N. 26 SENTENZA 5 - 12 febbraio 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via principale.
 
 Edilizia e urbanistica - Regione Piemonte - Silenzio assenso ai  fini
 dell'approvazione  regionale  dei  programmi integrati difformi dagli
 strumenti urbanistici generali  -  Riferimento  alle  sentenze  della
 Corte  nn.  393/1992  e  408/1995  - Superamento dei limiti posti dai
 principi fondamentali stabiliti con leggi dello Stato - Contrasto con
 l'interesse  nazionale  e  con   quello   delle   altre   regioni   -
 Illegittimita'  costituzionale parziale - Non fondatezza nei sensi di
 cui in motivazione.
 
 (Legge regione Piemonte riapprovata in data 8 marzo 1995,  art.    6,
 secondo  comma, ultimo periodo; legge regione Piemonte riapprovata in
 data 8 marzo 1995, artt. 6, terzo comma, e 8, secondo comma).
 
 (Cost., artt. 5, 117 e 128).
(GU n.8 del 21-2-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
   Presidente:  avv. Mauro FERRI;
   Giudici:    prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo CHELI, dott. Renato
 GRANATA, prof. Francesco  GUIZZI,    prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art 6, comma 2,
 ultimo periodo, e comma 3, e dell'art. 8, comma 2, della legge  della
 Regione  Piemonte,  riapprovata  l'8  marzo 1995, recante: "Programmi
 integrati di riqualificazione urbanistica, edilizia e  ambientale  in
 attuazione  dell'art.  16  della  legge  17  febbraio  1992, n. 179",
 promosso con ricorso  del  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 notificato  il  25 marzo 1995, depositato in cancelleria il  31 marzo
 1995 ed iscritto al n. 17 del registro ricorsi 1995;
   Visto l'atto di costituzione della Regione Piemonte;
   Udito nell'udienza pubblica del 7 novembre 1995 il Giudice relatore
 Riccardo Chieppa;
   Uditi l'Avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il  ricorrente,
 e l'Avvocato Enrico Romanelli per la regione.
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  Con  ricorso notificato in data 25 marzo 1995, il Presidente
 del Consiglio dei ministri ha impugnato gli artt. 6, comma 2,  ultimo
 periodo,  e  comma  3,  nonche'  l'art. 8, comma 2, della legge della
 Regione Piemonte recante: "Programmi  integrati  di  riqualificazione
 urbanistica,  edilizia ed ambientale in attuazione dell'art. 16 della
 legge 17 febbraio 1992, n. 179" riapprovata - a seguito di rinvio  da
 parte del Governo - in data 8 marzo 1995.
   Ritiene  il  ricorrente  che  le disposizioni censurate violino gli
 artt. 5, 117 e 128 della Costituzione.
   In particolare, l'art. 6, comma 2, ultimo periodo - prevedendo  che
 il  piano  integrato  si  intende  approvato  dalla  regione, decorso
 inutilmente  il  termine  di  centoventi  giorni  dal  suo  invio  al
 Consiglio regionale - violerebbe l'autonomia comunale garantita dagli
 artt.    5  e  128 della Costituzione e piu' specificamente "l'ordine
 delle competenze tra regione e comune  delineato  dalla  legislazione
 statale  in  materia urbanistica e fatto salvo dall'art. 2 del d.P.R.
 n. 616 del 1977".
   Al  riguardo,  si  richiama  la  giurisprudenza  di  questa   Corte
 (sentenza  n.  393  del  1992)  che  ha dichiarato costituzionalmente
 illegittima  la  previsione   del   silenzio-assenso   in   sede   di
 approvazione  del  programma integrato (art. 16, comma 4, della legge
 n. 179 del 1992).
