N. 63 SENTENZA 4 - 8 marzo 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Processo  penale - Trasgressione a prescrizioni inerenti a una misura
 cautelare - Sostituzione o cumulo  con  altra  misura  piu'  grave  -
 Audizione  del  difensore su richiesta del p.m. - Omessa previsione -
 Inconferente il richiamo alla sentenza  n.  219/1994  della  Corte  -
 Ragionevolezza  dell'esclusione  di un preventivo contraddittorio sia
 nel caso di prima applicazione  che  in  quello  di  sostituzione  di
 misura meno grave con altra piu' grave - Non fondatezza.
 
 (C.P.P., art. 276).
 
 (Cost., artt. 3 e 24).
 
(GU n.11 del 13-3-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
   Presidente:  avv. Mauro FERRI;
   Giudici:    prof.  Luigi  MENGONI,  prof.  Enzo CHELI, dott. Renato
 GRANATA, prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Cesare  MIRABELLI,  prof.
 Fernando  SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO, dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 276 del  codice
 di  procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 23 giugno 1995
 dal tribunale di Verbania sulla  richiesta  di  riesame  proposta  da
 Santacroce Giuseppe, iscritta al n. 587 del registro ordinanze 1995 e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 41, prima
 serie speciale, dell'anno 1995;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 24 gennaio 1996 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
                            Ritenuto in fatto
   1. - Il tribunale di  Verbania,  adi'to  in  sede  di  impugnazione
 avverso  un'ordinanza  con  cui  il pretore della stessa citta' aveva
 disposto, a norma dell'art. 276 del codice di  procedura  penale,  la
 sostituzione  della misura degli arresti domiciliari con quella della
 custodia cautelare in carcere nei  confronti  di  un  imputato,  gia'
 condannato   in   primo   grado,   a   seguito  della  notizia  della
 trasgressione  delle  prescrizioni  inerenti  alla  misura  da  parte
 dell'interessato,  ha  sollevato,  con  ordinanza del 23 giugno 1995,
 questione di legittimita' costituzionale del  citato  art.  276  cod.
 proc.  pen.,  nella  parte  in  cui  non prevede che il giudice debba
 sentire il difensore sulla richiesta del pubblico ministero intesa ad
 ottenere la sostituzione o il cumulo della misura cautelare con altra
 piu' grave per trasgressione agli obblighi  imposti,  in  riferimento
 agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione.
   2.  -  Previa  la  reiezione  di  taluni  motivi  del  gravame,  il
 rimettente osserva che  la  censura  di  incostituzionalita'  per  la
 mancata  preventiva  audizione  del difensore in sede di adozione del
 provvedimento ex  art.  276  cod.  proc.  pen.  sulla  richiesta  del
 pubblico  ministero  e'  rilevante nella prospettiva di una possibile
 declaratoria di nullita' dell'ordinanza pretorile  sostitutiva  dello
 status  cautelare,  in  ipotesi  di  accoglimento  dell'incidente  di
 costituzionalita'.
   Cio'  premesso,  il  giudice  a  quo  afferma  essere   l'accennata
 questione "del tutto analoga" a quella sollevata, da altro tribunale,
 relativamente  all'art. 301, comma 2, cod. proc. pen., e decisa dalla
 Corte costituzionale con la sentenza n. 219  del  1994,  dichiarativa
 dell'illegittimita' costituzionale del citato art. 301 nella parte in
 cui  non  prevede(va)  che ai fini dell'adozione del provvedimento di
 rinnovazione  della  misura  cautelare  dovesse  essere   previamente
 sentito  il  difensore  della persona da assoggettare alla misura. Di
 qui, lo sviluppo di argomentazioni  sostanzialmente  riproduttive  di
 quelle  formulate  nell'ordinanza di rinvio della questione ritenuta,
 appunto, analoga.
