N. 141 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 1995- 29 gennaio 1996
N. 141 Ordinanza emessa il 19 giugno 1995 (pervenuta alla Corte costituzionale il 29 gennaio 1996) dal tribunale di Catanzaro nel procedimento penale a carico di Forte Ivo Processo penale - Misure cautelari personali (nella specie: custodia cautelare in carcere) - Riesame a seguito di rinvio da parte della Corte di cassazione - Sopravvenuta emissione del decreto di rinvio a giudizio - Impossibilita' del controllo, sia formale che sostanziale, sulla persistenza del requisito della "gravita' indiziaria di colpevolezza" ai fini del mantenimento del regime cautelare - Irragionevole disparita' di trattamento tra indagati ed imputati, nonche' tra imputati a seconda della fase processuale in cui si trovino - Lesione del principio di obbligatorieta' della motivazione per i provvedimenti relativi alla liberta' personale - Compressione del diritto di difesa - Mancata garanzia della tutela di legittimita' contro i provvedimenti incidenti sulla liberta' personale. (C.P.P. 1988, artt. 309, 311, 425 e 429). (Cost., artt. 3, 13, secondo comma, 24, secondo comma, e 111, secondo comma).(GU n.9 del 28-2-1996 )
IL TRIBUNALE Ha deliberato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al numero 412 del registro delle impugnazioni delle misure cautelari personali dell'anno 1995; In sede di rinvio dalla Corte suprema di Cassazione e sul riesame proposto da Forte Ivo, avverso la ordinanza 7 ottobre 1994, di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Catanzaro; Esaminati gli atti di causa; Udito il relatore; PREMETTE Con ordinanza in data 7 ottobre 1994 il giudice per le indagini preliminari presso questo tribunale emetteva, in fase processuale (per l'intervenuto esercizio della azione penale mediante richiesta di rinvio a giudizio), ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di 108 imputati, tra i quali Forte Ivo, in relazione, quanto a costui, al reato di cui all'art. 416-bis c.p.. Con ordinanza 4 novembre 1994, questo tribunale, in accoglimento del proposto riesame, revocava il provvedimento restrittivo. La Corte suprema, adita dal p.m., con sentenza 14 marzo 1995, annullava la citata ordinanza, con rinvio per nuovo esame. Ha evidenziato la Corte "carenza e manifesta illogicita' della motivazione", perche' erroneamente era stato assunto che: la prognosi di probabilita' colpevolistica imponeva la "identica modulazione valutativa" ex art. 192 c.p.p.; la chiamata in correita' era affetta da "genetica presunzione di inattendibilita'"; e perche': era stato omesso il vaglio dei riscontri contenuti nei fascicoli allegati; mentre, in relazione alla specifica posizione del Forte: non era stata verificata la attendibilita' intrinseca del racconto dei collaboranti; non si era tenuto conto dei riscontri costituiti dalle dichiarazioni "incrociate" e dagli accertamenti di polizia giudiziaria. In proposito, aveva puntualizzato questo giudice: che gli indizi richiesti dall'art. 273, ai fini della adozione di una misura cautelare, divergevano da quelli indicati dall'art. 192 c.p.p., risolvendosi in "qualsiasi elemento di prova acquisito agli atti"; che la prognosi di probabilita' colpevolistica imponeva la medesima modulazione valutativa, qualunque fosse lo stato della indagine (e non invece, rispetto alla prova di responsabilita'), fermo il fatto che, nel caso in esame, le indagini erano concluse con la avvenuta formulazione dell'accusa; che la (mera) chiamata in correita' non era idonea a sorreggere il quadro di gravita' indiziaria, occorrendo anche la presenza di necessari riscontri; che le fonti dichiarative difettavano di "contenuti espositivi", essendosi, tutte (e peraltro, tre su quattro collaboratori), limitate ad indicare (tra una serie di elenchi, nemmeno coincidenti nelle rispettive dichiarazioni) "il nome" del Forte, senza nulla aggiungere sul "fatto partecipativo", anzi escludendo il coinvolgimento in fatti illeciti; che, di conseguenza, era parso inutile ogni ulteriore vaglio sulla attendibilita' dei collaboratori e sulla ricerca dei riscontri, limitandosi, peraltro, le allegazioni di polizia, a dati informativi di tipo prevenzionale. Occorre, ora, prendere atto che, con decreto 4 maggio 1995, il giudice per le indagini preliminari ha disposto il rinvio a giudizio del Forte per il delitto ascrittigli. Tanto premesso, e senza alcuna necessita' di rifissazione di udenza camerale, per evidenti ragioni di economia processuale; RILEVA E' noto l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale: "Attesa l'intervenuta modifica dell'art. 425 c.p.p., dal cui testo, per effetto della legge 8 aprile 1993 n. 105, e' stata eliminata la parola "evidente" (riferita alla presenza delle condizioni che, all'esito dell'udienza preliminare, debbono dar luogo al proscioglimento dell'imputato), deve