   Lesiva dell'autonomia comunale, quale garantita dagli artt. 5 e 128
 della Costituzione,  nonche'  dell'art.  117  della  Costituzione  in
 quanto  estranea  alle  competenze regionali ivi previste, sarebbe la
 disposizione contenuta nell'art. 6,  comma  3,  nella  parte  in  cui
 prevede  che  la  regione  possa introdurre di ufficio modifiche agli
 strumenti urbanistici, nel caso sia inutilmente  decorso  il  termine
 per l'assunzione della deliberazione comunale.
   Nel  ricorso  si  sottolinea  che  le censure concernenti l'art. 6,
 commi 2  e  3,  sarebbero  "intimamente  connesse"  e  verrebbero  ad
 inscriversi nello spirito delle statuizioni contenute nella succitata
 sentenza n. 393 del 1992.
   Infine,  si censura l'art. 8, comma 2, il quale, prevedendo che con
 il piano integrato possa essere mantenuta la volumetria  preesistente
 anche  in  difformita'  dal  piano  regolatore  generale,  verrebbe a
 concretare  una  fattispecie  di  sanatoria  di  opere   abusive   ed
 esorbiterebbe  dalle competenze regionali, con conseguente violazione
 dell'art. 117 della Costituzione.
   Ne'  la  modifica  apportata  in  sede  di  riapprovazione  sarebbe
 sufficiente  a  far  venir  meno  la  predetta  censura.  Infatti, la
 previsione aggiuntiva in virtu' della quale "la disposizione  non  si
 applica  in  presenza  di opere edilizie abusive" - a parte "l'oscuro
 significato" - convaliderebbe comunque situazioni di  fatto  difformi
 dalle previsioni del piano regolatore generale.
   2.  - Si e' costituita in giudizio la Regione Piemonte per chiedere
 il rigetto del ricorso.
   In particolare - quanto  al  censurato  art.  6,  comma  2,  ultimo
 capoverso  - la regione sostiene che l'istituto del silenzio-assenso,
 in esso previsto, risponde alla "fondamentale" esigenza di assicurare
 il sollecito svolgimento del procedimento di approvazione del piano.
   Si afferma, inoltre, che la disposizione censurata appare  prevista
 in analogia a numerose disposizioni della legge urbanistica regionale
 5  dicembre  1977,  n.  56  e successive modificazioni e integrazioni
 nelle quali e', per l'appunto, previsto il silenzio-assenso in ordine
 alla approvazione di strumenti urbanistici attuativi e di varianti ai
 piani regolatori necessari per attuarli, qualora la  regione  non  si
 pronunci entro centoventi giorni dal ricevimento degli atti.
   In  nessun  caso, comunque, potrebbe prospettarsi, al riguardo, una
 violazione  della  "autonomia   comunale"   in   considerazione   che
 l'approvazione   del   piano,   decorso  inutilmente  il  termine  di
 centoventi giorni, sarebbe caso mai una "conseguenza negativa" per la
 regione che vedrebbe cosi' sanzionato il proprio ritardo. Per contro,
 verrebbe ad essere tutelato il diritto  del  comune  ad  ottenere  un
 esame del programma, da parte della regione, in tempi certi e brevi.
   In ordine all'art. 6, comma 3, si sostiene che detta norma risponde
 all'esigenza  di  assicurare  la  celerita'  del procedimento, il che
 gioverebbe anche alla  tutela  degli  investimenti  pubblici  la  cui
 erogazione  sarebbe  connessa  con  l'attuazione  dell'intervento. Da
 ultimo, e con riguardo all'art. 8, comma 2, si afferma che l'aggiunta
 formulata in sede di  riapprovazione  e'  chiarissima  nel  senso  di
 rendere  inapplicabile  la  previsione  -  in virtu' della quale puo'
 essere mantenuta la volumetria preesistente, anche in difformita' dal
 piano regolatore generale vigente o in salvaguardia - in presenza  di
 opere  edilizie  abusive.    Con  il  che  verrebbe meno qualsivoglia
 sanatoria di opera abusiva.
