N. 244 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 novembre 1995

                                N. 244
   Ordinanza  emessa  il  21  novembre  1995  dalla corte d'appello di
 Napoli sull'istanza di ricusazione proposta da Pennella Antonio
 Processo penale  -  Udienza  preliminare  -  Giudice  delle  indagini
    preliminari che abbia applicato una misura cautelare personale nei
    confronti   dell'imputato  -  Incompatibilita'  ad  esercitare  le
    proprie funzioni in detta udienza - Omessa previsione - Disparita'
    di trattamento rispetto  al  coimputato  dello  stesso  reato  nel
    medesimo  procedimento nei confronti del quale il g.i.p. non si e'
    in alcun modo pronunciato, nonche' rispetto a situazioni  analoghe
    gia' esaminate dalla Corte costituzionale - Lesione del diritto di
    difesa  e  della  garanzia  costituzionale  di  imparzialita'  del
    giudice - Richiamo alle sentenze della  Corte  costituzionale  nn.
    401/1991,   186/1992,   439/1993   e   432/1995   -  Eccezione  di
    illegittimita' costituzionale prospettata dalla Corte  di  appello
    nel corso di procedimento di ricusazione.
 (C.P.P. 1988, art. 34, secondo comma).
 (Cost., artt. 3, 24 e 25).
(GU n.12 del 20-3-1996 )
                          LA CORTE DI APPELLO
   Ha emessa la seguente ordinanza nel procedimento di ricusazione del
 giudice  per  l'udienza preliminare, dott. Rosario Caiazzo, presso il
 tribunale di Benevento per incompatibilita' ai sensi dell'art.    34,
 secondo  comma  del  codice  procedura  penale  a partecipare a detta
 udienza,  avendo  in  precedenza  applicato  una   misura   cautelare
 coercitiva.
                               F a t  t o
   Il  procuratore  della  Repubblica presso il tribunale di Benevento
 faceva richiesta di rinvio a giudizio di Pennella Antonio  (piu'  27)
 per  i  reati previsti: 1) dagli artt. 40 c.p.v., 61 n. 7, 81 c.p.v.,
 110, 324, 323, comma secondo, come modificato dalla legge n.  86  del
 1990,  640  e  640-bis codice penale; 2) dagli artt. 40 c.p.v., 61 n.
 7, 81 c.p.v., 110, 324, 323, comma  secondo,  come  modificato  dalla
 legge n. 86 del 1990, 640, 640-bis codice penale.
   Pennella   Antonio,   avvistato   della   fissazione   dell'udienza
 preliminare, proponeva, tramite il suo  difensore,  dichiarazione  di
 ricusazione,   tempestiva   ed   ammissibile,   del  giudice  udienza
 preliminare  per  essere  la  stessa  persona  fisica  che  aveva  in
 precedenza  emesso a suo carico un'ordinanza applicativa della misura
 coercitiva della custodia cautelare in carcere.
   Eccepiva l'incompatibilita' del giudice a  partecipare  all'udienza
 preliminare,  ai  sensi  dell'art. 34, secondo comma codice procedura
 penale quale ipotesi analoga a quella decisa con  la  sentenza  della
 Corte  costituzionale  n.  423  del 6-15 settembre 1995, dichiarativa
 della incompatibilita' a partecipare al dibattimento del giudice  per
 le  indagini  preliminari  che  abbia  applicato una misura cautelare
 personale.
                             D i r i t t o
   Il  carattere  tassativo  delle  cause di incompatibilita' previste
 dallo art. 34 codice procedura penale, rende la norma  insuscettibile
 di interpretazione estensiva ed analogica.
   Neppure  puo'  derivarsi  la  prospettata causa di incompatibilita'
 dall'indicata sentenza della Corte costituzionale n.  432/1995  -  ex
 art.  27 leggittimita' costituzionale 11 marzo 1953 n. 87 - in quanto
 priva di disposizioni  che  consentano  di  estendere  la  dichiarata
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  secondo  comma codice
 procedura penale, a fattispecie diverse da quella esaminata.
   Ritiene, pero', la Corte di sollevare,  di  ufficio,  questione  di
 illegittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  secondo  comma codice
 procedura penale nella  parte  in  cui  non  prevede  che  non  possa
 partecipare  all'udienza  preliminare  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari che abbia adottato  una  misura  cautelare  personale  di
 natura coercitiva nei confronti dell'imputato.
   A  prevenire il pericolo di una sospetta reiterazione di interventi
 dello stesso magistrato sulla  stessa  materia  nei  confronti  dello
 stesso   imputato   nello  stesso  procedimento  la  legge  prescrive
 requisiti particolari contemplati agli artt.  34-37  codice  proceura
 penale.
   Il   combinato  delle  norme  indicate  ha  gia'  subito  reiterati
 interventi da parte della Corte costituzionale   con le  sentenze  n.
 496/90,  n.    401/91, n. 502/91, n. 124/92, n. 186/92, n. 399/92, n.
