N. 5 RICORSO PER LEGITTIMITA' COSTITUZIONALE 23 febbraio 1996
N. 5 Ricorso per questione di legittimita' costituzionale depositato in cancelleria il 23 febbraio 1996 (della provincia autonoma di Trento) Edilizia e urbanistica - Edilizia scolastica - Nuove norme in materia - Concessione di finanziamenti direttamente ai comuni - Assoggettamento della programmazione provinciale al controllo preventivo del Ministro della pubblica istruzione - Osservanza degli "indirizzi" formulati dall'Osservatorio per l'edilizia scolastica - Perentorieta' dei termini fissati per l'approvazione dei piani e dei progetti esecutivi - Controllo sostitutivo del Commissario del Governo - Adozione di norme tecniche da parte del Ministro dei lavori pubblici - Realizzazione delle articolazioni dell'Anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica conformemente agli indirizzi dell'Osservatorio - Lamentata violazione della competenza provinciale in materia di edilizia scolastica, viabilita', acquedotti e lavori pubblici di interesse provinciale, delle autonomia finanziaria - Lesione del principio di legalita' (in relazione all'esercizio della funzione statale di indirizzo e coordinamento), dei principi costituzionali concernenti l'esercizio dei poteri di controllo sostitutivo dello Stato, la leale collaborazione, i rapporti tra fonti statali e provinciali, la funzione statale di indirizzo e coordinamento - Riferimenti alle sentenze della Corte costituzionale nn. 150/1982, 139/1990, 355/1993, 124, 165 e 342/1994. (Legge 11 gennaio 1996, n. 23, artt. 4, 5 e 7, quarto comma). (Cost. artt. 97, primo comma e 116; statuto Trentino-Alto Adige, artt. 8, nn. 1, 17 e 28, 16; statuto Trentino Alto-Adige, titolo VI; d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266, artt. 2, 4 e 12; legge 30 novembre 1989, n. 386, art. 5).(GU n.20 del 15-5-1996 )
Ricorso per la provincia autonoma di Trento, in persona del presidente della Giunta provinciale pro-tempore dott. Carlo Andreotti, autorizzato con deliberazione della Giunta provinciale n. 1258 del 9 febbraio 1996 (all. 1), rappresentata e difesa - come da procura speciale del 13 febbraio 1996 (rep. n. 61795) rogata dal notaio dott. Pierluigi Mott del Collegio notarile di Trento e Rovereto (all. 2) - dagli avvocati Giandomenico Falcon di Padova e Luigi Manzi di Roma, con domicilio eletto in Roma presso lo studio dell'avv. Manzi, via Confalonieri 5, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri per la dichiarazione di illegittimita' costituzionale degli articoli 4; 5; 7, comma quarto; della legge 11 gennaio 1996, n. 23, Norme per l'edilizia scolastica, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 15 del 19 gennaio 1996, per violazione degli articoli 97, comma primo e 116 della Costituzione; e degli articoli 8, n. 1, n. 17 e n. 28; nonche' 16 dello Statuto e relative norme di attuazione; degli artt. 2 e 4 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266; del Titolo VI dello Statuto e dell'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 386, nonche' dell'art. 12 del d.lgs. 16 febbraio 1992, n. 268; del principio di leale collaborazione e delle altre regole e principi costituzionali relativi ai rapporti tra Stato e Regioni, anche e in particolare in relazione all'esercizio della funzione di indirizzo e coordinamento; per i profili e nei modi di seguito illustrati. Fatto La riccorrente provincia e' titolare di potesta' legislativa primaria e di potesta' amministrativa in materia di edilizia scolastica, previste dagli articoli 8, n. 28) e 16, comma primo, dello Statuto speciale di autonomia. D'altronde, tale attribuzione specifica affianca una generale competenza primaria in materia di lavori pubblici di interesse provinciale, prevista dal n. 17) dello stesso art. 8. Alle competenze statutarie in materia di edilizia scolastica e' stata data piena attuazione sin dal d.P.R. n. 687 del 1973, in base al quale "sono esercitate dalle provincie di Trento e di Bolzano, per il rispettivo territorio, le attribuzioni degli organi centrali e periferici dello Stato in materia di edilizia scolastica" (art. 5, comma primo). E nell'esercizio della propria potesta' legislativa la provincia di Trento ha emanato una ampia ed organica legislazione, in particolare con le ll.pp. n. 18 del 1972, n. 36 del 1974, n. 48 del 1975, n. 36 del 1976, n. 29 del 1986. La provincia ha inoltre autonomia finanziaria, comprensiva