N. 249 ORDINANZA (Atto di promovimento) 12 dicembre 1995
N. 249 Ordinanza emessa il 12 dicembre 1995 dal tribunale di sorveglianza di Firenze sull'istanza proposta da Savio Mario Ordinamento penitenziario - Detenuti per determinati delitti (art. 4-bis della legge n. 354/1975) - Potere del Ministero di grazia e giustizia di sospendere, per motivi di ordine e di sicurezza, l'applicazione del regime ordinario - Previsto reclamo al tribunale di sorveglianza avverso detto provvedimento applicativo del regime di sorveglianza particolare - Insindacabilita' da parte del giudice adito, alla stregua della giurisprudenza della Corte di cassazione, del provvedimento sotto il profilo del merito - Lesione del principio di obbligatorieta' di atto motivato dall'autorita' giudiziaria per l'applicazione di misure incidenti sulla liberta' personale - Irragionevole disparita' di trattamento rispetto a quello riservato ai detenuti in regime ordinario - Incidenza sulla funzione rieducativa della pena - Pregiudizio per la tutela giurisdizionale contro gli atti della p.a. (Legge 26 luglio 1975, n. 354, artt. 41-bis, secondo comma, e 14-ter). (Cost., artt. 3, primo comma, 13, secondo comma, 27, terzo comma, e 113, primo e secondo comma).(GU n.12 del 20-3-1996 )
IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA A scioglimento della riserva espressa nell'udienza del 12 dicembre 1995, visti ed esaminati gli atti della procedura di sorveglianza in materia di reclamo ex art. 14-ter contro il provv. applicativo art. 41-bis, comma secondo, nei confronti di Savio Mario, nato il 18 febbraio 1954 a Napoli, detenuto nella casa circondariale di Milano; verificata la regolarita' degli atti sotto il profilo processuale; O s s e r v a 1. - L'interessato ha proposto reclamo contro il decreto ministeriale applicativo nei suoi confronti dell'art. 41-bis, comma 2, legge penitenziaria, decreto che, in data 24 luglio 1995, rinnovava la efficacia di precedente analogo provvedimento. L'interessato e' detenuto in custodia cautelare dal 14 aprile 1994 in esecuzione di tre distinti provvedimenti del tribunale di Milano (due provvedimenti) del g.i.p. e del tribunale di Firenze. Questo tribunale di sorveglianza, in ripetute ordinanze, nel decidere su analoghi reclami, ha esaminato i provvedimenti ministeriali applicativi dell'art. 41-bis, secondo comma, sotto due profili: fondatezza della applicazione della norma in questione all'interessato; nel caso in cui tale fondatezza sia riconosciuta, legittimita' o meno delle restrizioni al regime penitenziario ordinario contenute nel provvedimento reclamato. Ripetute sentenze della Corte di cassazione hanno ora annullato senza rinvio tali ordinanze nella parte in cui le stesse, dopo avere riconosciuto la fondatezza della applicazione della norma in parola all'interessato, dichiaravano la inefficacia di alcune delle restrizioni operate con il provvedimento reclamato. Tale esame, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione non e' consentito ai tribunali di sorveglianza. Questa esclusione del sindacato del tribunale di sorveglianza in ordine al contenuto dei provvedimenti ministeriali in questione pone problemi di costituzionalita', che questo ufficio ha gia' rilevato in due procedure analoghe alla presente con le ordinanze: 7 settembre 1995, relativa a Ranieri Antonio; 7 settembre 1995, relativa a Saraceno Antonino. Nel riproporre, anche nella presente procedura, rilievo di incostituzionalita' del tutto analogo a quello sollevato con le due ordinanze ora citate, si vogliono aggiungere alcune considerazioni. 2. - Le presenti considerazioni aggiuntive riguardano la parte delle precedenti ordinanze (v. la motivazione comune alle stesse, da pg. 12 a pg. 16) nella quale si esemplificavano motivi e modalita' del sindacato operato dal nostro ufficio in merito al contenuto dei decreti ministeriali applicativi dell'art. 41-bis, secondo comma. Si rilevava che, con i provvedimenti ministeriali in questione, si violavano regole di legge che l'art. 4-bis, secondo comma, cosi' come interpretato dalle sentenze n. 349 e 410/93, della Corte costituzionale, non consentiva di ignorare. La parte della motivazione di una nostra precedente ordinanza (di decisione su reclamo in materia di applicazione dell'art. 41-bis, secondo comma, che veniva citata nelle due nostre ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale, conteneva un "esame delle singole clausole restrittive delle regole di trattamento e degli istituti previsti dalla legge penitenziaria" e la "individuazione di quelle censurabili" a seguito del sindacato giurisdizionale del nostro ufficio. 