 439/93. Nella sua evoluzione la Corte costituzionale ha avuto cura di
 differenziare la posizione di chi e' chiamato ad una "valutazione  di
 contenuto"   da  quella  dei  giudici  chiamati  ad  una  valutazione
 meramente processuale,  pervenendo  ad  una  definizione  complessiva
 dell'incompatibilita'  quale  "volta  ad  assicurare la genuita' e la
 corretteza del processo formativo del convincimento del giudice"  che
 "si ricollega alla garanzia costituzionale del giusto processo" e che
 "e'  ragionevolmente  circoscritta ai casi di duplicita' del giudizio
 di merito sullo stesso  oggetto"  (sent.    n.  124/92)  specificando
 opportunamente  che  "non  la  mera  conoscenza  degli  atti,  ma una
 valutazione  di  merito  circa  l'idoneita'  delle  risultanze  delle
 indagini   preliminari  a  fondare  un  giudizio  di  responsabilita'
 dell'imputato, vale a radicare l'incompatibilita'" (sent. n. 186/92).
 Ed ulteriormente precisando che ogni qual volta e' investito  di  una
 richiesta  cautelare l'attivita' del giudice comporta la formulazione
 di un giudizio non di  mera  legittimita'  ma  di  merito  (sia  pure
 prognostico   e   allo   stato   degli   atti)   sulla   colpevolezza
 dell'imputato.
   Il mutamento del quadro normativo per effetto della legge 8  agosto
 1995  n. 332 da un lato conferma l'effettuazione da parte del giudice
 dell'udienza preliminare di un vaglio critico e di merito delle prove
 e delle fonti di prova gia' in  atti,  sfociato  in  un  giudizio  di
 idoneita'  a  consentire  una  decisione  allo  stato  degli  atti e,
 dell'altro lato, e'  preordinato  a  portare  all'esame  del  giudice
 dell'udienza  preliminare  un quadro degli elementi probatori, quanto
 piu' completo  possibile  prima  della  pronuncia  del  provvedimento
 previsto sul merito della regiudicanda dall'art. 424 codice procedura
 penale n. 88/1994.
   L'originaria  impostazione  dell'udienza  preliminare  presupponeva
 l'attribuzione al giudice  di  limitatissimi  poteri  valutativi  sul
 materiale  di  causa,  cio'  che  valeva a differenziarlo dal giudice
 dibattimentale.
   A seguito dell'intervento legislativo (8  aprile  1993  n.  105)  e
 della Corte costituzionale (sent. n. 41/1993) i poteri valutativi del
 giudice   -   prima   limitati   ad   una   valutazione   di   merito
 dell'imputazione con esclusivo riferimento ad  un  parametro  di  non
 evidente  infondatezza  dell'accusa, con limitazione dei poteri ad un
 mero controllo di legittimita' e correttezza delle fonti di  prova  -
 si sono rafforzati divenendo tanto penetranti nel merito dell'accusa,
 da  poter  essere  assimilati  a  quelli  attribuiti  al  giudice del
 dibattimento, allorche' rimanga immutato il quadro probatorio, con la
 conseguenza che la sentenza di non luogo a procedere non e'  piu'  di
 solo  controllo  di legittimita' degli elementi probatori ma di pieno
 merito.
   Il proscioglimento ex art. 425 codice procedura penale comporta  un
 giudizio  di  merito pieno (sent. n. 82/1993), conclusione questa che
 non viene scalfita ne' dal  mantenimento  della  qualificazione  come
 "sentenza  di  non  luogo  a  procedere"  ne'  dal  carattere  di non
 definitivita' di tale sentenza in quanto soggetto a revoca  nei  casi
 previsti dall'art. 434 codice procedura penale.
   Posto  che l'alternativa decisoria offerta al giudice per l'udienza
 preliminare, investito della  richeista  del  pubblico  ministero  di
 rinvio  a  giudizio,  e'  la  sentenza  di  non luogo a procedere nei
 confronti dell'imputato; ritenuto che  e'  l'intero  merito  a  dover
 essere  valutato  ai  fini  del  proscioglimento  ex  art. 425 codice
 procedura  penale;  rilevato  che  solo  la   negativita'   di   tale
 valutazione  puo'  dare  ingresso  al  giusto  processo,  e'  chiara,
 anzitutto,  la  unitarieta'  dei  poteri  valutativi  di  merito  che
 presiedono all'opzione da parte del giudice per l'udienza preliminare
 per  l'una  o  per  l'altra  soluzione.  Deve,  pertanto, logicamente
 dedursi che l'attivita' di valutazione  che  compie  il  giudice  per
 l'udienza  preliminare a seguito della richiesta di rinvio a giudizio
 dell'imputato, e' identica a quella che deve compiere  nell'applicare
 una  misura cautelare personale, anche sotto il profilo quantitativo,
 allorche' si presenti al giudice dell'udienza preliminare una  quadro
 probatorio imputato.