dell'autonomia nelle modalita' e procedure di spesa, secondo le disposizioni statutarie e secondo le disposizioni del Titolo VI dello Statuto, dell'art. 5 della legge 30 novembre 1989, n. 386, dell'art. 12 delle norme di attuazione emanate con d.lgs. n. 268 del 1992. Inoltre, sul piano generale dei rapporti tra legge statale e legge provinciale, e sulla autonomia provinciale nelle attivita' amministrative valgono altresi' le speciali garanzie attuative dello Statuto disposte dall'art. 2 e dall'art. 4 del d.lgs. n. 266 del 1992. Nella materia dell'edilizia scolastica interviene ora le legge statale qui impugnata n. 23 del 1996. Tale legge - approvata mediante il procedimento per commissione deliberante dalla Commissione cultura della Camera e dalla Commissione pubblica istruzione del Senato - contiene (articoli 1 - 7) una disciplina complessiva, in relazione alle finalita', agli interventi da realizzare, alle competenze degli enti locali, alla programmazione e procedura di attuazione, alla normazione tecnica, all'Osservatorio e all'Anagrafe dell'edilizia scolastica. La stessa legge contiene altre disposizioni, relative al trasferimento degli immobili e degli oneri ed alla copertura finanziaria (articoli 8 - 10). L'art. 11 riguarda specificamente la posizione delle Regioni (e delle province autonome). Esso si intitola (in modo del tutto riduttivo) Norme integrative regionali e riguarda fondamentalmente le Regioni a statuto ordinario, chiamate a dare attuazione alle secifiche disposizioni della legge. Per quanto riguarda le regioni speciali e le provincie autonome, invece, il legislatore appare a prima vista pienamente rispettoso delle competenze costituzionali, dal momento che nella legge si precisa, al comma secondo dello stesso art. 11, che tali istituzioni "provvedono alle finalita' della presente legge in base allo statuto speiciale di autonomia e alle relative norme di attuazione, nel rispetto della normativa vigente in materia di lavori pubblici". Tale disposizione, infatti, fa salve le regole statutarie delle autonomie speciali, ed in definitiva in larga misura le eccettua dalla disciplina generale della legge. Ed e' chiaro che la "salvezza" non investe soltanto i soggetti regioni speciali e provincie autonome, ma riguarda invece gli ordinamenti giuridici e i fasci di competenze che ad esse fanno capo: e dunque anche il sistema di relazioni con gli enti locali nelle diverse materie, ed in questo caso nell'edilizia scolastica. Se dunque la legge n. 23 del 1996 limitasse a tali disposti i propri riferimenti alle provincie autonome, essa le rinvierebbe alle regole costituzionali, statutarie e attuative sopra enunciate, e non vi sarebbe ragione alcuna di impugnazione. Il fatto e' pero' che nel corpo della legge n. 23 vi sono altre disposizioni, rispetto alle quali e' impossibile l'applicazione della clausola generale di salvezza delle loro attribuzioni (e l'applicazione delle regole statutarie), perche' tali disposizioni espressamente e letteralmente si riferiscono anche alle autonomie speciali, e segnatamente alla provincia autonoma di Trento. Si tratta del comma nono dell'art. 4, del comma secondo dell'art. 5, del comma quarto dell'art. 7. Da tali specifici commi appare in modo inequivocabile che gli articoli di legge che li contengono sono destinati, nell'intenzione del legislatore, ad applicarsi anche agli enti territoriali trentini ed alla stessa provincia autonoma di Trento. Sennonche', tali disposizioni inseriscono la provincia in un sistema finanziario, normativo e amministrativo del tutto incompatibile con le accennate regole statutarie, e percio' appaiono violare le corrispondenti autonomie ad essa costituzionalmente garantite, per le seguenti ragioni di Diritto 1. Illegittimita' costituzionale dell'art. 4. In via principale: a) In quanto si applica alla provincia autonoma di Trento ed agli enti territoriali trentini. Come ricordato in narrativa, la ricorrente provincia non solo ha nella materia potesta' legislativa primaria e potesta' amministrativa, ma gode altresi' di autonomia finanziaria nei termini assicurati dallo Satuto di autonomia e dalla normativa attuativa. In particolare, l'art. 5 comma secondo, della legge 30 novembre 1989, n. 386, dispone che "i finanziamenti recati da qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle provincie autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere