N. 240 ORDINANZA (Atto di promovimento) 11 dicembre 1995

                                N. 240
   Ordinanza  emessa  l'11  dicembre  1995  dal  pretore  di  Roma nel
 procedimento penale a carico di Ben Ali' Mustapha
 Immigrazione - Immigrati extracomunitari -  Arresto  in  flagranza  -
    Convalida   -   Prevista  espulsione  su  richiesta  del  pubblico
    ministero, salvo il limite delle inderogabili esigenze processuali
    -  Ritenuta  configurazione  di  detta  espulsione   come   misura
    cautelare personale applicabile esclusivamente nei confronti degli
    stranieri  -  Ingiustificata  disparita'  rispetto  al trattamento
    riservato al cittadino italiano - Lamentata introduzione di  norme
    penali  disposta  con  decreto-legge  -  Carenza  dei requisiti di
    necessita' ed urgenza - Lesione del principio di riserva di  legge
    in  materia penale - Violazione dei doveri di solidarieta' sociale
    - Compressione del diritto di difesa.
 (D.-L. 18 novembre 1995, n. 489; d.-l. 30 dicembre 1989, n. 416, art.
    7-ter; d.-l. 18 novembre 1995, n. 489, art. 7).
 (Cost., artt. 2, 3, 24, 25 e 77).
(GU n.12 del 20-3-1996 )
                              IL PRETORE
   Letti  gli  atti  del procedimento n. 3416/95 r.g. dib. a carico di
 Ben Ali' Mustapha nato ad Algeri il 14 marzo 1974, imputato del reato
 p.p. dagli artt. 624 e 625 numeri 2 e 7 c.p.;
   Rilevato che, all'udienza in data 11  dicembre  1995,  il  p.m.  ha
 sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale  del  d.-l. 18
 novembre 1995, n. 489, ed in particolare  dell'art.  7-ter  d.-l.  n.
 416/1989  come introdotto da tale decreto, in relazione agli artt. 2,
 3, 25, 27 e 77 della Costituzione e che  questo  pretore  ritiene  di
 dover  d'ufficio  sollevare  ulteriore questione di costituzionalita'
 della medesima norma in riferimento altresi' all'art. 24 Cost.;
   Ritenuto, quanto alla rilevanza, che l'imputato veniva arrestato in
 flagranza in data 10 dicembre 1995 e quindi condotto avanti a  questo
 pretore  per  la  convalida  dell'arresto  ed il conseguente giudizio
 direttissimo e che - convalidato l'arresto -  il  p.m.  chiedeva  nei
 confronti  dell'imputato  medesimo la misura dell'espulsione ai sensi
 del citato art. 7-ter, primo e terzo comma;
   Ritenuto  in  merito   alla   valutazione   della   non   manifesta
 infondatezza quanto segue:
   1. - Violazione degli artt. 2 e 3 della Costituzione.
   L'art. 7 del d.-l. 18 novembre 1995, n. 489, introduce abrogando la
 precedente formulazione dell'art. 7 d.-l. 30 dicembre 1989, n.  416 -
 sette  nuovi articoli (rubricati dal 7 al 7-septies) uno dei quali in
 particolare,  l'art.  7-ter,   risulta   applicabile   nel   presente
 procedimento penale in cui il cittadino straniero sopra generalizzato
 e'  stato  presentato  a  questo pretore a norma dell'art. 566 c.p.p.
 per la convalida dell'arresto in flagranza operato nei suoi confronti
 in data 10 dicembre 1995, ed il contestuale giudizio.
   Deve in primo luogo osservarsi come il  suddetto  art.  7-ter,  nel
 contrapporre  al  primo  comma  il  caso dello straniero arrestato in
 flagranza a quello del soggetto pure straniero  al  quale  sia  stata
 applicata  la  misura della custodia cautelare, evidenzia chiaramente
 la possibilita' per il giudice - su richiesta  di  uno  dei  soggetti
 indicati  al  comma  quarto  -  di  disporre  l'espulsione  anche nei
 confronti di colui al quale, pur se arrestato in flagranza, non venga
 applicata alcuna misura cautelare a  norma  degli  artt.  272  e  ss.
