N. 258 ORDINANZA (Atto di promovimento) 21 novembre 1995

                                N. 258
   Ordinanza  emessa  il  21  novembre  1995  dal  pretore di Perugia,
 sezione distaccata di Assisi nel  procedimento  penale  a  carico  di
 Rosignoli Lanfranco
 Ambiente   (tutela   dell')   -  Inquinamento  -  Rifiuti  tossici  -
    Smaltimento  di  rifiuti  tossici  e  nocivi  -  Sottrazione  alla
    disciplina  sanzionatoria  dello  smaltimento di sostanze inserite
    nei listini ufficiali delle camere di commercio  -  Reintroduzione
    del   contenuto   del   d.m.   26  gennaio  1990  gia'  dichiarato
    costituzionalmente  illegittimo  (sentenza   n.      512/1990)   -
    Reiterazione  a  catena di decreti-legge non convertiti in assenza
    del presupposto  della  necessita'  ed  urgenza  -  Incidenza  sui
    principi  della  tutela dell'ambiente e della natura, di legalita'
    della riserva di legge in materia penale  -  Violazione  di  norme
    comunitarie.
 Legislazione  statale  e  regionale  -  Leggi  ed  atti  equiparati -
    Decreti-legge non convertiti - Omessa previsione  del  divieto  di
    reiterazione  di  decreti-legge decaduti - Violazione dei principi
    costituzionali   in   materia   -   Riferimenti   alle    pronunce
    costituzionali nn. 29, 161 e 289 del 1995.
 (D.-L.  8  novembre  1995,  n. 463, art. 12; legge 23 agosto 1988, n.
    400, art. 15, secondo comma, lett. d) (recte: c)).
 (Cost., artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 77).
(GU n.13 del 27-3-1996 )
                              IL PRETORE
   Ha pronunziato la seguente ordinanza, all'esito  della  discussione
 nel processo indicato in epigrafe a carico di Rosignoli Lanfranco.
                             O s s e r v a
   All'odierno   processo  le  parti  concludevano  come  da  separato
 verbale.
   Ritiene il  giudicante  che  la  decisione  allo  stato  non  possa
 emettersi,  in  quanto  va  preliminarmente  affrontata l'esame degli
 effetti sull'imputazione in oggetto dell'art.  12  d.-l.  8  novembre
 1945,  n.  463,  di cui occorre valutare la questione di legittimita'
 costituzionale.
                           R i l e v a n z a
   Dalle emergenze processuali,  segnatamente  dalle  disposizioni  di
 Fabbroni  Paolo  e  di  Bagnetti  Antonio  che  riferivano di rifiuti
 provenienti da un'officina  meccanica  che  svolgeva  l'attivita'  di
 riparazione  di veicoli (Bagnetti Antonio "Sono tecnico dell'ambiente
 ULS n. 2.  Trovavamo delle batterie, accumulatori al piombo, ferodi e
 pasticche per i freni depositati in contenitori  di  plastica  chiusi
 sotto  una tettoia ricavate all'esterno del fabbricato dell'azienda i
 due contenitori erano di plastica per una superficie  complessiva  di
 3-4  mc")  sembra risultare, salva ogni successiva determinazione, la
 presenza nell'odierna vicenda di rifiuti non ricompresi nell'allegato
 punto  16  05 00 del d.-l. 8 novembre 1995, n. 463, ma classificabili
 ex art. 2 del d.-l.  8 novembre 1995, n.  463,  come  "residui".  Per
 l'effetto  potrebbe  applicarsi  all'odierna  fattispecie  l'art. 12,
 commi quarto e quinto d.-l. n.  463 del 1995, che abroga la normativa
 penale dell'originario impianto sanzionatorio del d.P.R. 10 settembre
 1982, n. 915,  in  particolare  nel  punto  in  cui,  richiamando  il
 contenuto  dell'art.  14, primo comma, d.-l. n. 463 del 1995, esclude
 la punibilita' della condotta incriminata.