utilizzati, secondo normative provinciali, nell'ambito del corrispondente settore". Ed il comma terzo dello stesso articolo precisa che "per l'assegnazione e l'erogazione dei finanziamenti ... si prescinde da qualunque adempimento previsto dalle stesse leggi (cioe': le leggi statali che li dispongono) ad eccezione di quelli relativi all'individuazione dei parametri o delle quote di riparto". Giovera' ricordare che, nonostante si tratti di legge ordinaria, tali disposizioni hanno "carattere di norma di attuazione", e non possono essere modificate al di fuori dell'apposito procedimento, secondo quanto stabilito da codesta Ecc.ma Corte costituzionale con sentenza n. 165 del 1994. D'altronde, la normativa in questione e' stata espressamente confermata dalla norma di attuazione di cui all'art. 12 del d.lgs. n. 268 del 1992, che ha precisato che "le disposizioni in ordine alle procedure e alla destinazione dei fondi di cui all'art. 5, commi secondo e terzo, della legge 30 novembre 1989, n. 386, si applicano, con riferimento alle leggi statali di intervento ivi previste, anche se le stesse non sono richiamate". Ed il comma terzo ulteriormente ribadisce che le somme cosi' assegnate "sono erogate in una o piu' soluzioni, prescindendo da qualunque altro adempimento". Il quadro ora descritto risulta confermato e rafforzato, su un piano piu' generale, dall'art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992: in base al quale in nessun caso la disciplina provinciale di una materia viene sostituita da una sopravvenuta legislazione statale, ma il rapporto tra le due fonti si pone in termini di obbligo di adeguamento entro termini stabiliti. Vi sono, e' vero,' eccezioni che le stesse norme di attuazione prevedono al regime generale di inapplicabilita', ma tali eccezioni riguardano soltanto le leggi costituzionali, le norme internazionali e comunitarie direttamente applicabili, le leggi in materia di potesta' legislativa integrativa o solo delegata alle province, le ordinanze amministrative in casi di eccezionale necessita' ed urgenza. Ed e' evidente che nessuna di tali eccezioni ricorre nel presente caso. Ancora, le norme di attuazione espressamente interdicono allo Stato lo svolgimento di qualunque attivita' amministrativa statale, in particolare prescrivendo che "le amministrazioni statali, comprese quelle autonome, e gli enti dipendenti dallo Stato non possono disporre spese ne' concedere, direttamente o indirettamente, finanziamenti o contributi per attivita' nell'ambito del territorio regionale o provinciale" (art. 4 comma terzo). Si ricordi poi, per completezza, che il divieto di diretta spesa dello Stato completa e non contraddice il dovere di trasferire alla provincia i fondi per le specifiche azioni delle leggi di settore (cfr. sent. n. 165 del 1994). Con tali disposizioni contrastano irrimediabilmente molteplici disposizioni dell'art. 4 (relativo a Programmazione, procedure di attuazione e finanziamento degli interventi), in quanto sono applicabili alla provincia. Conviene precisare che la contestazione non riguarda quella parte del comma terzo nella quale si dispone che entro il termine indicato "il Ministro della pubblica istruzione, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, stabilisce i criteri per la ripartizione dei fondi fra le regioni" ed "indica le somme disponibili nel primo triennio". Sinche' infatti si parli di ripartizione dello stanziamento tra le regioni, la disposizione puo' apparire conforme alla Costituzione ed allo Statuto, ed anzi costituire la necessaria premessa dell'applicazione dell'art. 5, comma secondo, della legge 30 novembre 1989, n. 386 (secondo il quale, come detto, "i finanziamenti recati da qualunque altra disposizione di legge statale, in cui sia previsto il riparto o l'utilizzo a favore delle regioni, sono assegnati alle province autonome ed affluiscono al bilancio delle stesse per essere utilizzati, secondo normative provinciali, nell'ambito del corrispondente settore". Sin qui, dunque, il combinato disposto della specifica legge e delle disposizioni generali potrebbe produrre il risultato di assegnare le somme disponibili per la provincia di Trento per l'edilizia scolastica al bilancio provinciale, per essere utilizzate nell'ambito della normativa provinciale di settore. Sennonche' il comma nono, disposta la "perentorieta'" dei termini di cui ai commi quarto, quinto, settimo