N. 61 SENTENZA 10 - 14 marzo 1997

 
 
 Giudizio per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato.
 
 Sanita'   pubblica   -   Provincia   autonoma  di  Trento  -  Servizi
 trasfusionali - Disciplina da parte del Ministro  della  sanita'  dei
 rapporti  tra  le  strutture  pubbliche  e  tra le pubbliche e quelle
 private accreditate e  non  accreditate  dotate  di  frigoemoteche  -
 Ambito  di  applicazione  della  sentenza  della  Corte  n. 49/1991 -
 Ingiustificata una disciplina ministeriale che incida con dettagliate
 disposizioni sull'organizzazione delle  aziende  ospedaliere  materia
 rimessa alla competenza delle regioni e delle province autonome - Non
 spettanza allo Stato - Annullamento parziale dei decreti del Ministro
 della sanita' 1 settembre 1995.
 
(GU n.12 del 19-3-1997 )
                         LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Francesco GUIZZI, prof.
 Cesare MIRABELLI, prof.  Fernando  SANTOSUOSSO,  avv.  Massimo  VARI,
 dott.   Cesare   RUPERTO,   dott.  Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo
 ZAGREBELSKY, prof. Carlo  MEZZANOTTE,  avv.  Fernanda  CONTRI,  prof.
 Guido NEPPI MODONA, prof. Piero Alberto CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio promosso con ricorso della provincia autonoma di Trento,
 notificato  l'11  dicembre  1995,  depositato  in  cancelleria  il 28
 successivo per conflitto di attribuzione sorto a seguito del  decreto
 1  settembre  1995 del Ministro della sanita' recante "Disciplina dei
 rapporti  tra   le   strutture   pubbliche   provviste   di   servizi
 trasfusionali  e  quelle  pubbliche  e  private,  accreditate  e  non
 accreditate,  dotate  di  frigoemoteche",  nonche'  in  relazione  al
 decreto  in  pari  data  dello  stesso Ministro della sanita' recante
 disciplina in tema di "Costituzione e compiti  dei  comitati  per  il
 buon  uso del sangue presso i presidi ospedalieri", ed iscritto al n.
 38 del registro conflitti 1995;
   Visto l'atto di  costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  del  26  novembre  1996  il  giudice
 relatore Massimo Vari;
   Uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e  Gualtiero  Rueca  per  la
 provincia  autonoma  di  Trento  e l'avvocato dello Stato Giuseppe O.
 Russo per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ricorso ritualmente notificato e depositato, la  provincia
 autonoma  di  Trento  ha  sollevato  conflitto  di  attribuzione  nei
 confronti dello Stato, in relazione al  decreto  del  Ministro  della
 sanita'  1  settembre  1995,  recante "Disciplina dei rapporti tra le
 strutture pubbliche  provviste  di  servizi  trasfusionali  e  quelle
 pubbliche  e  private,  accreditate  e  non  accreditate,  dotate  di
 frigoemoteche" e al decreto, in  pari  data,  dello  stesso  Ministro
 recante  "Costituzione  e  compiti  dei  comitati per il buon uso del
 sangue presso i presidi ospedalieri".
   La  ricorrente,  rilevato  che  entrambi  i provvedimenti assumono,
 quale propria base legale, l'art. 11, comma 1, della legge  4  maggio
 1990,  n.  107 (Disciplina per le attivita' trasfusionali relative al
 sangue  umano  ed  ai  suoi  componenti  e  per  la   produzione   di
 plasmaderivati),   lamenta   il   mancato  rispetto  dei  limiti  che
 discendono da tale disposizione,  come  risultante  a  seguito  della
 parziale  dichiarazione  di  illegittimita'  costituzionale contenuta
 nella sentenza n. 49 del 1991  della  Corte  costituzionale,  con  la
 conseguente  compressione della sfera di attribuzione riservata dallo
 statuto speciale per il Trentino-Alto Adige alla  provincia  autonoma
 in  tema  di  sanita' e assistenza ospedaliera (art.  9, numero 10, e
 art. 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670).
   Secondo la ricorrente, a seguito della predetta sentenza -  con  la
 quale  e' stata dichiarata la illegittimita' costituzionale dell'art.