                       Non manifesta infondatezza
   Cio'  premesso  si  nota,  come  testualmente  affermato  da  Corte
 costituzionale  9  marzo  1988-10  marzo  1988 n. 302, che "in via di
 principio la  reiterazione  dei  decreti-legge  suscita  gravi  dubbi
 relativamente    agli   equilibri   istituzionali   e   ai   principi
 costituzionali, tanto piu' gravi allorche' gli effetti sorti in  base
 al  decreto  reiterato  sono  praticamente  irreversibili  (come,  ad
 esempio, quando incidono sulla liberta' personale  dei  cittadini)  o
 allorche'   gli   stessi   effetti   sono   fatti  salvi,  nonostante
 l'intervenuta  decadenza,  ad  opera  dei   decreti   successivamente
 riprodotti".
   Tali  gravi  dubbi  appaiono  particolarmente  fondati nell'odierna
 vicenda  in  cui  il  d.-l.  n.  463  del  1995  e'  il   tredicesimo
 decreto-legge  che  fa  seguito  ai decreti-legge, non convertiti nei
 termini e ripresentati anche  con  modifiche,  di  seguito  indicati:
 d.-l.  9 novembre 1993, n. 443, d.-l. 7 gennaio 1994, n. 12, d.-l. 10
 marzo 1994, n. 169, d.-l. 6 maggio 1994, n. 279, d.-l. 8 luglio 1994,
 n. 438, d.-l. 7 settembre 1994, n. 530, d.-l.  7  novembre  1994,  n.
 619,  d.-l. 7 gennaio 1995, n. 3, d.-l. 9 marzo 1995, n. 66, d.-l. 10
 maggio 1995, n. 162, d.-l. 10 luglio 1995, n. 274 e d.-l. 7 settembre
 1995, n. 373. Sorge il fondato sospetto  che  la  reiterazione  cosi'
 ostinata  di  decreti-legge  non  convertiti  nei  termini e talvolta
 contenenti anche profonde modifiche l'uno  dall'altro  con  rilevanti
 effetti  in  tema  di  abrogazione  o  meno  delle  norme  contenenti
 fattispecie penali, costituisca una palese violazione  del  combinato
 disposto  degli  artt.  25 e 77 della Costituzione in materia penale;
 infatti  non  si  comprende  come  la  necessita'  ed  urgenza  della
 decretazione  normativa  e la connessa provvisorieta' della normativa
 nonostante la naturale vocazione del decreto-legge a  disporre  anche
 in  via  definitiva,  possa  conciliarsi,  in  materia penale, con la
 mancanza  di  alcuna  scadenza  temporale  o  di  qualche  limite  al
 legislatore  in  sede  di  conversione.  Tale  contrasto  si  acuisce
 allorche' la precarieta' legislativa si protragga, come nel  caso  di
 specie,   per   l'arco  di  oltre  due  anni,  sempre  che  l'attuale
 decreto-legge   venga   finalmente   convertito   o   definitivamente
 abbandonato. In pratica questo pretore potrebbe emettere una sentenza
 assolutoria  per un fatto che, pur essendo in ipotesi offensivo di un
 bene,  quale  la  salute  pubblica,   tutelato   al   massimo   rango
 costituzionale viene depenalizzato in forza di una normativa non solo
 provvisoria,  ma  costantemente  reiterata nel tempo, addirittura con
 modifiche e con palesi imprecisioni materiali (si  veda  l'avviso  di
 rettifica contenuto nella Gazzetta Ufficiale n. 63 del 16 marzo 1995,
 relativa a numerose disposizioni del d.-l. n. 66 del 1995), sempre in
 mancanza  di  una  conversione legislativa. Inoltre, l'arco temporale
 coperto dai tredici decreti-legge  succedutisi  in  materia,  pari  a
 ventisei  mesi,  copre  per oltre due terzi il decorso del termine di
 prescrizione del reato disciplinato dall'art. 26 d.P.R.  n.  915  del
 1982  ed  individuato  dall'art.  152,  comma primo, n. 5 c.p. in tre
 anni. Il dettato dell'art. 12 d.-l.  n. 463 del  1995,  astrattamente
 applicabile  al  caso  di  specie,  sembra  dunque in conflitto con i
 principi costituzionali che statuiscono il principio di  legalita'  e
 la riserva di legge in materia penale.
