N. 3 SENTENZA 8 - 9 gennaio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Sanita'  pubblica  -  Farmaci  brevettati  all'estero in costanza del
 divieto di brevettabilita' - Successivo brevetto in  Italia  dopo  la
 scadenza del termine annuale - Tutela brevettuale - Omessa previsione
 -  Richiamo  alla  sentenza  n.  20/1978  della  Corte - Richiesta di
 sentenza additiva nel senso di uniformare la disciplina di situazioni
 affatto diverse - Non fondatezza.
 
 (R.D. 29 giugno 1939, n. 1127, artt. 14 e 15).
 
 (Cost., artt. 3, 9 e 41).
(GU n.3 del 17-1-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
   Presidente:  avv. Mauro FERRI;
   Giudici:   prof. Luigi MENGONI,  prof.  Enzo  CHELI,  dott.  Renato
 GRANATA,  prof.  Giuliano  VASSALLI,    prof. Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                               Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale degli artt. 14 e 15 del
 r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni legislative in
 materia di brevetti per invenzioni industriali), come modificati  dal
 d.P.R. 22 giugno 1979, n. 338 (Revisione della legislazione nazionale
 in  materia  di  brevetti,  in  applicazione della delega di cui alla
 legge 26 maggio 1978, n. 260), promosso con ordinanza  emessa  il  22
 dicembre  1994  dal  Tribunale  di  Milano,  nel  procedimento civile
 vertente tra s.p.a. Zambon Group e s.p.a. Bracco  Industria  Chimica,
 iscritta  al  n.  96  del  registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  9,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1995;
   Visti  gli  atti  di  costituzione  della  Bracco Industria Chimica
 s.p.a.  e della Zambon Group s.p.a.;
   Udito nella udienza  pubblica  del  21  novembre  1995  il  Giudice
 relatore Cesare Ruperto;
   Uditi gli avv. Giorgio Floridia e Giorgio Berti per la Zambon Group
 s.p.a.  e  Adriano  Vanzetti  e Valerio Onida per la Bracco Industria
 Chimica s.p.a.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Il Tribunale di Milano  e'  stato  adito  dalla  Zambon  Group
 s.p.a.,  la  quale,  nella qualita' di holding di un gruppo d'imprese
 operanti nel settore  farmaceutico,  ha  esposto  di  aver  apportato
 alcuni  miglioramenti  al  processo  di  fabbricazione di un mezzo di
 contrasto per raggi X denominato "iopamidolo", e di aver depositato a
 riguardo due  domande  di  brevetto  esplicitamente  riconosciute  in
 rapporto  di  dipendenza  -  come  invenzioni  di  perfezionamento  -
 rispetto al brevetto n. 1.140.989 (concernente  lo  iopamidolo  e  il
 metodo  di  sua  produzione), di cui era titolare la Bracco s.p.a. Di
 tale brevetto la Societa' Zambon ha  chiesto  che  il  giudice  adito
 dichiari  la nullita' accertando nel contempo che essa attrice non ha
 compiuto atti di contraffazione.
   Si e' costituita in giudizio  la  convenuta  Bracco  s.p.a.  e,  su
 istanza  di questa, il Tribunale, con ordinanza emessa il 22 dicembre
 1994, ha  sollevato,  in  relazione  agli  artt.  3,  9  e  41  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 14
 e  15  del  r.d.  29  giugno  1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni
 legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali),  come
 modificati  dal  d.P.R.  22  giugno  1979,  n.  338  (Revisione della
 legislazione nazionale in materia di brevetti, in applicazione  della
 delega di cui alla legge 26 maggio 1978, n. 260).
   Il giudice a quo, premesso che lo "iopamidolo" deve considerarsi un
 farmaco, espone che in data 13 dicembre 1974 venne depositata domanda
 svizzera  di brevetto da parte della Societa' Savac A.G. e che questa
 deve intendersi riferita alla Societa' Bracco; ricorda quindi come il
 divieto di brevettabilita' dei farmaci ex art. 14 del  r.d.  n.  1127
 del  1939 sia stato dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale
 con la sentenza n. 20 del 1978. Ripercorso l'iter
  argomentativo di tale decisione, ed in particolare il passaggio  ove
 si   osservava   che   sarebbe   stato   il  legislatore  a  valutare
 l'opportunita' di un regime transitorio, il Tribunale rileva  che  il
 legislatore  stesso si e' limitato a riscrivere l'art. 14, eliminando
 il divieto di brevettabilita', senza dare  se'guito  a  tale  invito,
 malgrado  fossero stati predisposti numerosi disegni di legge volti a
 consentire la presentazione o la  ripresentazione  della  domanda  di
 brevetto depositata in paesi esteri e non in Italia o definitivamente
 respinta prima della sentenza citata.
