N. 258 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 novembre 1995
N. 258 Ordinanza emessa il 21 novembre 1995 dal pretore di Perugia, sezione distaccata di Assisi nel procedimento penale a carico di Rosignoli Lanfranco Ambiente (tutela dell') - Inquinamento - Rifiuti tossici - Smaltimento di rifiuti tossici e nocivi - Sottrazione alla disciplina sanzionatoria dello smaltimento di sostanze inserite nei listini ufficiali delle camere di commercio - Reintroduzione del contenuto del d.m. 26 gennaio 1990 gia' dichiarato costituzionalmente illegittimo (sentenza n. 512/1990) - Reiterazione a catena di decreti-legge non convertiti in assenza del presupposto della necessita' ed urgenza - Incidenza sui principi della tutela dell'ambiente e della natura, di legalita' della riserva di legge in materia penale - Violazione di norme comunitarie. Legislazione statale e regionale - Leggi ed atti equiparati - Decreti-legge non convertiti - Omessa previsione del divieto di reiterazione di decreti-legge decaduti - Violazione dei principi costituzionali in materia - Riferimenti alle pronunce costituzionali nn. 29, 161 e 289 del 1995. (D.-L. 8 novembre 1995, n. 463, art. 12; legge 23 agosto 1988, n. 400, art. 15, secondo comma, lett. d) (recte: c)). (Cost., artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 77).(GU n.13 del 27-3-1996 )
IL PRETORE Ha pronunziato la seguente ordinanza, all'esito della discussione nel processo indicato in epigrafe a carico di Rosignoli Lanfranco. O s s e r v a All'odierno processo le parti concludevano come da separato verbale. Ritiene il giudicante che la decisione allo stato non possa emettersi, in quanto va preliminarmente affrontata l'esame degli effetti sull'imputazione in oggetto dell'art. 12 d.-l. 8 novembre 1945, n. 463, di cui occorre valutare la questione di legittimita' costituzionale. R i l e v a n z a Dalle emergenze processuali, segnatamente dalle disposizioni di Fabbroni Paolo e di Bagnetti Antonio che riferivano di rifiuti provenienti da un'officina meccanica che svolgeva l'attivita' di riparazione di veicoli (Bagnetti Antonio "Sono tecnico dell'ambiente ULS n. 2. Trovavamo delle batterie, accumulatori al piombo, ferodi e pasticche per i freni depositati in contenitori di plastica chiusi sotto una tettoia ricavate all'esterno del fabbricato dell'azienda i due contenitori erano di plastica per una superficie complessiva di 3-4 mc") sembra risultare, salva ogni successiva determinazione, la presenza nell'odierna vicenda di rifiuti non ricompresi nell'allegato punto 16 05 00 del d.-l. 8 novembre 1995, n. 463, ma classificabili ex art. 2 del d.-l. 8 novembre 1995, n. 463, come "residui". Per l'effetto potrebbe applicarsi all'odierna fattispecie l'art. 12, commi quarto e quinto d.-l. n. 463 del 1995, che abroga la normativa penale dell'originario impianto sanzionatorio del d.P.R. 10 settembre 1982, n. 915, in particolare nel punto in cui, richiamando il contenuto dell'art. 14, primo comma, d.-l. n. 463 del 1995, esclude la punibilita' della condotta incriminata. Non manifesta infondatezza Cio' premesso si nota, come testualmente affermato da Corte costituzionale 9 marzo 1988-10 marzo 1988 n. 302, che "in via di principio la reiterazione dei decreti-legge suscita gravi dubbi relativamente agli equilibri istituzionali e ai principi costituzionali, tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti in base al decreto reiterato sono praticamente irreversibili (come, ad esempio, quando incidono sulla liberta' personale dei cittadini) o allorche' gli stessi effetti sono fatti salvi, nonostante l'intervenuta decadenza, ad opera dei decreti successivamente riprodotti". Tali gravi dubbi appaiono particolarmente fondati nell'odierna vicenda in cui il d.-l. n. 463 del 1995 e' il tredicesimo decreto-legge che fa seguito ai decreti-legge, non convertiti nei termini e ripresentati anche con modifiche, di seguito indicati: d.-l. 9 novembre 1993, n. 443, d.-l. 7 gennaio 1994, n. 12, d.-l. 10 marzo 1994, n. 169, d.-l. 6 maggio 1994, n. 279, d.-l. 8 luglio 1994, n. 438, d.-l. 7 settembre 1994, n. 530, d.-l. 7 novembre 1994, n. 619, d.-l. 7 gennaio 1995, n. 3, d.-l. 9 marzo 1995, n. 66, d.-l. 10 maggio 1995, n. 162, d.-l. 10 luglio 1995, n. 274 e d.