   Sul punto del rispetto del principio di legalita', la situazione di
 incertezza   legislativa   cagiona  perniciosi  effetti  in  tema  di
 prevedibilita' delle decisioni giudiziarie  in  quanto  gli  imputati
 sottoposti  a processo penale per un medesimo fatto vengono giudicati
 in forza di una normativa precaria e mutevole nel tempo; infatti "una
 volta decaduto il decreto-legge contemplante un'ipotesi di reato,  la
 condotta  illecita  posta  in essere nel periodo di sua efficacia non
 costituisce titolo per la condanna" (cosi' Cass., sez. I, 30 novembre
 1993, Osalobua, in cass. pen., 1995, n. 911).
   Cio' e'  tanto  piu'  grave  in  materia  penale  ove  e'  doveroso
 stabilire  un  discrimine  certo  tra condotta lecita e comportamento
 illecito, come  ricordato  in  generale  anche  dalla  giurisprudenza
 costituzionale  (per  tutte v. Corte costituzionale 24 marzo 1988, n.
 364). Al riguardo non e' superfluo ricordare l'esito della  sanatoria
 in  tema di disciplina penale degli scarichi; infatti mentre l'art. 7
 d.-l. 17 marzo 1995, n. 79, facendo seguito a reiterati decreti-legge
 non    convertiti    nei    termini,    consentiva    la    richiesta
 dell'autorizzazione  in  sanatoria  per  i  reati pregressi, con cio'
 recependo quanto disposto per la prima volta nell'art. 5 del d.-l. 15
 luglio 1994, n. 449, la legge di conversione 17 maggio 1995, n.  172,
 ha soppresso la previsione di sanatoria.
   Per  quanto  riguarda il secondo profilo, la ratio della riserva di
 legge consiste nell'attribuire al  potere  legislativo  il  monopolio
 penale col duplice scopo di evitare l'arbitrio del potere giudiziario
 e di quello del potere esecutivo.
   Non  si  contesta  certo  la  natura  di fonte legale di diritto al
 decreto-legge, sancita dall'art. 77 Cost., ma si vuole ricordare come
 l'appartenenza  di  una  propria  potesta'  legislativa  al   Governo
 presupponga  la  sussistenza  di  casi  straordinari di necessita' ed
 urgenza.  In  effetti  per  il  decreto-legge  si   tratta   -   come
 riconosciuto  dalla dottrina la cui citazione nominativa degli autori
 e' preclusa  da  un'opportuna  applicazione  analogica  del  disposto
 dell'art.   118,  terzo  comma,  r.d.  18  dicembre  1941,  n.  1368,
 contenente le disposizioni per l'attuazione del codice  di  procedura
 civile  -  di  una fonte assolutamente unica nel suo genere in quanto
 subordinata alla conversione legislativa. Si pensi  ai  problemi  che
 puo'  suscitare  il  passaggio in giudicato, per mancata impugnazione
 nei termini di rito, di una sentenza  penale  del  giudice  di  primo
 grado  che  abbia applicato la norma abrogata da un decreto-legge non
 convertito nel termine di sessanta  giorni.  Senza  ignorare  inoltre
 l'ipotesi, non necessariamente solo scolastica, in cui il giudicante,
 avvalendosi  della  facolta  di cui al combinato disposto degli artt.