   In  tale ottica le norme impugnate paiono al rimettente confliggere
 con gli evocati parametri, "nella parte in cui non  prevedono  alcuna
 (e  quindi  escludono  dalla)  tutela  brevettuale  per le invenzioni
 conseguite prima della declaratoria di illegittimita'  costituzionale
 del  vecchio  art.  14, su'bito brevettate in numerosi paesi esteri e
 non brevettate in Italia finche' vigeva il divieto  di  brevettazione
 dei  farmaci  previsto  dalle  norme  richiamate  da  ultimo, ma solo
 successivamente alla rimozione di  tale  divieto  per  effetto  della
 sentenza  n.  20  del 1978, e per le quali sia scaduto, prima di tale
 sentenza, il termine di priorita'".
   Le richiamate norme  costituzionali  si  assumono  violate  per  le
 stesse  ragioni  svolte  nella  citata  sentenza  n. 20 del 1978, con
 l'ulteriore notazione che la normativa censurata non svantaggia  piu'
 tutti  gli  imprenditori farmaceutici, ma solo quelli che non avevano
 presentato in Italia domanda di  brevetto,  in  ragione  del  divieto
 legislativo,  o che, pur avendola presentata, erano riusciti a tenere
 aperto il contenzioso presso la Commissione  dei  ricorsi  sino  alla
 pronuncia  della  sentenza n. 20 del 1978. Opina il Tribunale che per
 gli  imprenditori  in  questione  si  configurerebbe  una  sorta   di
 ultrattivita' della norma concernente il divieto di brevettazione, la
 quale  continuerebbe  a  produrre  i  propri  effetti, comportando la
 nullita' del  brevetto  Bracco  in  quanto  anticipata  dai  brevetti
 analoghi depositati in Svizzera e negli altri paesi ove non vigeva il
 divieto.
   Aggiunge  il  Tribunale  che  la giurisprudenza della suprema Corte
 circa una differenziazione tra chi abbia reclamato il  riconoscimento
 e  chi  sia  rimasto  inerte, non si mostra "cosi' convincente da far
 apparire superfluo il vaglio della Corte costituzionale". Infatti  le
 ragioni  della  Cassazione,  che  richiama  il  concetto  di rapporti
 esauriti  e  gli  inconvenienti  -   sul   piano   internazionale   e
 costituzionale  - insiti nella riapertura del termine per rivendicare
 la priorita', se  possono  essere  condivisibili  e  giustificati  in
 astratto,  non  si  attagliano  al  caso concreto, tenuto conto della
 "particolare risalenza della normativa la  cui  costituzionalita'  si
 sarebbe  dovuta  eccepire", e del fatto che la normativa stessa aveva
 gia' una volta superato il giudizio della Corte (sentenza n.  37  del
 1957). Inoltre non si tratterebbe qui di rapporti esauriti, bensi' di
 brevetti  in vigore.  Infine, non sarebbe sostenibile che nel caso in
 esame si richiede alla Corte l'introduzione di una disciplina ad hoc,
 con indebita  interferenza  nell'esercizio  del  potere  legislativo,
 consistendo  il  petitum  nella  "valutazione della costituzionalita'
 della disciplina introdotta con il  d.P.R.  n.  338  del  1979  e  in
 particolare   della   mancata   previsione  di  un  qualsiasi  regime
 transitorio".
   2. - Nel giudizio dinanzi a questa Corte si e' costituita la Bracco
 s.p.a.,   insistendo    per    la    declaratoria    d'illegittimita'
 costituzionale.
