N. 242 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 novembre 1995
N. 242 Ordinanza emessa il 24 novembre 1995 dalla commissione tributaria di secondo grado di Padova sul ricorso proposto da Zerfin S.p.a. ed altra contro l'Ufficio del registro di Padova Tributi in genere - Conferimenti immobiliari a favore di societa' di qualsiasi tipo - Sottoposizione a imposta di registro, INVIM, imposta ipotecaria e catastale - Mancata previsione che i conferimenti a societa' di capitali vengano assoggetti ad aliquota unica non superiore all'1 per cento, cosi' come stabilito dalla direttiva comunitaria n. 335/1969 e successive integrazioni nonche' dalla legge di delega n. 825/1971 - Eccesso dei limiti della legge di delega - Riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 168/1991. (D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 4, tarif. all., primo comma, lett. a), p. 2; d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347, artt. 2, 10 e 1, tarif. all.; d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, art. 2, secondo comma). (Cost., art. 76).(GU n.12 del 20-3-1996 )
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI SECONDO GRADO Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso proposto dalla Zerfin s.p.a. con sede a Padova, passaggio C. Piscopia n. 10, e Zerbetto s.p.a. con sede a Padova, via S. Pellico n. 5. F a t t o Con verbale di assemblea straordinaria degli azionisti del 22 dicembre 1992 n. 51728 di rep. notaio Giambattista Todeschini in Padova, veniva deliberato un aumento di capitale sociale da effettuarsi mediante conferimento di immobili da parte della Zerfin s.p.a. In data 24 febbraio 1993 n. 518 vol. 90 veniva denunciato detto aumento di capitale all'Ufficio del registro di Padova. In data 15 aprile 1993 lo stesso ufficio provvedeva ad emettere avviso di liquidazione alle societa' sopra citate: imposta di registro 4% su L. 115.327.000, L. 4.160.000; trascrizione 1,60% su L. 1.551.000.000, L. 24.820.000; catasto 0,40% su L. 1.551.000.000, L. 6.200.000; INVIM (a carico della societa' Zerfin), L. 135.150.000; totale L. 170.780.000. Contro l'avviso di liquidazione entrambe le societa' ricorrevano alla commissione tributaria di primo grado sostenendo che i conferimenti, ai sensi della direttiva CEE n. 69/335 del 17 luglio 1969, sarebbero assoggettabili ad una imposta unica con aliquota massima dell'1% sul valore del conseguimento. A sostegno della propria tesi i ricorrenti richiamavano la giurisprudenza formatasi in ordine alla applicabilita', nell'ordinamento interno, della normativa comunitaria, ricordando come, con sentenza n. 170/1984, la Corte costituzionale abbia riconosciuto l'immediata applicabilita' dei regolamenti comunitari; la Corte ha riconosciuto anche l'applicabilita' delle statuizioni contenute nelle sentenze interpretative della Corte di giustizia delle Comunita' europee. Infine con sentenza n. 168/1991 la Corte costituzionale ha riconosciuto l'immediata applicabilita' delle direttive comunitarie, e cio' sulla scorta della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunita' europee, che in sede di interpretazione dell'art. 189 del trattato di Roma ha da tempo elaborato alcuni principi cardine, secondo i quali in tutte le ipotesi in cui le disposizioni di una direttiva appaiano, dal punto di vista sostanziale, incondizionate e sufficientemente precise, in tali casi i singoli possono far valere direttamente tali direttive dinanzi ai giudici nazionali ed alla pubblica amministrazione, anche nell'ipotesi in cui tale direttiva non sia stata recepita dall'ordinamento nazionale. L'immediata applicabilita' delle direttive comunitarie secondo la richiamata giurisprudenza della Corte costituzionale della Corte di giustizia delle Comunita' europee, si avrebbe quindi quando la direttiva comunitaria risulti incondizionata e sufficientemente precisa il che si verificherebbe nella fattispecie oggetto del ricorso. L'Ufficio del registro si opponeva sostenendo che la direttiva comunitaria invocata dai contribuenti non potrebbe trovare applicazione prima della emanazione, da parte del legislatore interno, di una norma specifica in applicazione della direttiva medesima. La Commissione tributaria di primo grado nel respingere il ricorso argomenta che l'orientamento in sede comunitaria sembra essere quello di esentare da ogni imposizione fiscale la raccolta di capitali come si puo' osservare dalla relazione del Parlamento europeo (4 gennaio 1995) che in proposito riteneva "Accolta con favore" la proposta in tal senso formulata dalla commissione. E' altresi' vero che la stessa commissione dava atto che molto lentamente si sta progredendo nel conseguimento dell'obiettivo fissato dalla direttiva n. 69/335. Da cio' deriva una, sia pure indiretta, ma non irrilevante riprova, che detta direttiva risulti deficitaria