   3. - La mancata previsione del contraddittorio tra accusa e  difesa
 in  sede  di  decisione  sulla  richiesta  del  pubblico ministero di
 sostituzione o cumulo della misura con altra misura piu'  grave,  per
 il  caso  di  trasgressione  alle  prescrizioni  inerenti alla prima,
 violerebbe gli artt. 3, primo  comma,  e  24,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
   La  differenziazione  di chances processuali tra pubblico ministero
 richiedente - che puo' prospettare le argomentazioni a sostegno della
 propria richiesta - e  difensore  dell'interessato  -  che  non  puo'
 formulare deduzioni diverse e idonee a contrastare la richiesta - non
 avrebbe infatti ragionevole giustificazione nell'ambito di un sistema
 imperniato  sulla parita' tra accusa e difesa (art. 2, direttiva n. 3
 della legge delega n. 81 del 1987),  tanto  piu'  in  quanto  farebbe
 difetto,  nel  provvedimento  ex art. 276 cod. proc. pen., l'elemento
 della "sorpresa", elemento che, come  sottolineato  nella  richiamata
 sentenza   n.   219  del  1994,  potrebbe  giustificare  l'esclusione
 dell'audizione e del contraddittorio in vista della tutela  di  altre
 esigenze.  Il  rilievo  non  potrebbe d'altra parte essere superato -
 prosegue il tribunale - ne' attraverso l'argomento, pur utilizzato in
 giurisprudenza, della possibilita' di esercitare la difesa attraverso
 il  controllo sulla motivazione del provvedimento e quindi in sede di
 impugnazione,  ne'  in  base  al  piu'   generale   enunciato   della
 giurisprudenza  costituzionale circa la necessita' di contemperamento
 della garanzia difensiva con altri valori costituzionali.
   Per il primo aspetto, il giudice a quo sottolinea che  la  garanzia
 difensiva  e'  tale "in ogni stato e grado del procedimento", per cui
 deve  essere  assicurata  anche  in  via   anticipata   rispetto   al
 provvedimento,  in  modo  da  influire  sulla  relativa formazione ed
 eventualmente impedire anticipatamente gli effetti sfavorevoli  della
 decisione.  Per  il  secondo  aspetto,  il  tribunale  osserva che la
 preclusione     al     preventivo     contraddittorio     nell'ambito
 dell'applicazione dell'art. 276 non appare giustificata dall'esigenza
 di  tutela  di altri interessi o valori costituzionali concernenti il
 processo, come del resto e' stato affermato dalla richiamata sentenza
 n. 219 del 1994 che ha  delimitato  la  possibilita'  di  ridurre  le
 garanzie   difensive  solo  in  funzione  della  tutela  di  esigenze
 processuali che, per loro natura,  potrebbero  essere  vulnerate  dal
 contraddittorio anticipato.
   4.  -  E'  intervenuto  in giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato.
   L'Avvocatura   rileva  che  l'ordinanza  di  rimessione  muove  dal
 presupposto per cui la questione sarebbe del tutto analoga  a  quella
 sollevata  relativamente  all'art. 301, comma 2, cod. proc. pen., poi
 decisa con la sentenza n. 219 del 1994 della Corte costituzionale. E'
 sulla base di questo presupposto che il giudice a quo ritiene che, se
 non e' ragionevole l'esclusione del contraddittorio prima di adottare
 un provvedimento di rinnovazione di una misura  cautelare  personale,
 egualmente   non   ragionevole   sarebbe   l'esclusione   del  previo
 contraddittorio in sede di adozione del  provvedimento  ex  art.  276
 impugnato.  Ma  questo parallelismo e' privo di fondamento, ad avviso
 dell'Avvocatura, proprio alla luce delle  argomentazioni  valorizzate
 dal  tribunale  rimettente,  perche'  la  misura cautelare piu' grave
 eventualmente applicabile ex art. 276 e' diversa da quella, in  atto,
 le cui prescrizioni non sono state osservate dall'interessato: non si
 tratta   quindi   di   rinnovazione  della  medesima  misura,  ma  di
 applicazione  di  una  nuova  e  diversa  misura,  che  fa   emergere
 l'interesse al fattore dell'imprevisto e che rende quindi ragionevole
 l'esclusione  del  contraddittorio  anticipato,  che potrebbe appunto
 vanificare quella esigenza.
   L'art. 276 cod. proc. pen. va dunque allineato, per questo aspetto,
 alla disciplina dettata per  la  prima  applicazione  di  una  misura
 cautelare personale piuttosto che a quella relativa alla rinnovazione
 di  essa; ne segue la conclusione per una pronuncia di non fondatezza
 della questione.
                         Considerato in diritto
   1. - La questione  di  legittimita'  costituzionale  sollevata  dal
 tribunale  di  Verbania  e'  se  la norma dell'art. 276 del codice di
 procedura penale - nella  parte  in  cui  prevede  che,  in  caso  di
 trasgressione  alle  prescrizioni inerenti a una misura cautelare, il
 giudice puo' disporne la sostituzione o  il  cumulo  con  altra  piu'
 grave  senza  dover sentire il difensore sulla richiesta del pubblico
 ministero - sia conforme al principio di uguaglianza (art.  3,  primo
 comma,  della  Costituzione)  e  al diritto di difesa, inviolabile in
 ogni stato e grado del procedimento (art. 24,  secondo  comma,  della
 Costituzione).
