N. 217 ORDINANZA (Atto di promovimento) 31 luglio 1995- 14 febbraio 1996
N. 217 Ordinanza emessa il 31 luglio 1995 (pervenuta alla Corte costituzionale il 14 febbraio 1996) dal tribunale di Catanzaro sull'istanza proposta da Lanzino Ettore Processo penale - Misure cautelari personali (nella specie: custodia cautelare in carcere) - Riesame del provvedimento applicativo - Impossibilita', secondo il diritto vivente, per il giudice di verificare, in caso di rinvio a giudizio (anche sopravvenuto), le condizioni di applicabilita' di dette misure in ordine ai gravi indizi di colpevolezza - Lesione dei principi di eguaglianza e di buon andamento dell'organizzazione della amministrazione della giustizia - Compressione del diritto di difesa. (C.P.P. 1988, art. 309). (Cost., artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, e 97, primo comma).(GU n.11 del 13-3-1996 )
IL TRIBUNALE Ha deliberato la seguente ordinanza nel procedimento iscritto al numero 451 del registro delle impugnazioni delle misure cautelari personali dell'anno 1995 e vertente Lanzino Ettore, nato a Luzzi il 16 febbraio 1955, residente in Cosenza alla contrada San Vito n. 16, in atto ristretto presso la Casa Circondariale di Cosenza; Imputato: A) del delitto di associazione di tipo mafioso ai sensi dell'art. 416-bis codice penale. In Cosenza e localita' circostanti, acc. fino al 22 aprile 1994; B) del delitto di associazione per delinquere ai sensi dell'art. 416 codice penale. In Cosenza e localita' circostanti tra gli anni settanta e ottanta; sulla richiesta di riesame dell'ordinanza di applicazione della misura cautelare coercitiva della custodia in carcere, emessa dal giudice per le indagini preliminari del tribunale ordinario di Catanzaro il 7 ottobre 1994; Esaminati gli atti di causa; Udito il presidente relatore; Premette che, con ordinanza 7 ottobre 1994, il giudice per le indagini preliminari presso il tribunale ordinario di Catanzaro, provvedendo ai termini dell'art. 328, comma 1-bis del c.p.p., ha applicato all'imputato, Lanzino Ettore, la misura cautelare, coercitiva della custodia in carcere per i delitti indicati in epigrafe, "unificate nell'unica fattispecie di cui al capo A) della richiesta le fattispecie di cui ai capi A) e B) della medesima" nonche' per il delitto di omicidio premeditato in danno di Aloise Giovanni e per i concorrenti reati concernenti le armi capi sub R-2) e S-2) della ordinanza precitata; e ha contestualmente rigettato la richiesta cautelare del pubblico ministero relativamente al delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi dell'art. 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con il decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 (capo sub C); che, con atti depositati in data 15 e 20 ottobre 1994, l'imputato e il difensore, avvocato Sergio Calabrese, nell'interesse dell'imputato in epigrafe, hanno proposto richiesta di riesame avverso l'ordinanza sopra indicata; che questo tribunale, in esito alla trattazione del gravame, ha revocato la misura cautelare, giusta ordinanza deliberata il 28 ottobre 1994 e depositata il 31 ottobre 1994; che, sul ricorso proposto dal avverso detto provvedimento la Corte suprema di cassazione, Sezione VI Penale, con sentenza 14 marzo 1995 n. 985 (depositata il 27 maggio 1995), ha annullato l'ordinanza impugnata e ha rinviato a questo Tribunale per nuovo esame; che gli atti sono pervenuti il 20 giugno 1995; che, nelle more del deposito della precitata sentenza della Corte suprema di cassazione, il giudice per le indagini preliminari ha disposto il rinvio a giudizio dell'imputato, Lanzino Ettore, dinnanzi alla Corte di assise di Cosenza, per i delitti indicati in epigrafe ai capi A) e, B) fissando l'udienza dell'8 gennaio 1996, giusta decreto 4 maggio 1995; e, giusta sentenza pronunciata in pari data, ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti del Lanzino