   La  societa'  sottolinea  che  essa  e'  stata  per  anni l'unica a
 produrre, anche in Italia, il farmaco in questione e che solo dopo il
 venir meno del divieto di brevettabilita' e la scadenza  del  termine
 di priorita', la Zambon ha cercato di eludere il diritto di esclusiva
 spettantele,  sostenendo  in  giudizio  la  nullita' del brevetto. La
 pretesa dell'attrice non sarebbe dunque fondata su una sua priorita',
 ma tenderebbe a sfruttare la  sfasatura  temporale  tra  il  brevetto
 ottenuto  in  Italia e i brevetti ottenuti all'estero, intraprendendo
 cosi'   un'attivita'   produttiva   che   sfrutta   parassitariamente
 l'invenzione  altrui. Si' che' non sarebbero in questione gli effetti
 in praeteritum della sentenza n. 20 del 1978, ma si verserebbe in una
 situazione  assimilabile  a  quella  di  chi,  dopo  la  declaratoria
 d'incostituzionalita'  di  una  legge, fosse sottoposto a conseguenze
 pregiudizievoli per il solo fatto di  aver  operato,  prima  di  tale
 declaratoria, in conformita' della legge allora vigente.
   Ricorda  la  deducente  come nel nostro ordinamento solo il giudice
 abbia il potere-dovere di  sospendere  l'applicazione  di  una  legge
 sospettata  d'incostituzionalita'  e  sottolinea  come  si  tratti di
 valutare gli effetti attuali della normativa denunciata e non gia' di
 estendere  ai  rapporti   passati   gli   effetti   della   pronuncia
 d'incostituzionalita'.  In tal senso la difesa della Bracco condivide
 la critica del Tribunale di Milano all'orientamento della Cassazione,
 richiamando  anch'essa il contenuto della sentenza n. 20 del 1978, in
 particolare   sottolineando    trattarsi    di    una    declaratoria
 d'illegittimita'  sopravvenuta  in forza di un mutamento del contesto
 fattuale e normativo, si' che' non resta  individuato  nel  tempo  il
 momento  di  collisione  con  l'ordinamento.    Percio'  non  sarebbe
 possibile discriminare  la  posizione  di  chi  non  abbia  all'epoca
 chiesto  il  brevetto (in quanto a cio' legittimamente impedito dalla
 legge) rispetto a chi fin da  allora  abbia  richiesto  tale  tutela.
 Palese    sarebbe   quindi   l'incostituzionalita'   del   non   aver
 legislativamente previsto un regime transitorio, malgrado  l'espresso
 invito formulato a riguardo dalla Corte e l'esigenza subito avvertita
 dalla  dottrina, tradotta anche in vari schemi di d.d.l. presentati a
 seguito della sentenza.
   3. - Si e' costituita altresi' la s.p.a. Zambon  Group,  sostenendo
 l'inammissibilita' o, in subordine, l'infondatezza della questione.
   Premette  la  societa'  che  la  Bracco ha depositato la domanda di
 brevetto italiano sei anni dopo la prima domanda proposta in un paese
 estero, dunque ben oltre il termine annuale previsto per  rivendicare
 la  priorita'  unionista;  ed  inoltre, a sostegno dell'irrilevanza e
 contrariamente  a  quanto  ritenuto  dal  giudice  a  quo,   contesta
 diffusamente  e  con  argomenti  tecnici  che  lo "iopamidolo" sia un
 farmaco e fosse percio' soggetto al divieto in argomento.
   Nel   merito,   la    Zambon    osserva    come    la    denunciata
 incostituzionalita'   altro   non   sia   che   il   normale  effetto
 dell'"impermeabilita'" dei rapporti esauriti  alla  dichiarazione  di
 illegittimita' costituzionale. A suo dire, cio' che si vorrebbe e' la
 riapertura  dei  termini  per  via giurisdizionale, si' che' la Corte
 ponga rimedio al diverso trattamento  che  l'ordinamento  riserva,  a
 seguito  della  pronuncia  demolitoria, a coloro che, in costanza del
 divieto di brevettazione,  hanno  presentato  in  Italia  domanda  di
 brevetto  di un farmaco e a coloro che si sono limitati a presentarla
 soltanto all'estero senza far  seguire  il  deposito  in  Italia  nel
 termine  decadenziale  di  un anno con rivendicazione della priorita'
 unionista.
   Ne'  si  potrebbe argomentare nel senso che il termine decadenziale
 de quo non decorreva in costanza del divieto di brevettare farmaci in
 Italia, atteso che, per insegnamento della suprema Corte, il vizio di
 illegittimita' non determina un impedimento legale all'esercizio  del
 diritto,  ma una mera difficolta' di fatto, e quindi non incide sulla
 decorrenza della prescrizione.
