N. 2 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 1 febbraio 1996
N. 2 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 1 febbraio 1996 (della regione Toscana) Regione in genere - Misure di razionalizzazione della finanza pubblica - Delega al Governo a trasferire ulteriori funzioni amministrative alle regioni in materia di turismo e industria alberghiera, agricoltura e foreste, edilizia residenziale pubblica, formazione professionale ed artigianato nonche' a riordinare la composizione e le attribuzioni della Conferenza di cui all'art. 12 della legge n. 400/1988 - Indicazioni sui principi e criteri direttivi per l'esercizio della suddetta delega - Lamentata mancanza di criteri direttivi chiari ed univoci con sostanziale conseguente attribuzione al Governo del potere di determinare il contenuto e l'impiego della potesta' legislativa ed amministrativa da attribuire alle regioni - Indebita invasione della sfera di competenza regionale nella predetta materia - Violazione del principio della preventiva identificazione, per l'esercizio di funzioni amministrative regionali, degli interessi commerciali in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del territorio - Eccesso di delega - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 340/1983, 343 e 454 del 1991, 301/1992, nonche' alle sentenze nn. 579/1988, 278/1991 e 282/1992. (Legge 28 dicembre 1995, n. 549, art. 2, quarantaseiesimo comma, lettera d), e), e f); quarantesettesimo comma, lett. b)). (Cost., artt. 3, 76, 115, 117, 118 e 128; legge 9 giugno 1990, n. 142, artt. 1, 2, quinto comma, 3, primo e secondo comma).(GU n.13 del 27-3-1996 )
Ricorso per la regione Toscana, in persona del presidente in carica pro-tempore, autorizzato con delibera della Giunta regionale n. 31 del 15 gennaio 1996, rappresentata e difesa, per mandato a margine del presente atto, dagli avvocati Vito Vacchi e Fabio Lorenzoni ed elettivamente domiciliata presso lo studio di quest'ultimo, in Roma, via Alessandria n. 130, contro la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio pro-tempore per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale delle disposizioni contenute nell'art. 2, comma 46, lett. d), e), f) e comma 47, lett. b) della legge 28 dicembre 1995, n. 549 recante "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica" per violazione degli artt. 3, 76, 115, 117, 118 e 128 della Costituzione. La legge 28 dicembre 1995, n. 549, pubblicata sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 29 dicembre 1995, e contenente "Misure di razionalizzazione della finanza pubblica", al quarantaseiesimo comma dell'art. 2, ha delegato il Governo ad emanare decreti legislativi diretti a: a) trasferire alle regioni ulteriori funzioni amministrative nelle materie di turismo e industria alberghiera, agricoltura e foreste, edilizia residenziale pubblica, formazione professionale ed artigianato nonche' a riordinare la composizione e le attribuzioni della Conferenza di cui all'art. 12 della legge n. 400/1988; b) delegare alle regioni funzioni in materia di industria e commercio; di impiantistica sportiva, di trasporti di interesse regionale e locale, con qualsiasi modalita' effettuati, ivi compresi i servizi ferroviari in concessione e gestione commissariale governativa nonche' i servizi locali svolti dalle Ferrovie dello Stato S.p.a.; c) riclassificare la rete viaria statale e regolamentare il trasferimento, di intesa con le regioni, delle competenze e delle proprieta' di tronchi di strade dall'ANAS alle regioni, fatte salve le eccezioni previste dalla stessa disposizione; d) delegare alle regioni ulteriori funzioni amministrative nelle materie di cui alla sopracitata lett. a) per gli aspetti e per i profili che restano nelle attribuzioni statali; e) attribuire alle province, ai comuni e agli altri enti locali funzioni amministrative per le materie di interesse esclusivamente locale nei settori di cui alle lett. a), b), c) e d); f) prevedere, con particolare