N. 251 ORDINANZA (Atto di promovimento) 8 gennaio 1996
N. 251 Ordinanza emessa l'8 gennaio 1996 dal pretore di Modica nel procedimento penale a carico di Gennuso Vincenza Elezioni - Reati elettorali - Sottoscrizione di piu' di una dichiarazione di presentazione di candidatura (nella specie: sottoscrizione di presentazione di candidatura per le elezioni del consiglio della provincia di Ragusa, sia per il Centro Cristiano Democratico, sia per il Partito Popolare Italiano) - Sanzioni - Eguale trattamento sanzionatorio rispetto alle ipotesi di chi, assumendo il nome altrui, firma una dichiarazione di presentazione di candidatura o si presenta a dare il voto, ovvero da' voto in piu' sezioni elettorali - Violazione del principio di uguaglianza, sia sotto il profilo dell'eguale trattamento di fattispecie criminose di diversa gravita', sia sotto il profilo del piu' grave trattamento sanzionatorio della stessa condotta criminosa rispetto alle elezioni politiche. (D.P.R. 15 giugno 1960, n. 570, art. 93). (Cost., artt. 3 e 27).(GU n.12 del 20-3-1996 )
IL PRETORE Visti gli atti del proc. pen. n. 1046/94 r.g.n.r. e n. 1753/95 r.gip. contro Gennuso Vincenza, nata in Modica il 27 settembre 1956 e sciogliendo la riserva adottata all'udienza del 19 dicembre 1995; Rilevato in punto di fatto Che con nota n. 603 in data 23 maggio 1994 del presidente della commissione ettorale circoscrizionale di Modica, trasmessa ai sensi dell'art. 331 codice procedura penale al procuratore della Repubblica in sede, Gennuso Vincenza veniva denunciata per aver sottoscritto le presentazioni di candidatura per le elezioni del Consigio della provincia regionale di Ragusa, sia per il Centro Cristiano Democratico, sia per il Partito Popolare Italiano; che in esito all'apertura del relativo procedimento penale a carico della Gennuso, imputata del reato p. e p. dall'art. 933 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570, veniva emesso nei confronti della stessa decreto penale di condanna, opposto con contestuale richiesta di definizione anticipata del giudizio mediante applicazione della pena; che all'udienza camerale all'uopo fissata l'imputata iterava la richiesta di patteggiamento e contestualmente prospettava l'incostituzionalita' dell'art. 93 del d.P.R. n. 570/1960. Osserva in diritto 1. - La norma in esame punisce con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a L. 100.000 (cosi' aumentata per effetto dell'art. 113, secondo comma, della legge n. 689/91) "chiunque, essendo privato o sospeso dall'esercizio del diritto elettorale, o assumendo il nome altrui, firma una dichiarazione di presentazione di candidatura o si presenta a dare il voto in una sezione elettorale, ovvero chi sottoscrive piu' di una dichiarazione di presentazione di candidatura o da' il voto in piu' sezioni elettorali". Appare chiaro come la norma in parola preveda la stessa pena in relazione a diverse ipotesi crituinose. Cosi' le cose, non puo' che condividersi il sospetto d'incostituzionalita' prospettato dall'imputata sotto vari profili. 2. - Anzittuto sotto il profilo dell'irragionevolezza (e, quindi, della violazione degli artt. 3 e 27 della Carta), laddove la norma punitiva commina la stessa pena, sia: a) a chi sottoscrive (col proprio nome) piu' dichiarazioni di presentazione di candidature; sia b) a chi, assumendo il nome altrui, firma una dichiarazione di presentazione di candidatura o si presenta a dare il voto, ovvero da' il voto in piu' sezioni elettorali. L'irragionevolezza dell'equiparazione appare prima facie dalla differente gravita' delle ipotesi sopra considerate e dal diverso disvalore delle relative condotte. Segnatamente, non pare dubitabile che l'ipotesi sub a) appare piu' lieve rispetto a quelle sub b), non foss'altro perche' non presuppone necessariamente, come accade per le seconde, un'attivita' dolosa. 2.1. - Inoltre, si consideri che la falsificazione del nome nell'esercizio dell'elettorato attivo costituisce ipotesi speciale rispetto alla generale ipotesi criminosa prevista dall'art. 495 codice penale, ma, nondimeno, viene punita con pena piu' lieve. Cio', com'e' evidente, accentua la rilevata irragionevolezza, non riuscendo a comprendersi perche' mai la condotta (dolosa) di falsa attestazione delle proprie qualita' personali, non solo riceva un trattamento di favore allorche' venga attuata nell'ambito delle sole elezioni amministrative (cio', infatti, come si vedra' infra, non avviene nell'ambito delle elezioni politiche cfr. l'art. 103 del d.P.R. n. 361/1957), ma venga punita con la stessa pena prevista per una condotta (sottoscrizione di piu' dichiarazioni di presentazione di candidature), la quale, invece, non presuppone necessariamente il dolo e, cioe', l'intento di trarre in inganno e fuorviare l'organizzazione statuale. Che' anzi, accade, quasi sempre, che essa, specie negli strati piu' bassi e meno "consapevoli" della popolazione, sia la conseguenza di colposa negligenza o di sconoscenza del divieto (che, nel caso di specie, e' costituito dall'art. 11, secondo comma della legge regionale Sic. 9 maggio 1969, n. 14). Al riguardo non puo' trascurarsi di considerare che non tutti sono ben coscienti del valore "politico" della sottoscrizione e del conseguente impegno morale e giuridico contratto con essa, essendo, invece, noto, che, prima ancora che per la farraginosita' della legislazione (soprattutto in materia elettorale), per scarso senso civico, non sono pochi coloro i quali, specie, nelle zone culturalmente meno evolute, considerano purtroppo l'adesione a un partito o a una coalizione e la stessa espressione del voto come una sorta di favore che puo' essere graziosamente elargito a chiunque ne faccia richiesta. E', questo, certamente un atteggiamento assai deteriore, fonte spesso di malcostume politico e della diffusa illegalita' che affliggono soprattutto il mezzogiorno d'Italia. Come tale, non puo' che condividersi la scelta legislativa che, anche attraverso la sanzione, tende a correggerlo. Appare, tuttavia, frutto di eccesso normativo una sanzione che, come s'e' visto, viene equiparata a quella prevista per ipotesi ben piu' gravi e, come si vedra' infra sub 2), e' perfino assai piu' grave rispetto a quella prevista per condotte identiche. 