   La Zambon si diffonde poi sui  limiti  di  una  sentenza  additiva,
 esclusa  gia'  in materia dalla Corte nella sentenza n. 20 del 1978 e
 sottolinea  come  il  legislatore  avrebbe  potuto   introdurre   una
 normativa  transitoria,  adattandola  agli  obblighi  derivanti dalla
 Convenzione dell'Unione. Rileva quindi che, ove la Corte riconoscesse
 validita' a quei brevetti che avrebbero dovuto essere  depositati  ma
 non   lo   furono,  resterebbe  pregiudicata  la  posizione  di  chi,
 confidando nella liberta' di fabbricazione e vendita di  un  prodotto
 gia'  predivulgato  e  non  piu' tutelabile, avesse compiuto, come la
 stessa Zambon, seri investimenti.
   Conclude  la  Zambon  osservando  che   non   esiste   un   "dovere
 costituzionale"  a  provvedere  per il legislatore, onde il fatto che
 questi non  abbia  predisposto  un  regime  transitorio,  consentendo
 comportamenti  differenziati,  non  puo' tradursi nell'illegittimita'
 della normativa "a regime".
    4.  -  Nell'imminenza  dell'udienza  entrambe   le   parti   hanno
 depositato  ulteriori ampie memorie, ribadendo i rispettivi assunti e
 contestando quelli di controparte.
                        Considerato in diritto
   1. - Il giudice a  quo  dubita  della  legittimita'  costituzionale
 degli artt. 14 e 15 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127, come modificati
 dal  d.P.R.  22 giugno 1979, n. 338, nella parte in cui non prevedono
 la tutela brevettuale  per  quei  farmaci  brevettati  all'estero  in
 costanza  del  divieto  di  brevettabilita'  dei farmaci (poi rimosso
 dalla  sentenza  n.  20  del  1978  della  Corte  costituzionale)   e
 brevettati  in  Italia  dopo  la  scadenza  del  termine  annuale  (a
 decorrere dal primo brevetto  estero)  stabilito  dall'art.  4  della
 Convenzione  di  Parigi, ratificata con legge 28 aprile 1976, n. 424,
 per poter rivendicare la priorita'.
   2.  -  Va  preliminarmente  disattesa,  sotto  entrambi  i  profili
 prospettati, l'eccezione d'inammissibilita' per difetto di rilevanza,
 proposta  dalla  Societa'  Zambon,  attrice  dinanzi  al Tribunale di
 Milano.
   2.1.  -  Quest'ultimo,  attraverso  un'ampia  motivazione  del  suo
 apprezzamento  di fatto, e' pervenuto a ritenere che lo "iopamidolo",
 oggetto del brevetto di cui si controverte, rientra nella  previsione
 di quella normativa predicata come applicabile nel giudizio a quo.
   Sotto  questo  primo  profilo, quindi, la rilevanza della sollevata
 questione di costituzionalita' non  puo'  essere  negata,  attesa  la
 plausibilita' della relativa motivazione.
   2.2.  -  Il secondo profilo d'inammissibilita' attiene all'asserita
 carenza del carattere costituzionalmente necessitato del petitum.
   Al riguardo va osservato, in contrario, che nella motivazione della
 sentenza n. 20 del 1978 questa Corte, escludendo di  poter  disegnare
 le  linee del se'guito legislativo della propria decisione, rimise al
 legislatore la valutazione di due ben distinte alternative. La  prima
 riguardava l'opportunita' di introdurre o meno un regime transitorio.
 La  seconda  concerneva  i  modi  stessi del bilanciamento tra le due
 contrapposte    situazioni    oggetto    dell'eventuale    disciplina
 transitoria:  quella di coloro che non avessero richiesto il brevetto
 nella vigenza del divieto e quella di chi avesse operato investimenti
 in  strutture dell'industria farmaceutica sulla base dell'affidamento
 che nasceva dalla esistenza stessa di tale divieto.
   Ebbene, la tesi enunciata dal rimettente e' indirizzata nel duplice
 senso della necessita' costituzionale di  un  regime  transitorio,  e
 della  precisa  opzione a favore della prima categoria degli indicati
 soggetti. Sicche', una delle possibili soluzioni  della  controversia
 oggetto  del  giudizio  a  quo  viene  assunta  come  paradigma della
 domandata pronuncia additiva, la quale varrebbe a rendere immuni  dai
 prospettati  vizi  le  denunciate norme, attraverso l'introduzione di
 quello stesso strumento che il  legislatore  avrebbe  dovuto  offrire
 mediante  la  (mai dettata) disciplina transitoria. Col risultato, in
 tale direzione prospettica, di  una  sostanziale  coincidenza  fra  i
 termini  dell'attuale  thema  decidendum  e  quelli  della potenziale
 decisione del giudizio  a  quo.  Coincidenza,  che  tuttavia  non  e'
 configurabile  come  ragione  di inammissibilita' della questione, ma
 piuttosto costituisce indice di valutazione del merito, al cui  esame
 questa Corte deve dunque passare.
