N. 98 SENTENZA 7 - 18 aprile 1997

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale.
 
 Enti locali - Regione Veneto - Trasferimento  alle  U.S.L.  dei  beni
 gia' di proprieta' comunali ed utilizzati a fini di igiene pubblica e
 di  sanita' - Conferenza di servizi da attivarsi a cura della regione
 - Disciplina - Omessa previsione - Impossibilita' di  determinare  in
 alcun  modo in via interpretativa che la dotazione patrimoniale di un
 ente pubblico sia implicitamente affermata nella Costituzione  -  Non
 fondatezza.
 
 (Legge  23 ottobre 1992, n. 421, art. 1, lett. p); d.lgs. 30 dicembre
 1992, n. 502, art. 5, comma 1, come sostituito dall'art. 6 del d.lgs.
 7 dicembre 1993, n. 517).
 
 (Cost., artt. 3 e 97).
 
(GU n.17 del 23-4-1997 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
 composta dai signori:
  Presidente: dott. Renato GRANATA;
  Giudici:  prof.  Giuliano  VASSALLI,  prof.  Cesare MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo  CHIEPPA,  prof.  Gustavo  ZAGREBELSKY, prof. Valerio ONIDA,
 avv. Fernanda CONTRI, prof. Guido NEPPI MODONA, prof.  Piero  Alberto
 CAPOTOSTI;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 1, lettera p)
 della legge 23 ottobre  1992,  n.  421  (Delega  al  Governo  per  la
 razionalizzazione  e  la  revisione  delle  discipline  in materia di
 sanita',  di  pubblico  impiego,   di   previdenza   e   di   finanza
 territoriale)  e dell'art.   5, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992,
 n. 502 (Riordino della  disciplina  in  materia  sanitaria,  a  norma
 dell'art.  1  della  legge  23  ottobre 1992, n. 421) come modificato
 dall'art. 6 del  d.lgs. 7 dicembre 1993,  n.  517  (Modificazioni  al
 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in
 materia  sanitaria, a norma dell'art.  1 della legge 23 ottobre 1992,
 n. 421), promosso con ordinanza emessa il 28 marzo 1996 dal tribunale
 amministrativo regionale per il Veneto sui ricorsi  riuniti  proposti
 dal comune di  Arzergrande ed altri contro la regione Veneto ed altre
 iscritta  al  n.  737  del registro ordinanze 1996 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  34,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1996;
   Visti  gli  atti  di  costituzione  del  comune di Arzergrande, del
 comune di Campodarsego, del comune di Venezia e dell'azienda ULSS  n.
 14  della  regione Veneto nonche' l'atto di intervento del Presidente
 del Consiglio dei Ministri;
   Udito  nell'udienza  pubblica  dell'11  febbraio  1997  il  giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky;
   Uditi gli avvocati Fabio Lorenzoni per i comuni di Arzergrande e di
 Campodarsego,  Maria Maddalena Morino per il comune di Venezia, Luigi
 Manzi per l'azienda ULSS n. 14  della  regione  Veneto  e  l'avvocato
 dello  Stato  Giuseppe  O.  Russo per il Presidente del Consiglio dei
 Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1. - Nel corso di piu' giudizi riuniti - promossi da alcuni  comuni
 per  l'annullamento  di  talune  delibere  della Giunta regionale del
 Veneto, con le quali erano stati  trasferiti  alle  Unita'  sanitarie
 locali,   oltreche'   i   beni  divenuti  comunali,  con  vincolo  di
 destinazione alle  USL,  a  seguito  della  soppressione  degli  enti
 mutualistici  ed ospedalieri, anche i beni mobili e immobili, gia' di
 proprieta'  comunale,  privi  del  medesimo  vincolo  ma   di   fatto
 utilizzati  a  fini  di  igiene  pubblica e di sanita' - il tribunale
 amministrativo regionale del Veneto con ordinanza del 28  marzo  1996
 ha  sollevato,  in riferimento agli artt. 32 e 97 della Costituzione,
 questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  lettera  p),
 della  legge  23  ottobre  1992,  n.  421  (Delega  al Governo per la
 razionalizzazione e la  revisione  delle  discipline  in  materia  di
 sanita',   di   pubblico   impiego,   di   previdenza  e  di  finanza
 territoriale) e dell'art. 5, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n.