 11, comma 1, della  legge  n.  107  del  1990,  nella  parte  in  cui
 contemplava  una  potesta'  ministeriale di indirizzo e coordinamento
 rivolta alle regioni e alle province autonome -  la  disposizione  in
 parola  consente  al  Ministro  della sanita' di emanare soltanto "le
 norme per l'attuazione" della legge, nell'ambito della competenza sua
 propria e delle autorita' a  lui  sottordinate  e  nel  rispetto  del
 procedimento  indicato dall'art.  17, comma 4, della legge n. 400 del
 1988.
   Viceversa, nessuno dei due decreti impugnati si  conforma,  secondo
 la  provincia,  alle  esigenze  che  la  Corte ebbe a ricordare nella
 sentenza n. 49 del 1991. Non sono rispettate  le  esigenze  di  forma
 previste  dallo stesso art. 17, comma 4, della legge n. 400 del 1988,
 in quanto i decreti non contengono  la  denominazione  "regolamento",
 ne'  in  premessa  e'  richiamato  il  previo parere del Consiglio di
 Stato. Nel  contenuto,  essi  oltrepassano  il  legittimo  ambito  di
 operativita'   dei  regolamenti  ministeriali,  in  quanto  impongono
 vincoli e compiti in materie di  sicura  competenza  provinciale,  in
 contrasto  con l'art. 17, comma 1, lettera b), della legge n. 400 del
 1988.
   2. - In particolare, quanto al primo decreto, relativo ai  rapporti
 tra  le  strutture  pubbliche  provviste  di  servizi trasfusionali e
 quelle pubbliche e private, accreditate e non accreditate, dotate  di
 frigoemoteche,  l'art.  1  obbliga  le  regioni, e quindi le province
 autonome,  ad  individuare,  entro  sessanta  giorni,  le   strutture
 pubbliche   e   private  dotate  di  frigoemoteca  ed  i  servizi  di
 immunoematologia  e  trasfusione  o   i   centri   trasfusionali   di
 riferimento,  stabilendo,  altresi',  in dettaglio le regole relative
 all'attivita' trasfusionale svolta dalle case di cura private. L'art.
 2, pur rinviando formalmente  alle  vigenti  disposizioni  regionali,
 disciplina  l'afferenza  territoriale delle strutture pubbliche prive
 di servizi trasfusionali o delle case di cura private, accreditate  o
 meno,  imponendo  (comma  2)  che  la  struttura  pubblica competente
 garantisca le prestazioni nell'arco delle 24 ore,  mentre  l'art.  5,
 che  si  occupa  dei  servizi  di  urgenza, indica anche i criteri di
 collegamento funzionale per gli ospedali e le case di  cura  private.
 In  tema  di  gestione  dei  servizi  di  emoteca,  regole  minute  e
 dettagliatissime  circa  i  rapporti,  interni  a  ciascuna  sede  di
 ricovero,  tra  il direttore sanitario e i vari reparti, sono dettate
 nell'art. 4, il quale impone ai reparti stessi una serie  di  compiti
 sulla  scorta  delle  indicazioni  del  responsabile  della struttura
 trasfusionale competente. Il comma 3 dello stesso articolo obbliga il
 direttore sanitario della casa di  cura  privata  o  della  struttura
 pubblica dotata di frigoemoteca a nominare un medico referente per lo
 sviluppo  di una serie di attivita' inerenti i servizi trasfusionali,
 mentre l'art. 10 assegna alle regioni  l'effettuazione  di  controlli
 sistematici  sulla  corretta  applicazione  del  decreto,  stabilendo
 altresi' che il responsabile del centro regionale di coordinamento  e
 compensazione  invii  le  relazioni  ricevute all'assessore regionale
 alla  sanita'  (individuando,  dunque,   anche   l'organo   regionale
 competente,  con  ulteriore  riduzione  dell'autonomia  organizzativa
 della provincia).
   3. - Anche il secondo decreto, relativo  alla  costituzione  ed  ai
 compiti  dei  comitati  per  il buon uso del  sangue presso i presidi
 ospedalieri, sarebbe lesivo delle competenze provinciali. L'art.    1
 stabilisce  che  il  direttore generale dell'azienda sanitaria, entro
 trenta giorni, costituisca il comitato per il buon  uso  del  sangue;
 mentre  gli  artt.  2 e 3 indicano nel dettaglio la composizione e la
 struttura organizzativa, i compiti e la cadenza  delle  riunioni  del
 comitato.