ritenersi nuovamente vigente il principio, gia' affermato nella vigenza del codice abrogato, secondo il quale, in tema di provvedimenti riguardanti la liberta' personale dell'imputato, l'avvenuto rinvio a giudizio di costui si pone come motivo di preclusione in ordine alla proposizione e all'esame di ogni questione attinente alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza" (cfr., da ultimo, Cass. sez. V, 5 maggio 1994 n. 1652, Bonifati ed altri, a conferma di un orientamento prevalente della Cassazione, in specie dopo la abolizione del requisito della "evidenza" probatoria ai fini del rinvio a giudizio; cfr., anteriormente e tra le piu' recenti, Cass., sez V, 17 marzo 1994, Morando e, sez I, 12 febbraio 1994 n. 5196, Russo). In linea con il citato indirizzo (ed in relazione a casi diversi, ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono: A) "Detto principio non soffre deroga nemmeno nel caso in cui, intervenuta sentenza di condanna, questa, in sede di legittimita', sia stata annullata con rinvio per difetto di motivazione, non comportando una tale pronuncia il venir meno degli indizi di colpevolezza che a suo tempo avevano determinato il rinvio a giudizio" (Cass., sez I, 7 gennaio 1994 n. 5120, Bontempo Scavo); B) "E' invece possibile, anche successivamente al rinvio a giudizio, rimettere in discussione il principio, allorquando si sia in presenza di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio' stesso, non vengono ad essere in contrasto con la intervenuta decisione" (Cass., sez. I, 4 febbraio 1994 n. 5257, Mancion). La forza dell'evidenziato principio trova, dunque, il proprio fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo: 1) la introduzione della modifica legislativa alla regola di giudizio per la emissione del decreto dispositivo del giudizio, con la conseguenza che la soppressione dell'inciso "evidente" (dopo il verbo "risulta") postulando "la insussistenza di elementi denotanti una situazione di incolpevolezza o di impunita' dell'imputato", comporta che "gli elementi di colpevolezza, la cui sussistenza per definizione normativa, costituisce motivo di legittimazione del provvedimento di rinvio a giudizio, si rendono valutabili nuovamente soltanto all'esito delle indagini dibattimentali"; 2) la rivalutazione della disciplina del rinvio a giudizio nei termini fissati dall'art. 374 c.p.p. abrogato, laddove la giurisprudenza era consolidata nell'escludere, una volta emanata la ordinanza di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul fondamento dell'accusa, sulla qualificazione giuridica del fatto e sulla sufficienza degli indizi: conseguentemente, le contestazioni contenute in tale ordinanza non erano modificabili ai fini della pronuncia sulla liberta' personale e quindi non erano sindacabili in sede processuale dibattimentale. La forza del principio rende necessitato il ricorso alla verifica di costituzionalita'. La questione e' rilevante poiche' la norma di cui si segnala la incostituzionalita' (il disposto degli artt. 311 e 309 in relazione al comb. disp. degli artt. 425 e 429 c.p.p. nella parte in cui, alla stregua dell'orientamento esaminato, e' consentito omettere la motivazione sul requisito di "gravita' indiziaria di colpevolezza" e, correlativamente, e' precluso ogni controllo, sia formale che sostanziale, sul punto, in sede di riesame e di rinvio, per nuovo esame) e' di immediata e diretta applicazione nel procedimento. La questione non e' manifestamente infondata. La riforma del 1993, abolitiva del requisito della "evidenza" posto dall'art. 425 c.p.p., non ha, in effetti, delineato alcun parametro sui poteri valutativi del giudice a conclusione della fase processuale preliminare. Non solo nessun dato normativo puo' avallare la asserita coincidenza del criterio della gravita' indiziaria anche ai fini del rinvio a giudizio, quanto vi ostano precisi, e contrari, argomenti sistematici, all'interno del nuovo codice e nel raffronto con il vecchio regime. 1. - Incontroverso che la valutazione del giudice dell'udienza preliminare non puo' fondarsi "sugli stessi parametri delibativi alla stregua dei quali il giudice del dibattimento e' chiamato a decidere se pronunciare sentenza di proscioglimento o di condanna" (c.f.r., testualmente, C. cost. sent. n. 82/93), ne consegue che il criterio decisorio preliminare non puo' individuarsi nella "probabile condanna dell'imputato", poiche' la prova "idonea a sostenere una futura condanna" e' soltanto quella che si presenti "non insufficiente" (in relazione alla completezza investigativa) e "non contraddittoria" (in relazione al profilo valutativo), imponendo, al contrario, al suddetto giudice, nel primo caso (di prova "non sufficiente"), la sollecitazione ad integrazione probatoria ex art. 422 c.p.p. e, nel secondo (di "prova contraddittoria"), la emanazione di sentenza di non luogo a procedere. Invece, la armonizzazione del sistema, nella combinata valutazione dei criteri sottostanti alle disposizioni di cui agli artt. 429, 425, 409 c.p.p. e 125 disp. att. stesso codice, imporrebbe di ritenere che il rinvio a giudizio sia legittimato dalla "idoneita' degli elementi acquisiti nelle indagini preliminari a sostenere la accusa nel giudizio", con la esclusione di una prognosi di colpevolezza. 