-l. 7 settembre 1995, n. 373. Sorge il fondato sospetto che la reiterazione cosi' ostinata di decreti-legge non convertiti nei termini e talvolta contenenti anche profonde modifiche l'uno dall'altro con rilevanti effetti in tema di abrogazione o meno delle norme contenenti fattispecie penali, costituisca una palese violazione del combinato disposto degli artt. 25 e 77 della Costituzione in materia penale; infatti non si comprende come la necessita' ed urgenza della decretazione normativa e la connessa provvisorieta' della normativa nonostante la naturale vocazione del decreto-legge a disporre anche in via definitiva, possa conciliarsi, in materia penale, con la mancanza di alcuna scadenza temporale o di qualche limite al legislatore in sede di conversione. Tale contrasto si acuisce allorche' la precarieta' legislativa si protragga, come nel caso di specie, per l'arco di oltre due anni, sempre che l'attuale decreto-legge venga finalmente convertito o definitivamente abbandonato. In pratica questo pretore potrebbe emettere una sentenza assolutoria per un fatto che, pur essendo in ipotesi offensivo di un bene, quale la salute pubblica, tutelato al massimo rango costituzionale viene depenalizzato in forza di una normativa non solo provvisoria, ma costantemente reiterata nel tempo, addirittura con modifiche e con palesi imprecisioni materiali (si veda l'avviso di rettifica contenuto nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 16 marzo 1995, relativa a numerose disposizioni del d.-l. n. 66 del 1995), sempre in mancanza di una conversione legislativa. Inoltre, l'arco temporale coperto dai tredici decreti-legge succedutisi in materia, pari a ventisei mesi, copre per oltre due terzi il decorso del termine di prescrizione del reato disciplinato dall'art. 26 d.P.R. n. 915 del 1982 ed individuato dall'art. 152, comma primo, n. 5 c.p. in tre anni. Il dettato dell'art. 12 d.-l. n. 463 del 1995, astrattamente applicabile al caso di specie, sembra dunque in conflitto con i principi costituzionali che statuiscono il principio di legalita' e la riserva di legge in materia penale. Sul punto del rispetto del principio di legalita', la situazione di incertezza legislativa cagiona perniciosi effetti in tema di prevedibilita' delle decisioni giudiziarie in quanto gli imputati sottoposti a processo penale per un medesimo fatto vengono giudicati in forza di una normativa precaria e mutevole nel tempo; infatti "una volta decaduto il decreto-legge contemplante un'ipotesi di reato, la condotta illecita posta in essere nel periodo di sua efficacia non costituisce titolo per la condanna" (cosi' Cass., sez. I, 30 novembre 1993, Osalobua, in cass. pen., 1995, n. 911). Cio' e' tanto piu' grave in materia penale ove e' doveroso stabilire un discrimine certo tra condotta lecita e comportamento illecito, come ricordato in generale anche dalla giurisprudenza costituzionale (per tutte v. Corte costituzionale 24 marzo 1988, n. 364). Al riguardo non e' superfluo ricordare l'esito della sanatoria in tema di disciplina penale degli scarichi; infatti mentre l'art. 7 d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, facendo seguito a reiterati decreti-legge non convertiti nei termini, consentiva la richiesta dell'autorizzazione in sanatoria per i reati pregressi, con cio' recependo quanto disposto per la prima volta nell'art. 5 del d.-l. 15 luglio 1994, n. 449, la legge di conversione 17 maggio 1995, n. 172, ha soppresso la previsione di sanatoria. Per quanto riguarda il secondo profilo, la ratio della riserva di legge consiste nell'attribuire al potere legislativo il monopolio penale col duplice scopo di evitare l'arbitrio del potere giudiziario e di quello del potere esecutivo. Non si contesta certo la natura di fonte legale di diritto al decreto-legge, sancita dall'art. 77 Cost., ma si vuole ricordare come l'appartenenza di una propria potesta' legislativa al Governo presupponga la sussistenza di casi straordinari di necessita' ed urgenza. In effetti per il decreto-legge si tratta - come riconosciuto dalla dottrina la cui citazione nominativa degli autori e' preclusa da un'opportuna applicazione analogica del disposto dell'art. 118, terzo comma, r.d. 18 dicembre 1941, n. 1368, contenente le disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile - di una fonte assolutamente unica nel suo genere in quanto subordinata alla conversione legislativa. Si pensi ai