   La   ricorrente   evidenzia  che  la  violazione  delle  competenze
 provinciali "e' accompagnata da  una  palese  lesione  dell'art.  136
 della  Costituzione,  in  tema  di  efficacia  della dichiarazione di
 illegittimita'  costituzionale  delle  leggi",  giacche'  i   decreti
 impugnati  presupporrebbero  una ben piu' ampia base legale, quale in
 ipotesi avrebbe potuto essere fornita dal testo originario  dell'art.
 11, dichiarato parzialmente illegittimo dalla Corte.
   Ne'  le  norme contenute nei due decreti possono essere ricondotte,
 contrariamente a quanto indicato nelle premesse  dei  medesimi,  alla
 "attivita'  di  coordinamento  tecnico",  che si differenzia, come la
 stessa Corte ha piu' volte sottolineato, dalla funzione di  indirizzo
 e  coordinamento.  A parte che non si tratta di direttive, ma di atti
 che "hanno  (...)  la  forma  precisa  e  specifica  del  regolamento
 ministeriale",  essi  non  contengono  direttive  meramente tecniche,
 volte a disciplinare i "rapporti esterni"  di  uffici  regionali  con
 uffici  statali,  ma  recano una disciplina organizzativa interna dei
 presidi  sanitari,  imponendo  attivita',  compiti  e  scadenze  alle
 regioni.
   4.  -  Nel  giudizio  di  fronte  alla  Corte  costituzionale si e'
 costituito il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato  e
 difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che il ricorso
 sia dichiarato inammissibile o infondato.
   Osserva  l'Avvocatura  che  la  provincia  non nega la potesta' del
 Ministro della sanita' di emanare norme  secondarie  in  materia,  ma
 cerca  di  estendere  a  tale potesta' i limiti che sono propri della
 funzione di indirizzo e coordinamento, non esercitata  nella  specie,
 allo  scopo  di  presentare  il conflitto come una prosecuzione della
 questione decisa con la sentenza n. 49 del 1991.
   La censura relativa alla assenza, nei decreti, della  denominazione
 "regolamento"  e  alla  mancata  menzione del parere del Consiglio di
 Stato, oltre ad essere inammissibile, in quanto non pertinente ad  un
 conflitto   di   attribuzione,   sarebbe   anche  infondata,  potendo
 l'attuazione  di  disposizioni  legislative  avvenire  sia   mediante
 regolamenti  sia  mediante atti di natura non regolamentare. Anche il
 profilo   relativo   alla  necessita'  che  le  norme  secondarie  di
 attuazione  della  legge  n.  107  del  1990   riguardino   solo   le
 attribuzioni  del Ministro, e non anche quelle delle Regioni, sarebbe
 inammissibile, prima  che  infondato,  non  essendo  accompagnato  da
 alcuna  analisi  sul  riparto  di  competenze nella sub-materia delle
 "attivita' trasfusionali".
   Anche il profilo relativo al carattere  eccessivamente  dettagliato
 delle  norme  impugnate  sarebbe  infondato,  in quanto le regole per
 l'attuazione di una legge non possono che essere dettagliate.
   Infine, quale rilievo "d'ordine generale", si evidenzia che  i  due
 decreti  sono  contestati  globalmente,  "senza  separare  le singole
 proposizioni in essi contenute".
   5. - In prossimita' dell'udienza, hanno presentato memorie  sia  la
 difesa  della  provincia  autonoma  di  Trento che l'Avvocatura dello
 Stato.
   La difesa della provincia osserva  che  le  censure  relative  alla
 mancanza  dei requisiti formali sono rivolte a mettere in evidenza il
 sostanziale difetto di base giuridica degli atti  impugnati,  il  cui
 carattere invasivo delle competenze provinciali e' indipendente dalla
 possibilita'  o meno di configurare atti regolamentari. Anche perche'
 - se si tratta di atti di altro  tipo  -  essi  appaiono  ancor  piu'
 illegittimi  per  invasione  della  sfera provinciale e per la totale
 mancanza di fondamento giuridico.
