N. 214 ORDINANZA (Atto di promovimento) 19 giugno 1995- 14 febbraio 1996

                                N. 214
   Ordinanza   emessa   il   19  giugno  1995  (pervenuta  alla  Corte
 costituzionale il  14  febbraio  1996)  dal  tribunale  di  Catanzaro
 sull'istanza proposta da Drago Carlo
 Processo  penale - Misure cautelari personali (nella specie: custodia
    cautelare in carcere) - Riesame a seguito di rinvio da parte della
    Corte di cassazione - Sopravvenuta emissione del decreto di rinvio
    a  giudizio  -  Impossibilita'  del  controllo,  sia  formale  che
    sostanziale,  sulla  persistenza  del  requisito  della  "gravita'
    indiziaria di colpevolezza" ai fini del  mantenimento  del  regime
    cautelare  -  Irragionevole disparita' di trattamento tra indagati
    ed imputati, nonche' tra imputati a seconda della fase processuale
    in cui si trovino - Lesione del principio di obbligatorieta' della
    motivazione per i provvedimenti relativi alla liberta' personale -
    Compressione del diritto di difesa - Mancata garanzia della tutela
    di legittimita' contro i provvedimenti  incidenti  sulla  liberta'
    personale.
 (C.P.P. 1988, artt. 309, 311, 425 e 429).
 (Cost., artt. 3, 13, secondo comma, 24, secondo comma, e 111, secondo
 comma).
(GU n.11 del 13-3-1996 )
                             IL TRIBUNALE
   Ha  deliberato  la  seguente ordinanza nel procedimento iscritto al
 numero 414 del registro delle  impugnazioni  delle  misure  cautelari
 personali dell'anno 1995;
   In  sede  di rinvio dalla Corte suprema di cassazione e sul riesame
 proposto da Drago Carlo, avverso la  ordinanza  7  ottobre  1994,  di
 applicazione della misura cautelare della custodia in carcere, emessa
 dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il tribunale di
 Catanzaro;
   Esaminati gli atti di causa;
   Udito il relatore;
                            P r e m e t t e
   Con ordinanza in data 7 ottobre 1994 il  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  questo  tribunale  emetteva, in fase processuale
 (per l'intervenuto esercizio dell'azione penale mediante richiesta di
 rinvio a giudizio), ordinanza di custodia cautelare  in  carcere  nei
 confronti  di  108  imputati,  tra i quali Drago Carlo, in relazione,
 quanto a costui, ai reati di cui agli articoli 416-bis del c.p., 110,
 112 n. 1 e 575 del c.p., 10, 12 e 14 della legge n. 497/1974.
   Con ordinanza 29 ottobre 1994, questo  tribunale,  in  accoglimento
 del proposto riesame, revocava il provvedimento restrittivo.
   La  Corte  suprema,  adita  dal  p.m.,  con sentenza 14 marzo 1995,
 annullava la citata ordinanza, con rinvio per nuovo esame.
   Ha  evidenziato  la  Corte  "carenza  e manifesta illogicita' della
 motivazione", perche' erroneamente era stato assunto che:
     la prognosi di probabilita' colpevolistica imponeva la  "identica
 modulazione valutativa" ex art. 192 del c.p.p.;
     la  chiamata in correita' era affetta da "genetica presunzione di
 inattendibilita'";
   e perche':
     era stato omesso il vaglio dei riscontri contenuti nei  fascicoli
 allegati;
   mentre, in relazione alla specifica posizione del Drago:
     non   era  stata  verificata  la  attendibilita'  intrinseca  del
 racconto dei collaboranti;
     non  si  era  tenuto  conto  dei   riscontri   costituiti   dalle
 dichiarazioni   "incrociate"   e   dagli   accertamenti   di  polizia
 giudiziaria (oltre alle contrastanti dichiarazioni  del  De  Rose  ed
 alla intervenuta revoca in favore del coimputato Pino, per l'omicidio
 in danno del Lorenzo).