e ottavo (termini assegnati sia alle regioni che agli enti locali territoriali), stabilisce altresi' che in caso di mancato tempestivo adempimento degli enti territoriali "provvedono automaticamente in via sostitutiva le regioni o le province autonome di Trento e di Bolzano", e che inoltre "decorsi trenta giorni, in caso di inadempienza delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano, provvede automaticamente in via sostitutiva il commissario del Governo". Tali disposizioni comportano dunque inopinatamente l'inserimento della provincia autonoma di Trento nel meccanismo normativo e finanziario costituito dall'art. 4 della legge n. 23 del 1996: sia quanto ai termini di elaborazione degli atti, sia quanto agli adempimenti procedimentali, sia, quanto alla stessa articolazione e contenuti specifici dei diversi piani e programmi, sia infine (ed esplicitamente) nell'assoggettamento al meccanismo sostitutivo da parte del Commissario del Governo. Ma tale assoggettamento comporta con evidenza: la violazione del principio secondo il quale i fondi di cui leggi statali di intervento settoriale prevedono l'utilizzo da parte delle regioni sono acquisiti (per la parte di competenza) al bilancio provinciale per esservi spesi in base alla disciplina provinciale (art. 5, comma secondo, della legge 30 novembre 1989, n. 386, e art. 12 del d.lgs. n. 268 del 1992), essendo palese che applicando l'art. 4 della legge n. 23/96 i finanziamenti in questione verrebbero utilizzati secondo la normativa statale e non secondo quella provinciale; la violazione del principio dell'operativita' delle leggi statali nelle materie provinciali solo attraverso la legislazione provinciale (art. 2 d.lgs. n. 266 del 1992), per la stessa ragione; la violazione del divieto di spesa statale diretta o attraverso enti o aziende statali nei settori di attivita' amministrativa provinciale (art. 4 d.lgs. n. 266 del 1992). Dunque, commisurata al sistema formato dallo statuto e dalle norme di attuazione, l'inserimento degli enti territoriali e della stessa provincia autonoma di Trento nel meccanismo normativo ed operativo della legislazione statale appare di per se' lesivo ed illegittimo per contrasto con norme di rango costituzionale ed attuativo. La ricorrente chiede percio' una pronuncia che dichiari l'illegittimita' del comma nono in quanto si riferisce alla provincia autonoma di Trento, e sancisca di conseguenza la piena applicazione dei meccanismi statutari, nei termini sopra esposti; b) Ulteriore illegittimita' dello stesso comma nono, in quanto prevede per le regioni e province autonome l'obbligo di intervenire automaticamente in via sostitutiva degli enti territoriali. Oltre a determinare l'applicazione alla provincia dell'intero meccanismo dell'art. 4, il comma nono prevede un obbligo sostitutivo delle regioni e province autonome per il caso di mancato rispetto dei termini (rispettivamente di 180 e 120 giorni) dati agli enti locali territoriali per la progettazione esecutiva e per l'affidamento dei lavori. Si dispone infatti che "qualora gli enti territoriali non provvedano agli adempimenti di loro competenza, provvedono automaticamente in via sostitutiva le regioni e le province autonome". In sostanza, le regioni e province autonome devono attivarsi in via sostitutiva rispetto agli enti territoriali dopo il decorso dei termini loro concessi: termini anch'essi "perentori", che comportano l'"automatica" sostituzione. Questo meccanismo, che obbliga alla sostituzione, impedendo loro di valutare quale nel caso e nella situazione specifica sia il modo migliore e piu' rapido, e collegando tale obbligo all'automatico decorrere di un termine perentorio, contraddice anch'esso in primo luogo la speciale autonomia assegnata alla provincia di Trento, come sopra gia' illustrato. Ma accanto a cio', esso risulta lesivo altresi' del principio di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 97 Cost. In realta', non e' detto affatto che in tutti i casi il modo migliore di rimediare all'inerzia sia lo spostamento della competenza verso l'amministrazione provinciale, potendo darsi (ed anzi essendo probabile) il caso che l'ente locale sia in grado di provvedere entro pochi giorni dalla scadenza del termine, se solo diffidato ed eventualmente in cio' assistito. Ma cio' non puo' valutarsi altro che con una flessibilita' che la legge statale non consente; c) Specifica