 544, 549 e 567 c.p.p., rediga la motivazione della sentenza in  epoca
 successiva  alla lettura del dispositivo con cio' andando incontro al
 rischio di motivare una sentenza pronunciata,  mediante  lettura  del
 solo dispositivo, nel vigore di un decreto-legge non convertito nelle
 more della stesura della motivazione della sentenza.
   Sebbene la prassi della rinnovazione dei decreti-legge sia divenuta
 pressoche'  costante,  al  punto che decreti-legge vengono modificati
 nelle more del procedimento di conversione con separato decreto-legge
 (v. decretolegge 15 dicembre 1994, n. 684, il cui art.  1  modificava
 l'art.  1  d.-l.  25  novembre  1994,  n.  649, in una materia la cui
 attuale disciplina va individuata nel dettato dell'art. 39  legge  23
 dicembre  1994,  n.  724,  a  sua volta modificato dall'art. 14 della
 legge 22 marzo 1995, n. 85, e dall'art. 1 d.-l. 20 settembre 1995, n.
 400), questo pretore non ritiene che l'unico  strumento  di  garanzia
 per   il   cittadino   sia   costituito   da  un'eventuale  revisione
 costituzionale sul punto che riformuli i presupposti per  l'esercizio
 della decretazione d'urgenza.
   Infatti,  e'  pacifico, in primo luogo, che i decreti-legge possono
 essere sindacati sotto il profilo dei vizi propri che ne inficiano la
 legittimita', ancor prima  dell'intervento  dell'eventuale  legge  di
 conversione;  per  tale  motivo  e'  ammesso, qualora ne sussistano i
 presupposti, sollevare una questione di  legittimita'  costituzionale
 avverso  un  decreto-legge  non ancora convertito. Ma oltre a cio' si
 ricorda che ai sensi dell'art. 77, secondo comma, della  Costituzione
 il   Governo   si   assume   la   responsabilita'  dell'adozione  del
 decreto-legge.  Le sanzioni a cui l'esecutivo  soggiace  in  caso  di
 mancata  conversione  del decreto-legge non consistono esclusivamente
 in quelle di natura politica, che  per  loro  natura  ovviamente  non
 possono  essere  prese  comminate  dal giudice penale, ma coinvolgono
 anche l'ambito strettamente giuridico. Infatti va considerato che  la
 facolta',  di  cui all'art.   77, terzo comma, Cost., di regolare con
 legge  i  rapporti  giuridici  sorti  sulla  base  dei  decreti   non
 convertiti  e' meramente eventuale e non obbligatoria. Sembra percio'
 logico ritenere  che,  qualora  il  decreto-legge  venga  emanato  in
 assenza  dei  presupposti giustificativi, non e' necessario attendere
 l'intervento  del  legislatore,  ma  il   giudice   puo'   dichiarare
 l'illegittimita'    della    norma   contenuta   nel   decreto-legge.
 Naturalmente il giudice di merito nel  nostro  ordinamento  non  puo'
 esercitare  il  potere  di disapplicazione della legge ordinaria, per
 cui spetta alla Corte costituzionale, qualora ritenga, come  sostiene
 questo  pretore, che il decreto-legge non poteva essere presentato o,
 come nel caso di  specie,  reiteratamente  presentato,  con  o  senza
 modifiche,  essendo  venuto  meno il presupposto giustificativo della
 decretazione  d'urgenza,  affermare  l'illegittimita'  costituzionale
 della norma.
