N. 252 ORDINANZA (Atto di promovimento) 24 novembre 1995
N. 252 Ordinanza emessa il 24 novembre 1995 dal pretore di Roma nel procedimento penale a carico di Asanofski Ismet Immigrazione - Stranieri extracomunitari - Arresto in flagranza - Convalida - Prevista espulsione su richiesta del pubblico ministero, salvo il limite delle inderogabili esigenze processuali - Configurazione di detta espulsione come misura cautelare personale applicabile esclusivamente nei confronti degli stranieri o, in alternativa, come misura di sicurezza applicata senza previo accertamento della pericolosita' sociale - Violazione del diritto di difesa - Irragionevolezza e lesione del principio di riserva di legge per le misure di sicuerezza. (Legge 28 febbraio 1990, n. 39, art. 7-ter, aggiunto dal d.-l. 18 novembre 1995, n. 486, (recte: n. 489) art. 7, terzo comma). (Cost., artt. 3, 24, secondo comma, e 25, terzo comma).(GU n.13 del 27-3-1996 )
IL PRETORE Sentite le parti e visti gli atti del procedimento; O s s e r v a Asanofski Ismet, cittadimo macedone, sprovvisto di permesso di soggiorno e' stato colto nella flagranza del reato di cui agli artt. 56, 624 e 625 n. 2 c.p. e tratto in arresto dalla p.g. in data 23 novembre 1995. Presentato all'odierna udienza, il p.m. ha richiesto la convalida dell'arresto e ritenute insussistenti le esigenze di cui agli artt. 272 e segg. c.p.p., non ha invocato la contestuale applicazione di misure cautelari. Per contro, il rappresentante dell'accusa ha richiesto l'espulsione dell'Asanofski dal territorio nazionale ai sensi dell'art. 7-ter e della legge n. 39/90 come introdotto dal d.-l. 18 novembre 1995, n. 489. Questo pretore ha preliminarmente disposto la convalida dell'arresto eseguito di iniziativa dalla p.g., riservando all'esito la decisione sulla invocata espulsione. Ritiene dunque il giudice di dover rilevare - sollecitato in tal senso dal p.m. - la non manifesta infondatezza di una questione di legittimita' costituzionale della recentissima normativa in tema di immigrazione, ingresso e soggiorno dei cittadini extracomunitari, in relazione proprio all'ipotesi delineata dal cittadino art. 7-ter introdotto dal decreto-legge ed in riferimento agli artt. 24, secondo comma, 3 e 25, terzo comma, della Costituzione. Violazione dell'art. 24, secondo comma, della Costituzione. Va preliminarmente rilevato che la norma censurata - diversamente da quanto stabilisce l'art. 7, comma 12-ter, della legge n. 39/90 non novellato dal d.-l. n. 489 in esame - contempla la possibilita' di espulsione dello straniero arrestato in flagranza di reato o sottoposto a misura cautelare per uno o piu' delitti diversi da quelli di cui all'art. 407, comma secondo. lett. a) nn. da 1) a 6) c.c.p. non soltanto su richiesta dell'interessato o del suo difensore, quanto anche su semplice richiesta del p.m. Per il modo in cui la norma e' configurata, data la fase processuale in cui la misura puo' essere adottata, l'alternativita' concreta (e per certi versi logica in relazione al tipo di procedimento instaurato) con le misure cautelari applicabili ai sensi degli artt. 280 e segg. c.c.p. e gli stessi riferimenti testuali adottati dal legislatore ("e' disposta l'espulsione sempre che le esigenze cautelari per le quali e' stata applicata la custodia possano essere soddisfatte da tale misura"), sembra che questi abbia voluto delineare un tipo di misura cautelare sui generis (anche perche' applicabile a richiesta dell'interessato o del suo difensore), esclusivamente approntata per i cittadini stranieri. Proprio l'adottabilita' della misura a semplice richiesta del p.m. stravolge, infatti, i connotati di un istituto gia' presente nell'ordinamento - perche' previsto dai commi 12-bis e 12-ter della legge n. 39/90 come introdotti dall'art. 8, primo comma, del d.