riguardo ai compiti di gestione, i settori prioritari per cui opera la delega delle funzioni amministrative regionali agli enti locali, ai sensi dell'art. 118, primo comma, della Costituzione; g) prevedere, con riguardo alle funzioni attinenti al sistema delle imprese, che le regioni nell'ambito delle materie ad esse delegate o trasferite, possano delegare le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura. Il successivo quarantasettesimo comma del medesimo art. 2 detta poi i principi ed i criteri cui il Governo dovra' attenersi nell'emanazione dei decreti delegati di cui al precedente comma. Le disposizioni contenute nelle lettere d), e), f) del comma 46, nonche' nella lettera b) del comma 47 invadono ambiti riservati alla potesta' legislativa ed amministrativa delle Regioni. Piu' precisamente esse si pongono in contrasto con gli artt. 117 e 118 oltre che con gli artt. 76, 115, 128 e 3 (sotto il profilo dell'irragionevolezza) della Costituzione, anche in riferimento all'art. 3, primo e secondo comma, della legge 8 giugno 1990, n. 142, per i seguenti motivi di D I R I T T O 1. - La prima disposizione che si censura e' quella contenuta nella lett. d) del comma 46 citato, anche in collegamento con quanto previsto dalla lettera b) del comma 47 dell'art. 2. Si dispone che i futuri decreti governativi delegheranno alle regioni ulteriori funzioni amministrative nelle materie regionali di cui alla precedente lettera a), per gli aspetti ed i profili che restano nelle attribuzioni statali. Dalla lettura coordinata delle lettere a) e d) del comma 46, si ricava che nelle materie regionali elencate lo Stato tratterra' competenze, da delegare poi alle regioni. La disposizione della lettera d) non chiarisce pero' se la delega ivi prevista debba avere i caratteri della delega devolutiva-traslativa ovvero della delega c.d. libera e, quindi, se la stessa dovra' o meno costituire un'integrazione necessaria di funzioni "proprie" delle regioni, con una saldatura funzionale tra competenze trasferite e delegate, tale da consentire, nonostante la diversita' del titolo attributivo l'esplicazione coordinata e programmata di un'azione regionale globale riospetto alle funzioni cosi' accorpate. La mancata indicazione di tale aspetto circa la configurazione della futura delega non viene recuperata nel comma 47, la cui lettera b) non detta a tal fine alcun criterio che dovra' guidare il legislatore delegato. In tal modo, nel silenzio della disposizione di cui alla lett. d) del comma 46 e nell'assenza di criteri nella lett. b) del comma 47, la conformazione della futura delega di funzioni verra' rimessa totalmente alle decisioni e alle valutazioni governative, la' dove, invece, spetta solo al legislatore definire i caratteri della delega amministrativa dallo Stato alle regioni, conferendo ad essa maggiore o minore stabilita' a seconda che il legislatore stesso ritenga di dover mantenere in capo allo Stato poteri concorrenti sui medesimi oggetti della delega (Corte costituzionale n. 579/1988; 278/1991; 282/1992). Il fatto che tale decisione venga di fatto rimessa al Governo lede l'art. 76 della Costituzione, per mancanza di criteri direttivi chiari ed univoci cui dovra' attenersi l'autorita' delegata, nonche' gli artt. 117 e 118 della Costituzione ai sensi dei quali spetta al potere legislativo e non all'esecutivo determinare il contenuto e l'ampiezza delle potesta' legislative ed amministrative regionali, nel rispetto delle materie costituzionalmente attribuite alle regioni stesse. 