N. 112 ORDINANZA (Atto di promovimento) 13 dicembre 1995
N. 112 Ordinanza emessa il 13 dicembre 1995 dal pretore di Padova sezione distaccata di Piove di Sacco nel procedimento penale a carico di Spinello Giannino ed altri Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Scarichi di pubbliche fognature senza autorizzazione ed eccedenti i limiti tabellari previsti dalla legge n. 319/1976 e della normativa regionale - Lamentata depenalizzazione - Disparita' di trattamento rispetto alla disciplina relativa agli scarichi di singoli insediamenti produttivi, nonche', nonche' rispetto ad ipotesi meno gravi, ma punite con maggior severita' - Lesione del diritto all'ambiente salubre - Omesso adeguamento con le norme del diritto internazionale, in particolare con quelle CEE (n. 271/1991) - Violazione del principio di riserva di legge in materia penale per reiterazione a catena dei decreti-legge - Conseguente sottrazione del potere legislativo al Parlamento - Carenza dei presupposti costituzionali di necessita' ed urgenza. (D.-L. 17 marzo 1995, n. 79, art. 6, secondo comma, convertito, con modificazioni, nella legge 17 maggio 1995, n. 172). (Cost., artt. 10, 11, 25 e 77).(GU n.8 del 21-2-1996 )
IL PRETORE Ha pronunciato, nel processo di cui in epigrafe a carico di Spinello Giannino, Maistrello Pierluigi, Ferrara Francesco, Schlagenauf Davide, Bernardini Rolando, Pipinato Roberto, Ferrara Giovanni, Maurantonio Giancarlo, De Paulis Nino e Bertoncello Andrea imputati dei reati p. e p. dall'art. 110, 81 cpv cp, 21, primo comma legge n. 319/1976, 9, comma sesto, legge n. 171/1973 e dall'art. 674 cp, la seguente ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di costituzionalita' dell'art. 6, secondo comma del decreto-legge n. 79 convertito con modifiche nella legge n. 172 del 17 maggio 1995 in relazione agli artt. 10, 11, 25 e 77 Cost.. 1. - Rilevanza. Gli imputati sono stati tratti a giudizio in relazione a numerosi e ripetuti scarichi in dipendenza di sversamenti di reflui da una pubblica fognatura in assenza di autorizzazione, mai richiesta. Viene in questione, pertanto, la violazione, tra l'altro, dell'art. 21, primo comma legge n. 319/1976, ipotesi depenalizzata dall'art. 6, secondo comma, legge n. 172 cit. con riguardo alle pubbliche fognature. L'oggetto stesso della contestazione, quindi, conduce ad una declaratoria di proscioglimento in parte qua e, conseguentemente, attese le risultanze in atti (si vedano, in particolare, le fotografie in atti relative agli sversamenti e, in generale, la sentenza n. 168/1993 e i relativi verbali d'udienza), risulta indispensabile l'esame di legittimita' della normativa in oggetto. Si deve osservare, inoltre, che le condotte sono state poste in essere tra l'estate del 1991 e l'estate del 1994 e, quindi, nella gran parte in periodi anteriori al primo decreto in materia di legge Merli. Ne consegue che, all'epoca, la condotta contestata era riconducibile ad un fatto penalmente illecito e che, pertanto, nell'eventualita' di una caducazione della norma, la fattispecie rimarrebbe disciplinata alla stregua dei parametri - noti al momento del fatto - di cui all'originaria previsione. 2. - Non manifesta infondatezza. 2.1. - Violazione degli artt. 10 e 11 della Costituzione. La legge n. 172/1995 - con riguardo, in particolare, alla normativa impugnata, anche se la questione investe anche le altre norme della legge citata e, in ispecie, l'art. 3 - si pone in contrasto con gli obblighi che derivano al nostro Paese per l'appartenenza alla Comunita' europea. Con l'Atto unico europeo del 1986 (recepito in Italia dalla legge 23 dicembre 1986 n. 909) - il quale affida alla Comunita' una competenza diretta e specifica in materia di tutela dell'ambiente, colmando, in tal modo, una lacuna che precedentemente il Trattato denunciava - sono stati introdotti nel nostro Ordinamento giuridico tre principi relativi all'ambiente (artt. 130r, 130s e 130t), che impegnano direttamente lo Stato italiano verso la Comunita' e che debbono essere applicati anche dai giudici perche' fanno parte dello Ordinamento interno. Essi, sinteticamente, sono: a) il principio della prevenzione; b) il principio "chi inquina paga"; c) il principio secondo il quale i singoli Stati debbono assicurare una protezione giuridica dell'ambiente uguale a quella comunitaria ovvero piu' rigorosa, mai minore. Ne consegue che neppure allo Stato e' consentita una azione illimitata e senza vincoli in subjecta