di incondizionatezza, carattere visto come necessario dalla sentenza n. 168/1991 della Corte costituzionale per essere di immediata applicazione. Le societa' Zerfin e Zerbetto, contro detta decisione, hanno proposto appello ribadendo le proprie ragioni per quanto riguarda l'immediata applicabilita' della direttiva CEE 69/135 ed in subordine chiede che gli atti vengano rimessi alla Corte costituzionale affinche' si pronunci sulla illegittimita' del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, 26 ottobre 1972, n. 643, e 31 ottobre 1990, n. 347, per contrasto con l'art. 76 della Costituzione essendo state riscontrate discrepanze con i contenuti della legge delega 9 ottobre 1971, n. 825. Tanto premesso in fatto la commissione tributaria di secondo grado. O s s e r v a Con la sentenza n. 168 del 1991 la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibile per difetto di rilevanza la questione di legittimita' dell'art. 4, lett. E, della Tariffa A allegata al d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 634 (che sottoponeva ad imposta di registro le delibere societarie di emissione di obbligazioni), sollevata dalla commissione tributaria di primo grado di Ancona per contrasto con l'art. 76 della Costituzione ritenendo sussistente un eccesso di delega rispetto all'art. 7, primo comma, della legge delega (legge 9 ottobre 1971, n. 825), che, nel porre i principi direttivi cui si sarebbe dovuta ispirare la riforma dell'imposta di registro aveva precisato, tra l'altro, il rispetto dell'art. 11 della direttiva 17 luglio 1969 del Consiglio delle Comunita' europee facenti divieto agli Stati membri di sottoporre ad imposizione, sotto qualsiasi forma, i prestiti contratti mediante emissione di obbligazioni. A tale risultato la Corte e' pervenuta sulla base della rilevata diretta applicabilita' nell'ordinamento interno della norma contenuta nella suddetta direttiva comunitaria; e pertanto il giudice a quo era tenuto a non applicare le corrispondenti norme del diritto interno, con la prima confliggenti, di cui aveva denunciato la legittimita' costituzionale; da cio' l'irrilevanza della questione proposta. Nella citata sentenza si e' puntualizzato che: la diretta applicabilita' nell'ordinamento interno delle direttive comunitarie non discende dalla qualificazione formale della fonte, ma richiede riscontro di alcuni presupposti sostanziali, in particolare la prescrizione della direttiva deve essere incondizionata (in modo da non lasciare margine di discrezionalita' agli Stati membri della stessa) e sufficientemente precisa (nel senso che la fattispecie ed il predetto applicabile devono essere determinati compiutamente in tutti i loro elementi); la ricognizione in concreto di tali presupposti costituisce l'esito di una interpretazione della direttiva comunitaria e delle sue singole disposizioni che il giudice nazionale (anche il giudice delle leggi), puo' effettuare direttamente ovvero rimettere alla Corte di giustizia ai sensi dell'art. 177, secondo comma, del Trattato di Roma. Cio' premesso, nella controveria all'esame di questa commissione si dibatte sulla diretta applicabilita' nell'Ordinamento giuridico italiano della disposizione, contenuta nella diretiva n. 335 del 17 luglio 1969 della Comunita' economica europea, secondo la quale "gli Stati membri possono esentare dall'imposta sui conferimenti od assoggettare ad un'unica aliquota non superiore all'1% le operazioni diverse da quelle di cui al paragrafo 1" e sulla conseguente non applicabilita' delle norme di legislazione interne che prevedono l'applicazione della imposta di registro con l'aliquota del 4% (art. 4, lett. A) n. 2 della parte Prima delle tariffe allegate al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, nonche' - almeno alla data dell'atto deliberativo di aumento del capitale in questione - l'INVIM (art. 2/2 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643) e le imposte ipotecarie e di trascrizione (d.P.R. 31 ottobre 1990, n. 347), ai conferimenti immobiliari in societa' di ogni tipo. Appare evidente, a giudizio della commissione, la diversita' del contenuto precettivo della disposizione della direttiva comunitaria appena indicata, rispetto a quelli delle disposizioni - esaminate dalla sentenza della Corte costituzionale chiamata in premessa - concernenti i prestiti obbligazionari. Quest'ultima ha infatti un precetto negativo, di esclusione, idoneo a raggiungere direttamente negli ordinamenti degli Stati membri il risultato prefissosi dal legislatore comunitario (l'esclusione di ogni forma di imposizione sugli atti deliberativi di emissione di obbligazione); la prima invece contiene la prescrizione positiva di un'imposta sui conferimenti caratterizzata da un'unicita' e da un'aliquota non superiore all'1%, e proprio per tale contenuto positivo non puo' operare