 c.p.p.  o per assenza di richieste in merito da parte del p.m. - come
 appunto e' avvenuto nel presente procedimento penale - o per  mancata
 concessione  da parte del giudice che procede delle misure richieste:
 a prescindere ora dalla questione relativa alla necessita' o meno  di
 trovarsi  in  presenza  comunque  di  un arresto almeno convalidato -
 questione cui deve inevitabilmente darsi in sede  di  interpretazione
 logica  risposta  affermativa  -  la  norma  censurata  introduce  la
 possibilita' di disporre la "misura" dell'espulsione, come lo  stesso
 art.  7-ter  la  definisce,  su  mera  richiesta del p.m. - oltreche'
 dell'interessato e  del  difensore  -  senza  prevedere  alcun  altro
 elemento   valutativo  ai  fini  della  decisione  del  giudice,  che
 sembrerebbe anzi tenuto all'accoglimento di  tale  istanza,  "...  e'
 disposta  l'espulsione",  con la sola esclusione della sussistenza di
 "... inderogabili esigenze processuali".
   Considerato  ora il momento processuale nel quale tale richiesta di
 espulsione si colloca e valutato inoltre che altre norme della  nuova
 disciplina   introdotta   con  il  d.-l.  n.  489/1995  espressamente
 prevedono il provvedimento di espulsione quale  misura  di  sicurezza
 (art.  7), misura di prevenzione (art.7-bis), nonche' quale contenuto
 di un provvedimento amministrativo (artt.  7-quater  e  7-quinquies),
 all'espulsione disposta dal giudice ai sensi dell'art. 7-ter dovrebbe
 riconoscersi,  nell'ipotesi in cui la relativa richiesta provenga dal
 p.m. circostanza che rappresenta poi l'elemento di  maggiore  novita'
 della  disciplina in esame rispetto a quella gia' contenuta nell'art.
 7-ter,  comma  dodicesimo,  d.-l.  n.  416/1989,  natura  di   misura
 cautelare personale; a sostegno di tale inquadramento devono altresi'
 richiamarsi   l'espressione  contenuta  nell'ultima  parte  dell'art.
 7-ter, primo comma, che subordina  l'espulsione  dello  straniero  in
 stato  di custodia cautelare alla possibilita' di soddisfare con tale
 diversa  "misura"  le   esigenze   cautelari   del   caso   concreto,
 l'attribuzione  della  competenza  a  decidere  circa la richiesta di
 espulsione  al  giudice  competente  in  tema  di  misure   cautelari
 individuato  ai  sensi dell'art. 279 c.p.p.  ed infine la previsione,
 quale mezzo di gravame avverso l'ordinanza di espulsione, del ricorso
 per Cassazione previsto e regolato dall'art.  311 c.p.p.  in  materia
 di misure cautelari.
   Deve  osservarsi  allora  come  l'introduzione  di una nuova misura
 cautelare personale, applicabile  esclusivamente  nei  confronti  dei
 cittadini   stranieri,  appaia  in  contrasto  con  il  principio  di
 uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost., comportando per  lo  straniero
 una  ingiustificata  disparita'  di trattamento rispetto al cittadino
 italiano, disparita' resa ancor piu' incisiva  dal  fatto  che,  come
 detto,  l'applicazione  di  tale  misura  da un lato risulta di fatto
 sganciata  dalla  sussistenza  delle  esigenze   cautelari   previste
 dall'art.  274  c.p.p.  ed  appare  anzi quasi automatica, in caso di
 richiesta di parte, fatto salvo l'unico  limite  delle  "inderogabili
 esigenze  processuali",  e  dall'altro e' rimessa, quanto alla durata
 (art. 7-ter, quarto comma, ultima parte) alla decisione discrezionale
 del giudice che non risulta vincolata  neppure  dalla  previsione  di
 termini massimi, quali quelli previsti dagli artt. 303 e segg. c.p.p.
 pertanto,  a fronte della medesima condizione di arresto in flagranza
 per lo stesso reato, magari consumato in concorso  tra  loro,  e  nel
 caso  in  cui - convalidato per entrambi l'arresto - non vi sia stata
 alcuna applicazione di misure cautelari a norma  degli  artt.  272  e
 segg.  c.p.p.,  il  cittadino italiano beneficierebbe della immediata
 liberazione mentre il cittadino straniero, in caso di  richiesta  del
 p.m.,  dovrebbe  essere  espulso  da  parte  del giudice, con il solo
 limite delle inderogabili esigenze processuali,  e  con  interdizione
 dal   territorio  dello  Stato  per  un  arco  temporale  liberamente
 determinato a norma dell'artt. 7-ter, quarto comma, e 7-sexies, primo
 comma.
