N. 107 ORDINANZA (Atto di promovimento) 22 marzo 1995- 22 gennaio 1996

                                N. 107
   Ordinanza  emessa  il  22  marzo   1995   (pervenuta   alla   Corte
 costituzionale  il  22  gennaio 1996) dalla commissione tributaria di
 primo grado di Rovigo sul  ricorso  proposto  da  Rigon  Giandomenico
 contro la D.R.E. Veneto
 Tributi  in  genere  -  I.S.I. - Determinazione in base al patrimonio
    immobiliare   lordo   del   contribuente   anziche'   al   reddito
    effettivamente  ricavato  -  Indetraibilita'  ai fini I.R.Pe.F. ed
    I.R.Pe.G. - Deteriore  trattamento  dei  possessori  di  patrimoni
    immobiliari con incidenza sul diritto di proprieta', per la natura
    ablativa  dell'imposta  in  questione,  nonche'  sul  principio di
    capacita'   contributiva,   per   l'assenza   del   carattere   di
    progressivita' della stessa.
 Catasto   -   Nuove  tariffe  d'estimo  delle  unita'  immobiliari  -
    Determinazione in base alla rendita  catastale  stabilita  in  via
    provvisoria  e da adeguarsi, a partire dal 1 gennaio 1995 (termine
    prorogato al 1 gennaio 1998) - Efficacia retroattiva  rispetto  ai
    versamenti   d'imposta   gia'  effettuati  -  Discriminazione  dei
    contribuenti a seconda del pagamento del  tributo  sulla  base  di
    rendita  successivamente confermata ovvero ridotta - Spettanza, in
    tale ipotesi, del  rimborso  senza  corresponsione  d'interessi  -
    Violazione  dei  principi  di capacita' contributiva, di difesa in
    giudizio e di tutela del risparmio.
 (D.-L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 7, convertito, con modificazioni,
    nella  legge  8 agosto 1992, n. 359; d.-l. 23 gennaio 1993, n. 16,
    art. 2, primo comma, convertito, con modificazioni, nella legge 24
    marzo 1993, n. 75).
 (Cost., artt. 3, 24, 42, 47 e 53).
(GU n.8 del 21-2-1996 )
               LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
   Ha emesso la seguente ordinanza sul ricorso n.  1190/94  presentato
 il  6  ottobre  1994 (avverso: S/Rif. su I. Rimb. ISI - 92) da: Rigon
 Giandomenico, residente a: Rovigo in via  Sichirollo  26,  contro  la
 D.R.E. Veneto (sezione di Rovigo).
   Con  il  ricorso  in  epigrafe  indicato il contribuente impugna il
 silenzio-rifiuto  opposto  dall'Intendenza  di  finanza   di   Rovigo
 sull'istanza;  prodotta  dal medesimo contribuente, di rimborso della
 somma corrisposta mediante versamento diretto in Tesoreria, a  titolo
 di  Imposta  straordinaria  sugli  immobili  (ISI)  per  l'anno 1992,
 chiedendo, in  via  principale,  di  dichiararsi  dovuto  il  chiesto
 rimborso, e in via subordinata, la trasmissione degli atti alla Corte
 costituzionale stante l'eccepita illegittimita' della legge n. 75 del
 1993  nella  parte  in  cui  regola  la revisione generale delle zone
 censuarie,  delle  tariffe  d'estimo,  delle  rendite  delle   unita'
 immobiliari urbane e dei criteri di  classamento.
   L'ufficio  depositava  le  proprie  deduzioni  scritte chiedendo di
 dichiararsi infondata la richiesta di rimborso, ed il ricorso  veniva
 discusso all'udienza del 22 marzo 1995.
   La   commissione,   ritenendo   anche  d'ufficio  rilevante  e  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art.   7,   d.-l.  11  luglio  1991,  n.  333,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge 8 agosto 1982, n. 359 nonche' dall'art. 2,
 primo  comma,  d.-l.    23  gennaio  1993,  n.  16,  convertito   con
 modificazioni,  nella  legge  24  marzo  1993,  n. 75, osserva quanto
 segue.