   Si reputa, inoltre,  infondata  la  eccezione  di  inammissibilita'
 sollevata  dall'Avvocatura,  sull'assunto che nel ricorso mancherebbe
 una previa analisi del riparto di competenza tra Stato e Provincia in
 materia: il ricorso  evidenzia,  infatti,  con  chiarezza  e  con  un
 articolato  riferimento  alle  disposizioni  dei due decreti, che gli
 atti impugnati risultano illegittimi in quanto  disciplinano  aspetti
 attinenti  alla  organizzazione  e  alla  erogazione  di  servizi  di
 competenza regionale e provinciale. Inoltre  l'omissione  del  parere
 del  Consiglio  di  Stato,  se  tale  dovesse  essere  la situazione,
 comporta il vizio dell'atto nella sua totalita'.
   Infine, quanto al terzo rilievo dell'Avvocatura, secondo  la  quale
 "le  regole  per  l'attuazione  di  una  legge non possono che essere
 dettagliate", si afferma che i riferimenti, contenuti nel ricorso, al
 grado di dettaglio della disciplina invasiva hanno solo lo  scopo  di
 illustrare la "particolare gravita' e abnormita' della lesione".
   6.  -  Dal  canto suo, l'Avvocatura dello Stato, nell'insistere per
 l'inammissibilita' del ricorso, osserva che la violazione della legge
 n. 400 del 1988, in quanto legge ordinaria, non puo' essere censurata
 davanti alla Corte costituzionale. Inoltre, con riguardo ad  entrambi
 i  decreti,  la provincia si sarebbe limitata ad una mera elencazione
 delle disposizioni che si assumono invasive; peraltro, affermando che
 i decreti ministeriali dovrebbero, secondo l'art. 11, comma 1,  della
 legge  n.  107  del  1990,  limitarsi ad intervenire nelle materie di
 competenza del Ministro, la ricorrente  omette  di  spiegare  perche'
 tali  disposizioni  riguardano  invece  compiti  della  provincia. La
 apoditticita'  del  ricorso  emerge  anche  la'  dove  esso   esclude
 trattarsi  di direttive di carattere tecnico. Il petitum si presenta,
 in conclusione, di carattere generico, non essendo collegato  ad  una
 chiara e specifica dimostrazione della invasivita' dei decreti.
   Nel  merito, si rileva come, nella materia de qua, molteplici sono,
 secondo quanto affermato proprio dalla sentenza n. 49 del  1991,  gli
 interventi statali, ritenuti legittimi dalla Corte, svolti attraverso
 normazione  secondaria  dello  stesso  Ministro  della sanita'. Con i
 decreti impugnati il Ministro ha assolto al suo compito, emanando una
 serie di norme tecniche rivolte a dare attuazione alla legge  n.  107
 del  1990,  norme  che  attengono  alla  competenza dello Stato e non
 intaccano minimamente quella delle regioni. L'invasivita' va  esclusa
 anche  per  quelle  norme  che  sembrerebbero  viziate, come nel caso
 dell'art. 10, comma 2, del  primo  decreto:  la  disposizione,  nella
 prima  parte  ha  il carattere di coordinamento tecnico, mentre nella
 seconda non e' attributiva, ma solo dichiarativa, di  una  competenza
 gia'  esistente e che la provincia, nella sua autonomia, e' libera di
 modificare.
                        Considerato in diritto
   1.  -  La  provincia  autonoma  di  Trento  solleva  conflitto   di
 attribuzione  nei  confronti  dello Stato, in relazione a due decreti
 del  Ministro  della  sanita',  entrambi  datati  1  settembre  1995,
 recanti,  rispettivamente,  "Disciplina dei rapporti tra le strutture
 pubbliche provviste di servizi trasfusionali  e  quelle  pubbliche  e
 private,  accreditate  e  non accreditate, dotate di frigoemoteche" e
 "Costituzione e compiti dei comitati  per  il  buon  uso  del  sangue
 presso i presidi ospedalieri".
   Secondo  la ricorrente i provvedimenti, pur assumendo a base l'art.