2. - La seconda disposizione che si censura e' quella contenuta nella lett. e) del comma 46. Questa infatti viene ad incidere sull'ordine delle funzioni e delle competenze degli enti locali e sul ruolo in materia riconosciuto alla regione dalla legge 8 giugno 1990, n. 142 che e' legge di principio (art. 1, comma 1) e non puo' essere derogata, ai sensi dell'art. 128 della Costituzione, "se non mediante espressa modificazione delle sue disposizioni" (art. 1, comma 3); le disposizioni in essa contenute sono interpretative e direttamente attuative della Costituzione e pertanto contengono una disciplina organica atta a fungere da parametro interposto nei giudizi di costituzionalita' concernenti i rapporti Stato-regioni. Com'e' noto tale normativa di riforma ha spezzato l'uniforme identita' degli enti locali configurata dalle previgenti leggi comunali e provinciali; nella sua qualita' di legge di principi attuativa dell'art. 128 della Costituzione essa stabilisce che l'assetto delle funzioni locali debba essere improntato secondo criteri di flessibilita' per cui alla legge statale spetta definire i principi di detto assetto e alle regioni e' demandato il compito di renderlo concreto e completo, con l'allocazione delle funzioni in capo agli enti locali secondo il criterio della natura dell'interesse sotteso alle singole funzioni. L'art. 3 di tale legge ha conferito alla potesta' legislativa regionale notevoli ambiti di intervento, di ordine organizzativo e sostanziale, in vista della realizzazione di un nuovo "sistema delle autonomie locali". Per quel che qui piu' direttamente rileva, ai sensi del primo e secondo comma di detto articolo, le regioni organizzano l'esercizio delle funzioni amministrative a livello locale attraverso i comuni e le province, identificando nelle materie di cui all'art. 117 della Costituzione gli interessi comunali e provinciali in rapporto alle caratteristiche della popolazione e del territorio. Cio' rende le regioni "centro propulsore e di coordinamento" dell'intero sistema delle autonomie locali, con un incisivo ruolo reso necessaro proprio dalla nuova differenziazione di compiti degli enti locali rispetto alla previgente astratta uniformita' (Corte Costituzionale n. 343/1991). Perche' le regioni poossano esercitare effettivamente tale ruolo, il loro ambito di intervento deve essere completo e pertanto: A) "le regioni potranno (e dovranno) disporre non solo nell'ambito delle materie di ordinaria spettanza regionale, ma anche per tutti quegli ambiti ulteriori di materia per cui esse siano investite di funzioni amministrative delegate e di potesta' normativa integrativa" (Pastori "Il riordino delle funzioni locali e le regioni" in Le Regioni n. 2/1991, pag. 340; Colucci "Regioni e costruzione delle nuove province", Sorace "La redistribuzione delle funzioni degli enti locali (ed altro) nell'art. 3 della legge n. 142 del 1990" in "Regioni e riforma delle autonomie" Giuffre' 1995, pag. 17 ss.; Romano-Tassone "Breve la vita facile dell'art. 3 della legge n. 142 del 1990?" ivi, pag. 67 ss.; Tassi "La legislazione regionale di attuazione della legge n. 142 del 1990", ivi pag. 182); secondo tale insegnamento ha disposto la regione Toscana nell'art. 1, primo comma, lett. b) della legge regionale 19 luglio 1995, n. 77 emanata in attuazione della legge n. 142/1990); B) l'azione regionale ex art. 3 riguardera' anche le funzioni direttamente attribuite dallo Stato agli enti locali in virtu' dell'interesse esclusivamente locale, come chiarito da questa ecc.ma Corte costituzionale nella richiamata sentenza n. 343/1991. In tali ambiti di intervento, l'opera regionale dovra' allocare le funzioni in capo agli enti locali rispettando un limite minimo ed un limite massimo. Il c.d. "limite minimo" e' rappresentato dal nucleo minimo ed indefettibile di funzioni degli enti locali, da ritenersi connaturato ed immanente a comuni e province, oltre il quale risulta leso il principio di autonomia e di rappresentanza delle collettivita' territoriali; il limite massimo e' rappresentato dalle esigenze di unitarieta' che le regioni dovranno identificare nei rispettivi territori seguendo il criterio dell'interesse "insuscettibile di frazionamento e di localizzazione territoriale che sfugge necessariamente, per natura e dimensione, all'apprezzamento delle amministrazioni locali" (Corte costituzionale n. 340/1983). L'art. 3 della legge n. 142/1990 affida quindi