   La complessa problematica va risolta anche alla luce della sentenza
 della Corte costituzionale n. 263 del  20-24 giugno 1994 nonche'  del
 sopravvenuto d.-l. n. 48 del 25 febbraio 1995, che all'art. 1, quarto
 comma,  ha  prorogato sino al 1 gennaio 1998 il termine del 1 gennaio
 1995 previsto dall'art. 2, primo comma, secondo periodo del d.-l.  23
 gennaio 1993, n. 16, convertito dalla legge 24 marzo 1993, n. 75, per
 l'efficacia  delle  zone  censuarie,  delle  tariffe  d'estimo, delle
 rendite delle unita' immobiliari urbane, stabilendo che  fino  al  31
 dicembre  1997  continuano  ad  applicarsi  le  tariffe d'estimo e le
 rendite determinate in esecuzione  del  decreto  del  Ministro  delle
 finanze 20 gennaio 1990.
   In linea generale va osservato che con la precitata sentenza su ICI
 -  estimi  catastali,  la  Corte  costituzionale  sostanzialmente  ha
 "salvato" gli estimi  (benche'  riferiti  al  valore  degli  immobili
 invece  che alla loro redditivita') solo in quanto "provvisori" ed in
 quanto - secondo i giudici costituzionali - la loro compatibilita'  o
 meno   con  il  nostro  ordinamento  costituzionale  dovrebbe  essere
 valutata nell'ambito delle singole imposte.
    Nella fattispecie si verte in  materia  di  imposta  straordinaria
 immobiliare  (ISI) il cui importo e' stato calcolato, come prescritto
 dall'art. 7 del d.-l. n. 333/1992, sulla base  del  valore  catastale
 degli   immobili.  determinato  secondo  le  nuove  tariffe  d'estimo
 stabilite con d.m. 27 settembre 1991.
    Va  a questo punto ricordato brevemente l'excursus legislativo che
 riguarda  la  materia  della  revisione   degli   estimi   catastali,
 direttamente connessa con la presente controversia tributaria.
   Con  legge  30  dicembre  1989,  n.  427,  il legislatore prevedeva
 l'aggiornamento del catasto edilizio urbano  e  del  catasto  terreni
 limitandosi  pero'  a  statuire  in ordine alle spese e all'efficacia
 della revisione, senza pero' dettare i nuovi criteri della stessa: si
 faceva infatti riferimento a  precedenti  leggi  (in  particolare  la
 legge  7  marzo 1986, n. 60, di conversione del d.-l. 6 gennaio 1986,
 n. 2, e la legge 17 febbraio 1985, n. 17, di conversione del d.-l. 19
 dicembre 1984, n. 153) che pero', a  loro  volta,  nulla  disponevano
 circa i criteri della revisione.
   L'argomento  veniva  affrontato  nella circolare del Ministro delle
 finanze 9 gennaio 1990, n. 2, che stabilisce: "la rendita  non  sara'
 piu'  calcolata in base al canone di fitto annuo, ma determinata come
 fruttuosita',  con  adeguato  saggio  di  interesse,   del   capitale
 rappresentato dal valore ordinario dell'immobile".
   Evidente  a questo punto e' il passaggio (non previsto dalla legge)
 dal criterio del reddito (ossia calcolato in base al canone di  fitto
 annuo)   a   quello   del   valore   dell'immobile,   ai  fini  della
 determinazione delle nuove tariffe d'estimo.
   Questa  impostazione  e'   stata   poi   confermata   con   decreto
 ministeriale  20  gennaio 1990, (che dettava i criteri appunto per la
 revisione delle tariffe d'estimo) ove si stabiliva  al  riguardo  che
 "il  valore unitario di mercato da porre a base per la determinazione
 delle  tariffe  nonche'  per  le  rendite  catastali   delle   unita'
 immobiliari  a destinazione speciale o particolare, sara' determinato
 come media dei valori riscontrati nel biennio 1988-1989".