   2. - La questione non e' fondata.
   La  garanzia  della  difesa  e  della  parita'  tra accusa e difesa
 comporta in generale che il preventivo contraddittorio tra le ragioni
 dell'una e dell'altra debba essere garantito anche  nel  procedimento
 applicativo di misure cautelari personali coercitive, in tutti i casi
 in   cui  esso  non  contraddica  le  esigenze  della  loro  concreta
 esecuzione.
   Conformemente a questo principio, il  codice  di  procedura  penale
 stabilisce  che il difensore debba essere sentito nei casi di proroga
 della custodia cautelare (art. 305) e questa Corte, con  la  sentenza
 n.  219  del  1994,  ha  dichiarato costituzionalmente illegittimo il
 comma 2 dell'art. 301, nella parte in cui non prevedeva che, ai  fini
 dell'adozione   del   provvedimento   di  rinnovazione  della  misura
 cautelare personale disposta per esigenze probatorie, dovesse  essere
 previamente  sentito  il difensore della persona da assoggettare alla
 misura. Sia  la  proroga  che  la  rinnovazione,  essendo  la  misura
 cautelare  gia'  in corso di esecuzione, sono infatti compatibili con
 la difesa in previo contraddittorio, senza che ne  possa  nascere  un
 pericolo   per   l'eseguibilita'  della  misura  da  prorogare  o  da
 rinnovare.
   Invece, nel caso di applicazione iniziale delle misure - essendo di
 fatto possibile che colui il quale  ne  sia  avvertito  si  sottragga
 all'esecuzione  e  che  quindi  le  finalita'  loro  proprie  vengano
 frustrate - l'art. 291 cod. proc. pen. prevede soltanto la  richiesta
 del  pubblico  ministero  al  giudice  competente. Anche la "novella"
 contenuta  nella  legge  8  agosto  1995,  n.  332,   approvata   per
 apprestare,  relativamente  all'applicazione  delle  misure cautelari
 personali,  garanzie   piu'   intense   di   quelle   gia'   previste
 dall'originaria  stesura  del  codice  di  procedura penale, conferma
 questa impostazione, pur prevedendo  innovazioni  procedimentali  che
 consentono  la  rappresentazione delle ragioni della difesa. Infatti,
 il nuovo art. 291,  al  comma  1,  stabilisce  che  "le  misure  sono
 disposte su richiesta del pubblico ministero, che presenta al giudice
 competente  gli  elementi su cui la richiesta si fonda, nonche' tutti
 gli elementi a  favore  dell'imputato  e  le  eventuali  deduzioni  e
 memorie  difensive  gia'  depositate"; il nuovo art. 292, al comma 2,
 lettera c-bis), stabilisce che "l'ordinanza  che  dispone  la  misura
 cautelare  contiene,  a  pena di nullita' rilevabile anche d'ufficio,
 l'esposizione  dei  motivi  per  i  quali  sono  stati  ritenuti  non
 rilevanti  gli  elementi forniti dalla difesa" e, al comma 2-ter, che
 "l'ordinanza e' nulla se non contiene la valutazione degli elementi a
 carico e a  favore  dell'imputato".  In  nessun  caso  tuttavia,  per
 l'intrinseca  contraddizione che ne deriverebbe rispetto all'esigenza
 di salvaguardare  l'imprevedibilita'  della  misura,  si  ammette  la
 presenza  dell'indiziato  o  dell'imputato,  o del suo difensore, nel
 procedimento di applicazione della  misura.  Esso  si  svolge  in  un
 rapporto a due, tra il pubblico ministero e il giudice.
   Le   garanzie   della   difesa,   attraverso   l'instaurazione  del
 contraddittorio,  non  sono  annullate  ma  solo  rinviate,   potendo
 esplicarsi  pienamente  in  via  successiva.  Cosi',  nel corso delle
 indagini preliminari, la persona nei cui confronti sia stata disposta
 la  custodia  cautelare  e'  dal  giudice sottoposta a interrogatorio
 immediatamente o in termini ristrettissimi, ai  fini  della  verifica
 del  perdurare  delle  condizioni  di applicabilita' e delle esigenze
 cautelari che giustificano la  misura  e  a  tale  interrogatorio  ha
 facolta'  di  assistere il difensore (art. 294 cod. proc. pen.). E in
 ogni caso possono essere proposti, dall'imputato o dal suo difensore,
 la richiesta di riesame, a  norma  dell'art.  309  cod.  proc.  pen.,
 nonche', in caso di rigetto di istanza di revoca o sostituzione della
 misura  disposta,  l'appello,  a norma dell'art. 310 cod. proc. pen.:
 richiesta di riesame e  appello  in  ordine  ai  quali  il  tribunale
 competente e' chiamato a pronunciarsi in termini brevi.