alle regioni il suddetto rilevante compito di completare la definizione dell'assetto delle funzioni degli enti locali complessivamente. Se e' incontestabile il potere statale di attribuire direttamente agli enti locali funzioni di interesse esclusivamente locale, e' pur vero che la citata legge di riforma delle autonomie locali richiede che vi sia la preventiva individuazione da parte delle regioni del carattere non unitario dell'interesse sotteso alle varie funzioni: e dunque l'intervento regionale identificativo degli interessi e' imprescindibile per la trasformazione dell'imputazione delle funzioni da potenziale in attuale. Invece la lettera e) impugnata non tiene conto del descritto ruolo regionale non richiamando neppure l'applicabilita' dell'art. 3 della legge n. 142/1990 e deroga implicitamente a detta legge consentendo che l'attribuzione delle funzioni dallo Stato agli enti locali operi automaticamente e a prescindere dalla previa individuazione dell'interesse operata dall'amministrazione regionale. Da cio' deriva: che l'attribuzione automatica di funzioni da parte dello Stato verra' ad avere il carattere dell'uniformita' ponendosi, pertanto, in contraddizione con il principio di differenziazione al quale si lega il riconoscimento alle regioni di una posizione di centralita' nel sistema delle autonomie locali; che vi sara' una interruzione dell'unita' del sistema di allocazione delle funzioni, con l'impossibilita' per la regione di esercitare il suo incisivo ruolo di governo teso a realizzare una disciplina omogenea e ad evitare, cosi', il riproporsi di occasioni di frantumazione e sovrapposizione di funzioni che la legge n. 142/1990 ha voluto abbandonare; che si incide negativamente sull'attuazione delle leggi regionali approvate a seguire della legge n. 142/1990 e sul complessivo sistema di riordino di funzioni che le regioni stanno compiendo. Cosi', ad esempio, la regione ricorrente ha gia' determinato il modello da perseguire nella richiamata legge n. 77/1995 ed in tale quadro sta elaborando le ulteriori conseguenti modifiche legislative. E' evidente che gli interventi che verranno adottati dal legislatore delegato in base alla norma impugnata, non coordinandosi con l'art. 3 della legge n. 142/1990 e derogando alla stessa, avranno una incidenza negativa con il sistema delle autonomie definito a livello regionale. Per i motivi esposti la disposizione impugnata, nella parte in cui non prevede che le funzioni attribuite agli enti locali direttamente dallo Stato siano subordinate alla preventiva individuazione da parte delle regioni del carattere dell'interesse, e' lesiva degli artt. 115, 117, 118 e 128 della Costituzione, cosi' come attuati e completati dalla legge n. 142/1990 che, come gia' rilevato, non ammette deroghe implicite da parte di una legge particolare come la finanziaria che disciplina i piu' disparati argomenti ed e' pertanto priva del carattere di legge organica generale. La disposizione impugnata appare illegittima anche per violazione dell'art. 3 della Costituzione sotto il profilo della irragionevolezza, essendo del tutto illogico ed irrazionale che il ruolo di coordinamento regionale si esplichi, secondo l'insegnamento della Corte costituzionale, nei settori di cui agli artt. 9, 14 e 15 della legge n. 142/1990 e non venga invece richiamato e reso effettivo anche nei settori di intervento individuati dalla norma impugnata; cio' contrasta evidentemente con il citato art. 3 della Costituzione, in quanto non "consonante con il criterio della ragionevolezza" richiamato dalla Corte costituzionale come parametro per la valutazione della legittimita' costituzionale delle leggi (sentenze nn. 301/1992 e 454/1991). 