illegittimita' costituzionale della parte finale del comma nono in quanto assegna un potere sostitutivo automatico al Commissario del Governo in funzioni amministrative provinciali. Sempre in via principale va rilevata la specifica illegittimita' costituzionale della parte finale del comma nono, ove si dispone che "decorsi trenta giorni, in caso di inadempienza delle regioni o delle province autonome di Trento e di Bolzano, provvede automaticamente in via sostitutiva il commissario del Governo". L'illegittimita' costituzionale appare macroscopica sotto diversi profili. Intanto tale disposizione comporterebbe essa stessa una diretta attivita' amministrativa statale nella provincia autonoma di Trento, il che e' gia' escluso dalle disposizioni sopra ricordate. In secondo luogo, la previsione di un potere sostitutivo statale da un lato espressamente definito come "automatico", dall'altro collegato ad un termine assurdamente breve appare solo percio' costituzionalmente illegittimo. Da un lato infatti l'automatismo non consente quel dialogo tra Stato e regioni e province autonome sulle ragioni del ritardo e sui tempi necessari, in violazione del principio di leale collaborazione. Dall'altro non si puo' non considerare che secondo la legge le regioni e province autonome avrebbero trenta giorni per fare, in una situazione di evidente difficolta', cio' che gli enti territoriali direttamente interessati non sono riusciti a fare in 180 o 120 giorni. Anche in questo caso sembra evidente la lesione dell'autonomia amministrativa costituzionalmente garantita a tali enti, nonche' del principio di buon andamento dell'amministrazione. La lesione sarebbe poi ancora piu' enorme se il potere sostitutivo statale dovesse intendersi come riferito non solo all'inerzia regionale e provinciale nel sostituirsi a propria volta agli enti territoriali, ma anche all'eventuale ritardo regionale nell'approvazione dei piani di cui al comma quarto. Infine, del tutto evidente e' l'illegittimita' costituzionale della attribuzione della competenza sostitutiva al Commissario del Governo. E' pacifico infatti nella giurisprudenza costituzionale che - nel vigente quadro posto dalla Costituzione - poteri sostitutivi nei confronti delle attivita' amministrative di competenza regionale "possono essere attribuiti soltanto ad organi di Governo" e che "tali non sono i Commissari" (sent. n. 342 del 1994, con richiamo alle sentt. 43/1992, 386/1991, 117/1988). 2. - Ulteriori specifiche illegittimita' costituzionali dell'art. 4 in relazione al suo contenuto. In via subor-dinata. Altre censure relative all'art. 4 investono direttamente i singoli meccanismi da esso stabiliti. Poiche' l'interesse della provincia si fonda sulla loro applicabilita' anche ad essa, e tale applicabilita' verrebbe meno in caso di accoglimento della censura principale, essi sono qui formulati in via subordinata, ove in denegata ipotesi la censura principale non risultasse accolta. a) Illegittimita' costituzionale del comma terzo in quanto, in violazione del principio di legalita' sostanziale demanda un potere generale di indirizzo al Ministro della pubblica istruzione. Secondo il comma terzo dell'art. 4 il Ministro della pubblica istruzione, entro 30 giorni dall'entrata in vigore della legge (ma il termine non ha carattere perentorio) provvede con proprio decreto (sentita la Conferenza Stato-regioni) a fissare "gli indirizzi volti ad assicurare il coordinamento degli interventi ai fini della programmazione scolastica nazionale". Ora, tale disposizione da un lato viola il principio di collegialita' governativa degli atti di indirizzo e coordinamento delle attivita' amministrative delle regioni, principio codificato dall'art. 2, comma terzo, lett. d) della legge n. 400 del 1988, in attuazione di "un principio desumibile dalla Costituzione" (come stabilito nella sent. n. 124 del 1994, punto 17 in diritto), e vincolante lo stesso legislatore statale; come dall'altro viola il principio di legalita' sostanziale degli atti di indirizzo e coordinamento piu' volte riconosciuto da codesta ecc.ma Corte costituzionale a partire dalla sentenza n. 150 del 1982. La disposizione in esame, infatti, non contiene nessuna indicazione sul contenuto possibile o necessario dell'atto, limitandosi a riportarne in modo generico e tautologico la finalita' (indirizzo a fini di coordinamento programmatorio). Puo' essere fatto qui