                        Considerato in diritto
   1. - Il Presidente del Consiglio  dei  ministri  impugna  la  legge
 della  Regione  Piemonte che - in attuazione dell'art. 16 della legge
 17 febbraio 1992, n. 179  -  disciplina  il  programma  integrato  di
 riqualificazione  urbanistica,  edilizia  e ambientale, lamentando la
 violazione degli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione.
   In particolare si sostiene nel  ricorso  che  l'art.  6,  comma  2,
 ultimo periodo - prevedendo che il programma integrato, nella ipotesi
 che  sia  "in variante agli strumenti urbanistici ed edilizi comunali
 approvati o in salvaguardia", si  intende  approvato  dalla  regione,
 decorso  inutilmente il termine di centoventi giorni dal suo invio al
 Consiglio regionale - violerebbe l'autonomia comunale garantita dagli
 artt. 5 e 128 della Costituzione.
   Si  afferma,  altresi',  che  l'art. 6, comma 3 - stabilendo che le
 modifiche agli strumenti urbanistici siano introdotte d'ufficio dalla
 Giunta  regionale  qualora  il   termine   per   l'assunzione   della
 deliberazione   comunale   sia   inutilmente   decorso  -  violerebbe
 l'autonomia comunale  garantita  dagli  artt.  5,  117  e  128  della
 Costituzione.
   Infine  si  censura  l'art.  8,  comma  2, il quale, prevedendo che
 "qualora il programma  integrato  interessi  aree  normate  ai  sensi
 dell'art.    24  della  legge  regionale  n. 56 del 1977 e successive
 modifiche e integrazioni, per queste ultime puo' essere mantenuta  la
 volumetria  preesistente  anche  in  difformita'  da quella del piano
 regolatore generale vigente o in salvaguardia",  porrebbe  in  essere
 una  fattispecie di sanatoria di opere abusive, violando cosi' l'art.
 117 della Costituzione.
   2. - La censura concernente l'art. 6, comma 2, ultimo  periodo,  e'
 fondata.
   Questa  Corte  -  con la sentenza n. 393 del 1992 e successivamente
 con la sentenza n. 408 del 1995 - ha  ritenuto,  specificatamente  in
 materia  di pianificazione e programmazione urbanistico-territoriale,
 la    illegittimita'    costituzionale    della    previsione     del
 silenzio-assenso,  in  sede  di approvazione dei programmi integrati,
 sottolineando che  l'istituto  del  silenzio-assenso  puo'  ritenersi
 ammissibile  in  riferimento  ad attivita' amministrative nelle quali
 sia pressoche'  assente  il  tasso  di  discrezionalita',  mentre  la
 trasposizione   di   tale   modello   nei   procedimenti  ad  elevata
 discrezionalita',  primi  tra  tutti  quelli   della   pianificazione
 territoriale,   "finisce   per  incidere  sull'essenza  stessa  della
 competenza regionale" (sentenza n. 408 del 1995).
   In quest'ultima ipotesi, infatti, verrebbe a mancare l'esame  e  la
 valutazione regionale (avuto riguardo alla brevita' dei tempi tecnici
 assegnati  alla  regione  per il riesame), nonche' il contraddittorio
 sulle   osservazioni,   ovvero   il    controllo    della    pubblica
 amministrazione   verrebbe   ad  acquistare  un  carattere  meramente
 eventuale precisamente in ordine a  procedimenti  amministrativi  che
 comportano   un   ventaglio   di   soluzioni   non  determinate,  ne'
 determinabili in via preventiva dalla  legge.  Tutto  cio'  e'  stato
 ritenuto  irrazionale  e,  pertanto,  non  coerente avuto riguardo al
 principio per cui  gli  strumenti  urbanistici  generali  (di  ambito
 comunale e sovracomunale) e anche le relative varianti danno luogo ad
 un   procedimento  complesso  cui  devono  partecipare  e  concorrere
 necessariamente il comune e la regione sia pure in posizione ineguale
 (cosiddetto principio dell'atto complesso).