2. - Non puo' reggere, parallelamente, la assimilazione con il vecchio "proscioglimento istruttorio", sia perche' la istruzione "doveva" essere completa, sia perche', nel dubbio, era privilegiata la formula favorevole al giudicabile, secondo gli schemi propri di un superato modello inquisitorio. Oltretutto, la "gravita' indiziaria di colpevolezza" impone un vaglio probatorio critico di tasso piu' elevato rispetto alla "sufficienza probatoria", all'epoca reputata idonea per il rinvio a giudizio. 3. - Il procedimento in materia cautelare personale e' stato concepito in termini di autonomia rispetto a quello di merito, per la privilegiata garanzia del bene compresso (della liberta', o meglio, delle liberta' della persona) e per la specificita' valutativa. Nulla esclude che, nel rispetto della separazione dei giudizi, l'imputato sia rinviato a giudizio in stato di liberta'. La questione si prospetta, come parametro costituzionale, in relazione: a) al disposto dell'art. 13, comma 2, Cost., che pone come imprescindibile la presenza di "atto motivato dell'autorita' giudiziaria", quale titolo idoneo per la costituzione ed il mantenimento dello stato detentivo, mentre, nel caso in esame, la motivazione sul fondante requisito (della verifica) della sussistenza della "gravita' indiziaria di colpevolezza" sarebbe ex lege superflua; b) al disposto dell'art. 111, comma 2, Cost., che salvaguarda la tutela di legittimita', contro i provvedimenti sulla liberta' personale, per "violazione di legge", violazione riscontrabile vieppiu' nel preliminare controllo di merito, eppure preclusa, nel caso in esame, in virtu' di una presunzione assoluta di "probabile colpevolezza" insita nel decretato rinvio a giudizio; c) al disposto dell'art. 3 Cost., per una evidente disparita' di trattamento, in contrasto con ogni coerenza sistematica e ragionevolezza normativa, sul tema primario di tutela del diritto di liberta', tra indagati ed imputati e, per quel che interessa, anche tra imputati, avuto riguardo alla fase processuale precedente la decisione finale di udienza preliminare e quella immediatamente successiva, fino alla emissione della sentenza conclusiva del grado, in specie, laddove: la scelta operata dal p.m. del momento procedimentale nel quale azionare la pretesa cautelare, e' insindacabile e non e' motivata da specifiche ragioni o dalla sopravvenienza di elementi nuovi che ne sollecitino l'esercizio di un potere prima non ritenuto cogente; detta scelta si coordina con una decisione preliminare, a tasso garantistico non ben definito (perche' un errore di prospettiva sulla utilita' del dibattimento si ripercuote inevitabilmente sul condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di merito, ne' sul decreto di rinvio a giudizio, notoriamente inoppugnabile, eppure del tutto immotivato (a differenza della parallela ordinanza dell'abrogato regime processuale), ne' sulla ordinanza cautelare, come si e' gia notato, altrettanto insindacabile nel primario e fondante requisito sostanziale di "probabile colpevolezza"; d) al disposto dell'art. 24, comma 2, Cost., perche', per le ragioni gia' dette, restringendosi la sfera di tutela sulle censure proponibili avverso il provvedimento cautelare impugnato, ne resta ingiustificatamente ed aleatoriamente sacrificato il diritto di difesa in relazione al bene primario della liberta', tanto piu' tutelabile, quanto piu' il sacrificio di esso si ponga con predominante efficienza e senza l'adeguato controllo sul corrispondente fondamento sostanziale di merito.
P. Q. M. Letti ed applicati gli artt. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante nel presente giudizio e non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale degli artt. 309 e 311 c.p.p., in relazione al comb. disp. degli artt. 425 e 429 c.p.p., nella parte in cui precludono, dopo il decretato rinvio a giudizio, il controllo sulla sussistenza del requisito di "gravita' indiziaria di colpevolezza" ai fini della legittimita' della ordinanza custodiale, in relazione agli artt. 3, 13, comma 2, 24, comma 2, e 111, comma 2, della Costituzione; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza sia notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati, oltre che alle parti; Sospende il procedimento in corso e dispone la immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale. Cosi' deciso in Catanzaro, addi' 19 giugno 1995. Il presidente estensore: BAUDI 96C0218