   V'e'  ragione  di  ritenere,  quindi,  che  la precedente decisione
 assunta dal giudice per  le  indagini  preliminari  nell'emettere  un
 provvedimento  cautelare,  possa  influenzare  quella del giudice per
 l'udienza preliminare, stessa persona fisica.  Cioe'  se  il  giudice
 dell'udienza  preliminare ha gia' espresso il suo apprezzamento sulla
 storicita' di determinati accadimenti ritenuti indizianti e che  sono
 sostanzialmente  gli  stessi  portati  al  suo esame in altri momenti
 decisionali dello stesso procedimento resta per cio'  solo  integrata
 una  situazione  che  accredita  il  rischio  dell'elusione di quella
 esigenza di autonomia di giudizio cui, per principio e per sua natura
 deve uniformarsi ogni provvedimento giudiziario.
   La concentrazione in capo allo stesso giudice, come persona  fisica
 di  poteri che spaziano dall'adozione di provvedimenti cautelari fino
 all'adozione del provvedimento conclusivo  dell'udienza  preliminare,
 puo'  creare,  per  le esposte ragioni, caso di incompatibilita', per
 cui l'art. 34, secondo comma codice procedura penale nella  parte  in
 cui  non prevede che non possa partecipare all'udienza preliminare il
 giudice  per  le  indagini  preliminari che abbia adottato una misura
 cautelare coercitiva, contrasta con le norme  costituzionale  di  cui
 agli artt. 3, 24 e 25.
   La  diversita'  di  trattamento  e'  rilevabile nei confronti di un
 coimputato  dello  stesso  reato  nel  medesimo   procedimento,   non
 raggiunto  da  misure  cautelari  personali,  rispetto  al  quale  la
 decisione del giudice per  l'udienza  preliminare  e'  frutto  di  un
 approccio valutativo non pregiudicato.
   E',  altresi',  rilevabile  rispetto  a  situazioni  analoghe, gia'
 esaminate dalla Corte costituzionale (sent. 401/1991 e n. 439/1993).
   L'affermata assimilabilita' dell'attivita' valutativa  del  giudice
 per  l'udienza  preliminare con quella del giudice del dibattimento e
 la quasi omogeneita' delle formule conclusive previste dall'art.  425
 codice procedura  penale  con  quelle  di  cui  all'art.  430  codice
 procedura  penale,  consentono di ravvisare un'analogia di situazioni
 anche  tra  il  caso  in  esame  e  quello  verificato  dalla   Corte
 costituzionale   con   la  sentenza  n.  432/95,  dichiarativa  della
 incompatibilita' del giudice per le indagini  preliminari  che  abbia
 disposto  una  misura  cautelare personale, a partecipare al giudizio
 dibattimentale.
   E' da rilevare, anzi, che il giudice per l'udienza preliminare,  in
 quanto  non  coinvolto nella dialettica della collegialita', e' ancor
 piu' esposto agli effetti trascinanti di un giudizio sulla fondatezza
 dell'accusa. La lesione del  diritto  di  difesa,  costituzionalmente
 protetto   (art.  24)  e'  conseguenza  inevitabile  della  possibile
 prevenzione che puo' inquinare il convincimento del giudice,  per  la
 ridotta  valenza  che  assumono  le argomentazoni difensive di fronte
 alla naturale tendenza a mantenere un giudizio gia' espresso.
   L'identita' soggettiva tra il giudice per le  indagini  preliminari
 che  ha  disposto  l'applicazione  di una misura cautelare personale,
 esprimendosi in termini  di  valutazione  di  alta  probabilita'  del
 fondamento  della  accusa,  e  il  giudice  per l'udienza preliminare
 chiamato a decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio, e' idonea a
 determinare (o far apparire) un  pregiudizio  che  mina  la  garanzia
 costituzionale  di  imparzialita'  del  giudice  (art.  25),  la  cui
 esigenza e' particolarmente avvertita dalla coscienza collettiva.
                               P. Q. M.
   Visti gli artt. 23 e segg. della legge 11 marzo 1953 n. 87;
   Dichiara   rilevante   e   solleva   questione   di    legittimita'
 costituzionale  dell'art.  34, secondo comma codice procedura penale,
 per violazione degli artt. 3, 24 e 25 della Costituzione, nella parte
 in cui  non  prevede  l'incompatibilita'  a  partecipare  all'udienza
 preliminare  del  giudice  per  le  indagini  preliminari  che  abbia
 disposto una misura cautelare personale nei confronti dell'imputato;
   Sospende il procedimento di ricusazione in  corso;
   Ordina che il giudice per l'udienza preliminare  ricusato  sospenda
 ogni attivita' processuale nei confronti dell'imputato ricusante;
   Dispone    l'immediata   trasmissione   degli   atti   alla   Corte
 costituzionale;
   Dispone che la presente ordinanza venga notificata,  a  cura  della
 concelleria, al Presidente del Consiglio dei Ministri, al giudice per
 l'udienza   preliminare  presso  il  tribunale  di  Benevento,  dott.
 Rosario Caiazzo, al procuratore generale, all'imputato  e  che  venga
 comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.
   Cosi' deciso in Napoli il 21 novembre 1995
                       Il presidente: D' Aversa
                            I consiglieri: De Falco Giannone - Parente
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