 11, comma 1, della legge 4 maggio 1990, n.  107  (Disciplina  per  le
 attivita'   trasfusionali   relative  al  sangue  umano  ed  ai  suoi
 componenti e per la  produzione  di  plasmaderivati),  nella  portata
 conseguente  alla sentenza della Corte costituzionale n. 49 del 1991,
 non si mantengono nei limiti propri di un regolamento di  attuazione,
 ledendo,  percio', le attribuzioni garantite alla provincia dall'art.
 9, numero 10, e dall'art. 16  del  d.P.R.  31  agosto  1972,  n.  670
 (Approvazione  del testo unico delle leggi costituzionali concernenti
 lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).
   Si lamenta in particolare che:
     non sono rispettate le esigenze di forma previste  dall'art.  17,
 comma  4,  della  legge  n.  400  del 1988, mancando la denominazione
 "regolamento"  e  non   essendo   specificato,   in   premessa,   che
 l'assunzione dei provvedimenti medesimi e' avvenuta previo parere del
 Consiglio di Stato;
     vengono imposti, in contrasto con l'art. 17, comma 1, lettera b),
 della  legge  n.  400  del  1988,  vincoli  e   compiti in materia di
 competenza  provinciale,   che   non   possono   essere   considerati
 espressione  di  una  attivita'  di  direzione tecnica cui il singolo
 ministro sia legittimato;
     risulta disatteso l'art. 136 della Costituzione,  a  causa  della
 violazione  dei  limiti posti dalla sentenza n. 49 del 1991 al potere
 ministeriale contemplato all'art. 11, comma 1, della legge n. 107 del
 1990.
   2.1. - Vanno  esaminate,  in  via  pregiudiziale  le  eccezioni  di
 inammissibilita'  sollevate  dall'Avvocatura  dello  Stato,  la quale
 deduce,  da  un  canto,  che  il  motivo  concernente  l'assenza   di
 indicazioni  formali,  quali  la  denominazione di "regolamento" e la
 mancata menzione del parere  del  Consiglio  di  Stato,  non  sarebbe
 pertinente  ad  un  conflitto  di  attribuzione  volto  a  dedurre la
 lesivita' dei provvedimenti impugnati e, dall'altro, che la lamentata
 invasione   delle   competenze   provinciali  da  parte  delle  norme
 secondarie di attuazione della legge n. 107 del 1990 si  risolverebbe
 in  una  petizione di principio, mancando al riguardo nel ricorso una
 analisi del riparto di competenze nella sub-materia delle  "attivita'
 trasfusionali".
   2.2.  -  La prima eccezione e' da reputare fondata, con conseguente
 inammissibilita' del relativo motivo di ricorso. Infatti,  come  gia'
 la  Corte  ha avuto occasione di precisare, nei giudizi per conflitto
 di attribuzione  promossi  dalle  regioni  o  province  autonome  nei
 confronti  dello  Stato,  le  norme che rilevano ai fini del giudizio
 sulla lesivita' degli atti sono quelle  relative  alla  distribuzione
 delle competenze (sentenza n. 357 del 1996).
   Non  altrettanto puo' dirsi, invece, per l'eccezione attinente alla
 dedotta assenza di analiticita' delle doglianze sollevate.  Il  fatto
 che  taluna  delle censure abbia carattere del tutto generale e venga
 riferita  cumulativamente  a  piu'  disposizioni  non  osta,  invero,
 all'individuazione  della reale portata del ricorso, il cui contenuto
 e' reso evidente  anche  dal  puntuale  riferimento  alla  precedente
 sentenza  della  Corte n. 49 del 1991. Per il resto, la questione del
 grado di specificita' delle  doglianze  avanzate  nel  ricorso  puo',
 tutt'al  piu',  essere  valutata  sotto  il  profilo  dei  molteplici
 possibili modi di impostazione degli atti difensionali, ma  non  puo'
 fondatamente sorreggere un'eccezione volta a contestare l'assenza dei
 necessari elementi della proposta impugnativa.
   3. - Nel merito il ricorso e' fondato.