-l. n. 187/93 - e da codesta Corte costituzionale gia' configurato come un'ipotesi di sospensione dell'esecuzione di una misura cautelare custodiale (sent. n. 62/94). Cio' introduce, tuttavia, una grave distorsione nel funzionamento del meccanismo processuale previsto in tema di giudizio direttissimo pretorile ed ancor piu' una evidente lesione del diritto di difesa previsto dall'art. 24, secondo comma, della Carta costituzionale. Nel sistema processuale vigente, infatti, la celebrazione del giudizio direttissimo pretorile consegue immediatamente alla avvenuta convalida dell'arresto in flagranza ed anzi la convalida medesima e' presupposto indefettibile della celebrazione di detto giudizio (art. 566, sesto comma, c.p.p.). Orbene, appare escluso - anche ad una prima valutazione del provvedimento - che il p.m. possa richiedere l'espulsione dello straniero senza richiederne la convalida dell'arresto, che' in tal caso il presupposto dell'espulsione consisterebbe addirittura nell'adozione di una misura restrittiva della liberta' personale rimessa alla mera iniziativa e valutazione della p.g., in ipotesi anche al di fuori delle situazioni di cui agli artt. 380 e 381 c.p.p.. Se, invece, come nell'ordinarieta' delle situazioni, l'operato della p.g. viene sottoposto al successivo e dovuto vaglio giudiziale, puo accadere -- come nella fattispecie - che il cittadino straniero colto in flagranza di reato ed il cui arresto sia stato successivamnte convalidato si vede, in forza della mera richiesta del p.m. non sussistendo inderogabili esigenze processuali (com'e' nella specie ed in tutti i casi in cui l'accertamento della responsabilita' penale riguarda condotte di elementare valutazione) e sempre che le esigenze cautelari possano essere soddisfatte da tale misura, precludere la possibilita' stessa di difendersi dall'accusa che gli viene contestata, prevalendo invece le esigenze di allontanamento immediato dal territorio nazionale. Ne' il meccanismo approntato dall'art. 7-sexies, comma undicesimo della legge n. 39/90, parimenti introdotto dal decreto-legge, appare idoneo a soddisfare e garantire le predette esigenze difensive. La norma, infatti, prevede la possibilita' per lo straniero espulso e sottoposto a procedimento penale di rientrare in Italia per il tempo strettamente necessario a partecipare al giudizio o al compimento di quegli atti processuali per i quali e' necessaria la sua presenza. Appare, dunque, evidente che la previsione riguarda un giudizio che dovra' celebrarsi a distanza di tempo dal momento in cui e' disposta (ed eseguita) l'espulsione, mentre il giudizio direttissimo pretorile si celebra necessariamente subito dopo la fase della convalida. Ne', infine, sembra ipotizzabile che il p.m. possa richiedere l'espulsione a convalida espletata ed a giudizio direttissimo concluso, posto che in tal caso si verterebbe nella diversa ipotesi di cui all'art. 7 legge n. 39/90, come novellato dal decreto-legge in questione, in cui l'espulsione viene espressamente configurata quale misura di sicurezza conseguente a condanna ed adottabile al cospetto di un individuo socialmente pericoloso. Violazione degli artt. 3 e 25, terzo comma, della Costituzione. Altri motivi di contrasto con principi di rilevanza costituzionale sembrano potersi ravvisare, nel caso in cui la misura dell'espulsione adottata ai sensi dell'art. 7-ter dovesse essere diversamente qualificata. Il d.