N. 233 ORDINANZA (Atto di promovimento) 3 gennaio 1996
N. 233 Ordinanza emessa il 3 gennaio 1996 dal tribunale di Bari nel procedimento penale a carico di Tria Pietro ed altri Processo penale - Dibattimento - Giudice che, quale componente del tribunale della liberta', ha concorso a pronunciare un provvedimento sulla liberta' personale nei confronti degli stessi imputati - Incompatibilita' ad esercitare le funzioni di giudice del dibattimento - Omessa previsione - Lesione del principio di eguaglianza - Compressione del diritto di difesa - Richiamo ai principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 432/1995. (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma). (Cost., artt. 3 e 24).(GU n.12 del 20-3-1996 )
IL TRIBUNALE Ha letto la seguente ordinanza all'udienza del 3 gennaio 1995, nel processo contro Tria Pietro + 15. Preliminare ad ogni decisione, sia pure solo processuale e relativa agli atti introduttivi al dibattimento, e' la valutazione in ordine alla compatibilita' dei magistrati componenti il collegio a svolgere funzioni giudicanti nel presente processo. Rileva a tale proposito la circostanza che tutti i magistrati oggi componenti il tribunale si sono occupati, espletando funzioni giudicanti in procedimenti instaurati ex artt. 309 e 310 c.p.p. della ricorrenza di gravi indizi di reita' nei confronti degli imputati detenuti Tria Pietro (procc. nn. 893 e 1226 RTL), Limone Damiano (proc. n. 1146 RTL), Maxia Cosimo (proc. n. 1106 RTL), Oliva Domenico (procc. nn. 980 e 1243 RTL) Bianco Enrico (procc. nn. 977 e 1255 RTL), di Donna Domenico (proc. n. 1019 RTL). Ai sensi dell'art. 34, comma secondo c.p.p., tanto non da' luogo ad alcuna situazione di incompatibilita', sicche' tutti i magistrati oggi costituenti il collegio, pur avendo gia' espresso - nei termini di elevata probabilita' richiesti dall'art. 273 c.p.p. - un giudizio di colpevolezza nei confronti dei succitati imputati, ne' potrebbero astenersi, ne' potrebbero essere ricusati. Peraltro, gia' con le sentenze nn. 124 e 186 del 1992 la Corte costituzionale ha ritenuto in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione il predetto art. 34, comma secondo c.p.p., laddove non prevedeva la incompatibilita' al giudizio del magistrato che gia' avesse espresso alcune valutazioni nel merito del giudizio di responsabilita', sebbene in grado meno penetrante di quello proprio delle valutazioni compiute ai sendi dell'art. 273 c.p.p. Da ultimo, con la sentenza n. 432 del 1995, mutando la propria precedente giurisprudenza espressa con la sentenza n. 502 del 1991, la Corte costituzionale ha ritenuto il conflitto dell'art. 34, comma secondo c.p.p., con gli artt. 3 e 24 della Costituzione anche nella parte in cui non prevede che non possa partecipare al giudizio dibattimentale il magistrato che, esercitando funzioni di g.i.p., abbia applicato una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato, in relazione agli stessi fatti per cui questi deve essere sottoposto al giudizio; cio' perche', esprimendo la valutazione in ordine alla ricorrenza dei gravi indizi di reita' un giudizio di merito sulla colpevolezza dell'imputato, questi verrebbe ad essere giudicato da un magistrato soggetto ad un possibile effetto di prevenzione, che invece le altre ipotesi disciplinate dall'art. 34 c.p.p. mirano appositamente ad escludere. Le medesime osservazioni appaiono formulabili anche nel caso che interessa; ed invero, la valutazione in ordine alla ricorrenza dei gravi indizi di reita' non e' meno penetrante allorche' viene compita dal giudice dell'impugnazione nelle sedi di cui agli artt. 309 e 310 c.p.p.; ed anzi puo' ritenersi che in tali ipotesi, trattandosi di impugnazioni e quindi di valutazioni espresse nel contraddittorio di entrambe le parti, ed a risposta e confutazione di censure spesso specifiche in ordine al grado ed al valore degli indizi, le valutazione espresse dai componenti del tribunale nelle funzioni predette sono spesso assai piu' penetranti - in ordine al merito del giudizio di responsabilita' - di quelle espresse dal g.i.p.: il tutto con una chiara compromissione non solo del principio di eguaglianza (venendo diversamente disciplinate situazioni del tutto simili quanto al predetto pericolo di "prevenzione"), ma anche del diritto di difesa, che e' anche diritto ad un giudice sereno ed imparziale, non influenzabile da giudizi gia' da egli stesso espressi. Ne consegue che non appare manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 34, comma secondo c.p.p., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' all'esercizio delle funzioni giudicanti da parte del magistrato che abbia fatto parte del collegio costituito ex artt. 309 o 310 c.p.p. Per certo, una eventuale pronunzia di incostituzionalita' della norma in oggetto porrebbe non pochi problemi organizzativi nei tribunali di piccole dimensioni; non spetta tuttavia a questo tribunale, ma al legislatore, il compito di assicurare la realizzazione dei principi di buona amministrazione; ne' il bene-interesse di cui all'art. 97 Cost. appare di tale preminente valore rispetto a quelli della liberta' personale, del pieno esercizio del diritto di difesa, della serena ed imparziale attuazione della giurisdizione, da potersi risolvere l'apparente conflitto tra tali opposti interessi in via interpretativa da parte di questo giudice, vincolato, nelle pronunzie di rimessione alla Corte costituzionale, dal canone della non manifesta infondatezza della questione di illegittimita'. La questione e' evidentemente rilevante, attesto che ad un'eventuale pronunzia di incostituzionalita' conseguirebbe, ex artt. 36 lett. g) e 37 c.p.p., il dovere per i magistrati componenti il presente collegio di astenersi, o la possibilita' per gli imputati di ricusarli ove all'astensione non procedessero; ne' la rilevanza della questione puo' essere esclusa ipotizzando, per i magistrati, la facolta' di ricorrere all'astensione per gravi motivi di opportunita' ex art. 36, lett. h), c.p.p.: ed infatti, tale ipotesi di astensione e' oggetto non gia' di un obbligo, ma di una mera facolta' rimessa al piu' lato e discrezionale apprezzamento del singolo magistrato, senza che l'imputato o il suo difensore possano farne motivo - stante la chiarezza del rinvio operato dall'art. 37 c.p.p. alle sole ipotesi di cui alle lettere da a) e g) dell'art. 36 c.p.p. - di una richiesta di ricusazione, nel caso in cui l'apprezzamento del singolo magistrato non coincida con quello della difesa, il cui diritto verrebbe pertanto gravemente compromesso. Ne consegue che, come si accennava in premessa, la risoluzione della questione di costituzionalita' e' pregiudizievole ad ogni altra decisione da parte di questo collegio.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge n. 87/53; Dichiara non manifestamente infondata, in relazione agli artt. 3 e 24 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma secondo, del c.p.p., nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio da parte del magistrato che abbia fatto parte del collegio che, ex artt. 309 o 310 del c.p.p. abbia espresso valutazioni in ordine alla ricorrenza di gravi indizi di reita' ex art. 273 del c.p.p.; Ordina trasmettersi immediatamente gli atti alla Corte costituzionale per quanto di sua competenza; Sospende il giudizio in attesa della decisione della Corte predetta; Ordina che, a cura della cancelleria, la presente ordinanza venga notificata al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Manda alla cancelleria per gli adempimenti di competenza. Cosi' deciso in Bari, addi' 3 gennaio 1996 Il presidente: (firma illeggibile) 96C0331