3. - Si esaminava la illegittimita' di quattro delle clausole restrittive contenute nei provvedimenti ministeriali reclamati. Prima clausola: v. pg. 12 della motivazione delle nostre ordinanze di rilievo di incostituzionalita'. Si cita dalla stessa: "1) Dispone l'art. 1 del dispositivo del provvedimento reclamato nella parte iniziale"... e' sospesa l'applicazione delle regole del trattamento e degli istituti previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, e successive modificazioni, ed in particolare delle sottoindicate disposizioni... ". "Questa parte del dispositivo non e' semplicemente la introduzione delle successive specifiche clausole sospensive di singole regole, ma ha un suo proprio contenuto in ossequio al quale si ritiene sospesa ogni attivita' di osservazione e trattamento nei confronti dei soggetti sottoposti alla applicazione dell'art. 41-bis, secondo comma". A sostegno di questo significato della clausola del provvedimento ministeriale applicativo dell'art. 41-bis, oltre quanto gia' detto nelle nostre ordinanze precedenti, vale ora ricordare che tale interpretazione viene avvalorata dalle indicazioni date dallo stesso Dipartimento della Amministrazione penitenziaria al personale penitenziario. A pg. 19 della circolare 21 aprile 1993, n. 3359/5809, si legge, a proposito dei detenuti sottoposti al regime di cui all'art. 41-bis: "... per questi detenuti... fin quando e' in vigore il D.M. che applica il regime dell'art. 41-bis... Non e' ipotizzabile un giudizio che non sia decisamente negativo per quanto riguarda la liberazione anticipata ed i colloqui e le telefonate premiali; Ne' sono ammissibili, salvo casi particolari da apprezzare singolarmente, colloqui con assistenti sociali, educatori, psicologi, e, ancor piu', non sono ammissibili interventi del volontariato o ingressi della societa' esterna, salvo naturalmente l'art. 67 o.p.". E' ben chiaro che gli isolati interventi, previsti come eccezione da parte di singoli operatori, non hanno nulla a che vedere con l'osservazione e il trattamento penitenziari, che vengono semplicemente soppressi. E questo in perfetta sintonia con la clausola n. 1 del dispositivo del decreto applicativo dell'art. 41-bis, secondo comma, il cui senso e' proprio quello attribuitogli nei nostri provvedimenti. In questo quadro, va considerato un riferimento di stile quello di cui a pg. 11 della circolare (punto 5, richiamato a pg. 19, anche per i detenuti sottoposti al regime di cui all'art.41-bis), in ordine alla possibilita' di attivita' trattamentali, "purche' e nei limiti in cui, vi sia rispetto e garanzia assoluti della sicurezza, dell'ordine e della disciplina". E infatti, tali attivita' trattamentali di fatto non esistono. E' anche sintomatico il richiamo della circolare citata ad esprimere giudizio negativo alla concessione della liberazione anticipata. A pg. 13 e segg. di quella stessa circolare, si richiamavano i principi relativi alla concessione di tale beneficio: e si osservava correttamente che la "partecipazione all'opera di rieducazione", condizione necessaria di tale beneficio, non puo' "identificarsi con il comportamento formalmente regolare, privo di rilievi disciplinari, che assai spesso e' proprio dei detenuti mafiosi, ma e' uno schermo di finzione e di simulazione... Il rispetto solo formale delle regole e' insomma altra cosa - a volte addirittura l'opposto - di una concreta volonta' di ravvedimento". Date queste premesse, incontestabili d'altronde, se non c'e' alcuna attivita' di osservazione e trattamento, la "partecipazione all'opera di rieducazione" non potra' mai essere verificata e gli organi penitenziari non potranno mai dire che c'e' stata "partecipazione all'opera di rieducazione" e, inesorabilmente, non la potranno riconoscere neppure i tribunali di sorveglianza, competenti a provvedere. Vale ricordare che la sentenza costituzionale 306/93 ha salvato la costituzionalita' di varie disposizioni introdotte dal d.