richiamo alla decisione di codesta ecc.ma Corte n. 355 del 1993, che ha sancito l'illegittimita' costituzionale di una disposizione che nel disporre un potere di indirizzo "si limita a definire gli oggetti che dovranno essere disciplinati", ma "non determina affatto i principi o gli orientamenti di massima destinati a delimitare la discrezionalita' del Governo nell'esercizio della funzione" (punto 21 in diritto). Si puo' solo aggiungere che nel presente caso la disposizione legislativa non definisce neppure gli oggetti dell'atto di indirizzo, e che certamente i vizi della disposizione non possono considerarsi corretti dal mero obbligo procedurale di "sentire" la conferenza Stato-regioni. b) Illegittimita' del comma nono, in quanto prevede la perentorieta' del termine dato alle regioni e province autonome per l'approvazione e trasmissione al Ministero dei piani generali triennali per l'edilizia scolastica e in quanto prevede un potere sostitutivo automatico dello Stato, assegnato inoltre al Commissario del Governo. Il comma quarto dell'art. 4 prevede che "le regioni, entro novanta giorni dalla data di pubblicazione" del decreto ministeriale per la ripartizione dei fondi, "approvano e trasmettono al Ministro della pubblica istruzione i piani generali triennali contenenti i progetti preliminari, la valutazione dei costi e l'indicazione degli enti territoriali competenti per i singoli interventi". Si dispone inoltre che "entro la stessa data le regioni approvano i piani annuali relativi al triennio" (cioe', sembra, i piani annuali per l'intero triennio). Ed il comma nono dello stesso articolo stabilisce il carattere perentorio di tale termine. Ora, risulta del tutto evidente che si tratta di una attivita' programmatoria ampia e complessa, che necessita di raccordi tra una pluralita' di diversi enti ed amministrazioni, la quale non puo' affatto - senza violazione dell'autonomia amministrativa e dello stesso art. 97 Cost., essere compressa nel termine perentorio di novanta giorni. L'illegittimita' costituzionale sarebbe poi aggravata se si dovesse intendere che il potere sostitutivo previsto dallo stesso comma nono, disponendo che "decorsi trenta giorni, in caso di inadempienza delle regioni o delle provincie autonome di Trento e di Bolzano, provvede automaticamente in via sostitutiva il commissario del Governo" si applica non, o non solo, all'attivita' regionale da compiersi in caso di inerzia degli enti locali, ma alla stessa attivita' regionale di programmazione. Per vero, tale interpretazione sembra contraddetta dalla consecutivita' della frase ora riportata rispetto all'obbligo regionale e provinciale di subentrare in via sostitutiva agli enti locali, ed anche dalla previsione del termine di 30 giorni: previsione che ha un senso (pur essendo comunque insufficiente) se riferito all'inerzia delle regioni e province autonome nel provvedere in via sostitutiva, ma non ha senso alcuno se riferito all'attivita' di cui al comma quarto, dato che comunque le regioni e provincie autonome non potrebbero provvedere dopo la scadenza del termine perentorio. Si noti pero' che, escluso il potere sostitutivo statale, l'inutile decorso del termine "perentorio" determinerebbe la paralisi dell'intera legge, e la completa frustrazione del suo intento. Evidenti risultano dunque in ogni modo l'incostituzionalita' e l'irrazionalita' della legge. In ogni modo, sia il potere sostitutivo in se' considerato che la sua concreta disciplina appaiono lesivi dell'autonomia provinciale, nei termini gia' sopra illustrati. 3. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 5 in quanto assoggetta la provincia autonoma a cosiddette "norme tecniche quadro" costituenti in realta' una anomala forma di indirizzo e in quanto consente agli enti territoriali la provvisoria sostituzione della legislazione regionale con precedenti e superati indici ministeriali. Secondo l'art. 5, comma primo, il Ministro della pubblica istruzione (di concerto con quello dei lavori pubblici, tenuto conto delle proposte dell'Osservatorio per l'edilizia scolastica) "adotta, con proprio decreto, le norme tecniche-quadro, contenenti gli indici minimi e massimi di funzionalita' urbanistica, edilizia e didattica indispensabili a garantire indirizzi progettuali di riferimento adeguati ed omogenei sul territorio nazionale". Che tali indici siano destinati ad operare anche per la ricorrente