 502  (Riordino  della  disciplina  in  materia  sanitaria,  a   norma
 dell'art.  1  della  legge  23 ottobre 1992, n. 421), come sostituito
 dall'art. 6 del d.lgs. 7 dicembre  1993,  n.  517  (Modificazioni  al
 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in
 materia  sanitaria,  a norma dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992,
 n. 421), "nella parte in cui non prevedono  -  previa  conferenza  di
 servizi,  da  attivarsi  a  cura  della  regione  - una disciplina di
 trasferimento  alle  Unita'  sanitarie  locali  dei  beni   gia'   di
 proprieta'  comunale  ed  utilizzati  a  fini di igiene pubblica e di
 sanita' ancor prima dell'entrata in vigore della  legge  23  dicembre
 1978, n. 833".
   Il  giudice  rimettente  ricorda  che,  dall'art. 10 della legge 23
 dicembre 1978, n. 833 sul servizio  sanitario  nazionale,  la  unita'
 sanitaria  locale  veniva  indicata  quale "modulo organizzatorio" di
 funzioni attribuite ai comuni, in cui confluivano presidii, uffici  e
 servizi  di  varie amministrazioni disciolte (enti ospedalieri, casse
 ed enti mutualistici, consorzi sanitari) o  non  piu'  di  pertinenza
 degli enti originari (servizi di assistenza psichiatrica svolti dalle
 province),   e   che,   non   potendosi   configurare  una  capacita'
 patrimoniale  propria  di  detto  "modulo",  in   quanto   privo   di
 soggettivita'  giuridica,  era  stato  previsto  il  trasferimento al
 patrimonio dei comuni, con vincolo di destinazione alle stesse unita'
 sanitarie locali, dei beni mobili, immobili e delle attrezzature:  a)
 prevalentemente  destinati  ai  servizi sanitari ed appartenenti agli
 enti mutualistici, casse mutue e gestioni sanitarie  soppresse  (art.
 65,  primo  comma, della legge n. 833 del 1978); b) appartenenti alle
 province  o  a  consorzi  di  enti  locali  e  destinati  ai  servizi
 igienico-sanitari  (art.  66,  primo comma, lettera a) della legge n.
 833); c) nonche' di quelli degli  enti  ospedalieri,  degli  ospedali
 psichiatrici  e  neuropsichiatrici  e  dei  centri di igiene mentale,
 dipendenti dalle province o dai consorzi delle stesse o dalle IPAB, e
 di quelli degli  istituti  di  prevenzione  e  cura  e  dei  presidii
 sanitari  extraospedalieri dipendenti dalle province o da consorzi di
 enti  locali   (art.   66,   primo   comma,   lettera   b)).   Nessun
 "trasferimento",  invece,  veniva  all'epoca  prefigurato  per i beni
 originariamente  di  proprieta'  comunale  e   adibiti   ai   servizi
 igienico-sanitari.
   Successivamente  la legge 23 ottobre 1992, n. 421, nel conferire al
 Governo la delega per la razionalizzazione    e  la  revisione  delle
 discipline in materia di sanita', ha previsto (art. 1, direttiva d)),
 che  siano  fissati "i principi  organizzativi delle USL come aziende
 infraregionali  con  personalita'  giuridica,  articolate  secondo  i
 principi  della  legge  8  giugno 1990, n. 142", e, in ottemperanza a
 tale direttiva, l'USL e' stata definita, in un primo tempo    (d.lgs.
 30  dicembre  1992, n. 502 - art. 3, comma 1), come "azienda" che "si
 configura come ente strumentale della regione, dotato di personalita'
 giuridica, di autonomia organizzativa, amministrativa,  patrimoniale,
 contabile,  gestionale e tecnica", e poi, per effetto delle modifiche
 introdotte dall'art. 4 del d.lgs. 7 dicembre  1993,  n.  517,  sempre
 come "azienda", ma non piu' ente strumentale della regione, ferme per
 il  resto  la  personalita' giuridica pubblica e le diverse specie di
 autonomia (amministrativa, contabile, ecc.).