   Con d.m. 27 settembre 1991  il  Ministro  delle  finanze  stabiliva
 infine  che "le tariffe d'estimo delle unita' immobiliari urbane sono
 determinate per l'intero territorio  nazionale,  con  effetto  dal  1
 gennaio  1992,  in  conformita'  dei  prospetti  annessi  al presente
 decreto"; e, nello stesso decreto, veniva richiamato come presupposto
 il predetto d.m.  20  gennaio  1990  (con  cui,  come  anzidetto,  si
 stabiliva  di  prendere  a base del calcolo il criterio rapportato al
 valore dell'immobile).
   Entrambi i predetti decreti ministeriali venivano impugnati davanti
 al giudice amministrativo (T.a.r. Lazio)  per  aver  illegittimamente
 introdotto   -  secondo  il  ricorrente  -  il  criterio  del  valore
 dell'immobile  invece   di   quello   reddituale,   ai   fini   della
 determinazione delle tariffe d'estimo.
   Con  sentenza 6 maggio 1992, n. 1184, poi seguita dalla sentenza n.
 1417/92  (entrambe  immediatamente  esecutive),   il   T.a.r.   Lazio
 accoglieva   i   ricorsi   annullando   i  provvedimenti  de  quibus,
 sottolineando in decisione che, se i criteri  stabiliti  dai  decreti
 ministeriali  si  fossero  dovuti  far  risalire  ad  una  disciplina
 legislativa, quella stessa disciplina non  sarebbe  stata  esente  da
 fondati  dubbi  di  costituzionalita':    ovverosia  per  il  giudice
 amministrativo un criterio di determinazione delle  tariffe  d'estimo
 fondato  soltanto  sul  "valore" dell'immobile sarebbe stato comunque
 illegittimo (anche se prevista da una  fonte  primaria,  ossia  dalla
 legge)  "perche'  l'inversione  dei  criteri  di determinazione delle
 tariffe d'estimo operata dai decreti ministeriali impugnati, non solo
 viola le norme di regolamento n. 1142  del  1949,  ma  introduce  una
 disarmonia complessiva del sistema che su di esse si e' sviluppato".
   A  tale  pronuncia  amministrativa  seguiva  da  parte  del Governo
 "l'interpretativa", in sostanza innovava ex  post  il  contenuto  dei
 decreti ministeriali annullati dal T.a.r.  Lazio, ma tale decreto non
 veniva convertito in legge.
   Seguivano  nell'ordine  dapprima  il  d.-l. 24 luglio 1992, n. 348,
 anch'esso decaduto per mancata conversione in termini, indi il  d.-l.
 24  settembre  1992,  n.  388, e il d.-l. 24 novembre 1992, n. 455 (a
 loro volta decaduti) che sempre - rispettivamente all'art. 3 il primo
 e all'art. 2  i  successivi  -  reintroducevano  legislativamente  le
 tariffe gia' dichiarate illegittime dal giudice amministrativo.
   L'ultima  reiterazione, costituita dall'art. 2 del d.-l. 23 gennaio
 1993, n. 16, veniva convertito con modificazioni dal Parlamento nella
 legge 24 marzo 1993, n. 75.
   Tale norma dispone che le nuove tariffe e rendite  che  deriveranno
 all'esito  di apposito procedimento entreranno in vigore il 1 gennaio
 1995 (termine recentemente prorogato, come gia' detto, al  1  gennaio
 1998)  ma,  nel  caso in cui risultassero inferiori a quelle attuali,
 potranno essere  recuperate  (nel  1998  .........)  sotto  forma  di
 credito  d'imposta,  alla  prima  dichiarazione  de redditi succesiva
 all'approvazione delle nuove tariffe.
    Orbene, questa commissione reputa non  manifestatamente  infondate
 le  eccezioni  di  incostituzionalita'  sollevate  dal  contribuente,
 ritenendo  anche  d'ufficio  che  il  contenuto  della  normativa  in
 questione  (art.   7 del d.-l. 11 luglio 1992, n. 333) nella parte in
 cui stabilisce che l'importo del tributo sia calcolato sulla base del
 valore degli immobili determinato secondo le nuove  tariffe  d'estimo
 di  cui  al d.m. 27 settembre 1991, presti il fianco a gravi dubbi di
 incostituzionalita', cosi' come l'art. 2, primo comma, del  d.-l.  23
 gennaio  1993,  n.  16,  convertito con modificazioni, dalla legge 24
 marzo 1993, n. 75.