provincia risulta chiaro dal comma secondo, ove si stabilisce che "le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto di cui al comma primo, approvano specifiche norme tecniche per la progettazione esecutiva degli interventi". La ricorrente provincia e' ben consapevole che codesta ecc.ma Corte costituzionale con costante giurisprudenza ha ammesso poteri statali di coordinamento tecnico, esonerandoli dai rigorosi requisiti elaborati per gli atti di indirizzo e coordinamento. Il fatto e' tuttavia che sotto la veste di norme tecniche-quadro (dizione gia' da se' contraddittoria, dato che se una norma e' tecnicamente vincolata non puo' avere carattere di "quadro", ma deve avere carattere strettamente oggettivo, valevole ovunque in virtu' di regole tecniche) e' qui prevista una sorta di normativa quadro di carattere urbanistico ed edilizio, in sovrapposizione alle corrispondenti normative regionali e provinciali. D'altronde, a riprova che tali normative fanno pienamente parte della competenza costituzionale della provincia autonoma, si consideri che essa gia' con decreto del presidente della Giunta provinciale 9 agosto 1976, n. 17-69 ha approvato le Norme relative agli indici di funzionalita' didattica, ai diversi modelli edilizi e alle componenti costruttive per i diversi tipi di scuola, norme che vengono applicate oramai da circa venti anni, e che perfettamente corrispondono alle esigenze specifiche del territorio provinciale: sicche' un sistema normativo da tempo stabilito e perfettamente "funzionante verrebbe sconvolto da normative nazionali del tutto avulse dal contesto locale. Un intervento statale sul punto dovrebbe avere piuttosto carattere orientativo, rivolto a mettere a disposizione di tutte le regioni le esperienze piu' significative, vincolante semmai nei risultati che devono essere conseguiti, nella logica degli atti di indirizzo, senza pero' produrre un sistema normativo autonomo e sostitutivo di quello provinciale attualmente in vigore. Si noti poi che il comma terzo dell'art. 5 stabilisce che in sede di prima applicazione e fino all'approvazione delle norme regionali di cui al comma secondo, possono essere assunti quali indici di riferimento quelli contenuti nel decreto del Ministro dei lavori pubblici 18 novembre 1975". Ora, se il legislatore avesse statuito che nell'attesa delle nuove norme, si puo' fare riferimento a quelle sinora vigenti non vi sarebbe alcun problema. Ma nella sua formulazione letterale la disposizione statale impone di fare riferimento allo specifico decreto del Ministro dei lavori pubblici 18 novembre 1975: ovvero ad una normativa che, in provincia di Trento, non e' piu' vigente sin dal 1976, essendo stata superata - in diritto e in fatto - dalla successiva normativa cui si e' ora fatto riferimento. Ed e' palese l'assurdita' e l'incongruenza di consentire agli enti territoriali trentini (o addirittura costringerli) a ritornare alla precedente normativa, la cui inadeguatezza attuale e' in sostanza riconosciuta dallo stesso articolo di cui si tratta, ponendo irragionevolmente ed illegittimamente nel nulla la specifica normativa trentina. 4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 7 comma quarto, in connessione con il comma primo, in quanto impone alle province autonome di realizzare articolazioni dell'Anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica in base ad indirizzi definiti dall'Osservatorio per l'edilizia scolastica. L'art. 7 prevede la realizzazione di una anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica. Tale anagrafe si articola per regioni, ed il comma quarto impone ad esse, ed alle province autonome, di realizzare "le rispettive articolazioni dell'anagrafe nazionale... in base agli indirizzi definiti dall'Osservatorio per l'edilizia scolastica". E' opportuno precisare che la ricorrente provincia non contesta affatto la realizzazione di una anagrafe nazionale dell'edilizia scolastica, intesa come insieme di elementi conoscitivi diretti, come afferma il comma primo "ad accertare la consistenza, la situazione e la funzionalita' del patrimonio edilizio scolastico". Ne' la provincia contesta il dovere di fornire i dati relativi al proprio territorio secondo "la metodologia e le modalita' di rilevazione" determinata dal Ministro ai sensi del comma secondo: essendo ovvio e da condividere che la rilevazione e l'elaborazione dei dati puo' condurre a risultati