   In proposito, aveva puntualizzato questo giudice:
     che gli indizi richiesti dall'art. 273, ai fini della adozione di
 una  misura  cautelare, divergevano da quelli indicati dall'art.  192
 del c.p.p., risolvendosi in "qualsiasi elemento  di  prova  acquisito
 agli atti";
     che  la  prognosi  di  probabilita'  colpevolistica  imponeva  la
 medesima   modulazione   valutativa,   qualunque   fosse   lo   stato
 dell'indagine (e non invece, rispetto alla prova di responsabilita'),
 fermo il fatto che, nel caso in esame, le indagini erano concluse con
 la avvenuta formulazione dell'accusa;
     che  la  (mera) chiamata in correita' non era idonea a soggerrere
 il quadro di gravita' indiziaria, occorrendo  anche  la  presenza  di
 necessari riscontri;
     che  la  fonte  dichiarativa difettava di "contenuti espositivi",
 essendosi, (e peraltro, una su quattro  collaboratori),  limitata  ad
 indicare  (tra  una  serie  di  elenchi,  nemmeno  coincidenti  nelle
 rispettive dichiarazioni) "il nome" del Drago, senza nulla aggiungere
 sul "fatto partecipativo";
     che, di conseguenza, era  parso  inutile  ogni  ulteriore  vaglio
 sulla attendibilita' dei collaboratori e sulla ricerca dei riscontri,
 limitandosi,  peraltro, le allegazioni di polizia, a dati informativi
 di tipo prevenzionale.
   Occorre, ora, prendere atto che, con  decreto  4  maggio  1995,  il
 giudice  per le indagini preliminari ha disposto il rinvio a giudizio
 del Drago per i delitti ascittigli.
   Tanto premesso, e senza alcuna necessita' di rifissazione di udenza
 camerale, per evidenti ragioni di economia processuale.
                              R i l e v a
   E' noto l'orientamento giurisprudenziale, secondo il quale: "Attesa
 l'intervenuta modifica dell'art. 425 del c.p.p., dal cui  testo,  per
 effetto  della  legge  8  aprile  1993, n. 105, e' stata eliminata la
 parola "evidente"  (riferita  alla  presenza  delle  condizioni  che,
 all'esito    dell'udienza   preliminare,   debbono   dar   luogo   al
 proscioglimento dell'imputato), deve ritenersi nuovamente vigente  il
 principio,  gia' affermato nella vigenza del codice abrogato, secondo
 il quale, in tema di provvedimenti riguardanti la liberta'  personale
 dell'imputato,  l'avvenuto  rinvio  a giudizio di costui si pone come
 motivo di preclusione in ordine alla proposizione e all'esame di ogni
 questione   attinente   alla   sussistenza   dei   gravi   indizi  di
 colpevolezza" (cfr., da ultimo, Cass. sez. V, 5 maggio 1994, n. 1652,
 Bonifati ed altri, a conferma di  un  orientamento  prevalente  della
 Cassazione,   in  specie  dopo  la  abolizione  del  requisito  della
 "evidenza"  probatoria  ai  fini  del  rinvio   a   giudizio;   cfr.,
 anteriormente  e  tra  le  piu' recenti, Cass., sez V, 17 marzo 1994,
 Morando e, sez I, 12 febbraio 1994, n. 5196, Russo).
   In linea con il citato indirizzo (ed in relazione a  casi  diversi,
 ma ugualmente significativi), le due pronunce che seguono:
     A)  "Detto  principio  non soffre deroga nemmeno nel caso in cui,
 intervenuta sentenza di condanna, questa, in  sede  di  legittimita',
 sia  stata  annullata  con  rinvio  per  difetto  di motivazione, non
 comportando  una  tale  pronuncia  il  venir  meno  degli  indizi  di
 colpevolezza  che  a  suo  tempo  avevano  determinato  il  rinvio  a
 giudizio" (Cass., sez I, 7 gennaio 1994, n. 5120, Bontempo Scavo);
     B) "E'  invece  possibile,  anche  successivamente  al  rinvio  a
 giudizio,  rimettere  in discussione il principio, allorquando si sia
 in presenza di fatti nuovi o sopravvenuti che, per cio'  stesso,  non
 vengono  ad essere in contrasto con la intervenuta decisione" (Cass.,
 sez I, 4 febbraio 1994, n. 5257, Mancion).
   La forza  dell'evidenziato  principio  trova,  dunque,  il  proprio
 fondamento in due argomenti di non trascurabile rilievo:
     1)  la  introduzione  della  modifica  legislativa alla regola di
 giudizio per la emissione del decreto dispositivo del  giudizio,  con
 la  conseguenza  che  la soppressione dell'inciso "evidente" (dopo il
 verbo "risulta") postulando "la insussistenza di  elementi  denotanti
 una  situazione  di  incolpevolezza  o  di  impunita' dell'imputato",
 comporta che "gli elementi di colpevolezza, la  cui  sussistenza  per
 definizione  normativa,  costituisce  motivo  di  legittimazione  del
 provvedimento di rinvio a giudizio, si rendono valutabili  nuovamente
 soltanto all'esito delle indagini dibattimentali";
     2)  la  rivalutazione  della disciplina del rinvio a giudizio nei
 termini  fissati  dall'art.  374  del  c.p.p.  abrogato,  laddove  la
 giurisprudenza  era  consolidata nell'escludere, una volta emanata la
 ordinanza di rinvio a giudizio, qualsiasi discussione sul  fondamento
 dell'accusa,   sulla  qualificazione  giuridica  del  fatto  e  sulla
 sufficienza  degli   indizi:   conseguentemente,   le   contestazioni
 contenute  in  tale  ordinanza  non  erano modificabili ai fini della
 pronuncia sulla liberta' personale e quindi non erano sindacabili  in
 sede processuale dibattimentale.