   I - Violazione dell'art. 3 della Costituzione.
   Le  norme  sull'ISI  violano  il  principio  dell'uguaglianza   dei
 cittadini,  colpendo  solo  i possessori di beni immobili (facilmente
 tassabili) a  differenza  delle  altre  categorie  di  cittadini  che
 possiedono  patrimoni  di  altra  natura (es. mobiliari), che ne sono
 andati esenti.
   II - Violazione, sotto un altro profilo, dell'art. 3 nonche'  degli
 artt. 53 e 42 della Costituzione.
   Essendo stato imposto al contribuente di pagare l'imposta - sia pur
 una   tantum   -  nella  misura  stabilita  con  atti  amministrativi
 illegittimi, sorge il fondato dubbio che cio' non sia conforme ne' al
 principio  della  capacita'   contributiva   ne'   a   quello   della
 progressivita',   essendo   stabilita  la  tassazione  delle  rendite
 immobiliari  su  un'ipotesi  astratta  di  fruttuosita'  del   valore
 capitale   dell'immobile  determinato  in  base  a  criteri  di  tipo
 "patrimoniale", che la stessa norma mostra di voler abbandonare per i
 periodi di imposta successivi al  1994,  palesando  cosi',  anche  la
 propria intrinseca irrazionalita'.
   E' vero che il giudice costituzionale ha affermato, nella precitata
 sentenza,  che  il  criterio  della  progressivita'  si  riferisce al
 sistema tributario nel suo complesso e non ai singoli tributi nonche'
 - nel merito - che il sistema catastale aveva gia' superato il vaglio
 di costituzionalita' e che nel caso in esame il "criterio del valore"
 era fondato su un  "implicito  presupposto"  tratto  dall'esperienza:
 quello  della  connessione  tra  il bene e l'idoneita' dello stesso a
 produrre reddito. Ma al riguardo siano consentite due osservazioni:
     a) quanto ai precedenti, la stessa Corte  non  aveva  assolto  in
 assoluto  il  sistema  catastale,  ma  anzi  aveva  piu'  volte fatto
 richiamo alla necessita' di una riforma;
     b) la  tesi  prospettata  secondo  cui  il  criterio  del  valore
 presuporrebbe  una  astratta  redditivita'  risulta  contraddetta dai
 precedenti orientamenti  dello  stesso  giudice  costituzionale  che,
 nella  sua  giurisprudenza in materia tributaria, ci ha insegnato che
 il principio di cui all'art.  53 si basa sulla effettivita', per  cui
 sono  illegittime  le  imposte fondate su criteri che non assolvono a
 tale principio, ma presuppongono solo "in astratto" la redditivita'.
   Con riferimento poi all'art. 3 della  Costituzione,  e'  la  stessa
 Corte  ad  insegnarci  che il riferimento alla capacita' contributiva
 "alla  sfera  dell'obbligato  deve  risultare  da   un   collegamento
 effettivo,  e  che  ad  un  indice  effettivo  deve  farsi  capo  per
 determinare la quantita' dell'imposta che  da  ciascun  obbligato  si
 puo' esigere" (sent. n.  50/1965).
   Con riferimento all'art. 42 della Costituzione, va inoltre rilevato
 che la mancata previsione delle passivita' che gravano sull'immobile,
 ai  fini  della  determinazione  della  base  imponibile  costituisce
 certamente  violazione  del  principio  dettato  dall'art.  53  della
 Costituzione, con effetto al limite "ablatorio" dell'imposta, effetto
 ancor  piu'  probabile tenendo conto dell'indetraibilita' dell'ISI da
 parte del contribuente ai fini IRPEF o IRPEG.