-l. n. 489/95 configura ben cinque diverse ipotesi di espulsione. Tralasciando quelle previste dagli artt. 7-quater e 7-quinquies della legge n. 39/90 (parimenti introdotti dall'art. 7 del decreto- legge) rimesse alla autorita' amministrativa, tanto quella espressamente definita come misura di sicurezza (art. 7), quanto l'altra qualificata come misura di prevenzione (art. 7-bis) - la cui applicazione e' demandata alla autorita' giudiziaria - sono collegate e dipendono da una valutazione dello stato di pericolosita' del cittadino straniero espressamente richiesta dalle norme considerate. Nel primo caso, infatti, la previsione stabilisce che l'espulsione conseguente a condanna penale o ad applicazione di pena ex art. 444 c.p.p. puo' essere disposta sempre che il soggetto "risulti socialmente pericoloso". Nel secondo caso, invece, la valutazione di pericolosita' e' esplicitamente richiesta in riferimento alla nozione di sicurezza pubblica (art. 7-bis, comma terzo) e comunque e' insita nel richiamo alle categorie di persone di cui all'art. 1 della legge n. 1423/56. L'espulsione su richiesta del p.m. prevista dall'art. 7-ter sembra, dunque, l'unica fra quelle la cui applicazione viene demandata alla a.g. che prescinde da detta valutazione di pericolosita'. La riconducibilita' di tale espulsione al novero delle misure cautelari - come in precedenza adombrata - appare invero messa in crisi dalla gia' indicata circostanza che essa puo' intervenire anche su richiesta dell'interessato o del suo difensore e cio', evidentemente, in contrasto con il principio generale enunciato dall'art. 291 c.p.p. secondo cui e' solo il pubblico ministero il soggetto processuale abilitato a richiedere l'applicazione di misure cautelari. Non sembra possibile, infatti, considerare separatamente le due ipotesi (espulsione su richiesta dell'interessato e su richiesta del p.m.) cosi da inquadrarle sistematicamente in due diversi istituti rispondenti a differenti finalita'. Prescindendo, allora, dall'inquadramento sistematico sopra delineato, non si ravvisa altro parametro legale effettivo se non appunto quello della pericolosita' sociale - quale definito dagli artt. 202 e 203 c.p. - quello sul quale si fonda in realta' l'adozione dell'espulsione ivi considerata. Se pero' il presupposto per l'adozione della misura e' quello della sussistenza di una condizione di pericolosita' sociale del soggetto, l'espulsione si configura come misura di sicurezza a tutti gli effetti, al di la' della terminologia adottata dal legislatore. Ne consegue, allora, il contrasto della norma ivi censurata con il principio generale introdotto dall'art. 31 legge n. 663/86 secondo cui "tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate, previo accertamento che colui il quale ha commesso il fatto, e' persona socialmente pericolosa". Diversamente opinando, infatti, la condizione di straniero arrestato in flagranza di reato o sottoposto a custodia cautelare per determinate categorie di delitti diverrebbe equivalente di quella propria delle persone socialmente pericolose. Codesta Corte costituzionale ha, del resto, proprio recentemente ribadito (sentenza n. 58/95 dichiarativa dell'illegittimita' costituzionale dell'art. 86, primo comma, d.P.R. n. 309/90) che l'accertamento della pericolosita' sociale costituisce requisito indefettibile per l'applicazione di ogni misura personale di sicurezza, mancando il quale deve ravvisarsi l'irragionevolezza della previsione in quanto derogatoria al principio generale suddetto nonche' violazione del principio costituzionale di riserva di legge nell'applicazione delle misure di sicurezza stesse.
P. Q. M. Visti gli artt. 134 della Costituzione e 23 della legge n. 87/53; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata a questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7-ter della legge n. 39/1990, come introdotto dall'art. 7, terzo comma del d.-l. 18 novembre 1995 n. 486 per violazione degli artt. 24, secondo comma, 3 e 25, terzo comma, della Costituzione nei termini esposti in motivazione; Sospende il presente provvedimento ed ordina l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale; Manda alla cancelleria per la notificazione della presente ordinanza alle parti ed al Presidente del Consiglio dei Ministri per la comunicazione della stessa ai Presidenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Roma, addi' 24 novembre 1995 Il pretore: Villoni 96C0362