dell'art. 625 anche quando ricorrano tali aggravanti.
   Se il sistema poteva avere una sua coerenza (naturalmente opinabile
 dal punto di vista delle scelte di  politica  criminale,  di  pura  e
 drastica  repressione)  prima della riforma del 1974, non altrettanto
 puo' dirsi per  la  situazione  vigente,  in  cui  un  semplice  atto
 preparatorio,  in  se'  altrimenti non   punibile, viene sottoposto a
 sanzione detentiva decisamente  pesante,  spesso  molto  maggiore  di
 quella  che in concreto e' normalmente irrogata nel caso di inizio di
 esecuzione del furto:  si pensi, ad es. (per fare un caso di  cui  si
 e'  occupata la Corte sotto il profilo processuale della legittimita'
 dell'arresto in flagranza) alla sottrazione di capo di  abbigliamento
 in  grande  magazzino  con  l'aggravante  della  violenza  sulle cose
 consistita nella asportazione  della  "piastra"  magnetica  antifurto
 mediante  piccole  pinze o altri strumenti analoghi, il cui possesso,
 ricorrendo le condizioni soggettive ivi previste, e non essendovi  un
 principio   di   esecuzione,  comporta  l'assoggettamento  alla  pena
 dell'art. 707.
   Essendo arresto e  detenzione  species  di  un  unico  genus  (pena
 detentiva)   con   effetti  sostanzialmente  identici,  senza  volere
 inutilmente dilungarsi in problematiche ben note, pare al  giudicante
 che punire con pena cosi' eccessiva come quella dell'art. 707 c.p. il
 possesso  anche  di un unico attrezzo (ad es., un cacciavite, un paio
 di  forbici,  una  chiave  inglese,  ecc.),  in  se'  non  indice  di
 particolare  pericolosita'  del  soggetto, e non tale da agevolare in
 modo rilevante il compimento di atti delittuosi contro il patrimonio,
 comporti una situazione di disagio in chi e' demandato  ad  applicare
 la norma del tutto affine a quella di cui si e' recentemente occupata
 la  Corte costituzionale in materia di oltraggio a pubblico ufficiale
 (sentenza n. 341/1994), decisione  cui  questo  giudice  si  richiama
 anche   ai   fini   del  rinvenimento  nel  sistema  del  trattamento
 sanzionatorio  minimo  (nella  specie:     art.   25   c.p.),   senza
 interferenza nella sfera di discrezionalita' legislativa.
   Anche  in  materia  di art. 707 c.p. a buon diritto si puo' infatti
 parlare di vanificazione  del  fine  rieducativo  della  pena,  e  di
 sanzione   penale  manifestamente  eccessiva  rispetto  al  disvalore
 dell'illecito, essendo stato dalla Corte costituzionale affermato  in
 via  generale che la finalita' rieducativa della pena non e' limitata
 alla sola fase della esecuzione ma costituisce  "una  delle  qualita'
 essenziali  e  generali  che caratterizzano la pena nel suo contenuto
 ontologico e l'accompagnano da quando nasce nell'astratta  previsione
 normativa, fino a quando in concreto si estingue", e d'altro lato che
 "il  principio  di  proporzionalita'  nel  campo  del  diritto penale
 equivale a negare legittimita'  alle  incriminazioni  che,  anche  se
 presumibilmente   idonee   a   raggiungere   finalita'   statuali  di
 prevenzione, producono, attraverso la pena, danni  all'individuo  (ai
 suoi  diritti  fondamentali)  ed  alla  societa'  sproporzionatamente
 maggiori dei vantaggi ottenuti (o da ottenere) da quest'ultima con la
 tutela dei beni o valori offesi dalle predette incriminazioni".
                                P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953, ritenutane la  rilevanza  e
 la   non  manifesta  infondatezza,  solleva  d'ufficio  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 707 del c.p. nella parte in cui
 prevede il minimo edittale di mesi sei  di  arresto  anziche'  quello
 generale  dell'art.  25 del c.p., con riferimento agli artt. 3, comma
 primo, e 27, comma terzo, della Costituzione;
   Sospende il giudizio;
   Dispone che effettuate  a  cura  della  cancelleria  le  prescritte
 notifiche  e  comunicazioni,  gli  atti  siano  trasmessi  alla Corte
 costituzionale.
   Cosi' deciso in Milano, il giorno 1 giugo 1995
                          Il pretore:  Punzo
 96C0029