problemi che puo' suscitare il passaggio in giudicato, per mancata impugnazione nei termini di rito, di una sentenza penale del giudice di primo grado che abbia applicato la norma abrogata da un decreto-legge non convertito nel termine di sessanta giorni. Senza ignorare inoltre l'ipotesi, non necessariamente solo scolastica, in cui il giudicante, avvalendosi della facolta di cui al combinato disposto degli artt. 544, 549 e 567 c.p.p., rediga la motivazione della sentenza in epoca successiva alla lettura del dispositivo con cio' andando incontro al rischio di motivare una sentenza pronunciata, mediante lettura del solo dispositivo, nel vigore di un decreto-legge non convertito nelle more della stesura della motivazione della sentenza. Sebbene la prassi della rinnovazione dei decreti-legge sia divenuta pressoche' costante, al punto che decreti-legge vengono modificati nelle more del procedimento di conversione con separato decreto-legge (v. decretolegge 15 dicembre 1994, n. 684, il cui art. 1 modificava l'art. 1 d.-l. 25 novembre 1994, n. 649, in una materia la cui attuale disciplina va individuata nel dettato dell'art. 39 legge 23 dicembre 1994, n. 724, a sua volta modificato dall'art. 14 della legge 22 marzo 1995, n. 85, e dall'art. 1 d.-l. 20 settembre 1995, n. 400), questo pretore non ritiene che l'unico strumento di garanzia per il cittadino sia costituito da un'eventuale revisione costituzionale sul punto che riformuli i presupposti per l'esercizio della decretazione d'urgenza. Infatti, e' pacifico, in primo luogo, che i decreti-legge possono essere sindacati sotto il profilo dei vizi propri che ne inficiano la legittimita', ancor prima dell'intervento dell'eventuale legge di conversione; per tale motivo e' ammesso, qualora ne sussistano i presupposti, sollevare una questione di legittimita' costituzionale avverso un decreto-legge non ancora convertito. Ma oltre a cio' si ricorda che ai sensi dell'art. 77, secondo comma, della Costituzione il Governo si assume la responsabilita' dell'adozione del decreto-legge. Le sanzioni a cui l'esecutivo soggiace in caso di mancata conversione del decreto-legge non consistono esclusivamente in quelle di natura politica, che per loro natura ovviamente non possono essere prese comminate dal giudice penale, ma coinvolgono anche l'ambito strettamente giuridico. Infatti va considerato che la facolta', di cui all'art. 77, terzo comma, Cost., di regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti e' meramente eventuale e non obbligatoria. Sembra percio' logico ritenere che, qualora il decreto-legge venga emanato in assenza dei presupposti giustificativi, non e' necessario attendere l'intervento del legislatore, ma il giudice puo' dichiarare l'illegittimita' della norma contenuta nel decreto-legge. Naturalmente il giudice di merito nel nostro ordinamento non puo' esercitare il potere di disapplicazione della legge ordinaria, per cui spetta alla Corte costituzionale, qualora ritenga, come sostiene questo pretore, che il decreto-legge non poteva essere presentato o, come nel caso di specie, reiteratamente presentato, con o senza modifiche, essendo venuto meno il presupposto giustificativo della decretazione d'urgenza, affermare l'illegittimita' costituzionale della norma. Tale opinione sembra trovare autorevole ed idoneo supporto in quanto affermato testualmente anche dalla giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 27 gennaio 1995, n. 29) secondo cui, a norma dell'art. 77 Cost., "la pre-esistenza di una situazione di fatto comportante la necessita' e l'urgenza di provvedere tramite l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge, costituisce un requisito di validita' costituzionale dell'adozione del predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel presupposto configura tanto un vizio di legittimita' costituzionale del decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito delle possibilita' applicativecostituzionalmente previste, quanto un vizio in procedento della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima, nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti di validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge un atto che non poteva essere legittimo oggetto di conversione. Pertanto, non esiste alcuna preclusione affinche' la Corte costituzionale proceda