significativi soltanto sulla base di una metodologia unitaria. Nella determinazione delle metodologie puo' infatti vedersi la manifestazione di un vero coordinamento tecnico, quale ritenuto ammissibile da codesta ecc.ma Corte costituzionale, con riferimento alle metodologie statistiche, con sent. n. 139 del 1990. Cio' che invece, ad avviso della ricorrente, viola le prerogative assicurate dalla Costituzione e dallo Statuto di autonomia e' l'interferenza con l'organizzazione degli uffici provinciali determinata dall'obbligo di istituire una "articolazione" dell'anagrafe, e di organizzarla "in base agli indirizzi definiti dall'Osservatorio". In primo luogo deve contestarsi l'obbligo di costituire l'articolazione locale dell'anagrafe nazionale, obbligo che contraddice la liberta' organizzativa della provincia. Con la sentenza n. 139 del 1990, in tema di uffici di statistica, codesta ecc.ma Corte ha statuito che il vincolo alla costituzione in ogni regione di tale ufficio poteva giustificarsi sulla base di un interesse infrazionabile ed imperativo, dato che "non puo' darsi un sistema statistico integrato su base nazionale, ne' comunque puo' pensarsi che esso possa funzionare adeguatamente, in mancanza di uffici statistici operanti al livello delle regioni o delle province autonome (punto 2 in diritto). Solo percio' tale vincolo ha superato "quel rigoroso scrutinio che legittima la compressione dell'autonomia costituzionalmente garantita alle regioni". Nel caso delle articolazioni dell'anagrafe dell'edilizia scolastica non si puo' certo dire altrettanto. Del tutto assenti sono quella complessita', capillarita' e costanza delle rilevazioni che rendono necessario il contatto quotidiano tra struttura centrale e nodi periferici del servizio di statistica, e prima ancora l'esistenza di questi nodi come stabile interfaccia della struttura centrale. Evidente risulta invece che l'anagrafe dell'edilizia scolastica e' semplicemente un archivio centrale di dati, costituito sulla base di informazioni locali. A riprova si consideri che la legge n. 109 del 1994, in tema di lavori pubblici, ha bensi' costituito un apposito Osservatorio, ma non ha affatto previsto un sistema integrato basato su uffici statali e uffici regionali sezionalmente unificati, ma ha correttamente previsto (art. 4, comma quindicesimo) che esso opera in collegamento con analoghi sistemi di osservazione delle altre amministrazioni, ed in particolare delle regioni. Sembra palese che il sottosistema dell'edilizia scolastica, per quanto importante possa essere, non ha alcuna ragione di organizzarsi in ordinamento sezionale paragonabile a quello del Servizio statistico nazionale. D'altronde, mentre l'ufficio di statistica puo' organizzarsi in forma relativamente autonoma e separata nell'apparato amministrativo provinciale, l'articolazione dell'anagrafe non lo potrebbe per evidenti ragioni dimensionali, e si tradurrebbe soltanto in una forma di codipendenza di uffici provinciali, in violazione della piena ed esclusiva capacita' della Provincia di disporre del proprio ordinamento degli uffici, sancita dall'art. 8, n. 1) dello Statuto. A maggior ragione risulta poi illegittimo l'obbligo di costituire le articolazioni dell'anagrafe realizzare "in base agli indirizzi definiti dall'Osservatorio per l'edilizia scolastica". Si noti che tali indirizzi non possono avere che carattere amministrativo-organizzativo, dato che tutto quanto riguarda le metodologie e le modalita' di rilevazione e' oggetto di autonomo e diverso potere ministeriale. Evidente e' dunque la lesivita' di un simile potere di indirizzo, che non sarebbe ammissibile neppure se attribuito agli organi di Governo, neppure se fossero specificati (di nuovo in base al principio di legalita' sostanziale) l'oggetto degli indirizzi ed i criteri cui attenersi. Qui invece manca la ragione, manca la legittimazione dell'organo investito, manca la definizione dell'oggetto e mancano i criteri di esercizio.
Tutto cio' premesso, la ricorrente, provincia autonoma di Trento, come sopra rappresentata e difesa chiede voglia l'eccellentissima Corte costituzionale dichiarare l'illegittimita' costituzionale degli articoli e disposizioni impugnati, per violazione della Costituzione e dello Statuto di autonomia, cosi' come indicato in premessa ed illustrato nel ricorso. Padova-Roma, addi' 16 febbraio 1996 Avv. prof. Falcon - Avv. Manzi 96C0293