N. 18 ORDINANZA 22 - 29 gennaio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale  -  Sequestro  preventivo  -  Asserita  elusione dei
 principi affermati  dalla  Corte  costituzionale  nella  sentenza  n.
 48/1994 - Svilimento del requisito della "immediata correlazione" tra
 beni  e  reato  -  Istituto  finalizzato ad assicurare esclusivamente
 l'esecuzione del provvedimento di confisca nel  caso  di  condanna  -
 Insussistenza di violazione dei principi di uguaglianza e del diritto
 di  difesa  -  Prospettazione  di questione di mero fatto - Manifesta
 infondatezza.
 
 (D.-L. 8  giugno  1992,  n.  306,  art.  12-sexies,  convertito,  con
 modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356).
 
 (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, 27, secondo comma, 42 e 97).
(GU n.6 del 7-2-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
   Presidente:  avv. Mauro FERRI;
   Giudici:    prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo CHELI, dott. Renato
 GRANATA, prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.
 Cesare  MIRABELLI,  prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv. Massimo VARI,
 dott.  Cesare  RUPERTO,  dott.  Riccardo   CHIEPPA,   prof.   Gustavo
 ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' dell'art. 12-sexies del decreto-legge 8
 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice  di  procedura
 penale  e  provvedimenti  di  contrasto  alla  criminalita' mafiosa),
 convertito, con modificazioni, dalla legge 7  agosto  1992,  n.  356,
 promosso con ordinanza emessa il 12 dicembre 1994 dal Tribunale di S.
 Maria  Capua  Vetere sull'istanza proposta da Basco Antonio, iscritta
 al n. 32 del registro ordinanze  1995  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  5,  prima serie speciale, dell'anno
 1995,
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 10 gennaio 1996 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
   Ritenuto che il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha sollevato,
 in riferimento agli artt. 3, 24, secondo comma, 27, secondo comma, 42
 e 97 della Costituzione,  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.   12-sexies   del  decreto-legge  8  giugno  1992,  n.  306
 (Modifiche  urgenti  al  nuovo   codice   di   procedura   penale   e
 provvedimenti  di  contrasto  alla criminalita' mafiosa), convertito,
 con modificazioni, dalla  legge  7  agosto  1992,  n.  356,  inserito
 dall'art. 2 del decreto-legge 20 giugno 1994, n. 399, convertito, con
 modificazioni, dalla legge 8 agosto 1994, n. 501;
     che  a  tal  proposito  il rimettente, dopo aver rilevato come la
 disciplina dettata dalla  norma  oggetto  di  impugnativa  sia  stata
 introdotta  dal  legislatore a seguito della sentenza n. 48 del 1994,
 con  la  quale  venne  dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
 dell'art.  12-quinquies,  comma 2, del decreto-legge n. 306 del 1992,
 ha osservato che, allorquando venga adottato, a  norma  del  comma  4
 dell'art.  12-sexies  del  medesimo  decreto, il sequestro preventivo
 ricollegato alla particolare ipotesi di confisca prevista dai commi 1
 e 2, da un  lato  viene  vanificato  "il  fondamentale  parametro  di
 legittimita'   costituzionale"   costituito   dal  presupposto  della
 intervenuta  condanna,  stanti  i  limiti  proprii  del  giudizio  di
 riesame,   e  dall'altro  lato  risulterebbe  inoperante  "lo  stesso
 ordinario  parametro  di  legittimita'  del   sequestro   preventivo,
 consistente   nella   immediata   correlazione   tra   beni  e  reato
 contestato"; dal che scaturirebbe, a parere del giudice  a  quo,  una
 illegittima  "aggressione  giuridica"  di  beni protetti dall'art. 42
 della Costituzione, in  quanto  non  posti  -  come  nelle  ordinarie
 ipotesi  di  confisca  -  in  rapporto di stretta correlazione con il
 reato oggetto di accertamento, con conseguente  illegittimita'  anche
 della misura "anticipatoria" rispetto al giudizio di responsabilita';
     che  violato  sarebbe anche il diritto di difesa, stante il breve
 termine (dieci giorni)  concesso  in  sede  di  riesame  per  dedurre
 elementi  in  ordine  alla  legittima  provenienza  dei  beni ed alla
 assenza  di   sproporzione   rispetto   alle   capacita'   reddituali
 dell'indagato e considerata l'impossibilita' - a differenza di quanto
 avviene  per  la  "analoga"  misura di prevenzione - di contestare il
 merito della accusa, cosi' come vulnerato risulterebbe  il  principio
 sancito  dall'art.  97  della  Costituzione, giacche' "la dettagliata
 ricostruzione di complesse vicende proprietarie dilaterebbe  i  tempi
 di definizione dei procedimenti penali";
     che  nel  giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
   Considerato  che  le  doglianze  espresse  dal giudice a quo paiono
 ruotare essenzialmente attorno alla asserita  elusione  dei  principi
 affermati  da  questa  Corte nella sentenza n. 48 del 1994, giacche',
 osserva il rimettente, la possibilita' di adottare  il  provvedimento
 di  sequestro  preventivo  nel  corso  del  procedimento  concernente
 l'accertamento del reato "presupposto" vanificherebbe  la  previsione
 introdotta dal legislatore nei commi 1 e 2 della norma impugnata, ove
 e' stata sostituita la qualita' di indagato - gia' prevista dall'art.