   E' ben vero  -  come  osservato  dall'Avvocatura  dello  Stato  nel
 giudizio  avanti  la Corte costituzionale e riportato nella precitata
 sentenza - che l'art. 53 della Costituzione non  vieta  l'istituzione
 di  imposte  di  tipo  patrimoniale,  e  che rientra nelle scelte del
 legislatore l'esclusione delle somme corrisposte a titolo di  imposta
 (nella  specie si trattava di ICI) dalla deduzione dell'imponibilita'
 ai fini delle imposte dirette. Ma e' altrettanto vero che le  imposte
 patrimoniali  sono  conformi al dettato istituzionale solo se possono
 essere pagate con il reddito in  quanto,  diversamente,  imporrebbero
 l'alienazione  del bene assumendo carattere espropriativo, intaccando
 le  fonti  produttive  a  disposizione  del  privato  in   violazione
 dell'art. 53, inteso alla luce dell'art. 42 della Costituzione.
   Carattere ablatorio ancor piu' accentuato dal combinato disposto di
 divieto di detrazione dall'imponibile ai fini IRPEF e IRPEG.
   In  presenza  di  tale  rischio  effettivo, peraltro, dalla lettura
 della  parte  motiva  della  precitata  sentenza  263/94,  sembra  di
 intendere  che  la  stessa  Corte  costituzionale  ritenga  possibile
 sussistere   l'illegittimita'   costituzionale   dei    criteri    di
 determinazione delle tariffe d'estimo dettati con i dd.mm. 20 gennaio
 1990   e   27   settembre  1991:  "E'  pur  vero  che  i  criteri  di
 determinazione delle tariffe d'estimo e delle rendite catastali,  ove
 non  ispirati  a  principi  di ragionevolezza, potrebbero, benche' le
 tariffe non siano di per se' atti di imposizione tributaria, porre le
 premesse per l'incostituzionalita' delle singole imposte  che  su  di
 essi si fondino.
   Peraltro,  nel  momento  in  cui per determinare tariffe d'estimo e
 rendite catastali, si abbandona il tradizionale ancoraggio al reddito
 ritraibile e si privilegia il valore di mercato del  bene,  si  opera
 una  scelta  procedimentale alla quale non e' logicamente estraneo il
 rischio  di  determinazione di rendite catastali tali da superare per
 la loro misura il reddito effettivo, sicche'  le  imposte  ordinarie,
 che  a  tali  rendite si rifacessero, porterebbero ad una sostanziale
 progressiva erosione del bene".
   Con  questa  parte  della  decisione,  dunque,  la   stessa   Corte
 sostanzialmente  riconosce fondato il sospetto di incostituzionalita'
 delle tariffe d'estimo basate sul valore dell'immobile:  assolvendole
 poi  in base a due motivi di ordine diverso, e non di merito (mancata
 prospettazione concreta nelle ordinanze di rimessione dei profili  di
 incostituzionalita';  "transitorieta'"  della  disciplina: carattere,
 che allo stato, alla  luce  della  sopravvenuta  proroga  legale  sta
 rivelandosi   non  piu'  rispondente  -  di  fatto  -  alla  realta',
 risolvendosi in una procastinazione potenzialmente sine die).
   III - Violazione degli stessi  artt.  3  e  53  della  Costituzione
 nonche' dell'art. 24 della Costituzione.
   In  quanto,  differendo al periodo successivo all'entrata in vigore
 dei nuovi estimi la possibilita' per  i  contribuenti  di  recuperare
 quanto  eventualmente  pagato  in  eccedenza per l'ISI ed il relativo
 contenzioso,  sottopone  medio  tempore  il   contribuente   ad   una
 tassazione  avulsa  della  sua  capacita' contributiva e nel contempo
 ripristinatoria  del  principio  solve  et  repete,   per   l'effetto
 dell'applicazione   in   via  provvisoria  (provvisorieta'  peraltro,
 abbiamo rilevato, del tutto  relativa:  inizialmente  sino  al  1994,
 termine  ora  prorogato sino al 1 gennaio 1998, da ultimo dall'art. 4
 del d.-l. 25 febbraio 1995, n. 48) delle  tariffe  annullate  essendo
 previsto  appunto il varo dal 1 gennaio 1995 (attualmente dilazionato
 al  1  gennaio  1998)  dei  nuovi  estimi  che  sostituiranno  quelli
 illegittimi,  con la possibilita' per il contribuente - anche ai fini
 dell'ISI - di recuperare quanto eventualmente  versato  indebitamente
 in eccesso, senza peraltro prevedere il diritto alla percezione degli
 interessi maturati medio tempore, dal di' del pagamento.