   Nell'ordinanza si afferma  che,  nonostante  che  in  questo  nuovo
 contesto  legislativo non sussistano ostacoli affinche' il nuovo ente
 sia dotato di un proprio patrimonio ed anzi il termine  di  "azienda"
 sembri  avvalorare  la  considerazione  delle esigenze "patrimoniali"
 intese come  prima  garanzia  della  effettivita'  delle  prestazioni
 sanitarie,  la  direttiva  p) dell'art. 1 della legge delega n. 421 -
 nel prevedere il trasferimento, in favore delle neo-istituite aziende
 sanitarie,  limitato  ai  soli  beni  delle  cessate  amministrazioni
 ospedaliere  e  mutualistiche, gia' trasferiti al patrimonio comunale
 con vincolo di destinazione alle USL -  non  avrebbe  considerato  la
 sorte dei beni comunali che, prima della legge n. 833 del 1978, erano
 gia'  destinati  a  servizi  sanitari  e  di igiene, e che proprio in
 ragione  di  cio'  non  erano  stati  assoggettati  alla   disciplina
 vincolistica  in favore delle USL, disposta dall'art.  66 della legge
 n. 833 del 1978.
    Parimenti sarebbe avvenuto per effetto della norma delegata  (art.
 5,  commi  1  e  2,  del  decreto  legislativo  n. 502 del 1992, come
 sostituito dall'art. 6 del decreto legislativo n. 517 del  1993),  la
 quale  peraltro  avrebbe  anche  ecceduto  dai limiti della direttiva
 della  delega,  perche'  non  si  e'  limitata  a  circoscrivere   il
 trasferimento  ai  beni dei disciolti enti ospedalieri e mutualistici
 contemplati dall'art. 65, primo comma, della legge n. 833  del  1978,
 ma  lo ha esteso a tutti i beni facenti parte del patrimonio comunale
 con vincolo di destinazione alle USL.
   Pur con tale estensione, l'assetto della materia che ne e' derivato
 non sarebbe, ad avviso del giudice rimettente,  conforme  al  dettato
 costituzionale,  perche'  non  consentirebbe l'effettiva costituzione
 dell'"azienda" e  cioe'  del  complesso  di  beni  atto  a  garantire
 l'effettiva  autonomia  patrimoniale  del nuovo ente. Sarebbe percio'
 violato l'art.  97 Cost., che prescrive il buon andamento dell'azione
 amministrativa, perche' si priverebbe il nuovo soggetto  del  diritto
 di  proprieta'  su  alcuni dei beni che comunque erano assoggettati a
 uno specifico vincolo di destinazione  a  garanzia  dell'effettivita'
 delle  prestazioni sanitarie e quindi della tutela della salute, che,
 a sua volta, l'art.  32 della Costituzione considera un "fondamentale
 diritto dell'individuo e interesse della collettivita'".
   Ne   deriverebbe   l'illegittimita'   della   "mancata  previsione,
 nell'ambito della norma delegante -  e,  quindi,  nella  sua  attuale
 formulazione, anche della norma delegata - di una disciplina relativa
 al trasferimento dei beni di proprieta' comunale, non resi oggetto di
 vincolo  di  destinazione  a favore delle USL ai sensi dell'art. 65 o
 dell'art. 66 della legge n. 833 del 1978, in quanto  gia'  utilizzati
 dal comune stesso a fini di sanita' e di igiene pubblica nell'assetto
 ordinamentale  antecedente  a  tale  legge  di  riforma".  E  poiche'
 l'accertamento dell'effettiva utilizzazione a quei fini deve avvenire
 caso per caso,  nell'ordinanza  di  rimessione  si  sostiene  che  la
 invocata  disciplina di trasferimento dovrebbe informarsi al criterio
 di leale collaborazione tra  pubbliche  amministrazioni,  secondo  il
 modello   collaudato   della   conferenza  dei  servizi,  ideato  per
 contemperare i diversi interessi pubblici  coinvolti  e  disciplinato
 dall'art.  29 della legge 7 agosto 1990, n. 241. La norma di delega e
 la norma delegata, pertanto, dovrebbero prefigurare  un  procedimento
 nel  quale la regione, previa conferenza di servizi indetta con l'USL
 e i comuni interessati, determini i beni del patrimonio comunale  che
 devono  essere  trasferiti  alla USL e quelli che invece rimangono di
 proprieta' delle amministrazioni comunali.