in ordine ai residui reati, per non aver commesso il fatto, quanto al delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti, e "perche' l'azione penale non poteva essere iniziata per mancata revoca della sentenza istruttoria di proscioglimento", quanto ai delitti di omicidio premeditato in danno di Aloise Giovanni e ai concorrenti reati concernenti le armi (capi sub 1-2) e L-2 della sentenza precitata 4 maggio 1995 corrispondenti ai capi sub R-2) e S-2) della ordinanza cautelare; che alla udienza del 27 luglio 1995, fissata per la trattazione del gravame, giusta decreto 20 luglio 1995, e celebrata senza l'intervento del pubblico ministero e dell' imputato, il tribunale ha differito a nuovo decreto la trattazione del procedimento, in accoglimento di eccezione difensiva relativa ai termini di comparizione. Rileva Il rinvio della Cassazione concerne il punto della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti associativi di cui ai capi A) e B). In proposito e' pregiudiziale il rilievo che - siccome esposto in premessa - nelle more del deposito della sentenza di annullamento della Corte suprema di cassazione, il giudice per le indagini preliminari ha ordinato il rinvio a giudizio dell'imputato, Lanzino Ettore, dinnanzi alla Corte di assise di Cosenza. Secondo la costante e consolidata giurisprudenza di legittimita' il rinvio a giudizio (ancorche' sopravvenuto) dell'imputato preclude l'esame della questione dei gravi indizi di colpevolezza. La giurisprudenza della Corte suprema di cassazione ha, infatti, stabilito che in tema di misure cautelari personali, al giudice dell'impugnazione contro un provvedinento di coercizione emesso nella fase delle indagini preliminari e' preclusa ogni valutazione circa la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza allorche' sia stato nel frattenpo. disposto il giudizio o sia intervenuta sentenza di condanna dell'imputato; e cio' perche' in tali casi l'apprezzamento degli indizi deve considerarsi definitivamente rimesso al giudice del dibattimento nei suoi vari gradi, salvo il caso che si sia in presenza di fatti nuovi o sopravvenuti i quali, per cio' stesso, non vengono ad essere in contrasto con l'intervenuta decisione di rinvio a giudizio adottata all'esito dell'udienza preliminare. (Sezione 1, sentenza 04446 del 21 novembre 1994 (CC. 11 ottobre 1994) massima n. 199665). In relazione alle ordinanze de libertate, a volta pronunciato il decreto che dispone il giudizio, il giudice della fase delle indagini preliminari si spoglia del processo e la cancelleria trasmette senza ritardo il decreto stesso alla cancelleria del giudice competente insieme al fascicolo per il dibattimento, per cui la competenza a provvedere sulle richieste e sulle istanze relative alla liberta' personale passa ipso iure al giudice dibattimentale, indipendentemente dalla circostanza che quest'ultimo non abbia ancora ricevuto gli atti. Ne consegue che dopo la chiusura delle indagini preliminari la competenza del tribunale della liberta' e' limitata alla verifica delle esigenze cautelari di cui all'art. 274 cod. proc. pen. e all'adeguatezza e proporzionalita' delle misure ex art. 275 stesso codice, giacche' se gli si riconoscesse il potere di sindacare i provvedinenti coercitivi, dopo la chiusura delle indagini preliminari, anche in relazione alla sufficienza degli indizi, si farebbe regredire il materiale probatorio allo stato iniziale, obliterando le valutazioni compiute medio tempore dal giudice che ha la piena cognizione della vicenda processuale, oppure gli si attribuirebbe una competenza a rivedere tali valutazioni che la legge conferisce in via esclusiva al giudice della fase o del grado successivo del giudizio. (Sezione 1, sentenza 00946 del 21 aprile 1993 (CC. 8 marzo 1993), massima n. 193712). Intervenuta la richiesta di rinvio a giudizio, non puo' essere piu oggetto di discussione in sede