   Va detto peraltro che l'ingiustificata  disparita'  di  trattamento
 pare   ravvisabile   in   prospettiva  diametralmente  opposta  anche
 nell'ipotesi in cui, in presenza delle stesse condizioni di  fatto  e
 di  diritto,  al  cittadino  italiano venga applicata la misura della
 custodia  cautelare  in  carcere  mentre  a  quello  straniero  -  su
 richiesta del p.m. - la misura custodiale venga sostituita con quella
 dell'espulsione  ex  art.  7-ter  che  potrebbe in ipotesi garantire,
 secondo quanto richiesto dalla norma, la soddisfazione delle esigenze
 cautelari   del  caso,  ma  che  presenta  palesemente  un'intensita'
 coercitiva di tutt'altro peso rispetto a quella di  cui  al'art.  285
 c.p.p.
   Va   detto   peraltro   che   la  riconducibilita'  dell'espulsione
 disciplinata  dall'art.  7-ter  nell'ambito  delle  misure  cautelari
 potrebbe  ritenersi  dubbia  in  relazione alla possibilita' che essa
 venga  disposta  su  richiesta  anche  dell'interessato  o  del   suo
 difensore - in contrasto con il disposto dell'art. 291 c.p.p. - salvo
 individuare  in  tale  fattispecie,  gia'  presente  come detto nella
 normativa previgente, un'ipotesi di  sospensione  dell'esecuzione  di
 una   misura   cautelare   custodiale,  come  affermato  dalla  Corte
 costituzionale con la sentenza n. 62/1994.
   Del resto il differente inquadramento dell'istituto in esame tra le
 ipotesi di  applicazione  provvisoria  di  una  misura  di  sicurezza
 personale,  oltre a non sottrarsi ad evidenti motivi di contrasto con
 i principi costituzionali - in particolare la mancata previsione  nel
 procedimento  applicativo  delineato dall'art. 7-ter della necessita'
 di accertare l'effettiva pericolosita' sociale dello straniero di cui
 e'  richiesta  l'espulsione  in  violazione  del  principio  generale
 dettato  dall'art. 31 legge n. 663/1986 e recentemente ribadito dalla
 Corte  costituzionale  (sent.  n.  58/1995)  -  si  scontrerebbe  con
 l'analoga  censura  dell'illogicita'  ed  inammissibilita'  (art. 312
 c.c.p.) dell'applicazione di una misura  di  sicurezza  su  richiesta
 proveniente dall'interessato o dal suo difensore.
   La possibilita' poi - a fronte come detto di una situazione di mero
 arresto  in  flagranza  al  quale,  in  difetto di applicazione delle
 misure cautelari di cui agli  artt.  280  e  segg.  c.p.p.,  dovrebbe
 seguire  l'immediata liberazione - che il cittadino straniero, magari
 del tutto incensurato non essendovi come detto limiti di sorta  nella
 norma,  possa essere su richiesta del p.m. - al primo contatto con il
 "circuito  penale"  -   radicalmente   allontanato   per   un   tempo
 indeterminato  dal  nostro  Stato ai sensi del primo comma, dell'art.
 7-ter, appare in contrasto con quei doveri di solidarieta' sociale  -
 da  esplicarsi in primo luogo nei confronti dei soggetti deboli - cui
 la nostra Repubblica e' chiamata in forza del dettato  costituzionale
 (art.  2 Cost.).
   Il  contrasto  risulta  poi  ancor  piu'  netto  ove si osservi che
 destinatario del provvedimento  di  espulsione,  ai  sensi  dell'art.
 7-ter  in  relazione all'art. 7-sexies, nono comma, puo' essere anche
 lo straniero regolarmente residente nel nostro Stato, se da un  tempo
 inferiore  a  cinque  anni,  ovvero convivente con cittadini italiani
 diversi dai parenti entro il quarto  grado,  senza  quindi  rilevanza
 alcuna  di  eventuali  vincoli di coniugio o affinita', e pertanto un
 soggetto che nel nostro  Stato  puo'  aver  instaurato  situazioni  o
 rapporti  di  carattere  personale,  sociale  o  lavorativo  anche di
 notevole  rilevanza:  ebbene  in  tali  ipotesi  la  possibilita'  di
 immediata  espulsione  su  richiesta del p.m. sembra rappresentare un
 vulnus  rispetto  al  principio   dell'inviolabilita'   dei   diritti
 dell'individuo - sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si
 svolge   la  sua  personalita'  -  non  proporzionato  rispetto  alla
 situazione presupposta dall'art. 7-ter, primo comma, nella quale come
 come detto il giudice si trova in presenza di  una  mera  notizia  di
 reato,  sia  pure corredata da determinati caratteri, ma che comunque
 prescinde dall'effettivo accertamento  della  penale  responsabilita'
 realizzabile solo attraverso la formazione della sentenza di condanna
 divenuta irrevocabile (art. 27 della Costituzione).