   3. - La questione non e' fondata.
   3.1.  - Secondo il rimettente, le denunciate norme contrasterebbero
 con gli artt. 3, 9 e 41 della Costituzione,  per  le  stesse  ragioni
 svolte da questa Corte nella sentenza n. 20 del 1978,"con l'ulteriore
 aggravio   che,  mentre  in  precedenza  la  normativa  svantaggiava,
 rispetto agli altri, solo, ma tutti, gli imprenditori farmaceutici ed
 ancora taluni di essi (che svolgevano attivita' di ricerca)  rispetto
 ad  altri  concorrenti  (che  non la svolgevano), la nuova disciplina
 discrimina  e  svantaggia,  tra  gli  imprenditori  farmaceutici  che
 svolgevano  attivita'  di  ricerca,  tanto  da  conseguire invenzioni
 brevettate  all'estero,  esclusivamente  coloro   che   non   avevano
 presentato  anche  in  Italia  domanda  di  brevetto  (...) nel pieno
 rispetto della normativa al tempo vigente". Categoria di imprenditori
 farmaceutici, quest'ultima, in danno della quale  "si  configurerebbe
 una   sorta   di   ultrattivita'"   della   norma   gia'   dichiarata
 incostituzionale, "che continuerebbe a  produrre  i  propri  effetti,
 nella  specie  importando  la  declaratoria  di nullita' del brevetto
 Bracco".
   Osserva la Corte che, in realta', soltanto una tale discriminazione
 potrebbe in astratto configurare la violazione  di  una  delle  norme
 evocate  come  parametro  d'illegittimita'  costituzionale,  e  cioe'
 dell'art.  3 della Costituzione. Infatti,  le  ragioni  svolte  nella
 sentenza  n.    20  del  1978 riguardano esclusivamente il divieto di
 brevettabilita' rimosso con la sentenza stessa, al dispositivo  della
 quale   si   e'   perfettamente   conformata   la  normativa  oggetto
 dell'attuale censura.  Significativo e', a questo proposito, come  il
 rimettente  motivi  in  forma  diretta  la non manifesta infondatezza
 della questione facendo leva  soltanto  sull'asserita  ingiustificata
 discriminazione  degli  imprenditori  che si trovano nella situazione
 della societa' convenuta nel giudizio a quo.
   Sennonche', la disparita'  di  trattamento  comportante  l'asserita
 discriminazione  non  deriva  dalle  denunciate norme, che invero non
 fanno distinzioni di sorta, bensi' soltanto  dalla  diversa  condotta
 mantenuta, nella vigenza della precedente normativa, dai soggetti fra
 i quali il rimettente imposta la comparazione. E questa Corte ha gia'
 avuto  occasione  di  affermare  (v. sentenza n. 58 del 1967) che "il
 principio di eguaglianza non  e'  affatto  violato  quando  la  legge
 dispone  trattamenti  diversi  in  confronto  a soggetti diversamente
 solleciti nella tutela delle proprie pretese, ed anzi violato sarebbe
 se, al contrario, si adottasse una disciplina uniforme nei due casi".
 Nei quali  vi  e'  un'oggettiva  disomogeneita'  di  situazioni,  che
 esclude in modo evidente la configurabilita' della dedotta disparita'
 di trattamento.
   I  soggetti che, come la parte convenuta nel giudizio a quo, non si
 sono attivati a causa della  formale  vigenza  di  norme  viziate  da
 illegittimita'    costituzionale    successivamente   dichiarata   su
 iniziativa  di  altri,  finiscono  per   trovarsi   nella   lamentata
 situazione  deteriore,  semplicemente  per  via dei limiti intrinseci
 all'efficacia   retroattiva   delle   declaratorie   d'illegittimita'
 costituzionale,  le  quali  lasciano intangibili i rapporti esauriti,
 fra cui rientrano anche i  rapporti  pregiudicati  da  una  decadenza
 verificatasi   in   forza  di  norma  diversa  da  quella  dichiarata
 incostituzionale.