 12-quinquies,  comma  2,  dichiarato costituzionalmente illegittimo -
 con quella di condannato, dal momento  che,  per  un  verso,  sarebbe
 impedito  al  giudice  del  riesame  di  verificare la gravita' degli
 indizi che sostengono il merito dell'accusa e, sotto  altro  profilo,
 risulterebbe  svilito il requisito della "immediata correlazione" tra
 beni e reato che costituisce l'ordinaria condizione  di  legittimita'
 del sequestro;
     che  simili rilievi non hanno fondamento in quanto, essendo nella
 specie il sequestro preventivo destinato esclusivamente ad assicurare
 l'esecuzione del provvedimento di confisca che deve  essere  adottato
 nel  caso  di  condanna  a  norma  dei commi 1 e 2 della disposizione
 censurata, e poiche' la confisca  ivi  disciplinata  ha  struttura  e
 presupposti  diversi  dall'istituto  generale  previsto dall'art. 240
 cod. pen., e' evidente che  anche  i  requisiti  di  sequestrabilita'
 debbano  essere  necessariamente  calibrati sulla falsariga di quelli
 previsti per l'adozione del provvedimento ablatorio  definitivo,  con
 ovvie  conseguenze,  quindi,  sulla qualificazione stessa del vincolo
 pertinenziale che di regola deve sussistere tra reato e cose  oggetto
 della  misura  cautelare  reale; cosicche', avendo il legislatore non
 irragionevolmente ritenuto  di  presumere  l'esistenza  di  un  nesso
 pertinenziale  tra  alcune  categorie  di  reati  e  i beni di cui il
 condannato non possa giustificare la provenienza e che  risultino  di
 valore  sproporzionato rispetto al reddito o alla attivita' economica
 del condannato stesso,  ne  consegue  che  l'identica  relazione  tra
 fattispecie  delittuosa  per  la  quale  si procede e giustificazione
 della provenienza dei beni costituisca il parametro  di  legittimita'
 del   sequestro   preventivo,   proprio   perche'   misura  destinata
 ontologicamente ad impedire la sottrazione o  dispersione  di  quegli
 stessi  beni  che  possono  formare oggetto di confisca in ipotesi di
 condanna; sequestro e confisca, pertanto, rappresentano nel  caso  di
 specie,  come  in tutte le ipotesi riconducibili all'art.  321, comma
 2, cod. proc. pen., istituti fra  loro  specularmente  correlati  sul
 piano    dei   presupposti,   al   punto   che   soltanto   deducendo
 l'illegittimita'  costituzionale  del  secondo  potrebbe  venire   in
 discorso l'illegittimita' del primo;
     che   nel  merito  delle  singole  censure  non  sussiste  alcuna
 violazione del principio di uguaglianza e del diritto di difesa,  sia
 per le considerazioni poste a fondamento della richiamata sentenza n.
 48  del  1994,  ove  e'  stata  contestata  la  fondatezza,  anche in
 riferimento  all'art. 42 della Costituzione, di consimili rilievi che
 lo stesso Tribunale  ebbe  a  svolgere  sull'istituto  del  sequestro
 preventivo  e  sul  relativo  procedimento di riesame, sia perche' la
 persona cui  i  beni  sono  stati  sequestrati  puo'  in  ogni  tempo
 contestare  il  provvedimento  cautelare  e provare l'inesistenza dei
 suoi presupposti domandando la revoca della misura,  con  l'ulteriore
 possibilita'  di  proporre appello avverso la decisione del giudice a
 norma dell'art. 322-bis, cod. proc. pen.;
     che del tutto inconferente, perche' estraneo al tema dedotto,  si
 rivela  il  richiamo  all'art. 27, secondo comma, della Costituzione,
 cosi' come palesemente infondata e' la pretesa  violazione  dell'art.
 97  della  Carta fondamentale, giacche', da un lato, si prospetta una
 questione di mero fatto, quale e' quella della possibile  dilatazione
 dei   tempi   di   definizione   dei  procedimenti  a  cagione  della
 complessita' di taluni accertamenti patrimoniali, mentre, sotto altro
 e piu' assorbente profilo, si evoca un parametro che questa Corte  ha
 costantemente  ritenuto  non  riferibile al tema dell'esercizio della
 funzione giurisdizionale, nel suo complesso e in relazione ai diversi
 provvedimenti che costituiscono espressione di tale esercizio (v., da
 ultimo, ordinanze n. 257 e n. 39 del 1995);
     e  che,   pertanto,   la   questione   deve   essere   dichiarata
 manifestamente infondata;
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara la manifesta infondatezza della questione di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  12-sexies del decreto-legge 8 giugno 1992,
 n. 306 (Modifiche urgenti al  nuovo  codice  di  procedura  penale  e
 provvedimenti  di  contrasto  alla criminalita' mafiosa), convertito,
 con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356,  sollevata,  in
 riferimento  agli artt. 3, 24, secondo comma, 27, secondo comma, 42 e
 97 della Costituzione, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere  con
 l'ordinanza in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 22 gennaio 1996.
  Il Presidente:  Ferri
  Il redattore:  Vassalli
  Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in cancelleria il 29 gennaio 1996.
  Il direttore della cancelleria:  Di Paola
 96C0132