   2. - Violazione dell'art. 24 della Costituzione.
   La  regolamentazione  dell'espulsione  a richiesta di parte dettata
 dal  censurato  art.  7-ter  appare   altresi'   in   contrasto   con
 l'inviolabilita'  del  diritto  di  difesa,  nell'ipotesi  in  cui la
 richiestaa di espulsione provenga dal p.m., sotto due profili: da  un
 lato  la  norma, nell'omettere di indicare qualunque presupposto - di
 fatto o di diritto - al di la' della  mera  condizione  di  cittadino
 straniero  arrestato  in flagranza o sottoposto a custodia cautelare,
 per l'emanazione del provvedimento di espulsione (cui deve come detto
 riconoscersi  natura  di  ordinanza   applicativa   di   una   misura
 cautelare),  preclude  di fatto sul punto all'imputato l'esercizio di
 qualunque diritto di difesa rispetto all'adozione di un provvedimento
 i cui effetti limitativi sulla liberta' personale dell'imputato  sono
 di piena evidenza.
   Ancora  in contrasto con il dettato dell'art. 24 della Costituzione
 appare l'ipotesi dell'espulsione su richiesta del  p.m.  nell'ipotesi
 in  cui  nei confronti del cittadino straniero arrestato in flagranza
 si proceda poi immediatamente al  giudizio  a  norma  dell'art.  566,
 sesto  comma,  c.p.p.:  in  tale  ipotesi infatti il provvedimento di
 espulsione - disposto a norma dell'art. 7-ter, primo comma - dovrebbe
 ricevere  esecuzione  ai  sensi   dell'art'art.   7-sexies   mediante
 accompagnamento  immedatio  alla fronteria, ed in tale circostanza la
 previsione (art.  7-sexies, undicesimo comma) della  possibilita'  di
 chiedere  ed  ottenere  un'autorizzazione  a rientrare in Italia onde
 partecipare al  processo,  risulterebbe  di  fatto  vanificata  dalla
 celebrazione  immediata  di  un  dibattimento  al  quale al cittadino
 straniero espulso sarebbe di fatto preclusa  la  partecipazione,  con
 conseguente  palese ed incisiva violazione dei diritti difensivi, tra
 i quali quelli di avanzare richiesta dei cd. riti alternativi.
   Ne'  puo'  ipotizzarsi  che  il  diritto  dell'arrestato  cittadino
 straniero  di  partecipare, se lo desideri, al proprio processo possa
 venire realizzato mediante  rigetto  della  richiesta  di  espulsione
 avanzata dal p.m. per le "inderogabili esigenze processuali" previste
 dal  primo  comma  dell'art.  7-ter,  posto  che  altrimenti la norma
 avrebbe potuto piu' chiaramente prevedere, per il cittadino straniero
 arrestato in flagranza e quindi espulso su  richiesta  del  p.m.,  la
 possibilita'  di  chiedere  il  differimento della decisione o quanto
 meno  dell'esecuzione  dell'ordinanza   di   espulsione   sino   alla
 conclusione del giudizio direttimo.
   Viceversa   la   norma   nell'attuale   formulazione   testuale   -
 "inderogabili esigenze processuali" - appare riferita alla necessita'
 di assicurare la presenza dell'imputato cittadino straniero  rispetto
 allo  svolgimento  di  atti  processuali  (quali  un  confronto o una
 ricognizione personale) irrealizzabili in sua assenza e che  pertanto
 si  pongono  come  ostative  rispetto all'emissione dell'ordinanza di
 espulsione.
   3. - Violazione degli artt. 25 e 27 della Costituzione.
   Il principio di riserva di legge in materia penale (art.  25  della
 Costituzione)  possiede,  quale  primo  e  fondamentale  significato,
 quello scondo cui le scelte  di  politica  criminale  sono  monopolio
 esclusivo  del  Parlamento  mentre l'ammissibilita' di nuove norme di
 diritto  penale   introdotte   attraverso   decreti   legislativi   o
 decreti-legge   e'   connessa   alla  circostanza  che  sia  comunque
 assicurato l'intervento
  del  Parlamento  in  posizione    sovraordinata,  ora  quale  organo
 delegante  ora  quale  organo  cui  e' rimesso il potere di conferire
 stabilita' e durevolezza,  attraverso  la  legge  di  conversione,  a
 disposizioni  normative  precarie,  soggette  a  decadenza in caso di
 inutile decorso del termine di sessanta giorni dettato  dall'art.  77
 della  Costituzione  ed  emanate  dal Governo in casi straordinari di
 necessita' ed urgenza tali da non consentire la normale legiferazione
 in via ordinaria del Parlamento.