di riesame la questione concernente la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza. (Sezione 1, sentenza 01720 del 10 novembre 1992 (CC. 21 aprile 1992), massima n. 192163). Dopo il rinvio a giudizio la questione sulla sussistenza dei gravi indizi che legittimano, ai sensi dell'art. 273, comma primo, codice procedura penale, la custodia cautelare, e' esaurita in virtu' del provvedimento stesso che dispone il giudizio, ed ogni valutazione al riguardo e' assorbita necessariamente nella piu' pregnante e conclusiva decisione in ordine all'accertamento della prova sulla responsabilita', che e' pronunziata in esito al dibattimento. (Sezione 1, sentenza 04220 del 10 dicembre 1991 (CC. 11 novembre 1991), massima n. 188706). V., pure: Cass., Sez. V, 5 maggio 1994 n. 1652, massima n. 198022; cui adde: 12 giugno 1991 n. 2145, massima n. 187476; Sez. V, 12 giugno 1991 n. 483, massima n. 187637; Sez. I, 5 giugno 1992 n. 1963, massima n. 190856; Sez. I, 26 maggio 1993 n. 5355, massima n. 194218; Sez. I, 19 luglio 1993 n. 2678, massima n. 194739; Sez. I, 7 gennaio 1994 n. 5120, massima n. 196084; Sez. I, 12 febbraio 1994 n. 5196, massima n. 196408; Sez. V, 17 marzo 1994 n. 895, massima n. 197291 in archivio penale - C.E.D. Cassazione. Consegue a cio', che l'art. 309 c.p.p. alla stregua del diritto vivente, non consente al giudice di valutare, nel caso di rinvio a giudizio dell'imputato, la condizione generale di applicabilita' della misura cautelare, prevista dall'art. 273, comma primo, c.p.p., della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza. Ma questo Collegio dubita dalla legittimita' costituzionale di detta norma di diritto vivente, nei termini sopra indicati, per sospetta violazione: (I) dell'art. 3, comma primo, della Costituzione; (II) dell'art. 97, comma primo, della Costituzione; (III) dell'art. 24, comma secondo, della Costituzione. La questione e', innanzitutto, rilevante, in quanto la Corte suprema di cassazione ha demandato a questo tribunale, quale giudice del rinvio, proprio la rivalutazione del punto concernente la condizione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, sicche' e' preliminare la decisione se, in seguito al sopravvenuto decreto del 4 maggio 1995, che ha disposto il giudizio nei confronti dell'imputato, la questione de qua deve ritenersi, ormai preclusa al giudice del riesame, alla stregua della norma di diritto vivente, sospettata di incostituzionalita', ovvero no. La questione appare al tribunale non manifestamente infondata. Sotto il primo profilo basta considerare che, rispetto al procedimento incidentale di applicazione delle misure cautelari, l'eventualita' del rinvio a giudizio dell'imputato e' circostanza meramente estrinseca e accidentale. Peraltro, simmetricamente, l'ordinamento non prevede, neppure in relazione ai reati di cui all'art. 275, comma terzo, c.p.p., che il rinvio a giudizio comporti di per se' l'adozione di alcuna misura cautelare: ne consegue che, sul piano normativo, la relazione tra il procedimento incidentale di applicazione delle misure cautelari e la adozione del decreto che dispone il giudizio e' di assoluta e reciproca indifferenza. Tale indifferenza implica, allora, che, in sede cautelare, le posizioni (a) dell'imputato, nei cui confronti e' stato disposto il rinvio a giudizio, (b) dell'imputato non ancora rinviato a giudizio, e (c) del mero indagato devono considerarsi necessariamente uguali. Eppero' il difforme trattamento di posizioni (cautelarmente) uguali - discriminazione conseguente al riconoscimento della preclusione sospettata di illegittimita' costituzionale - pare porsi in contrasto con il principio di uguaglianza consacrato dall'art. 3 della Costituzione. Sotto il secondo profilo sembra del tutto illogico, al di la' di ogni ragionevole esercizio della discrezionalita' legislativa e, comunque, in conflitto con il principio del "buon