   Tale  opinione  sembra  trovare  autorevole  ed  idoneo supporto in
 quanto   affermato   testualmente    anche    dalla    giurisprudenza
 costituzionale  (Corte  cost.  27 gennaio 1995, n. 29) secondo cui, a
 norma dell'art.  77 Cost., "la pre-esistenza  di  una  situazione  di
 fatto  comportante  la  necessita'  e l'urgenza di provvedere tramite
 l'utilizzazione di uno strumento eccezionale, quale il decreto-legge,
 costituisce un requisito di  validita'  costituzionale  dell'adozione
 del  predetto atto, di modo che l'eventuale evidente mancanza di quel
 presupposto configura tanto un vizio di  legittimita'  costituzionale
 del  decreto-legge, in ipotesi adottato al di fuori dell'ambito delle
 possibilita' applicativecostituzionalmente previste, quanto un  vizio
 in procedento della stessa legge di conversione, avendo quest'ultima,
 nel caso ipotizzato, valutato erroneamente l'esistenza di presupposti
 di  validita' in realta' insussistenti e, quindi, convertito in legge
 un  atto  che  non  poteva  essere  legittimo oggetto di conversione.
 Pertanto,  non  esiste  alcuna   preclusione   affinche'   la   Corte
 costituzionale proceda all'esame del decreto-legge e/o della legge di
 conversione  sotto il profilo del rispetto dei requisiti di validita'
 costituzionale  relativi  alla  pre-esistenza  dei   presupposti   di
 necessita'  ed  urgenza,  dal  momento che il correlativo esame delle
 Camere in sede di conversione  comporta  una  valutazione  del  tutto
 diversa  e,  precisamente,  di  tipo  prettamente  politico  sia  con
 riguardo al contenuto della decisione, sia con riguardo agli  effetti
 della  stessa".  Questa  affermazione,  ripetuta  anche in successive
 decisioni (cfr. Corte cost. 10  maggio  1995,  n.  161),  sembra  poi
 logicamente    coincidere    con   il   contenuto   delle   ordinanze
 costituzionali in  cui,  prendendo  in  esame  un  decreto-legge  non
 convertito  nei  termini in una materia disciplinata allo stato da un
 successivo   decreto-legge,   non   si   e'   dichiarata   la    mera
 inammissibilita'  della  questione, ma si sono restituiti gli atti al
 giudice remittente per una nuova valutazione  (per  tutte,  v.  Corte
 cost. ordinanza 15 giugno 1995, n. 289).
   A  questo  punto,  tuttavia, appare necessario, ad avviso di questo
 giudice, sindacare quello che si ritiene  un  uso  costituzionalmente
 scorretto  del potere normativo del Governo, non solo con riferimento
 al dettato dell'art. 12 d.-l. n. 463 del 1995, ma anche in  relazione
 all'art.  15,  comma secondo, lettera d), della legge 23 agosto 1988,
 n. 400, che disciplina l'attivita' di Governo e  l'ordinamento  della
 Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri;  infatti si ritiene che il
 divieto per il Governo di "rinnovare le disposizioni di decreti-legge
 dei quali sia stata negata la conversione in legge con il voto di una
 delle due Camere" debba essere interpretato nel senso che, qualora un
 decreto-legge non venga convertito nei termini, il Governo  perda  la
 possibilita'  di  intervenire  di  nuovo  sulla stessa materia con un
 decreto-legge, identico a quello non convertito nei termini.  Qualora
 venisse   adottata  quest'interpretazione,  sembrerebbe  evidente  il
 difetto dei presupposti giustificativi del decreto-legge n.  463  del
 1995.  Non e' escluso che il giudice ordinario potrebbe dichiarare la
 nullita'  del  d.-l.  n.  463 del 1995, qualora si ritenga che la sua
 emanazione sia in contrasto con l'art. 15, comma secondo, lettera d),
 della legge 23 agosto 1988; peraltro quest'ultima  legge  non  e'  di
 rango  costituzionale,  per  cui  la  parita'  gerarchica delle fonti
 normative sembra precludere tale soluzione. Diversamente appare  piu'
 corretto   che  si  dichiari  l'illegittimita'  costituzionale  anche
 dell'art. 15, comma secondo, lettera d), della legge 23 agosto  1988,
 nel   senso   di  inibire  un  uso  improprio  del  potere  normativo
 dell'esecutivo, mediante il divieto di reiterare  incondizionatamente
 un decreto-legge, non convertito nei termini, per la disciplina della
 stessa materia.
