N. 156 ORDINANZA (Atto di promovimento) 1 dicembre 1995

                                N. 156
   Ordinanza emessa il 1  dicembre  1995  dal  pretore  di  Prato  nel
 procedimento penale a carico di Castaldi Stefano ed altro
 Processo   penale  -  Procedimento  innanzi  al  pretore  -  Giudizio
    direttissimo - Giudice per le indagini preliminari che,  all'esito
    del  giudizio di convalida o prima della fase dibattimentale abbia
    applicato   una   misura   cautelare   personale   nei   confronti
    dell'imputato  - Incompatibilita' ad esercitare, nel prosieguo, le
    funzioni  di  giudice  del  dibattimento  -  Omessa  previsione  -
    Disparita'  di  trattamento  - Lesione della garanzia di un giusto
    processo  -  Violazione   dei   principi   di   imparzialita'   ed
    obiettivita'  del  giudice  -  Richiamo ai principi espressi dalla
    Corte costituzionale con la sentenza n. 432/1995.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, primo comma,  24,  secondo  comma,  e  101,  secondo
 comma).
(GU n.9 del 28-2-1996 )
                              IL PRETORE
   Nel  corso  del giudizio direttissimo promosso a carico di Castaldi
 Stefano e Taccola Francesco,  iscritto  ai  nn.  4700/95  r.g.n.r.  e
 968/95  r.g.  dib.,  la difesa dei prevenuti ha avanzato richiesta di
 sospensione del giudizio e di  remissione  dello  stesso  alla  Corte
 costituzionale,  deducendo la illegittimita' costituzionale dell'art.
 34,  secondo  comma,  c.p.p.  nella  parte  in  cui  non  prevede  la
 incompatibilita'  a  celebrare  il dibattimento del giudice che abbia
 adottato una misura cautelare personale  all'esito  del  giudizio  di
 convalida.
   Ha  rilevato  infatti la difesa che il pretore, chiamato a decidere
 sulla convalida dell'arresto in flagranza degli imputati in ordine ai
 reati previsti dagli artt. 110, 624, 625 n. 1 e  614,  ultimo  comma,
 c.p.,  accogliendo la richiesta del pubblico ministero ha disposto la
 misura cautelare degli arresti domiciliari, rinviando la celebrazione
 del giudizio direttissimo a seguito di richiesta di termine a  difesa
 ex art. 566, settimo comma, c.p.p.
   Ha  richiamato, a tal fine, la recentissima sentenza 6-15 settembre
 n. 432  con  la  quale  la  Corte  ha  dichiarato  la  illegittimita'
 costituzionale dell'art. 34, secondo comma, c.p.p. nella parte in cui
 non  prevede  l'incompatibilita'  a  partecipare  al dibattimento del
 giudice per le indagini preliminari che abbia  applicato  una  misura
 cautelare personale nei confronti dell'imputato.
   Ha  ritenuto  infatti  la  difesa che le medesime ragioni sottese a
 detta pronuncia avrebbero dovuto estendersi anche al caso di  specie,
 nel quale lo stesso giudice chiamato a decidere sulla responsabilita'
 degli  imputati a seguito del giudizio direttissimo, ha in precedenza
 applicato una misura cautelare personale all'esito  del  giudizio  di
 convalida.
   Ritiene  il  pretore  rilevante  e  non manifestamente infondata la
 questione.
   Non  v'e'  dubbio, innanzitutto, che la disposizione della quale si
 contesta la conformita' a costituzione sia destinata, nel suo attuale
 contenuto, ad essere applicata nel presente giudizio, trattandosi  di
 disposizione  a  contenuto  processuale  che  regola  tutti i casi di
 incompatibilita' del giudice persona fisica.
   Quanto al  paradigma  della  non  manifesta  infondatezza,  risulta
 inevitabile  il  richiamo alla recente giurisprudenza della Corte che
 si adisce, cosi' come indicato dalla difesa.