   D'altro canto la materia dei  programmi  integrati  (come  previsti
 dalla   legge   regionale  impugnata)  ha  una  duplice  valenza  sia
 urbanistica sia ambientale, anche in quanto l'approvazione  regionale
 ricomprende  tutte  le autorizzazioni di competenza regionale in tema
 di vincoli idrogeologici, forestali ecc., nonche' il parere ai  sensi
 della  legge  29 giugno 1939, n. 1497 e della legge 8 agosto 1985, n.
 431  (art.    6,  comma  7  della  legge  impugnata).  Pertanto,  per
 quest'ultimo  profilo  ambientale  opera  il  principio fondamentale,
 risultante da  una  serie  di  norme  in  materia  ambientale,  della
 necessita'    di    pronuncia    esplicita    mentre    il   silenzio
 dell'amministrazione preposta a vincolo  ambientale  non  puo'  avere
 valore di assenso (sentenza n. 302 del 1988).
   Tanto  si evince dagli artt. 14, comma 4, 16, comma 3, 17, comma 2,
 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonche'  dall'art.  19,  comma  1,
 della  stessa legge nel testo sostituito dall'art. 2, comma 10, della
 legge 24 dicembre 1993, n. 537; dall'art. 32 della legge 28  febbraio
 1985,  n.  47,  sia  nel  testo  originario, sia in quello modificato
 dall'art. 12, comma  2,  del  d.-l.  12  gennaio  1988,  n.  2,  come
 sostituito  dalla  legge di conversione 13 marzo 1988, n. 68, nonche'
 nel testo vigente dell'art. 8, comma 12, del decreto-legge 24 gennaio
 1996, n. 30; e infine dall'art. 82 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616,
 nel testo risultante a seguito delle aggiunte introdotte dall'art.  1
 della legge 8 agosto 1985, n. 431.
   La  illegittimita' della previsione del silenzio-assenso in materia
 di   pianificazione   (non   meramente   attuativa    e    esecutiva)
 urbanistico-territoriale  ed  il  conseguente  venir  meno  di  detto
 istituto nella normativa statale, per effetto della sentenza  n.  393
 del  1992, consente - come affermato nella sentenza n. 408 del 1995 -
 di ritenere attualmente vigente nella legge statale  in  materia,  un
 principio  fondamentale  opposto,  che  considera  indispensabile una
 valutazione  esplicita  da   parte   degli   organi   regionali   nei
 procedimenti  che  necessitano  del  diversificato  contributo  degli
 organi e uffici competenti coinvolti nella procedura.
   Ne consegue che relativamente ai programmi integrati,  valgono,  in
 sede  di  legislazione  regionale,  i  principi fondamentali che sono
 desumibili dalla sentenza n. 393 del 1992 e che risultano,  altresi',
 ribaditi ed esplicitati con la sentenza n. 408 del 1995.
   Deriva,  altresi', che la legge regionale impugnata, nella parte in
 cui prevede l'istituto del silenzio-assenso ai fini dell'approvazione
 regionale  dei  programmi   integrati,   difformi   dagli   strumenti
 urbanistici,  viola  l'art.  117  della Costituzione per inosservanza
 dell'anzidetto principio  fondamentale  facilmente  ricavabile  dalla
 legislazione dello Stato specie dopo l'intervento della Corte.
   Risultano  assorbite  -  con  riguardo  a  questa  previsione  - le
 ulteriori censure concernenti gli artt. 5 e 128 della Costituzione.
   3. - Non fondata e', invece, la censura proposta sotto  il  profilo
 che  l'art.  6,  comma  3  (in  base  al quale qualora il termine per
 l'assunzione della deliberazione comunale con le determinazioni sulla
 richiesta regionale di modifiche al programma integrato  in  variante
 agli  strumenti  urbanistici  sia  inutilmente  decorso, le modifiche
 stesse sono introdotte d'ufficio dalla Giunta regionale),  violerebbe
 gli artt. 5, 117 e 128 della Costituzione.