materia: viene in rilievo, in primo luogo, un aspetto formale costituito dalla responsabilita' dallo Stato nei confronti della supremazia del diritto comunitario, nonche', in secondo luogo, una ragione sostanziale, in quanto l'ambiente e' divenuto un valore primario, di rilievo costituzionale e fa parte quale componente essenziale della costituzione giuridica e politica della Comunita' (v. Cass. sez. III, 4 febbraio 1993, n. 235). Va richiamata, piu' specificamente, la direttiva CEE n. 271 del 21 maggio 1991, in materia di acque reflue urbane, le cui norme avrebbero dovuto essere recepite gia' dal 30 giugno 1993. L'art. 2 della direttiva pone una netta distinzione - all'interno delle acque reflue urbane - tra acque domestiche e acque reflue industriali, distinzione a cui si associa una diversa e piu' articolata disciplina (in particolare, per le acque reflue industriali che confluiscono in reti fognarie, atteso il piu' importante impatto sull'ambiente) che richiede regolamentazioni, autorizzazioni e controlli specifici (artt. 11 e 13). L'attuale disciplina, invece, disattende radicalmente la struttura, lo spirito e i principi della normativa comunitaria e di cio' il legislatore aveva piena contezza, come emerge dalla disposizione di cui all'art. 1, quarto comma, l. cit. per cui "le disposizioni del presente decreto si applicano in attesa dell'attuazione della direttiva 91/271/CEE". La direttiva comunitaria, inoltre, stabilisce che le autorizzazioni allo scarico "delle acque reflue provenienti da impianti di trattamento delle acque reflue urbane" debbono essere esplicite e specifiche (art. 12 dir. 271: si veda, in particolare il secondo e quarto comma), mentre la legge 172 ha sancito, per le pubbliche fognature, il principio della autorizzazione implicita, poiche' la stessa - con evidente sovrapposizione di elementi tecnicamente e logicamente diversi - resta ricompresa nell'atto di approvazione dell'impianto. Ad abundantiam, va altresi' rilevato che la legge comunitaria per il 1993 fissa con precisione i criteri in base ai quali la direttiva 271 deve essere recepita (con decreto legislativo: v. art. 37), criteri che sono del tutto estranei alla formulazione della legge 172 (ad es. sono stabiliti criteri assai rigidi per la individuazione delle c.d. aree sensibili). Giova osservare, infine, che la Corte europea di giustizia ha gia' ripetutamente condannato l'Italia per la "permissivita'" del sistema autorizzatorio previsto e per l'insufficienza delle sanzioni penali contemplate dall'art. 22 in relazione alle prescrizioni contenute in autorizzazione (v. Corte di giust. 28 febbraio 1991 e 13 dicembre 1990); la nuova normativa aggrava e accentua ulteriormente, quindi, tale status di inadempienza italiana verso l'Ordinamento comunitario. 2.2. - Violazione degli artt. 25 e 77 della Costituzione. L'art. 25 Cost. stabilisce il principio della riserva di legge in materia penale, assegnando in tal modo una competenza assoluta al legislatore (rectius: al Parlamento) a stabilire le scelte di politica criminale, quantomeno con riguardo alle c.d. scelte caratterizzanti (aspetti fondamentali della disciplina; condotte punibili; sanzioni con indicazione del tipo e dei limiti edittali). La riserva di legge, poi, ha un valore garantista nel duplice senso di consentire la partecipazione di tutti i soggetti parlamentari all'elaborazione della disciplina (cosa non possibile se la normativa fosse adottata con atto regolamentare) e di circoscrivere la discrezionalita' dell'esecutivo e dell'amministrazione e, in genere, dei soggetti chiamati a dare applicazione alla legge. L'utilizzo del decreto-legge (nonche' dei decreti legislativi) in materia penale presuppone che, in via preventiva, sussistano i requisiti di necessita' ed urgenza e che, in ogni caso, si realizzi e venga assicurato l'intervento del Parlamento in posizione sovraordinata quale organo cui e' rimesso il potere di conferire stabilita' e durevolezza con la legge di conversione a disposizioni normative destinate, in caso contrario, a decadere una volta decorso inutilmente il termine di giorni 60 indicato dall'art. 77, ultimo comma, della Costituzione. Cio' premesso, giova osservare, in primo luogo, che, nella materia in esame, e' stata sottratta di fatto al Parlamento per circa un anno e mezzo (in virtu' della reiterazione dei decreti) la competenza a disporre in materia penale con attribuzione all'esecutivo del relativo potere di