   Con la sentenza n. 432/1995, invero, la Corte, investita nuovamente
 della questione di conformita' a Costittizione dell'art. 34,  secondo
 comma,   c.p.p.   nell'ambito   del   piu'   generale  profilo  della
 compatibilita' tra cognizione del merito cautelare e  cognizione  nel
 giudizio  -  approdando  ad un esito differente rispetto a quello che
 gia' ebbe a formare oggetto dei precedenti  dicta  (sentt.  502/1991,
 516/1991,  124/1992,  nei  quali  aveva  escluso  che  la valutazione
 operata dal giudice  nel  subprocedimento  cautelare  implicasse  una
 anticipazione  del  giudizio  sul  merito della res iudicata) - ne ha
 dichiarato la illegittimita' costituzionale nella parte  in  cui  non
 prevede la incompatibilita' a partecipare al giudizio del giudice per
 le  indagini  preliminari che abbia in precedenza disposto una misura
 cautelare personale.
   Valorizzando il mutato quadro normativo  emergente  dalla  legge  8
 agosto 1995, n. 332 che ha introdotto profili di maggiore incisivita'
 dell'accertamento  imposto  al  giudice  nell'adozione  di  misure de
 libertate, la Corte e' pervenuta alla  conclusione  che  il  positivo
 apprezzamento  dello stesso circa la sussistenza dei "gravi indizi di
 colpevolezza"  (art.  273,  comma  primo,  c.p.p.)   necessari   come
 condizione  generale  di  applicabilita'  delle  misure,  finisca per
 determinare "un'anticipazione del  giudizio  suscettibile  di  minare
 l'imparzialita'  del  giudice".    In  altri  termini, l'ordinanza di
 applicazione  di  una  misura  cautelare  implicherebbe   l'attivita'
 valutativa di una serie di elementi tali da indurre a ritenere che lo
 scrutinio operato da giudice si modelli non gia' su parametri di mera
 legittimita',  sibbene  di  merito, sia pure prognostico o allo stato
 degli atti.
   Ritiene  il  giudicante  che  la  medesima  ratio  decidendi  della
 pronuncia sopra citata possa estendersi al caso in oggetto, nel quale
 il  giudice, all'esito della convalida dell'arresto, su richiesta del
 pubblico ministero ha applicato la misura cautelare  personale  degli
 arresti  domiciliari, concedendo termine a difesa per la celebrazione
 del giudizio dibattimentale.
   Non ignora il pretore che, nell'ambito del  giudizio  direttissimo,
 l'applicazione  di  una  misura  cautelare  personale  coercitiva  e'
 ipotesi   meramente   eventuale,   essendo   il    presupposto    per
 l'instaurabilita'  di  detto  rito  speciale  identificato  (tra  gli
 altri), nella convalida dell'arresto in flagranza (art.  566,  quinto
 comma),  ovvero nella prestazione del consenso delle parti in caso di
 mancata convalida (artt. 566, sesto comma,  c.p.p.).  Del  resto,  la
 stessa  Suprema  Corte, ponendo fine ad un contrasto di indirizzi, ha
 ritenuto l'ordinanza  di  convalida  titolo  idoneo  al  mantenimento
 dell'imputato  arrestato  in  flagranza  nello status detentionis per
 tutta  la  durata  del  giudizio  direttissimo,  fino   all'eventuale
 emanazione  di  una  misura cautelare (Cass. ss.uu. 16 novembre 1991,
 Simioli).
   Tuttavia e' da ritenere che laddove la difesa dell'imputato invochi
 la  concessione  del termine defensionale di cui all'art. 566 settimo
 comma  c.p.p.,  il  necessario  rinvio  dell'udienza   dibattimentale
 imponga  di  assumere  in  detta  fase le eventuali determinazioni in
 ordine allo status libertatis - atteso che risulterebbe fuori sistema
 riconoscere all'ordinanza di convalida effetti custodiali  ultrattivi
 -  per  modo  che il giudice dovra' decidere utilizzando il materiale
 fino a quel momento acquisito,  sostanzialmente  coincidente  con  le
 risultanze del giudizio di convalida.
   Se  cio' e' vero, appare evidente che le argomentazioni poste dalla
 Corte a fondamento della sentenza n.  432/95  risultano  ancora  piu'
 aderenti all'ipotesi prospettata in questa sede.