   Preliminare  -  nell'esame di questa censura - e' il riferimento ai
 principi fondamentali della legislazione urbanistica in  materia,  in
 particolare  all'art.  10, secondo comma, della legge 17 agosto 1942,
 n. 1150, nel testo risultante dalle modifiche introdotte dall'art.  3
 della legge 6 agosto 1967, n. 765, il quale prevede diverse categorie
 di modifiche d'ufficio (in sede di approvazione) al piano regolatore.
   Esse, tuttavia, sono ammesse a condizione che rispettino un  limite
 ben  preciso:  si  tratti  cioe'  di  modifiche  che  non  comportino
 sostanziali innovazioni, ovvero che  non  mutino  le  caratteristiche
 essenziali del piano ed i criteri di impostazione dello stesso. A ben
 vedere  si tratta di un limite strutturale che e' comune ad ogni tipo
 di modifiche d'ufficio nell'ambito di atto complesso, soprattutto  in
 sede  di  pianificazione  urbanistica  caratterizzata  dalla  duplice
 competenza comunale (di iniziativa e adozione) e regionale (di esame,
 di valutazione e verifica della coerenza degli strumenti  urbanistici
 e  l'assetto  degli  interessi  coinvolti). In caso di mancanza delle
 condizioni per le modifiche di ufficio la regione ha solo  il  potere
 di  non  approvare  il  piano  e  di  restituirlo al comune ovvero di
 approvarlo in parte con stralcio  e  restituzione  per  le  eventuali
 iniziative del comune.
   Di   conseguenza   la   legge   regionale   censurata  deve  essere
 interpretata e coordinata con i  principi  fondamentali  della  legge
 statale  vigente in materia di formazione e approvazione di strumenti
 urbanistici (art. 10, comma secondo, della legge n.  1150  del  1942,
 nel testo vigente citato).
   Cosi'   precisati   il  senso  e  l'ambito  di  operativita'  della
 disposizione denunciata, essa resiste alle censure di  illegittimita'
 costituzionale,  in  particolare  a  quella  -  assorbente - relativa
 all'art. 117  della  Costituzione,  qualificandosi  all'opposto,  nel
 senso  sopra  specificato,  in  armonia  con  i  principi posti dalla
 legislazione statale in materia, nel rispetto altresi' dell'autonomia
 comunale.
   4. - Non fondata e' altresi' la censura concernente l'art. 8, comma
 2, della legge regionale impugnata, sotto  il  profilo  di  prevedere
 "qualora  il  programma  integrato  interessi  aree  normate ai sensi
 dell'art.  24 della legge regionale n. 56 del 1977  ...,  per  queste
 ultime, la possibilita' di mantenere la volumetria preesistente anche
 in  difformita'  da quella del piano regolatore generale vigente o in
 salvaguardia", pur statuendo che "la disposizione non si  applica  in
 presenza  di  opere  edilizie  abusive". Detta previsione, secondo il
 ricorso, porrebbe in essere una fattispecie  di  sanatoria  di  opere
 abusive, violando l'art. 117 della Costituzione.
   Al  riguardo, si precisa in via preliminare che "le aree normate ai
 sensi dell'art. 24 della legge regionale  n.  56  del  1977"  cui  fa
 riferimento  la  disposizione  censurata, riguardano i beni culturali
 ambientali da salvaguardare, comprendenti anche insediamenti urbani o
 meno,  ovvero  singoli   edifici   e   manufatti   aventi   carattere
 storico-artistico e/o ambientale.
   Come  ritenuto  da  questa  Corte  (sentenza  n.  408  del 1995) il
 programma integrato e' strumento polifunzionale e tra  le  molteplici
 funzioni  ad  esso  assegnate  vi  e'  anche  quella di provvedere al
 recupero dei centri storici.
   Pertanto non e' irrazionale  (proprio  per  garantire  un  adeguato
 livello  di  servizi e attrezzature e il soddisfacimento di interessi
 sociali e collettivi essenziali)  che  la  legge  regionale  consenta
 variazioni   progettuali   (in   fase  di  attuazione  del  programma
 integrato) con  la  possibilita'  di  mantenimento  della  volumetria
 complessiva  preesistente,  ponendo una destinazione vincolata ad usi
 pubblici.