bilanciamento e valutazione degli interessi. Anche la facolta' - di cui all'ultimo comma dell'art. 77 della Costituzione - di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e' stata poi fortemente compressa (art. 2 della legge di conversione) atteso il numero dei decreti (ben 8) e la varieta' della disciplina e l'inevitabile prodursi di giudicati e altre situazioni ormai irrevocabili. In secondo luogo, la decretazione e' avvenuta in assenza dei presupposti costituzionali di necessita' e d'urgenza. Secondo un acuto orientamento dottrinale la necessita' e l'urgenza vanno riferite non gia' al contenuto del provvedimento adottato, ma al provvedere in se'. Cio' non significa, peraltro, che qualunque tipo di provvedimento sia idoneo a soddisfare la necessita' di provvedere: e' evidente, infatti, che l'attivita' di legiferazione deve essere commisurata alle esigenze e alle finalita' che postulano l'intervento necessitato. In questo senso, i presupposti costituzionali di cui all'art. 77 della Costituzione potevano essere individuati nella necessita' di rispettare i termini per la recezione della direttiva 91/271/CEE cit. (o, comunque, di non incrementare il ritardo essendo gia' decorsi i termini imposti). Questo rilievo, peraltro, ha validita' nella misura in cui con la legge n. 172 hanno fatto ingresso nel nostro Ordinamento i principi e i contenuti della direttiva comunitaria. In realta', come prima evidenziato, la normativa in esame si e' mossa lungo percorsi antitetici rispetto a quelli imposti in sede comunitaria raggiungendo obbiettivi opposti a quelli che imponevano l'intervento. Va osservato, inoltre, che lo strumento utilizzato era comunque errato e inadatto allo scopo poiche' la legge comunitaria del 1993 aveva predisposto la diversa strumentazione del decreto legislativo (v. art. 37). Appare evidente, quindi, che la necessita' di introdurre nel nostro Ordinamento la direttiva 271 non puo' essere validamente invocata per sostenere la legittimita' dell'intervento dell'esecutivo. Si deve anzi rilevare che, grazie al nuovo testo normativo, lo Stato Italiano ha commesso un nuovo "fatto illecito" suscettibile di essere sanzionato a livello internazionale: infatti, non solo non ha rispettato i termini imposti dalla direttiva per consentire l'ingresso nel nostro Ordinamento della nuova disciplina, ma ha anche creato una regolamentazione positiva in contrasto con i principi regolatori e ispiratori della disciplina comunitaria. La mancanza di presupposti d'urgenza, pertanto, non puo' che determinare l'illegittimita' del decreto-legge n. 79 del 17 marzo 1995 (nonche' di tulli i decreti precedenti) e, conseguentemente, la caducazione delle norme qui contestate e, su un piano generale, dell'intera legge di conversione. Infatti, come recentemente affermato dalla stessa Corte costituzionale (sentenza n. 29 del 12-27 gennaio 1995, in motivazione) "la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessita' e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale come il decreto-legge, costituisce un requisito di validita' costituzionale del predetto atto di modo che l'eventuale mancanza di quel presupposto costituisce tanto un vizio di legittimita' costituzionale del decreto-legge, quanto un vizio in procedendo della stessa legge di conversione avendo quest'ultima valutato erroneamente l'esistenza di rapporti di validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere oggetto di conversione". 3. - Per tutte le considerazioni esposte, la questione nel presente processo e' rilevante - poiche' il giudizio non puo' essere definito in modo indipendente dalla risoluzione della questione di legittimita' costituzionale - e non manifestamente infondata per cui deve essere sollevata d'ufficio.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/1953; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 6, secondo comma, del decreto-legge n. 79 convertito con modifiche nella legge n. 172 del 17 maggio 1995 in relazione agli artt. 10, 11, 25 e 77 della Costituzione; Sospende il giudizio in corso: Dispone che, a cura della cancelleria, gli atti del presente giudizio vengano immediatamente trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza, letta in pubblica udienza, venga trasmessa al Presidente del Consiglio dei Ministri, nonche' comunicata al Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della Repubblica. Piove di Sacco, addi' 13 dicembre 1995 Il pretore: Fuochi Tinarelli 96C0168