-l. 8 giugno 1992, n. 306, convertito nella legge 7 agosto 1992, n. 356, lo stesso che introduce l'art. 41-bis, secondo comma, proprio perche' si e' mantenuto il beneficio della liberazione anticipata, senza subordinarlo alla "collaborazione" (v. n. 11 della motivazione in diritto di tale sentenza). Ma l'art.41-bis puo', anzi deve (secondo il Dipartimento della amministrazione penitenziaria), attraverso un intervento esclusivamente amministrativo (il decreto ministeriale applicativo), escludere anche tale beneficio, come consente di escludere anche l'osservazione e il trattamento e quindi ogni attivita' penitenziaria, necessaria per legge (e per legge costituzionale). Le conclusioni su questo punto sono le stesse gia' esposte nei nostri precedenti provvedimenti e ci parrebbero rafforzate dalle presenti considerazioni. E' indubbiamente auspicabile e possibile che l'Autorita' amministrativa competente torni su questi indirizzi, ma cio' che non e' accettabile e' che la stessa possa senza alcun controllo stabilire indirizzi illegittimi, come quelli vigenti, o legittimi come altri possibili. Quello che e' certo e' che, come si diceva nelle precedenti eccezioni di incostituzionalita' in materia, se non e' possibile il sindacato giurisdizionale da parte della Magistratura di sorveglianza, l'Amministrazione puo' vulnerare in sede amministrativa ogni regola penitenziaria e stabilire il regime che ritiene opportuno: e questo quando la legislazione penitenziaria e' fatta proprio al fine opposto. 4. - La seconda clausola del provvedimento ministeriale considerata non legittima nei provvedimenti emessi dal nostro ufficio e' quella che stabilisce "il divieto di colloqui ordinari con familiari e conviventi eccedenti il numero di uno al mese per la durata di un'ora", introdotto alla lettera c) dell'art. 1 del provvedimento ministeriale in questione. Su tale clausola si veda quanto rilevato alle pg. 12-13 della identica motivazione delle due nostre precedenti ordinanze di rimessione costituzionale. Ivi si rilevava che "il diritto di avere quattro colloqui al mese con i congiunti e' attribuito al detenuto dall'art. 18 dell'ordinamento penitenziario". Questa affermazione va chiarita. L'art. 18 dispone: "I detenuti e gli internati sono ammessi ad avere colloqui... con i congiunti e con altre persone... (primo comma). Particolare favore viene accordato ai colloqui con i familiari (terzo comma)". Si ritiene indubbio che l'ammissione al colloquio con i familiari rappresenti una "situazione soggettiva attiva", come si e' rilevato nelle nostre precedenti ordinanze di rimessione costituzionale. Si puo' rilevare, da un lato, che un trattamento penitenziario rieducativo-risocializzativo, quale richiesto dal precetto costituzionale, non puo' in alcun modo prescindere dal riconoscere e valorizzare i legami familiari. Lomitare o rendere estremamente difficili e infrequenti gli stessi potrebbe anche rientrare fra i trattamenti contrari al senso di umanita' che pure vanno contro il precetto costituzionale. Tanto premesso, e' chiaro che, quando l'art. 35 del regolamento di esecuzione alla legge penitenziaria prevede che i colloqui "sono autorizzati" dal direttore, prevede soltanto un intervento burocratico d'ordine (verifica dell'esistenza del rapporto familiare) e non certo una discrezionalita' decisionale dell'organo amministrativo. D'altronde l'ordinamento penitenziario, con formula piu' propria e decisiva, afferma che i detenuti "sono ammessi ad avere colloqui" e lo stesso regolamento di esecuzione all'ordinamento penitenziario afferma, al comma ottavo dell'art. 35, che "i detenuti e gli internati usufruiscono di quattro colloqui al mese". Ed e' pacifico che, rispetto al numero ora detto di colloqui, non e' prevista dalla normativa penitenziaria alcuna possibilita' di limitazione. E' vero, in effetti, che il numero dei colloqui e' previsto dal Regolamento di esecuzione alla legge (e non dalla legge), ma sembra evidente che, una volta riconosciuto il diritto dalla norma legislativa, quella amministrativa ha una semplice funzione sussidiaria di specificazione del diritto, che non puo' non avere lo stesso riconoscimento del diritto che viene definito. Tanto e' vero che nessuno afferma che quel limite di quattro colloqui al mese possa essere limitato. Ed e' proprio questo che viene, invece, fatto nei provvedimenti ministeriali applicativi dell'art. 41-bis e che per tutti i motivi gia' detti in precedenza (nelle nostre ordinanze di rimessione costituzionali) non poteva e non puo' essere fatto. 