   La norma regionale anzidetta (art. 8) contiene anzitutto nel  comma
 2,  relativo  alle  "aree  normate  ai sensi dell'art. 24 della legge
 regionale n. 56 del 1977", la conferma dell'obbligo di pieno rispetto
 delle  prescrizioni  in  materia  di  tutela   ambientale,   con   la
 conseguente  soggezione di tutte le variazioni progettuali in sede di
 attuazione del programma integrato  che  interessi  dette  aree  alle
 anzidette  prescrizioni  ambientali, i cui vincoli non possono essere
 in nessun caso derogati.
   L'unica  derogabilita' consentita e' quella nei confronti del piano
 regolatore vigente per quanto  attiene  alla  volumetria  ed  altezza
 massima  consentita,  nel  senso  che  e'  ammesso il mantenimento di
 quella "preesistente".
   Naturalmente  il  riferimento  alla  volumetria  ed  alla   altezza
 preesistente puo' avere un ambito esclusivo limitato alle costruzioni
 legittimamente  esistenti, in modo che il mantenimento dell'eventuale
 eccedenza di volumetria e di altezza (rispetto  al  piano  regolatore
 vigente)  riguarda  cio'  che  e'  stato costruito in base ed in modo
 conforme  a  licenza  o  concessione  edilizia  valida  ed   operante
 all'epoca   della  costruzione,  e  che  non  sia  stato  oggetto  di
 annullamento o  di  intervento  sanzionatorio  edilizio  (ad  esempio
 perche'  non conforme alla concessione o perche' in contrasto con gli
 strumenti urbanistici allora vigenti).  Resta  comunque  fuori  dalla
 previsione cio' che e' opera edilizia abusiva.
   In  altri  termini  la norma deve essere inquadrata ed interpretata
 alla luce del principio che la legittimita' di una  costruzione  deve
 essere riguardata con riferimento alle prescrizioni urbanistiche alla
 data della concessione e, in taluni casi, del tempo di esecuzione dei
 lavori,   essendo   irrilevanti   le  sopravvenute  variazioni  delle
 previsioni dei piani urbanistici.
   Tali variazioni possono condurre a decadenza della concessione  ove
 sussistano  determinati  presupposti, ma in nessun caso producono una
 situazione  di  abusivismo  rispetto  a  cio'  che  e'   stato   gia'
 legittimamente  costruito.  In  sede di programmazione urbanistica si
 possono introdurre discipline transitorie  (variamente  strutturate),
 che possono concernere i nuovi interventi (innovativi o modificativi)
 sulle  volumetrie  ed altezze esistenti, senza che possa configurarsi
 una specie di sanatoria dell'esistente.
   Cio' risulta del resto anche dalla norma censurata, nella parte  in
 cui  statuisce  che  la  "disposizione  non si applica in presenza di
 opere edilizie abusive".
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  6,  comma  2,
 ultimo  periodo,  della  legge  della Regione Piemonte riapprovata in
 data 8 marzo 1995 recante: "Programmi integrati  di  riqualificazione
 urbanistica,  edilizia ed ambientale in attuazione dell'art. 16 della
 legge 17 febbraio 1992, n.  179",  nella  parte  in  cui  prevede  il
 silenzio-assenso  ai  fini  dell'approvazione regionale dei programmi
 integrati difformi dagli strumenti urbanistici generali;
   Dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni
 di legittimita' costituzionale degli artt. 6, comma 3, ed 8, comma 2,
 della medesima legge regionale, sollevate, in riferimento agli  artt.
 5,  117  e  128  della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei
 ministri con il ricorso indicato in epigrafe.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 5 febbraio 1996.
                          Il Presidente: Ferri
                         Il redattore: Chieppa
                       Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in cancelleria il 12 febbraio 1996.
               Il direttore della cancelleria:  Di Paola
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