   Se,  infatti,  le  valutazioni  operate dal giudice per le indagini
 preliminari per l'adozione di una  misura  cautelare  personale,  pur
 implicando   un   accertamento   prognostico  del  merito  della  res
 iudicanda, possono nondimeno intervenire in una fase del procedimento
 nella quale puo'  non  risultare  ancora  definito  il  quadro  delle
 indagini,  e conseguentemente incompleto e' il materiale destinato ad
 essere trasfuso, secondo legge,  in  sede  dibattimentale,  nel  rito
 direttissimo   l'assenza   di   indagini  preliminari  e  la  stretta
 contiguita'  cronologica  tra  convalida  e  giudizio   implica   una
 sostanziale aderenza valutativa da parte del giudice del dibattimento
 alle risultanze emerse nel corso della  convalida.
   Ne'  sembrano potersi ricavare argomenti in contrario dal fatto che
 e' lo stesso legislatore -   il quale ha  previsto  che  il  pubblico
 ministero   o   la  polizia  giudiziaria  presentino  l'arrestato  in
 flagranza al giudice "per la convalida ed  il  contestuale  giudizio"
 (artt.  449,  primo  comma,  566,  primo  comma,  c.p.p.)  -  ad aver
 modellato tale rito implicando una inevitabile preventiva  conoscenza
 da  parte  del  giudice  della  convalida  degli stessi fatti oggetto
 dell'imputazione nel successivo giudizio di merito.
   Appare infatti agevole osservare che l'accertamento svolto in  sede
 di   convalida   dell'arresto   in   flagranza  e'  funzionalmente  e
 strutturalmente diverso da quello finalizzato all'applicazione di una
 misura cautelare, involgendo  profili  inerenti  la  sussistenza  del
 titolo  del  reato,  il  fumus commissi delicti (elemento diverso dai
 "gravi indizi di colpevolezza") e,  in  generale,  i  presupposti  di
 legittimita' formale della misura (Cass. 25 gennaio 1993, Antuofermo,
 19 aprile 1993, Romano).
   Tale   diversita'   pertanto   esclude   possano   estendersi  agli
 apprezzamenti  operati  a  tal   fine   dal   giudice   le   medesime
 argomentazioni  valevoli  invece  per  il caso in cui all'esito della
 convalida, o comunque prima dell'inizio della fase dibattimentale, il
 giudice applichi una misura cautelare personale.
   In  detta  ipotesi,   la   mancata   previsione   normativa   della
 incompatibilita'  con  le  funzioni  di  giudice  del dibattimento e'
 idonea a determinare un vulnus agli artt. 3, comma primo;  24,  comma
 secondo,   e   101,  comma  secondo  Cost.  parametro,  quest'ultimo,
 richiamabile nella misura in cui l'accertamento della responsabilita'
 dell'imputato verrebbe a risultare condizionato, come la stessa Corte
 riconosce "da quella naturale tendenza a mantenere un  giudizio  gia'
 espresso o un atteggiamento gia' assunto in altri momenti decisionali
 dello stesso procedimento", e non gia' dal solo dettato legislativo.
   Va,  quindi,  ritenuta  rilevante e non manifestamente infondata la
 questione di legittimita' costituzionale della norma censurata  dalla
 difesa dei prevenuti.
                                P. Q. M.
   Visti   gli   artt.   134   della   Costituzione,   1  della  legge
 costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1, 23 della legge 11  marzo  1953,
 n.  87  su  istanza  di  parte,  solleva la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art.  34, comma 2, del c.p.p  per  contrasto  con
 gli art. 3, comma primo, 24, comma secondo, 101, comma secondo, della
 Costituzione,   nella   parte  in  cui  non  prevede  che  non  possa
 partecipare al giudizio direttissimo il  giudice  che  all'esito  del
 giudizio  di  convalida  o  comunque  prima della fase dibattimentale
 abbia  applicato  una  misura  cautelare  personale   nei   confronti
 dell'imputato;
   Sospende  il presente giudizio ed ordina la trasmissione degli atti
 alla  Corte  costituzionale,  disponendo  altresi'  che  la  presente
 ordinanza  sia notificata ai Presidenti del Senato della Repubblica e
 della Camera dei deputati nonche' alla Presidenza del  Consiglio  dei
 Ministri.
     Prato, addi' 1 dicembre 1995
                         Il pretore:  Ziroldi
 96C0233