   Quindi,   ritenuta  la  rilevanza  nell'odierna  vicenda  non  solo
 dell'art.  12 decreto-legge 8 novembre 1995, n.  463,  immediatamente
 applicabile,  ma anche dell'art. 15, comma secondo, lettera d), della
 legge 23 agosto 1988, che costituisce il presupposto per l'intervento
 normativo  del  Governo  nella  materia  in  esame,   sussistendo   i
 presupposti   questo   giudice   puo'   sollevare   la  questione  di
 legittimita' costituzionale, con riferimento  al  menzionato  dettato
 costituzionale,  sia dell'art.   12 decreto-legge 8 novembre 1995, n.
 463, che dell'art. 15, comma  secondo,  lettera  d)  della  legge  23
 agosto 1988.
   In  ogni  caso  il  disposto  dell'art.  12  n. 463 del 1995 sembra
 confliggere  con  il  dettato  costituzionale   anche   sotto   altri
 parametri,   che   per   brevita'   espositiva   possono   intendersi
 sostanzialmente indicati nei seguenti:
     con gli artt. 3 e 25 Cost., in quanto il combinato disposto degli
 artt. 2 e 12, commi quarto e quinto, decreto-legge n. 463  del  1995,
 che  sembrano reintrodurre il contenuto del d.m. 26 gennaio 1990 gia'
 parzialmente dichiarato illegittimo costituzionalmente  (Corte  cost.
 15  ottobre 1990, n. 512), sottrae la disciplina dei rifiuti a quelle
 sostanze che la camera di commercio inserisce nei  listini  ufficiali
 (art.  3,  comma  terzo,  d.-l. n. 463 del 1995), con cio' creando un
 contrasto  di  fatto  coi  principi  costituzionali  di  parita'   di
 trattamento  e  riserva  di  legge  penale,  (cfr.  decreto Ministero
 dell'ambiente 5 settembre 1994 pubblicato in  Gazzetta  Ufficiale  10
 settembre  1994,  n.  212,  supplemento  ordinario). Non puo' inoltre
 sfuggire come dalle prime interpretazioni giurisprudenziali, in  tema
 di  art.  12  del  d.-l.    7 settembre 1994, n. 530 (Cass. sez. III,
 ordinanza 12 ottobre 1994, Rozzi, inedita) e  dell'art.  12  d-.l.  7
 gennaio  1994,  n.  12  (Cass.   sez. III, 8 marzo 1994, Fontinovo ed
 altri, in Cass. pen., 1995, n. 313) affiori il richiamo  al  d.m.  26
 gennaio  1990, la cui portata precettiva nel settore penale e' quanto
 meno  discutibile  in  forza   della   menzionata   declaratoria   di
 illegittimita' costituzionale;
     con l'art. 10 della Costituzione per il contrasto di fondo tra il
 combinato  disposto  degli artt. 2 e 12, commi quarto e quinto, d.-l.
 n. 463 del 1995 e la normativa  comunitaria,  segnatamente  direttive
 CEE  n. 156 del 18 marzo 1991, n. 689 del 12 dicembre 1991, ancora da
 recepire e richiamate nella premessa dell'art. 1 del decreto-legge n.