5. - Non si ritiene di aggiungere ulteriori considerazioni a quelle svolte a pg. 13 e 14 in merito alla clausola dei decreti ministeriali, che contiene "il divieto di acquisto di generi alimentari" (ettera i dell'art. 1 del dispositivo dei decreti ministeriali). Mentre vale aggiungere una considerazione in merito alla clausola degli stessi decreti, che stabilisce il "limite di due ore per fruire del passeggio all'aria" (lettera I dell'art. 1 del dispositivo dei decreti ministeriali). Al n. 3 precedente si e' rilevato che il significato di fondo del particolare regime applicato dai decreti ministeriali ai sensi dell'art. 41-bis, secondo comma, e' la sospensione di ogni attivita' di osservazione e trattamento nei confronti dei soggetti sottoposti a quel regime. Allora, trova particolare conforto quanto gia' si rilevava nelle nostre ordinanze precedenti, a pg. 14, affermando la illegittimita' della clausola limitativa in questione. Si osservava: "Va chiarito che il senso di tale limitazione e' quello di determinare la chiusura in cella dell'interessato per le restanti 22 ore di ogni giornata in violazione della specifica previsione dell'art. 6 dell'Ordinamento penitenziario, che indica la cella come locale di solo pernottamento, prevedendo locali di soggiorno, nella specie non esistenti" e comunque non voluti utilizzare, anche se esistessero). Questa conclusione, che cio' che si impone, e' la chiusura in cella per 22 ore, va vista accanto alla sospensione della osservazione e del trattamento penitenziario. L'insieme di queste due disposizioni realizza un regime penitenziario inaccettabile ed illegittimo perche' ignora e viola specifiche "situazioni soggettive attive" incontestabili, sulle quali gia' ci siamo soffermati. Come si e' ripetutamente detto, se non e' possibile il sindacato giurisdizionale dei tribunali di sorveglianza sul contenuto dei decreti applicativi dell'art. 41-bis, comma secondo (per valutarne le eventuali illegittimita' di parte di essi e conseguentemente dichiararne la inefficacia), puo' essere posto in essere in sede amministrativa un regime penitenziario al di fuori di qualsiasi regola. Il che non e' possibile, secondo le chiare indicazioni delle sentenze costituzionali n. 349 e 410 del 1993. 6. - Fatte queste precisazioni non c'e' che da riportarsi a tutte le considerazioni svolte nelle due nostre precedenti ordinanze di rimessione costituzionale, sopra ricordate. In particolare, si richiamano tutte le considerazioni svole a sostegno dei rilievi di incostituzionalita', da pg. 16 a pg. 20. 7. - in conclusione, analogamente a quanto gia' fatto con le precedenti ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale (ordinanze del 7 settembre 1995, relative a Ranieri Antonio e Saraceno Antonino), si riafferma anche nella presente procedura che si ritengono non manifestamente infondate le questioni di incostituzionalita' degli articoli 41-bis, comma secondo e 14-ter dell'ordinamento penitenziario (cosi' come vengono interpretati dalla costante giurisprudenza della Corte di cassazione), con riferimento alle seguenti norme: I) art. 13, comma secondo, della Costituzione; II) art. 3, comma primo, della Costituzione; III) art. 27, comma terzo, della Costituzione; IV) art. 113, commi primo e secondo, della Costituzione.
P. Q. M. Visto l'art. 70 della legge 26 luglio 1975, n. 354, modificata dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, e gli artt. 678 e 666 del c.p.p.; Su parere conforme del p.g., pronunciando nella procedeura suindicata nei confronti di Savio Mario, il tribunale di sorveglianza, visto l'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87: Dichiara non manifestamente infondata le questioni di illegittimita' costituzionale, cosi' come dettagliatamente indicate e articolate nella parte finale della motivazione allegata (v. n. 7); Sospende la procedura di sorveglianza in corso relativa alla decisione sul reclamo ex art. 14-ter proposto da Savio Mario avverso il provvedimento amministrativo applicativo nei suoi confronti dell'art. 41-bis, comma secondo; Dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per la decisione in merito alle questioni sollevate; Manda la cancelleria per le comunicazioni, le notificazioni e le forme di pubblicita' in genere di cui all'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87. Firenze, addi' 12 dicembre 1995 I giudici: (firme illeggibili) 96C0350