andamento" organizzativo, fissato dall'art. 97, comma primo della Costituzione, che il giudice del riesame - eppero' in base all'ordo iudiciorum dei procedimenti incidentali de libertate, il giudice superiore - incontri nell'esame della materia oggetto della impugnazione una preclusione che e' costituita da atto (peraltro insindacabile e inoppugnabile, v. infra) adottato proprio dal giudice a quo, e cioe', dal giudice inferiore, autore del provvedimento impugnato. Sotto il terzo profilo il diritto di difesa dell'imputato, in relazione al bene primario della liberta', sembra doppiamente vulnerato dalla considerazione: a) che, avverso il decreto che dispone il giudizio, l'ordinamento non consente all'imputato di sperimentare alcuna impugnativa, sicche' la (positiva) valutazione operata dal giudice per le indagini preliminari, in sede di applicazione della misura cautelare, sul punto della gravita' degli indizi di colpevolezza, finirebbe col restare assolutamente insindacabile e sottratta a qualsiasi rimedio e controllo (e' appena il caso di aggiungere che, allorche', come nel caso di specie, atteso il titolo del reato, il periculum libertatis e' normativamente presunto a termini dell'art. 275, comma terzo, c.p.p., l'imputato - considerata la estrema difficolta' della rigorosa prova della esclusione del periculum - resta di fatto, addirittura, completamente privo di ogni effettiva e concreta possibilita' di difesa della propria liberta' personale); b) che l'art. 429, comma primo, lettera d c.p.p. stabilisce che il decreto che dispone il giudizio deve contenere (soltanto) "l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono" e non pure l'enunciazione degli "elementi di fatto da cui sono desunti (gli indizi che giustificano in concreto la misura cautelare disposta) e i motivi della loro rilevanza" (cfr.: art. 292, comma secondo, lettera c) c.p.p.), con la aberrante conseguenza che l'adozione (precedente, contestuale o sopravvenuta) del decreto che dispone il rinvio a giudizio dell'imputato precluderebbe il sindacato del giudice del riesame in ordine alla condizione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, anche nel caso in cui l'ordinanza cautelare impugnata sia, sul punto, insufficientemente motivata ovvero, addirittura, affatto priva di motivazione (ipotesi questa costituente "colpa grave" ai sensi dell'art. 2, comma terzo, lettera d) della legge 13 aprile 1988 n. 117). Tanto considerato, il tribunale delibera di sollevare di ufficio la questione di legittimita' costituzionale nei termini esposti. La presente ordinanza e' emessa de plano, senza procedere alla celebrazione di nuova udienza in camera di consiglio, per evidenti ragioni di speditezza e di economia processuale.
P. Q. M. Letti e applicati gli artt. 309, 623, comma primo del c.p.p., della legge cost. 9 febbraio 1948 n. 1 e 23 legge 11 marzo 1953 n. 87, e procedendo su rinvio della Corte suprema di cassazione, giusta sentenza 14 marzo 1995 n. 985, cosi provvede: Solleva di ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 309 del c.p.p., nella parte in cui, secondo il diritto vivente, non consente al giudice del riesame di valutare, nel caso di rinvio a giudizio dell' imputato, la condizione generale di applicabilita' delle misure cautelari, prevista dall'art. 273, comma primo del c.p.p. della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, per sospetta violazione degli artt. 3, comma primo, 24, comma secondo e 97, comma primo, della Costituzione; Dispone che la presente ordinanza sia a cura della cancelleria notificata al pubblico ministero, all'imputato, ai difensori e al presidente dal Consiglio dei Ministri e comunicata ai presidenti delle due Camere del Parlamento; Ordina trasmettersi gli atti alla Corte costituzionale; Sospende il procedimento. Cosi' deciso in Catanzaro, addi' 31 luglio 1995 Il presidente estensore: Vecchio 96C0315