2.2. - La differenza appare ancor piu' macroscopica rispetto alla parallela ipotesi, contemplata dallo stesso art. 93, di chi firma una dichiarazione di presentazione di cadidatura assumendo un nome altrui. In tal caso, infatti, la sottoscrizione non viziata di falsita' viene equiparata tout court a quella falsa. Ne' sembra rilevare il fatto che, nella prima ipotesi, si verte in tema di sottoscrizioni plurime, mentre, nella seconda, viene considerata anche una sola sottoscrizione. Invero, l'iterazione della condotta varebbe, semmai, a giustificare l'aumento della pena nell'ambito della stessa ipotesi criminosa, ove sussistano gli elementi previsti dall'art. 81 cod. pen., mentre appare incongruamente utilizzata al fine di operare un'equiparazione (sia pur legislativa) tra ipotesi diverse. In altri termini, sembra al decidente che l'elemento differenziale piu' rilevante tra le due ipotesi sia l'esistenza o l'inesistenza della falsificazione del nome, essendo questa che evidenzia la diversa obiettivita' giuridica dei due reati, i quali, nondimeno, nonostante l'evidente diverso disvalore della condotta, vengono puniti con la medesima pena. 3. - In secondo luogo, sempre sotto il profilo dell'irragionevolezza, nonche' della disparita' di trattamento (artt. 3 e 27 della Carta), va rilevato che l'art. 106 del decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361 in tema di elezioni politiche, punisce l'identica condotta contestata alla Gennuso con una pena di gran lunga piu' lieve (reclusione fino a tre mesi o multa fino a L. 2.000.000) rispetto a quella prevista dall'art. 93 in esame. Tale differente trattamento non appare, per la verita', giustificabile, neppure sotto il profilo delle differenti realta' rappresentate dalle elezioni amministrative e dalle elezioni politiche (in tal senso la Corte delle leggi con le decisioni nn. 45/67, 106/71 e 23/72), avuto riguardo, in particolare, agli "ambienti, circostanze e situazioni locali delle elezioni amministrative", le quali, per la limitata territorialita' dei collegi e per la conseguente maggiore animosita' della competizione sembravano presupporre una maggiore e piu' rigorosa (ma quanto piu' rigorosaº) tutela. Invero, se cosi' fosse, apparirebbe, a sua volta, incongrua la differenziazione, operata, in tema di elezioni politiche, dall'art. 103 del d.P.R. n. 361/1957, tra la condotta di chi, privato dell'esercizio del diritto elettorale, si presenta per il voto, rispetto a quella di chi si presenta per dare il voto assumendo il nome altrui. Inoltre e' agevole osservare che quest'ultima ipotesi viene punita con sanzione notevolmente piu' grave (reclusione da tre a cinque anni e multa da L. 500.000 a L. 2.500.000), non solo rispetto alla prima (il che non avviene in tema di elezioni amministrative) e (perfino) rispetto a quella prevista dall'art. 495 codice penale, ma anche rispetto a quella parallela dell'art. 93 prevista in tema di elezioni amministrative, le quali, cio' nonostante, si sostiene, meritano una tutela piu' rigorosa. L'aporia che ne deriva non potrebbe essere piu' evidente. 3.1. - In ogni caso, e a prescindere dalle considerazioni che precedono, il diverso trattamento non appare piu' giustificato con l'introduzione del sistema maggioritario che ha dato vita a circoscrizioni elettorali molto piu' limitate rispetto a quelle precedenti e tali, in buona sostanza, da coincidere quasi con quelle previste per le elezioni amministrative. In presenza di siffatta nuova situazione, sembra davvero arduo ipotizzare situazioni diverse, come tali tutelabili con sanzioni differenziate. Per le fatte considerazioni la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 93, non appare manifestamente infondata in parte qua. La rilevanza della questione e' evidente, dipendendo, la decisione sulla richiesta applicazione della pena, dall'inesistenza degli evidenziati vizi d'incostituzionalita'.
P. Q. M. Visti gli artt. 1 della legge 23 febbraio 1948, n. 1 e 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87; Dichiara rilevante e comunque non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 93 del decreto del Presidente della Repubblica 15 giugno 1960, n. 570, per contrasto, nei termini sopra prospettati, con gli artt. 3 e 27 della Costituzione; Sospende il presente giudizio e dispone la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Ordina che, a cura della cancelleria, copia della presente ordinanza venga notificata all'imputato e al p.m., nonche' al Presidente del Consiglio dei Ministri e venga altresi' comunicata ai Presidenti delle due Camere del Parlamento. Modica, addi' 8 gennaio 1996 Il pretore: Rizza 96C0352