   Invero  il  fatto  che  la  legge  imponga un pagamento provvisorio
 provoca discriminazione tra il  contribuente  che  avra'  gli  estimi
 confermati  e il contribuente che avra' gli estimi ridotti e, quindi,
 realizzera' un credito nei confronti dell'erario.
   Quest'ultimo infatti:
     1) sara' costretto ad assolvere un tributo in  parte  non  dovuto
 (violazione degli artt. 3 e 53);
     2)  realizzera'  un  credito  e  ripetera' la somma indebitamente
 versata, senza che la  legge  gli  riconosca  i  legittimi  interessi
 (violazione degli artt. 3 e 53);
     3)  sara'  leso  nel  suo  legittimo  diritto  di  tutela del suo
 credito, soprattutto nell'ipotesi in cui  non  dovra'  piu'  fare  la
 dichiarazione  dei  redditi  o presentera' una dichiarazione negativa
 (violazione degli artt. 3 e 24).
   In ordine al primo punto e' chiara la violazione del  principio  di
 capacita'  contributiva  e  del  principio  di eguaglianza consacrato
 dall'art. 3 della Costituzione.
   Tale principio si sostanzia, secondo l'ormai costante  orientamento
 dottrinale   e   giurisprudenziale,  nella  necessita'  di  collegare
 conseguenze eguali a fattispecie analoghe  e  diverse  a  fattispecie
 diverse, avendo riguardo, nello stabilire l'analogia e le diversita',
 al fine perseguito, vale a dire alla ratio della norma.
   Orbene,  non  potendosi  revocare  in dubbio che la ratio legis del
 provvedimento  istitutivo  del  tributo  de  quo   preordinato   alla
 istituzione di un'imposta applicata su una base imponibile costituita
 dalla rendita catastale di un bene, non determina alcuna distinzione,
 sotto  il  profilo soggettivo, nella compagine sociale cui il dettato
 normativo  si  rivolge,   balza   all'evidenza   come   le   concrete
 possibilita' applicative della legge siano tali da creare una diversa
 disciplina  impositiva,  discriminando, proprio per la provvisorieta'
 della  determinazione  del  tributo  esigibile,  le   posizioni   dei
 contribuenti, a seconda che il tributo risulti assolto su una rendita
 successivamente   riconfermata  ovvero  risulti  corrisposto  su  una
 rendita successivamete ridotta.
   In sostanza, nell'ambito della  stessa  categoria  di  contribuenti
 viene a prodursi, senza alcun fondamento di ragionevolezza, una netta
 distinzione  tra coloro i quali, assolvendo esattamente il tributo in
 base alle attuali  tariffe,  rendono  definitiva  la  loro  posizione
 contributiva  e  coloro  che,  assolvendo  anch'essi  esattamente  il
 tributo in base alle attuali tariffe, sono  costretti  ad  esercitare
 ulteriori  azioni  a  tutela  del credito derivante da una successiva
 definizione del rapporto.
    E la stessa Corte costituzionale ha gia' avuto modo  di  affermare
 (sentenze  n. 85 del 1965 e n. 121 del 1967) che si pongono fuori dal
 principio  di  ragionevolezza  e,  percio',  violano   il   principio
 costituzionale   di  eguaglianza,  i  provvedimenti  legislativi  che
 condizionano  la  definizione  di  un  rapporto   (nell'ipotesi   ivi
 considerata,  l'applicazione  del c.d. condono tributario) ad un atto
 dell'amministrazione  finanziaria  nella  formazione  delle   attuali
 tariffe.