   La  forza  del principio rende necessitato il ricorso alla verifica
 di costituzionalita'.
   La questione e' rilevante poiche' la norma di  cui  si  segnala  la
 incostituzionalita'   (il  disposto  degli  articoli  311  e  309  in
 relazione al combinato disposto degli articoli 425 e 429  del  c.p.p.
 nella  parte  in  cui,  alla  stregua dell'orientamento esaminato, e'
 consentito  omettere  la  motivazione  sul  requisito  di   "gravita'
 indiziaria  di  colpevolezza"  e,  correlativamente, e' precluso ogni
 controllo, sia formale che sostanziale, sul punto, in sede di riesame
 e di rinvio, per nuovo esame) e' di immediata e diretta  applicazione
 nel procedimento.
   La questione non e' manifestamente infondata.
   La riforma del 1993, abolitiva del requisito della "evidenza" posto
 dall'art.  425  del  c.p.p.,  non  ha,  in  effetti,  delineato alcun
 parametro sui poteri valutativi del giudice a conclusione della  fase
 processuale preliminare.
   Non   solo   nessun   dato  normativo  puo'  avallare  la  asserita
 coincidenza del criterio della gravita' indiziaria anche ai fini  del
 rinvio  a  giudizio,  quanto vi ostano precisi, e contrari, argomenti
 sistematici, all'interno del nuovo codice  e  nel  raffronto  con  il
 vecchio regime.
   1.  -  Incontroverso  che  la  valutazione del giudice dell'udienza
 preliminare non puo' fondarsi "sugli stessi parametri delibativi alla
 stregua dei quali il giudice del dibattimento e' chiamato a  decidere
 se  pronunciare  sentenza  di  proscioglimento  o di condanna" (cfr.,
 testualmente, Corte costituzionale sentenza n. 82/1993), ne  consegue
 che  il  criterio  decisorio  preliminare non puo' individuarsi nella
 "probabile  condanna  dell'imputato",  poiche'  la  prova  "idonea  a
 sostenere  una  futura  condanna"  e' soltanto quella che si presenti
 "non insufficiente" (in relazione alla completezza  investigativa)  e
 "non contraddittoria" in relazione al profilo valutativo), imponendo,
 al  contrario,  al  suddetto  giudice,  nel primo caso (di prova "non
 sufficiente"), la sollecitazione ad integrazione probatoria  ex  art.
 422  del  c.p.p.  e,  nel  secondo  (di  "prova contraddittoria"), la
 emanazione di sentenza di non luogo a procedere.
   Invece, la armonizzazione del sistema, nella combinata  valutazione
 dei criteri sottostanti alle disposizioni di cui agli artt. 429, 425,
 409  del  c.p.p.  e  125  disp.  att.,  stesso  codice, imporrebbe di
 ritenere che il rinvio a giudizio sia  legittimato  dalla  "idoneita'
 degli  elementi  acquisiti  nelle indagini preliminari a sostenere la
 accusa  nel  giudizio",  con  la  esclusione  di  una   prognosi   di
 colpevolezza.
   2.  -  Non  puo'  reggere,  parallelamente, la assimilazione con il
 vecchio "proscioglimento  istruttorio",  sia  perche'  la  istruzione
 "doveva"  essere  completa, sia perche', nel dubbio, era privilegiata
 la formula favorevole al giudicabile, secondo gli schemi propri di un
 superato modello inquisitorio.
   Oltretutto, la "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza"  impone  un
 vaglio  probatorio  critico  di  tasso  piu'  elevato  rispetto  alla
 "sufficienza probatoria", all'epoca reputata idonea per il  rinvio  a
 giudizio.
   3.  -  Il  procedimento  in  materia  cautelare  personale e' stato
 concepito in termini di autonomia rispetto a quello di merito, per la
 privilegiata garanzia del bene compresso (della liberta',  o  meglio,
 delle liberta' della persona) e per la specificita' valutativa.
