N. 161 ORDINANZA (Atto di promovimento) 29 novembre 1995

                                N. 161
   Ordinanza  emessa  il  29  novembre  1995 dal pretore di Milano nei
 procedimenti civili riuniti vertenti tra Andreetta Mafalda ed altra e
 l'l.N.P.S.
 Pensioni - Pensioni previdenziali - Controversie  -  Sostituzione  al
    termine  di dieci anni per la proposizione dell'azione giudiziaria
    del piu' breve termine di tre anni  dalla  data  di  comunicazione
    della  decisione  del ricorso o dalla data di scadenza del termine
    stabilito per la pronuncia della decisione in sede  amministrativa
    -  Previsione  dello  stesso  a  pena  di  decadenza - Conseguente
    incisione sul diritto alle prestazioni  pensionistiche  -  Mancata
    previsione  di  un  diverso  regime  transitorio  che non solo non
    sopprima  i  diritti,  ma  non  ne  renda  neppure  eccessivamente
    difficoltoso l'esercizio - Incidenza sul diritto di difesa e sulla
    garanzia  previdenziale  -  Riferimenti  alle sentenze della Corte
    costituzionale nn. 246/1992 e 20/1994.
 (D.-L.  19  settembre  1992,  n.  384,  art.   4,   convertito,   con
    modificazioni, nella legge 14 novembre 1992, n. 438).
 (Cost., artt. 24 e 38, secondo comma).
(GU n.9 del 28-2-1996 )
                              IL PRETORE
   Sciogliendo  la  riserva  contenuta  nel  verbale di udienza del 28
 novembre 1995;
                                Osserva
   L' I.N.P.S. ha eccepito la decadenza di parti  attrici  dall'azione
 proposta,   ex  art.  4  d.-l.  n.  384  del  1992,  convertito,  con
 modificazioni, nella legge n. 438 dello stesso anno.
    Secondo tale norma, infatti, che ha sostituito i commi  secondo  e
 terzo  dell'  art.  47  d.P.R.  n.  639  del 1970, opera la decadenza
 triennale   per   le   controversie   in   materia   di   trattamenti
 pensionistici, a decorrere:
     a)  dalla  data  di  comunicazione  della  decisione  del ricorso
 pronunziata dai competenti organi dell'istituto;
     b) dalla data di scadenza del termine stabilito per la  pronunzia
 della predetta decisione;
     c)   dalla   data   di   scadenza   dei  termini  prescritti  per
 l'esaurimento del procedimento amministrativo, computati a  decorrere
 dalla data di presentazione della richiesta di prestazione.
   Ebbene,  nelle  ipotesi  di  specie  e'  accaduto che al momento di
 entrata in vigore del decreto citato (che gia' prima della  legge  di
 conversione  conteneva  le  regole  predette)  siffatto termine fosse
 appunto decorso.  Da un lato, infatti, i ricorsi  amministrativi  non
 erano   stati   proposti   (la   proposizione   e'  infatti  avvenuta
 pacificamente il 24 novembre 1992 per Andreetta, e il 9  agosto  1993
 per  Franceschetti);  da  un  altro lato, come pure e' previsto nelle
 regole stesse, erano ampiamente scaduti i termini  (300  giorni)  per
 l'esaurimento  del  procedimento  amministrativo,  computati,  sempre
 secondo le stesse a  decorrere  dalla  data  di  presentazione  della
 richiesta  presentazione  (rispettivamente,  25  settembre  1986 e 21
 marzo 1989).
   Ne' d'altra parte, puo' applicarsi alla specie la  deroga  prevista
 dall'ultimo  comma  dell'  art. 4, cit. per i procedimenti instaurati
 anteriormente alla data di entrata in vigore  del  decreto  stesso  e
 ancora  in  corso  alla  medesima data: siffatti procedimenti, pur se
 intesi come amministrativi secondo quanto ritenuto dal giudice  delle
 leggi  (che  nell'interpretazione  della  regola  ha tenuto conto del
 "ricorso amministrativo proposto anteriormente alla data  di  entrata
 in  vigore  del decreto": Corte cost. 3 febbraio 1994 n. 20, par. 6),
 erano  appunto  gia'  esauriti  a  tale  momento;  se   intesi   come
 giudiziari, non erano ancora stati instaurati.
   Si  pone  pero' il problema della legittimita' costituzionale della
 normativa  prima  richiamata,  naturalmente  sotto  il  profilo   del
 criterio  della  non  manifesta infondatezza. La questione e' infatti
 sicuramente rilevante nel caso in esame.