   3.  -  Alla  luce  di quanto ora detto, la soluzione della proposta
 questione circa la legittimita'  costituzionale  dell'art.  276  cod.
 proc. pen. si riduce alla risposta alla domanda se per le misure piu'
 gravi  che  il giudice puo' disporre in sostituzione o in aggiunta di
 altre, nel caso di trasgressione alle prescrizioni inerenti ad  altra
 misura  gia'  disposta,  il  carattere  di  imprevisto  sia o non sia
 coessenziale alla realizzazione della loro finalita' cautelare.
   La risposta non puo' che essere  positiva  e  per  questo  la  gia'
 richiamata sentenza n. 219 del 1994, che pare al tribunale rimettente
 costituire un precedente a favore della fondatezza della questione in
 esame, e' male invocata.
   In  tutte le situazioni ipotizzabili nell'ambito dell'art. 276 cod.
 proc. pen., la nuova misura che il giudice e' chiamato  ad  adottare,
 in  sostituzione  o  in  aggiunta  a  quella  gia' disposta, comporta
 qualche elemento di maggiore afflittivita' e incidenza nella liberta'
 personale   dell'interessato.   Per   questo,   nella    disposizione
 menzionata,  si  configura  una  scala  sulla quale le diverse misure
 cautelari personali coercitive si dispongono  oggettivamente  secondo
 la  loro  maggiore  o  minore  gravita':    dal minimo del divieto di
 espatrio (art. 281), al massimo della custodia cautelare  in  carcere
 (o  in  luogo  di  cura)  (artt.  285 e 286), attraverso l'obbligo di
 presentazione alla polizia  giudiziaria  (art.  282),  il  divieto  e
 l'obbligo di dimora (art. 283) e gli arresti domiciliari (art. 284).
   Rispetto alla maggiore afflittivita' che il passaggio da una misura
 meno  grave  a  una  piu'  grave comporta, l'esigenza dell'imprevisto
 indubbiamente si pone come per l'applicazione di  una  misura  nuova.
 Una   conferma   del   carattere   non   occasionale  ma  sistematico
 dell'omissione del  contraddittorio  preventivo  con  la  difesa,  in
 ipotesi  di  questo  genere,  e' data dalla disciplina dell'art. 299,
 comma 4,  che  prevede  la  sostituzione  di  una  precedente  misura
 cautelare  con  un'altra  piu'  grave  o  con modalita' piu' gravose,
 quando le esigenze cautelari risultino  aggravate.  Anche  in  questo
 caso,  il  giudice  provvede  su richiesta del pubblico ministero, in
 assenza di previo contraddittorio.
   Se si considera poi che  l'ipotesi  normativa  dell'art.  276  cod.
 proc.  pen.  e' la violazione di obblighi connessi a una misura "meno
 grave"  -  ipotesi  che  in  concreto  potra'  essere   vagliata   in
 contraddittorio  con  l'interessato,  ove  questi  successivamente lo
 richieda al giudice - l'inclinazione a sottrarsi  alla  misura  "piu'
 grave"  e'  da  presumersi ragionevolmente perfino piu' forte che non
 nel caso  di  prima  applicazione  o  di  aggravamento  della  misura
 determi-  nato  dal  sopravvenire di piu' forti ragioni cautelari. Si
 deve   allora   concludere   che  a  maggior  ragione  e'  valida  la
 determinazione del legislatore il quale, avendo escluso il preventivo
 contraddittorio  nel  caso  di  prima  applicazione  di  una   misura
 cautelare personale e in quello della sostituzione di una misura meno
 grave  con  una  piu'  grave, altrettanto ha fatto nel caso, previsto
 dall'art. 276 cod.  proc. pen., di  trasgressione  alle  prescrizioni
 inerenti a una misura cautelare precedentemente disposta.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art.  276  del  codice  di  procedura   penale   sollevata,   in
 riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal
 tribunale di Verbania, con l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 4 marzo 1996.
                         Il presidente:  Ferri
                       Il redattore:  Zagrebelsky
                       Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in cancelleria l'8 marzo 1996.
               Il direttore della cancelleria:  Di Paola
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