3. - La terza censura - che per i motivi su cui si fonda e' in parte ricollegata alle precedenti - concerne la disposizione contenuta nella lett. f) del comma 46 del medesimo art. 2. Il legislatore ha disposto che i decreti delegati dovranno prevedere i settori prioritari per i quali opera la delega di funzioni amministrative regionali agli enti locali. Tale disposizione - riferendosi alle materie di cui all'art. 117 della Costituzione - incide sulla potesta' regionale di autoorganizzazione e di autodeterminazione circa le materie per le quali si ritenga opportuno fare ricorso allo strumento della delega agli enti locali. Da cio' la dedotta censura per contrasto con gli artt. 115 e 118, terzo comma, della Costituzione. La norma si presenta poi illegittima per un ulteriore profilo. La citata legge n. 142/1990 (ad es. art. 2, quinto comma) ha introdotto la possibile diretta attribuzione delle funzioni agli enti locali da parte delle regioni, superando "le due correlazioni: attribuzione-Stato e delega-regione. In tal modo, la distinzione tra le due figure non attiene alla provenienza statale o regionale della norma, ma al tipo di disciplina posta in essere, al regime della funzione, al fatto che si sia dentro o fuori dall'autonomia locale. Per l'appunto si dovrebbe riservare la qualificazione "delegate" (dallo Stato o dalla regione) alle funzioni degli enti locali integralmente disciplinate dalla legge o rispetto alle quali sono previste interferenze dei livelli superiori di governo; alle funzioni svolte nell'interesse di altri e non come soggetto di autonomia" (Mor. "Interessi locali e garanzia costituzionale delle autonomie territoriali" in "Regioni e riforma delle autonomie", Giuffre' 1995, pag. 130 ss.). Nell'attuare e nel dar corpo al sistema delle autonomie locali compete alle regioni decidere se delegare o trasferire agli enti locali le funzioni, ovviamente nel rispetto delle norme costituzionali e dei principi posti dalla legislazione statale e, specificatamente, della necessaria attribuzione delle funzioni correlate ad interessi individuati dalla stessa regione come provinciali o comunali; del principio di sussidiarieta' assunto dalla legge 30 dicembre 1989, n. 439 come criterio ordinatore del nuovo assetto costituzionale a garanzia dell'autonomia locale intesa come "il diritto e la capacita' effettiva, per le collettivita' locali di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilita', e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici", e con "competenze complete ed integrali" (artt. 3 e 4 della legge n. 439/1989 di ratifica ed esecuzione della convenzione europea relativa alla carta europea dell'autonomia locale). Per l'aspetto che qui si sta esaminando, la gia' citata legge regionale Toscana n. 77/1995, in attuazione di detti principi, ha attuato una scelta univoca nel senso della valorizzazione delle autonomie, superando la delega a favore della diretta attribuzione; gli enti locali hanno titolarita' delle funzioni che esercitano in pienezza di autonomia (art. 8, comma secondo), con i soli limiti della programmazione regionale (artt. 12 e 13). Cio' implica: una attribuzione ampia e non dettagliata; il concorso degli enti locali alla elaborazione degli atti di programmazione regionale (art. 18); il superamento di procedimenti che prevedono la coesistenza di atti regionali e degli enti locali. E' allora chiaro che la norma che si impugna interferisce con le competenze regionali (che la regione ricorrente ha in parte gia' esercitato), perche' si fa riferimento alla sola delega di funzioni, quando e' invece ammessa la diretta attribuzione agli enti locali. Da cio' la dedotta censura per contrasto con l'art. 118, terzo comma, della Costituzione, come attuato dalla legge n. 142/1990.
P. Q. M. Si chiede che l'ecc.ma Corte costituzionale adita voglia dichiarare costituzionalmente illegittime le disposizioni contenute nell'art. 2, comma 46, lett. d), e), f) e comma 47, lett. b) della legge 28 dicembre 1995, n. 549 per violazione degli artt. 3, 76, 115, 117, 118 e 128 della Costituzione, anche in riferimento agli artt. 1, 2, quinto comma, e 3, primo e secondo comma, della legge 9 giugno 1990, n. 142. Firenze-Roma, addi' 22 gennaio 1996 Avv. VACCHI - Avv. LORENZONI 96C0165