 463 del 1995,  e  regolamento  n.  259  del  1  febbraio  1993.    Il
 legislatore  statale  puo'  intervenire normativamente per correggere
 delle   interpretazioni    giurisprudenziali    che    ritiene    non
 condivisibili,  come  nel  caso di specie in cui si pone in contrasto
 con la tesi secondo  cui  "le  materie  prime  secondarie,  ovvero  i
 residui  derivanti  dai  processi  produttivi  suscettibili di essere
 riutilizzati, non costituiscono una  categoria  autonoma,  diversa  o
 comunque  alternativa  rispetto  ai  rifiuti  giacche'  si tratta pur
 sempre di sostanze ed oggetti dismessi o destinati ad essere dismessi
 dal loro detentore in quanto non piu' idonei a soddisfare  i  bisogni
 cui  essi  erano originariamente destinati" (cosi' Cass. sez. un., 27
 marzo 1992, Viezzoli, in Foro It., 1992, II, c. 419); non puo'  pero'
 ne'  disattendere  le  disposizioni  della CEE (Corte cost. 18 aprile
 1991, n. 168; Corte cost. 8 giugno 1984, n.  170),  ne'  ignorare  le
 sentenze  interpretative  della  Corte  di  giustizia (Corte cost. 23
 aprile 1986, n.  113).  Considerato  che  per  interpretazione  degli
 organi  comunitari europei "la nozione di rifiuto, si sensi dell'art.
 1 delle direttive del Consiglio n. 75/442/CEE e  n.  78/319/CEE,  non
 deve  essere  intesa  nel senso di escludere dalla applicazione delle
 direttive le  sostanze  e  gli  oggetti  che  siano  suscettibili  di
 riutilizzazione   economica"  (Corte  di  giustizia  delle  Comunita'
 europee, 10 maggio 1995 (causa n. 422/92), in  riv.  giur.  Ambiente,
 1995,  p.  653)  appare  dimostrata  l'inadempienza  del  legislatore
 italiano rispetto alla normativa comunitaria;
     con  il  combinato disposto degli artt. 9 e 32 della Costituzione
 che tutelano l'ambiente e la salute come ambiente naturale  in  senso
 lato;   la   sottrazione   all'intervento   penale   delle   sostanze
 classificabili come residui da parte  del  combinato  disposto  degli
 artt.  2  e  12,  commi  quarto e quinto, d.-l. n. 463 del 1995 viola
 l'obbligo di salvaguardia del diritto assoluto ed incondizionato alla
 fruizione del paesaggio, inteso come ecositema nel suo complesso. Sul
 punto appare opportuno rilevare come non sia inibita a questo giudice
 la  possibilita'  di   sollevare   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale,  in  quanto non si e' in presenza di una norma penale
 di favore. Infatti, oltre alla considerazione che tali questioni  non
 sono  in linea di principio inammissibili (Corte cost. 3 giugno 1983,
 n. 148), nel caso in esame non si tratta di introdurre nuovi illeciti
 penali, ma di dichiarare l'incostituzionalita' di norme abrogative di
 reati gia' previsti dalla legislazione vigente.
   Per queste considerazioni la questione  nel  presente  processo  e'
 rilevante   e  non  manifestamente  infondata  per  cui  deve  essere
 sollevata anche d'ufficio.
   II giudizio in corso va sospeso.
                                P. Q. M.
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata,  per  violazione
 degli artt. 3, 9, 10, 25, 32 e 77 della Costituzione, la questione di
 legittimita'  costituzionale  dell'art.  12  decreto-legge 8 novembre
 1995, n. 463, nei sensi di cui in motivazione;
   Dichiara rilevante e non manifestamente infondata,  per  violazione
 degli  artt.  3 e 77 della Costituzione, la questione di legittimita'
 costituzionale dell'art. 15, comma secondo, lettera d),  della  legge
 23 agosto 1988, n. 400, nei sensi in cui in motivazione;
   Sospende il giudizio in corso;
   Visto  l'art.  23,  legge  11  marzo 1953, n. 87, ordina che a cura
 della cancelleria gli atti del presente  giudizio  vengano  trasmessi
 alla   Corte  costituzionale  e  che  la  presente  ordinanza,  letta
 all'odierna pubblica  udienza,  venga  trasmessa  al  Presidente  del
 Consiglio  dei  Ministri  e comunicata al Presidente della Camera dei
 deputati ed al Presidente del Senato della Repubblica.
     Assisi, addi' 21 novembre 1995
                          Il pretore:  Sottani
 96C0368