   Il quadro dei rapporti fra la provincia di Trento e lo Stato, nella
 materia  qui  considerata,  si fonda, per un verso, sull'art. 9 dello
 statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con d.P.R.  31
 agosto 1972, n. 670, che attribuisce  alla  provincia  la  competenza
 concorrente  in  materia  di assistenza sanitaria ed ospedaliera, con
 l'ulteriore specificazione contenuta nell'art. 2, secondo comma,  del
 d.P.R.  28  marzo 1975, n. 474 (Norme di attuazione dello statuto per
 la regione Trentino-Alto Adige in materia di igiene e sanita'),  come
 sostituito  dall'art.  1 del d.P.R. 16 marzo 1992, n. 267, che affida
 alla provincia stessa  "le  potesta'  legislative  ed  amministrative
 attinenti  al funzionamento e alla gestione delle istituzioni ed enti
 sanitari"; e, dall'altro, sull'art.  4,  numero  6,  della  legge  23
 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale),
 il  quale  dispone  che,  con  legge  dello Stato, sono dettate norme
 dirette ad assicurare condizioni e garanzie di  salute  uniformi  per
 tutto  il  territorio nazionale in materia tra l'altro, di "raccolta,
 frazionamento, conservazione e distribuzione del sangue umano".
   Di queste ultime esigenze si e' fatta carico la legge  n.  107  del
 1990,  i cui obiettivi sono stati individuati, proprio dalla sentenza
 n.  49  del  1991,  da  un  lato,  nella   soluzione   del   problema
 "dell'autosufficienza  della  disponibilita'  del  sangue  e dei suoi
 componenti utilizzabili a scopi terapeutici, in modo da eliminare  la
 dipendenza  dall'estero"  e,  dall'altro,  nell'apprestamento  di una
 disciplina che, in stretta connessione  con  la  tutela  del  diritto
 inviolabile  alla  salute (art.   32 della Costituzione), consenta di
 erogare le relative prestazioni con la massima uniformita'  possibile
 su  tutto  il  territorio  nazionale.    La  menzionata sentenza, nel
 riconoscere alla suddetta  disciplina  i  caratteri  di  una  vera  e
 propria  legge-cornice,  destinata,  percio',  ad essere applicata in
 tutti   gli  enti  dotati  "di  potesta'  legislativa  concorrente  e
 amministrativa in materia sanitaria, vale a dire in tutte le  regioni
 a statuto ordinario, in quelle a statuto speciale e nelle province ad
 autonomia differenziata", ha censurato, tuttavia, l'art. 11, comma 1,
 perche'  inteso  a  riconoscere  al Ministro della sanita' un'anomala
 facolta'  di  emanare  "norme  di  indirizzo  e  coordinamento"  "per
 l'attuazione"   della   legge   stessa.   A  seguito  della  parziale
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale,  la  disposizione  in
 parola, come si desume chiaramente dalla sentenza, va letta nel senso
 che   spetta   al  Ministro  della  sanita'  emanare  "le  norme  per
 l'attuazione" della legge.
   4. - Ma e'  proprio  alla  luce  dei  limiti  coessenziali  a  tale
 competenza  ministeriale  che  le  doglianze avanzate dalla Provincia
 risultano fondate.
   La ricorrente lamenta che il primo provvedimento - nel disciplinare
 i  rapporti  tra  le  strutture  pubbliche    provviste  di   servizi
 trasfusionali  e quelle pubbliche e private dotate di frigoemoteche -
 appresti  una  disciplina  organizzativa  che,   anche   in   ragione
 dell'analiticita'  e specificita' delle disposizioni, incide in senso
 limitativo sulle sue competenze.
   A supporto di siffatta doglianza, richiama particolarmente:
     l'art. 1, secondo il quale le regioni sono tenute ad individuare,
 entro sessanta giorni, le strutture pubbliche  e  private  dotate  di
 frigoemoteca  ed  i  servizi  di  immunoematologia  e trasfusione o i
 centri trasfusionali di riferimento, stabilendo altresi' in dettaglio
 le regole relative all'attivita' trasfusionale svolta dalle  case  di
 cura private;
     l'art.   2,   che   contempla   una   disciplina   dell'afferenza
 territoriale delle strutture prive di servizi trasfusionali,  con  la
 imposizione (comma 2) alla struttura pubblica competente di garantire
 le prestazioni nell'arco delle 24 ore;
     l'art.  4,  che  reca regole minute e dettagliatissime,in tema di
 servizi di emoteca, circa i rapporti,  interni  a  ciascuna  sede  di
 ricovero, tra il direttore sanitario e i vari reparti;
     l'art.  5, che determina i criteri di collegamento funzionale per
 gli ospedali e le case di cura private,  in  materia  di  servizi  di
 urgenza;
     l'art.  10  che  dispone che le regioni sono tenute ad effettuare
 controlli  sistematici  sulla  corretta  applicazione  del   decreto,
 prevedendo  altresi'  che  il  responsabile  del  centro regionale di
 coordinamento e compensazione  deve  inviare  le  relazioni  ricevute
 all'assessore  regionale  alla  sanita'  (individuando  dunque  anche
 l'organo regionale competente, con ulteriore riduzione dell'autonomia
 organizzativa della provincia).