   Ancora  piu'  palese  e',  poi,  la  discriminazione evidenziata al
 secondo punto, considerando la formazione, in  capo  al  contribuente
 che  abbia assolto il tributo su una rendita successivamente ridotta,
 di un credito d'imposta per il quale la legge prevede la possibilita'
 di recupero, in tempi anche lunghi e sotto forma di compensazione, ma
 con il riferimento al solo capitale.
   Il  mancato  riconoscimento  degli  interessi  accresce,  pertanto,
 l'incidenza dell'imposizione sulla sfera patrimoniale del soggetto e,
 nel   provocare   ulteriore   discriminazione   nei   confronti   dei
 contribuenti che tale onere finanziario non sopportano, si pone anche
 in ulteriore contrasto con il principio affermato dall'art. 53.
   Infine, in ordine al terzo punto, non va trascurata la  circostanza
 che  l'ipotesi  di  compensazione prevista dalla legge potrebbe anche
 non realizzarsi nel caso in cui il contribuente creditore  non  fosse
 piu' tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi ovvero
 dovesse  presentare una dichiarazione negativa; nella circostanza, se
 la disposizione che prevede la particolare forma di rimborso  dovesse
 intendersi   esaustiva   e,   cioe',   configurarsi   come  esclusiva
 possibilita' di recupero, il contribuente verrebbe  addirittura  leso
 nel  suo  legittimo  diritto  di  tutela del suo credito; ma, anche a
 voler ammettere  la  possibilita',  non  prevista  dalla  particolare
 disposizione,  di  accesso  alla  ordinaria  procedura  di  rimborso,
 egualmente si prospetterebbe, sempre in concorrenza con la violazione
 del principio di eguaglianza, l'aperta violazione  del  principio  di
 difesa,  sancito  dall'art.  24  della Costituzione, considerando che
 tale  procedura,  stante  la  connessa  aleatorieta'   del   recupero
 determinata  dai  brevi  termini  prescrizionali  e  dalle  complesse
 formalita' di rito,  renderebbe,  comunque,  incerto  e  difficoltoso
 l'esercizio del diritto costituzionalmente tutelato.
   IV - Violazione dell'art. 47 della Costituzione.
   Essendo   l'imposta   ISI,   come  sopra  abbondatamente  chiarito,
 totalmente  svincolata  da  qualsivoglia  parametro  di  redditivita'
 effettiva  dell'immobile, l'importo della stessa, calcolata secondo i
 criteri di determinazione delle tariffe d'estimo dettati con i dd.mm.
 20 gennaio 1990 e 27 settembre 1991,  potrebbe  rivelarsi  totalmente
 iniquo  e  sproporzionato nei confronti di quei contribuenti soggetti
 alla medesima imposta in quanto, ad esempio, proprietari di un  unico
 immobile adibito ad abitazione propria e della famiglia.
   Nei  confronti  di  tali  soggetti  non  si  realizzano pertanto le
 condizioni favorevoli per l'accesso alla  proprieta'  dell'abitazione
 in  spregio  del  dettato  di cui al secondo comma dell'art. 47 della
 Costituzione, che sancisce il diritto  all'accesso  al  risparmio  in
 tutte le sue forme, da parte del cittadino.
                                P. Q. M.
   La commissione dichiara rilevante e non manifestamente infondata la
 questione  di  illegittimita'  costituzionale,  con  riferimento agli
 artt, 3, 24, 42, 47 e 53 della Costituzione, dell'art.  7  del  d.-l.
 11  luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni, nella legge 8
 agosto 1992, n. 359, nonche' dell'art. 2, primo comma, del d.-l.   23
 gennaio  1993,  n.  16,  convertito, con modificazioni dalla legge 24
 marzo 1993, n. 75;
   Dispone la trasmissione degli  atti  alla  Corte  costituzionale  e
 sospende il procedimento.
     Cosi' deciso in Rovigo, il 22 marzo 1995
                        Il presidente: Fasolato
                         Il relatore: Visentin
 96C0161