all'esame del decreto-legge e/o della legge di conversione sotto il profilo del rispetto dei requisiti di validita' costituzionale relativi alla pre-esistenza dei presupposti di necessita' ed urgenza, dal momento che il correlativo esame delle Camere in sede di conversione comporta una valutazione del tutto diversa e, precisamente, di tipo prettamente politico sia con riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli effetti della stessa". Questa affermazione, ripetuta anche in successive decisioni (cfr. Corte cost. 10 maggio 1995, n. 161), sembra poi logicamente coincidere con il contenuto delle ordinanze costituzionali in cui, prendendo in esame un decreto-legge non convertito nei termini in una materia disciplinata allo stato da un successivo decreto-legge, non si e' dichiarata la mera inammissibilita' della questione, ma si sono restituiti gli atti al giudice remittente per una nuova valutazione (per tutte, v. Corte cost. ordinanza 15 giugno 1995, n. 289). A questo punto, tuttavia, appare necessario, ad avviso di questo giudice, sindacare quello che si ritiene un uso costituzionalmente scorretto del potere normativo del Governo, non solo con riferimento al dettato dell'art. 12 d.-l. n. 463 del 1995, ma anche in relazione all'art. 15, comma secondo, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, che disciplina l'attivita' di Governo e l'ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri; infatti si ritiene che il divieto per il Governo di "rinnovare le disposizioni di decreti-legge dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una delle due Camere" debba essere interpretato nel senso che, qualora un decreto-legge non venga convertito nei termini, il Governo perda la possibilita' di intervenire di nuovo sulla stessa materia con un decreto-legge, identico a quello non convertito nei termini. Qualora venisse adottata quest'interpretazione, sembrerebbe evidente il difetto dei presupposti giustificativi del decreto-legge n. 463 del 1995. Non e' escluso che il giudice ordinario potrebbe dichiarare la nullita' del d.-l. n. 463 del 1995, qualora si ritenga che la sua emanazione sia in contrasto con l'art. 15, comma secondo, lettera d), della legge 23 agosto 1988; peraltro quest'ultima legge non e' di rango costituzionale, per cui la parita' gerarchica delle fonti normative sembra precludere tale soluzione. Diversamente appare piu' corretto che si dichiari l'illegittimita' costituzionale anche dell'art. 15, comma secondo, lettera d), della legge 23 agosto 1988, nel senso di inibire un uso improprio del potere normativo dell'esecutivo, mediante il divieto di reiterare incondizionatamente un decreto-legge, non convertito nei termini, per la disciplina della stessa materia. Quindi, ritenuta la rilevanza nell'odierna vicenda non solo dell'art. 12 decreto-legge 8 novembre 1995, n. 463, immediatamente applicabile, ma anche dell'art. 15, comma secondo, lettera d), della legge 23 agosto 1988, che costituisce il presupposto per l'intervento normativo del Governo nella materia in esame, sussistendo i presupposti questo giudice puo' sollevare la questione di legittimita' costituzionale, con riferimento al menzionato dettato costituzionale, sia dell'art. 12 decreto-legge 8 novembre 1995, n. 463, che dell'art. 15, comma secondo, lettera d) della legge 23 agosto 1988. In ogni caso il disposto dell'art. 12 n. 463 del 1995 sembra confliggere con il dettato costituzionale anche sotto altri parametri, che per brevita' espositiva possono intendersi sostanzialmente indicati nei seguenti: con gli artt. 3 e 25 Cost., in quanto il combinato disposto degli artt. 2 e 12, commi quarto e quinto, decreto-legge n. 463 del 1995, che sembrano reintrodurre il contenuto del d.m. 26 gennaio 1990 gia' parzialmente dichiarato illegittimo costituzionalmente (Corte cost. 15 ottobre 1990, n. 512), sottrae la disciplina dei rifiuti a quelle sostanze che la camera di commercio inserisce nei listini ufficiali (art. 3, comma terzo, d.-l. n. 463 del 1995), con cio' creando un contrasto di fatto coi principi costituzionali di parita' di trattamento e riserva di legge penale, (cfr. decreto Ministero dell'ambiente 5 settembre 1994 pubblicato in Gazzetta Ufficiale 10 settembre 1994, n. 212, supplemento ordinario). Non puo' inoltre sfuggire come dalle prime interpretazioni giurisprudenziali, in tema di art. 12 del d.