   5.  -  Nelle  premesse,  il   contestato   provvedimento   richiama
 espressamente  l'art.  6,  comma  3,  della  legge  n.  107 del 1990,
 relativo  all'obbligo  del  collegamento  funzionale  tra  i  presidi
 ospedalieri   che   non   dispongono   di   una   propria   struttura
 trasfusionale, da un  canto,  ed  i  servizi  di  immunoematologia  e
 trasfusione  o  i  centri  trasfusionali territorialmente competenti,
 dall'altro. Ma, ne' tale  disposizione  ne'  le  altre  di  carattere
 organizzativo  contenute  nella legge-quadro n. 107 del 1990, possono
 consentire  una  disciplina  come  quella   sopra   menzionata   che,
 obbligando  a  puntuali adempimenti ed introducendo dettagliate norme
 che  disegnano  strutture  e  procedimenti  nell'ambito proprio della
 Provincia,  lede  le  competenze  di  quest'ultima  in   materia   di
 assistenza  sanitaria  e  ospedaliera. Infatti, come la Corte ha piu'
 volte affermato, un  regolamento  ministeriale  di  esecuzione  e  di
 attuazione  di una legge statale, quale quello per l'appunto previsto
 dal gia' citato art. 11, non puo' porre norme  volte  a  limitare  la
 sfera  delle  competenze  delle  regioni e delle province autonome in
 materie loro attribuite (v., ad esempio, sentenze nn. 250  del  1996,
 482  e  333 del 1995 e 461 del 1992); detto principio non solo deriva
 dalle  regole  costituzionali   relative   all'ordine   delle   fonti
 normative,  ma  e' stato espressamente sancito dall'art. 17, comma 3,
 della  legge  n.  400  del  1988,   che   circoscrive   la   potesta'
 regolamentare  ministeriale  alle  sole  "materie  di  competenza del
 Ministro o di autorita' sottordinate".
   Ne' la  pretesa  competenza  statale,  e  quindi  ministeriale,  ad
 emanare  la  disciplina  regolamentare  in  questione,  puo'  trovare
 giustificazione nell'esistenza di  interessi  nazionali,  perche'  la
 compressione  della  competenza  regionale  (o  provinciale) non puo'
 essere predicata se non sulla base  di  una  positiva  ed  inequivoca
 scelta   in  tal  senso  dello  stesso  legislatore  statale.  Ma,  a
 differenza di altri casi, pur presenti nella legge n. 107  del  1990,
 detta  legge  non  contiene,  per  l'aspetto  qui considerato, alcuna
 specifica ed espressa previsione di poteri ministeriali  giustificati
 alla stregua dell'unitarieta' degli interessi sottostanti.
    6.   -   Ad  analoghe  valutazioni  si  presta  anche  il  secondo
 provvedimento, relativo alla costituzione dei comitati  per  il  buon
 uso del sangue, censurato dalla provincia per il fatto di prevedere:
     all'art.  1,  che  il  direttore generale dell'azienda sanitaria,
 entro trenta giorni, costituisca il detto comitato;
     agli artt. 2 e 3, nel dettaglio, la  composizione,  la  struttura
 organizzativa,  i  compiti  e la cadenza delle  riunioni del comitato
 medesimo.
   Trattasi di strutture non menzionate espressamente nella  legge  n.
 107  del  1990,  la  cui  attivazione, come cardine organizzativo per
 assicurare il buon uso del sangue, e' contemplata nel "piano  per  la
 razionalizzazione  del sistema trasfusionale italiano per il triennio
 1994-1996", approvato con d.P.R. 7 aprile 1994, sulla base  dell'art.