nell'ordinamento interno dei singoli membri, se come vincolo di risultato per il legislatore nazionale a cui carico vinene posto - nell'ambito dell'ordinamento comunitario - l'obbligo di rimodellare il sistema impositivio dei conferimenti immobiliari secondo le caratteristiche indicate dalla direttiva. E' altresi' evidente che, in un ordinamento come quello italiano, caratterizzato da una pluralita' di imposizioni sui conferimenti immobiliari nelle societa' di ogni tipo, non puo' non essere necessario un intervento del legislatore nazionale per delineare, con inevitabilita' margini di discrezionalita', fermo restando il tetto dell'aliquota dell'1%, quale debba essere il tipo di imposta unica avuto di mira dalla normativa comunitaria, quale il suo presupposto, come si determini la base imponibile, quali siano soggetti passivi di essa. La necessita' di un ampio intervento del legislatore nazionale, attuativo della direttiva comunitaria porta ad escludere che la stessa presenti quelle caratteristiche di incondizionatezza alle quali secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunita' europee e della Corte costituzionale, e' subordinata la sua diretta applicabilita' nell'ordinamento dello Stato italiano. Nella presente controversia debbono per contro trovare piena applicazione le norme interne che disciplinano l'imposta di registro e le altre imposte indirette sui conferimenti immobiliari; e di esse per tanto diviene rilevante esaminare l'eventuale contrasto con i principi della Costituzione. Le norme interne, nell'ipotesi di conferimenti di immobili a societa' di qualsiasi tipo, l'assoggettamento all'imposta di registro, all'INVIM (quanto meno al momento in cui l'atto di cui si controverte e' stato formato) all'imposta ipotecaria e catastale, appaiono in contrasto con i principi informatori contenuti nella legge con la quale il Governo e' stato delegato ad emanare le disposizioni occorrenti per la riforma del sistema tributario (legge 9 ottobre 1971, n. 825) ed in particolare, con il disposto degli artt. 7 e 17 della citata legge delega, il primo dei quali, in tema di imposta di registro, ipotecaria e catastale, stabilisce che la riforma debbe adeguarsi alla direttiva comunitaria n. 335/69 che, come gia' evidenziato, prevede che gli Stati membri possano, in via alternativa, o esentare i conferimenti di immobili a societa', da imposta, o assoggettarli all'aliquota unica non superiore all'1%, mentre l'art. 17 delega il Governo ad emanare testi unici, sempre nel rispetto dei principi direttivi stabiliti dalla legge delega e quindi nel rispetto delle direttive contenute nell'art. 7. Il legislatore delegato, superando i criteri direttivi fissati dal delegante ha invece sottoposto i conferimenti ad imposta di registro con aliquota variabile fra l'8% ed il 4%; ha inoltre assoggettato la medesima operazione ad INVIM, ed imposta catastale ed ipotecaria. Ne consegue, a parere di questa commissione, che le norme tributarie sopra richiamate, nella parte in cui assoggettano a registro, INVIM, imposta ipotecaria e catastale i conferimenti immobiliari in favore di qualsiasi tipo di societa' violino il disposto dell'art. 76 della Costituzione, non essendosi il Governo attenuto ai principi direttivi fissati con la legge delega.
P. Q. M. Visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Ritiene rilevante e non manifestamente la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4, primo comma, lettera a), punto 2), della tariffa parte prima allegata al d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, e degli artt. 2 e 10 del decreto legislativo del 31 ottobre 1990, n. 347, nonche' dell'art. 1 della tariffa allegata al medesimo decreto legislativo, nonche' dell'art. 2, secondo comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 643, in riferimento all'art. 76 della Costituzione non prevedendo i citati articoli che i conferimenti a societa' di capitali vengano assoggettati ad aliquota unica non superiore all'1% cosi' come stabilito dalla direttiva comunitaria n. 335/1969 e successive integrazioni, alla quale il legislatore delegante (art. 7, primo comma, della legge 9 ottobre 1971, n. 825, ed art. 17, terzo comma, stessa legge) ha disposto debbano adeguarsi le norme delegate in materia di imposta di registro, imposta ipotecaria e catastale; Ordina la sospensione del presente procedimento; Dispone l'invio degli atti alla Corte costituzionale perche' sia risolta la questione di letittimita' costituzionale innanzi formulata; Ordina la notifica della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei Ministri, alle parte del giudizio e la comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; Manda alla segreteria per i seguente adempimenti. Cosi' pronunziata in Padova nella camera di consiglio del 24 novembre 1995. Il presidente: Fabiani 96C0343