-l. 7 settembre 1994, n. 530 (Cass. sez. III, ordinanza 12 ottobre 1994, Rozzi, inedita) e dell'art. 12 d-.l. 7 gennaio 1994, n. 12 (Cass. sez. III, 8 marzo 1994, Fontinovo ed altri, in Cass. pen., 1995, n. 313) affiori il richiamo al d.m. 26 gennaio 1990, la cui portata precettiva nel settore penale e' quanto meno discutibile in forza della menzionata declaratoria di illegittimita' costituzionale; con l'art. 10 della Costituzione per il contrasto di fondo tra il combinato disposto degli artt. 2 e 12, commi quarto e quinto, d.-l. n. 463 del 1995 e la normativa comunitaria, segnatamente direttive CEE n. 156 del 18 marzo 1991, n. 689 del 12 dicembre 1991, ancora da recepire e richiamate nella premessa dell'art. 1 del decreto-legge n. 463 del 1995, e regolamento n. 259 del 1 febbraio 1993. Il legislatore statale puo' intervenire normativamente per correggere delle interpretazioni giurisprudenziali che ritiene non condivisibili, come nel caso di specie in cui si pone in contrasto con la tesi secondo cui "le materie prime secondarie, ovvero i residui derivanti dai processi produttivi suscettibili di essere riutilizzati, non costituiscono una categoria autonoma, diversa o comunque alternativa rispetto ai rifiuti giacche' si tratta pur sempre di sostanze ed oggetti dismessi o destinati ad essere dismessi dal loro detentore in quanto non piu' idonei a soddisfare i bisogni cui essi erano originariamente destinati" (cosi' Cass. sez. un., 27 marzo 1992, Viezzoli, in Foro It., 1992, II, c. 419); non puo' pero' ne' disattendere le disposizioni della CEE (Corte cost. 18 aprile 1991, n. 168; Corte cost. 8 giugno 1984, n. 170), ne' ignorare le sentenze interpretative della Corte di giustizia (Corte cost. 23 aprile 1986, n. 113). Considerato che per interpretazione degli organi comunitari europei "la nozione di rifiuto, si sensi dell'art. 1 delle direttive del Consiglio n. 75/442/CEE e n. 78/319/CEE, non deve essere intesa nel senso di escludere dalla applicazione delle direttive le sostanze e gli oggetti che siano suscettibili di riutilizzazione economica" (Corte di giustizia delle Comunita' europee, 10 maggio 1995 (causa n. 422/92), in riv. giur. Ambiente, 1995, p. 653) appare dimostrata l'inadempienza del legislatore italiano rispetto alla normativa comunitaria; con il combinato disposto degli artt. 9 e 32 della Costituzione che tutelano l'ambiente e la salute come ambiente naturale in senso lato; la sottrazione all'intervento penale delle sostanze classificabili come residui da parte del combinato disposto degli artt. 2 e 12, commi quarto e quinto, d.-l. n. 463 del 1995 viola l'obbligo di salvaguardia del diritto assoluto ed incondizionato alla fruizione del paesaggio, inteso come ecositema nel suo complesso. Sul punto appare opportuno rilevare come non sia inibita a questo giudice la possibilita' di sollevare la questione di legittimita' costituzionale, in quanto non si e' in presenza di una norma penale di favore. Infatti, oltre alla considerazione che tali questioni non sono in linea di principio inammissibili (Corte cost. 3 giugno 1983, n. 148), nel caso in esame non si tratta di introdurre nuovi illeciti penali, ma di dichiarare l'incostituzionalita' di norme abrogative di reati gia' previsti dalla legislazione vigente. Per queste considerazioni la questione nel presente processo e' rilevante e non manifestamente infondata per cui deve essere sollevata anche d'ufficio. II giudizio in corso va sospeso.
P. Q. M. Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 12 decreto-legge 8 novembre 1995, n. 463, nei sensi di cui in motivazione; Dichiara rilevante e non manifestamente infondata, per violazione degli artt. 3 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 15, comma secondo, lettera d), della legge 23 agosto 1988, n. 400, nei sensi in cui in motivazione; Sospende il giudizio in corso; Visto l'art. 23, legge 11 marzo 1953, n. 87, ordina che a cura della cancelleria gli atti del presente giudizio vengano trasmessi alla Corte costituzionale e che la presente ordinanza, letta all'odierna pubblica udienza, venga trasmessa al Presidente del Consiglio dei Ministri e comunicata al Presidente della Camera dei deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica. Assisi, addi' 21 novembre 1995 Il pretore: Sottani 96C0368