   Nella specie - come e' pacifico - si e'  appunto  verificata,  gia'
 prima  della  decisione di questa Corte n. 20 del 1978, una decadenza
 dipendente da norma che nulla ha a che vedere  con  quella  investita
 dalla    declaratoria    di   illegittimita'   costituzionale:   piu'
 specificamente, dettata dall'art. 4 della Convenzione  internazionale
 di  Parigi,  riveduta da ultimo a Stoccolma e ratificata con la legge
 28 aprile 1976, n.  424, secondo cui la  c.d.  "priorita'  unionista"
 puo' essere rivendicata solo entro un anno dal primo brevetto estero.
   3.2.  -  Nessun  rilievo  puo'  assumere,  ai fini qui in esame, la
 circostanza valorizzata dalla convenuta nel giudizio a  quo,  secondo
 cui   dalla  motivazione  della  citata  sentenza  le  ragioni  della
 dichiarata  incostituzionalita'   risultano   sopravvenute   rispetto
 all'entrata  in  vigore  della Costituzione.   Al riguardo basterebbe
 osservare che trattasi di sopravvenienza  rapportata  dalla  Corte  a
 fattori extranormativi privi di oggettivita', incidenti attraverso il
 tempo  sul  contenuto  della  denunciata disposizione si' da renderla
 anacronistica:  una  sopravvenienza,  quindi,  non  correlata  ad  un
 preciso momento cronologico. Quest'ultimo, d'altronde, sarebbe potuto
 semmai   valere   unicamente   a  segnare  il  dies  del  venir  meno
 dell'impedimento al decorso  del  termine  di  decadenza,  che  nella
 specie  non  e'  stato  comunque  osservato neanche a far tempo dalla
 sentenza n. 20 del 1978.
   Ma, a parte tale considerazione, gia' di per se' risolutiva, sta di
 fatto    che     il     soggetto     interessato     all'accertamento
 dell'incostituzionalita',   necessario  per  rimuovere  l'impedimento
 all'esercizio di un  diritto,  deve  pur  sempre  percorrere  la  via
 dell'instaurazione   di  un  giudizio  -  nella  specie,  avverso  il
 provvedimento che abbia negato quel brevetto da domandarsi  entro  il
 termine  di  decadenza  - e nel corso di tale giudizio richiedere che
 venga sollevata la  relativa  questione  (come  accadde  appunto  nei
 molteplici  casi che dettero luogo alla sentenza n. 20 del 1978). Chi
 subisce  passivamente  detto  impedimento,  non  puo'  sfuggire  alla
 conseguenza  che il rapporto venga ad esaurirsi, cosi' come del resto
 ha piu' volte ritenuto la giurisprudenza ordinaria in  casi  analoghi
 alla fattispecie sottoposta al giudizio del rimettente.
   D'altra   parte,   e'  nella  logica  del  giudizio  costituzionale
 incidentale che - ferma restando la perdita di efficacia della  norma
 dichiarata  incostituzionale dal giorno successivo alla pubblicazione
 della decisione, e la sua inapplicabilita' nel giudizio a  quo  e  in
 tutti  quelli  ancora  pendenti,  anche  in  relazione  a  situazioni
 determinatesi antecedentemente -  la  retroattivita'  delle  pronunce
 d'incostituzionalita' trovi un limite nei rapporti ormai esauriti, la
 cui  definizione  -  nel  rispetto  del principio di uguaglianza e di
 ragionevolezza - spetta solo al legislatore di determinare.
   3.3. - Alla luce  di  quanto  sopra  considerato,  il  petitum  del
 giudice  a  quo  sembra  allora,  in  definitiva,  volto ad ottenere,
 attraverso la richiesta sentenza additiva, che sia resa  uniforme  la
 disciplina  di situazioni affatto diverse, a misura della fattispecie
 oggetto del giudizio a quo.
                           PER QUESTI MOTIVI
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara non fondata la questione  di  legittimita'  costituzionale
 degli  artt.  14  e  15 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle
 disposizioni  legislative  in  materia  di  brevetti  per  invenzioni
 industriali),  sollevata,  in  riferimento agli artt. 3, 9 e 41 della
 Costituzione, dal Tribunale di Milano, con l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, l'8 gennaio 1996.
                         Il Presidente:  Ferri
                        Il redattore:  Ruperto
                       Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in cancelleria il 9 gennaio 1996.
                Il direttore di cancelleria:  Di Paola
 96C0036