   Nulla  esclude  che,  nel  rispetto  della separazione dei giudizi,
 l'imputato sia rinviato a giudizio in stato di liberta'.
   La  questione  si  prospetta,  come  parametro  costituzionale,  in
 relazione:
     a)  al  disposto  dell'art.  13, comma 2, della Costituzione, che
 pone   come   imprescindibile   la   presenza   di   "atto   motivato
 dell'autorita'  giudiziaria", quale titolo idoneo per la costituzione
 ed il mantenimento dello stato detentivo, mentre, nel caso in  esame,
 la   motivazione   sul  fondante  requisito  (della  verifica)  della
 sussistenza della "gravita' indiziaria di  colpevolezza"  sarebbe  ex
 lege superflua;
     b)  al  disposto  dell'art. 111, comma 2, della Costituzione, che
 salvaguarda la tutela di legittimita', contro i  provvedimenti  sulla
 liberta'   personale,   per   "violazione   di   legge",   violazione
 riscontrabile vieppiu' nel preliminare controllo  di  merito,  eppure
 preclusa, nel caso in esame, in virtu' di una presunzione assoluta di
 "probabile colpevolezza" insita nel decretato rinvio a giudizio;
     c)  al  disposto dell'art. 3 della Costituzione, per una evidente
 disparita' di trattamento, in contrasto con ogni coerenza sistematica
 e ragionevolezza normativa, sul tema primario di tutela  del  diritto
 di  liberta',  tra  indagati  ed  imputati e, per quel che interessa,
 anche tra imputati, avuto riguardo alla fase  processuale  precedente
 la  decisione  finale  di udienza preliminare e quella immediatamente
 successiva, fino alla emissione della sentenza conclusiva del  grado,
 in specie, laddove:
      la scelta operata dal p.m., del momento procedimentale nel quale
 azionare  la pretesa cautelare, e' insindacabile e non e' motivata da
 specifiche ragioni o dalla sopravvenienza di elementi  nuovi  che  ne
 sollecitino l'esercizio di un potere prima non ritenuto cogente;
      detta  scelta si coordina con una decisione preliminare, a tasso
 garantistico non ben definito (perche' un errore di prospettiva sulla
 utilita'  del  dibattimento   si   ripercuote   inevitabilmente   sul
 condizionato potere cautelare e senza che sia ammesso un controllo di
 merito,   ne'   sul   decreto  di  rinvio  a  giudizio,  notoriamente
 inoppugnabile,  eppure  del  tutto  immotivato  (a  differenza  della
 parallela  ordinanza  dell'abrogato  regime  processuale),  ne' sulla
 ordinanza cautelare, come si e' gia notato, altrettanto insindacabile
 nel  primario  e  fondante  requisito   sostanziale   di   "probabile
 colpevolezza";
     d)  al  disposto  dell'art.  24,  comma  2,  della  Costituzione,
 perche', per le ragioni gia' dette, restringendosi la sfera di tutela
 sulle  censure  proponibili  avverso   il   provvedimento   cautelare
 impugnato, ne resta ingiustificatamente ed aleatoriamente sacrificato
 il  diritto  di  difesa in relazione al bene primario della liberta',
 tanto piu' tutelabile, quanto piu' il sacrificio di esso si ponga con
 predominante   efficienza   e   senza   l'adeguato   controllo    sul
 corrispondente fondamento sostanziale di merito.
                               P. Q. M.
   Letti  ed  applicati  gli  articoli  1 della legge costituzionale 9
 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87;
   Dichiara rilevante  nel  presente  giudizio  e  non  manifestamente
 infondata  la questione di legittimita' costituzionale degli articoli
 309 e 311 del c.p.p., in relazione al comb. disp. degli articoli  425
 e  429  del  c.p.p., nella parte in cui precludono, dopo il decretato
 rinvio a giudizio, il controllo sulla sussistenza  del  requisito  di
 "gravita'  indiziaria  di  colpevolezza"  ai  fini della legittimita'
 della ordinanza custodiale, in relazione agli articoli 3,  13,  comma
 2, 24, comma 2, e 111, comma 2, della Costituzione.
   Ordina  che,  a  cura  della cancelleria, la presente ordinanza sia
 notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e  comunicata  ai
 Presidenti  del  Senato della Repubblica e della Camera dei deputati,
 oltre che alle parti;
   Sospende  il  procedimento  in  corso  e   dispone   la   immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale.
     Cosi' deciso in Catanzaro, addi 19 giugno 1995
                    Il presidente estensore: Baudi
 96C0312