 1,  comma 4, lettera c), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
 502, che demanda all'Esecutivo la predisposizione  e  l'adozione  dei
 progetti-obiettivo inseriti nel Piano sanitario nazionale.
   In  questo  caso,  in  mancanza oltretutto di specifici riferimenti
 nella legge n. 107 del 1990, si giustifica ancor meno una  disciplina
 ministeriale     che     incide    con    dettagliate    disposizioni
 sull'organizzazione delle aziende ospedaliere, materia  rimessa,  sia
 pure  nell'osservanza  dei  principi  fissati  dallo  stesso  decreto
 legislativo n. 502 del 1992, alla competenza delle  Regioni  e  delle
 Province autonome.
   7.  -  La  difesa  della parte resistente, facendo riferimento alle
 premesse dei provvedimenti impugnati,  richiama,  onde  giustificarne
 l'adozione,  la  "necessita'  di  emanare norme di carattere tecnico,
 uniformi a livello  nazionale",  argomento  questo  in  cui  e'  dato
 cogliere  un  riferimento a quella giurisprudenza della Corte secondo
 la  quale  il  potere  ministeriale  di  emanare  direttive  o  norme
 tecniche,  rispondenti  a  finalita'  generali  che  trascendono  gli
 interessi che si intendono tutelare con le competenze attribuite alle
 regioni  e  alle province autonome, non e' lesivo delle competenze di
 queste ultime (sentenze nn. 356 del 1994, 483  del  1991  e  474  del
 1988).
   Ma  neanche  questa via puo' essere utilmente percorsa per derogare
 alle regole sul riparto delle competenze. A parte il fatto che  anche
 tali poteri, vertendo, nella specie, su materie idonee ad interferire
 in  competenze  proprie  delle  regioni  e province autonome, debbono
 reperire espresso fondamento in una previsione di legge, la Corte  e'
 dell'avviso  che  vanno intese per norme tecniche quelle prescrizioni
 che vengono elaborate generalmente sulla base  dei  principi  desunti
 dalle  c.d.  "scienze  esatte"  o dalle arti che ne sono applicazione
 (come,  ad  esempio,  le  prescrizioni  che   individuano   standards
 qualitativi  o  metodologie  di  rilevazione  dati e/o di trattamento
 materiali).  Non si possono, percio',  ricondurre  a  tale  categoria
 disposizioni quali quelle in esame, che appaiono, invece, volte - per
 lo piu' e salvo limitate eccezioni (v. ad es. art. 4, comma 4, e art.
 5,  comma  3,  del  decreto  relativo  ai  rapporti  tra le strutture
 provviste di servizi trasfusionali e quelle dotate di  frigoemoteche)
 -  a  fissare  criteri  di  organizzazione,  ad  individuare organi e
 procedure, a disciplinare, quanto al primo provvedimento,  i  criteri
 di  gestione delle   frigoemoteche come pure i rapporti tra i presidi
 sanitari e le strutture  pubbliche  territorialmente  competenti;  e,
 quanto  al  secondo, a predeterminare la composizione e i compiti dei
 comitati con riguardo, persino, alle scansioni temporali  della  loro
 attivita'.
   L'accoglimento  del  ricorso  per  le ragioni esposte, assorbe ogni
 altro motivo.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara che non spetta allo Stato  disciplinare  con  decreto  del
 Ministro  della  sanita',  con  riguardo  alla  provincia autonoma di
 Trento, i rapporti tra le strutture pubbliche  provviste  di  servizi
 trasfusionali  e  quelle  pubbliche  e  private,  accreditate  e  non
 accreditate,  dotate  di  frigoemoteche,  nonche'   disciplinare   la
 costituzione  e  i  compiti  dei  comitati per il buon uso del sangue
 presso i presidi ospedalieri; e di conseguenza annulla i decreti  del
 Ministro della sanita' in data 1 settembre 1995 indicati in epigrafe,
 nella  parte  in  cui  non  fanno salve le competenze della provincia
 autonoma di Trento.
   Cosi' deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte  costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 10 marzo 1997.
                        Il Presidente: Granata
                          Il redattore: Vari
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 14 marzo 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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