   Deve inoltre osservarsi come recentemente la  Corte  costituzionale
 (sent.  n.  29/1995)  abbia  rivendicato  a se' il potere di valutare
 l'esistenza  dei  presupposti  di  necessita'  ed  urgenza  richiesti
 dall'art.  77 della Costituzione per l'emanazione di decreti-legge da
 parte  dell'esecutivo,  affermando  che  "... la pre-esistenza di una
 situazione  di  fatto  comportante  la  necessita'  ed   urgenza   di
 provvedere  tramite  l'utilizzazione  di  uno  strumento eccezionale,
 quale  il  decreto-legge,  costituisce  un  requisito  di   validita'
 costituzionale   dell'adozione   del   predetto  atto,  di  modo  che
 l'eventuale evidente mancaza di quel presupposto configura  tanto  un
 vizio  di  legittimita'  costituzionale del decreto-legge, in ipotesi
 adottato al  di  fuori  dell'ambito  delle  possibilita'  applicative
 costituzionalmente  previste,  quanto  un  vizio  in procedendo della
 stessa legge di conversione ...".
   Rispetto ora al d.-l. 18 novembre 1995,  n.  489,  puo'  osservarsi
 come  nel  preambolo  venga  "ritenuta la straordinaria necessita' ed
 urgenza di adeguare in termini piu' razionali la normativa in tema di
 immigrazione nel territorio dello Stato da  parte  dei  cittadini  di
 Paesi  non  appartenenti  all'Unione europea al fine di renderne piu'
 efficace  l'operativita'"  non   manifestamente   infondata   risulta
 pertanto   la  questione  relativa  alla  effettiva  sussistenza  dei
 requisiti di straordinaria necessita' ed u rgenza rispetto alla  mera
 esigenza  di  razionalizzazione  di normativa gia' da tempo esistente
 (in particolare d.-l. 30 dicembre  1989,  n.  416,  convertito  nella
 legge  28  febbraio  1990, n. 39) in relazione ad un fenomeno sociale
 come quello dell'immigrazione extracomunitaria che,  anche  nei  suoi
 aspetti   per  cosi'  dire  "patologici",  appare  ormai  stabilmente
 presente nella fisionomia del nostro Stato ed in relazione  al  quale
 non   appiono  essersi  realizzati  in  tempi  recenti  modifiche  od
 evoluzioni  di  portata  talmente  straordinaria  da  richiedere   un
 intervento legislativo immediato nelle forme e con gli effetti di cui
 all'art.    77   della   Costituzione,   soprattutto   in   relazione
 all'introduzione di quelle norme aventi immediata rilevanza penale  -
 sono  tra l'altro previste diverse nuove fattispecie delittuose - per
 le quali  quindi,  in  eventuale  assenza  di  effettive  circostanze
 straordinarie,  la  decretazione  d'urgenza  appare incompatibile con
 l'elevatezza dei valori in gioco, anche in relazione  al  rischio  di
 formulazioni  prive  di  quei  caratteri  di  chiarezza  ed  assoluta
 determinatezza sottesi al principio di riserva di  legge  in  materia
 penale consacrato dall'art. 25 della Costituzione.
                               P. Q. M.
   Visto l'art. 23 della legge 9 febbraio 1948, n. 1;
   Dichiara  rilevante  e non manifestamente infondata la questione di
 costituzionalita'  del  d.-l.  18  novembre  1995,  n.  489,  ed   in
 particolare  dell'art.  7-ter  del  d.-l. n. 416/1989 come introdotto
 dall'art. 7 del d.-l. n. 489/1995, in relazione agli artt. 2, 3,  24,
 25 e 77 della Costituzione;
   Ordina la sospensione del giudizio in corso, disponendo l'immediata
 trasmissione degli atti alla Corte costituzionale;
   Manda  alla cancelleria per la notifica della presente ordinanza al
 Presidente del Consiglio dei  Ministri  e  per  la  comunicazione  al
 Presidente della Camera dei deputati e al Presidente del Senato della
 Repubblica.
     Roma, addi' 11 dicembre 1995
                    Il pretore: (firma illeggibile)
 96C0341