   Ed invero, l'art. 6, primo comma, d.-l. n. 103 del 1991, convertito
 con modificazioni  nella  legge  n.  166  dello  stesso  anno  recita
 testualmentente:
   "1.  -  I termini previsti dall'art. 47, commi secondo e terzo, del
 decreto del Presidente della Repubblica 30 aprile 1970, n. 639,  sono
 posti   a   pena  di  decadenza  per  l'esercizio  del  diritto  alla
 prestazione previdenziale. La decadenza  determina  l'estinzione  del
 diritto   ai   ratei  pregressi  delle  prestazioni  previdenziali  e
 l'inammissibilita' della relativa  domanda  giudiziale.  In  caso  di
 mancata  proposizione  di ricorso amministrativo, i termini decorrono
 dall'insorgenza dei singoli ratei".
   E Corte cost. 20 maggio 1992 n. 246, Foro it., 1992, I,  2601,  nel
 dichiarare  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 della norma, sollevata con riferimento agli artt. 3 e 38 cost.,  l'ha
 interpretata sottolineando che la estinzione ivi prevista colpisce il
 diritto  ai  ratei  maturati, non quello alla pensione. Del resto, il
 prevalente e piu' recente indirizzo ha sostenuto che  il  termine  di
 cui  all'art.  47  cit. aveva semplicemente la funzione di delimitare
 l'efficacia  temporale  della  condizione  di  procedibilita'   della
 domanda  giudiziale: cfr., da ult. Cass. 26 aprile 1993 n. 4864, Dir.
 e pratica lav., 1993, 1844, (m.).
   Con  la precedente normativa, quindi, i diritti vantati dalla parte
 ricorrente  nell'ambito  del  decennio  precedente  la  istanza,  non
 sarebbero  estinti,  mentre  lo  sarebbero per effetto dell'eccezione
 preliminare di decadenza sollevata dall'istituto. Di qui la rilevanza
 della questione (la ricorrente all'epoca non aveva superato i  limiti
 di  reddito  di  cui  a  Corte cost. 10 giugno 1994 n. 240, Foro it.,
 1994, I, 2016).
   Passando  allora  all'esame  del  requisito  della  non   manifesta
 infondatezza,  il  pretore  ritiene  che  la  nuova disciplina sia in
 collisione con l'art. 24 cost.. Essa, infatti, si risolve, in  questo
 caso,  nel sacrificio di diritti che sino al giorno della sua entrata
 in vigore esistevano e potevano essere azionati.
   In  sostanza,  la  modifica  legislativa,  che  prevede  un  regime
 transitorio  limitatissimo  (v.  antea) e non comprendente situazioni
 come quella in questione - certo peraltro le piu' numerose - viene  a
 comportare  una  sorta di espropriazione di diritti patrimoniali, per
 di piu' di valenza costituzionale (art. 38, secondo comma, Cost.).
   Dubbio non manifestamente infondato di  costituzionalita'  si  pone
 quindi anche con riferimento a tale norma.
   Diverso,  naturalmente,  sarebbe stato se la legge avesse stabilito
 un regime transitorio diverso per le vecchie situazioni, che non solo
 non  sopprimesse  i  diritti,  ma  ne  rendesse  non   eccessivamente
 difficoltoso l'esercizio attraverso il giudizio.
   In  definitiva,  il  pretore  ritiene  di  sollevare d'ufficio, per
 essere   non    manifestamente    infondata,    la    questione    di
 costituzionalita' dell'art.  4 d.-l. n. 384 del 1992, convertito, con
 modificazioni,  nella  legge n. 438 dello stesso anno, in riferimento
 agli artt. 24 e 38, secondo comma, Cost.
                                P. Q. M.
   A norma dell'art. 23 della legge 87/53, dichiara non manifestamente
 infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 4 del d-l.   n.
 384 del 1992, convertito, con modificazioni, nella legge n. 438 dello
 stesso  anno, in riferimento agli artt. 24 e 38, secondo comma, della
 Costituzione;   sospende   il   presente   procedimento,   e   ordina
 trasmettersi  gli  atti  alla  Corte  costituzionale,  notificarsi il
 provvedimento alle parti e al Presidente del consiglio dei Ministri e
 comunicarsi lo stesso ai Presidenti della Camera dei deputati  e  del
 Senato della Repubblica.
     Milano, addi' 29 novembre 1995.
                        Il pretore: De Angelis
 96C0238