   Quanto alla rilevanza delle questioni, il giudice a quo la  ritiene
 "indubitabile, trattandosi delle norme in base alle quali e' stato...
 disposto il contestato trasferimento in proprieta'".
   2. - Si sono costituiti dinanzi a questa Corte i comuni, ricorrenti
 nei  giudizi principali, per sostenere l'infondatezza delle questioni
 di legittimita' costituzionale sollevate, nonche'  l'azienda  USL  n.
 14  di Chioggia per aderire invece alle motivazioni dell'ordinanza di
 rimessione. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei  Ministri,
 per  il tramite dell'Avvocatura generale dello Stato, per contrastare
 l'accoglimento delle questioni, riservandosi di illustrare  i  motivi
 di inammissibilita' o di infondatezza delle dedotte censure.
   3.  - In prossimita' dell'udienza l'Avvocatura generale dello Stato
 ha depositato una memoria, nella quale illustra la  inammissibilita',
 sotto   piu'   profili,  delle  proposte  questioni  di  legittimita'
 costituzionale.
   In primo luogo, il tribunale amministrativo regionale sarebbe,  nei
 giudizi   a   quibus  privo  di  giurisdizione,  dal  momento  che  i
 provvedimenti  regionali  in  quella  sede  impugnati  non  avrebbero
 efficacia costitutiva, ma semplicemente dichiarativa o ricognitiva di
 un  trasferimento  di  beni  avvenuto  ope legis sicche' la posizione
 soggettiva degli enti interessati sarebbe di diritto soggettivo e non
 di interesse legittimo, con  conseguente  giurisdizione  del  giudice
 ordinario  e  non di quello amministrativo a conoscere delle relative
 controversie.
   In secondo luogo, nei giudizi principali i comuni hanno chiesto  al
 tribunale  amministrativo  regionale  l'annullamento  delle  delibere
 regionali  che,  in  difformita'  dalla  legge,  hanno  compreso  nel
 trasferimento  alle USL anche i beni che erano di proprieta' comunale
 prima della riforma sanitaria  e  non  erano  stati  assoggettati  al
 vincolo di destinazione alle USL. La domanda quindi tende ad ottenere
 l'accertamento circa l'esclusione di tali beni dal disposto dell'art.
 6  del  decreto legislativo n. 517 del 1993. In subordine, gli stessi
 comuni, in caso di ritenuta inclusione di quei beni nella  previsione
 legislativa,   hanno  eccepito  l'illegittimita'  costituzionale  del
 menzionato   art.  6  per  violazione  degli  artt.  76  e  42  della
 Costituzione.
   Il tribunale amministrativo regionale avrebbe invece rovesciato  il
 thema  decidendum  e  la  posizione  processuale delle parti, perche'
 l'oggetto   del   giudizio   non   sarebbe   piu'   la   declaratoria
 dell'illegittimita'  delle  delibere  regionali  perche' non conformi
 alla legge, "ma  la  declaratoria  della  legittimita'  delle  stesse
 perche'  conformi  ad  una  regola non presente nella legge, anzi che
 sarebbe  tacitamente  esclusa  dalla  stessa,  regola  che   dovrebbe
 risultare  dopo  la  declaratoria  di  incostituzionalita'  di  detta
 esclusione". Ma il tribunale amministrativo  regionale  non  potrebbe
 emettere  una  sentenza  di tale contenuto, perche' violerebbe l'art.
 112 cod. proc. civ. Ne  deriva  l'irrilevanza  della  questione,  per
 l'inutilita' della pronunzia richiesta a questa Corte.
   In  terzo luogo, l'inammissibilita' delle questioni deriverebbe dal
 fatto che,  per  il  tribunale  amministrativo  regionale,  al  vuoto
 legislativo   conseguente   alla   pronuncia  di  incostituzionalita'
 dovrebbe ovviarsi con un procedimento con il quale, previa conferenza
 di servizi con le USL e i comuni interessati, la regione determini  i
 beni  del  patrimonio  comunale  da  trasferire  alle USL e quelli da
 mantenere in  proprieta'  dei  comuni  stessi.  Ma  in  tal  modo  si
 invaderebbe la sfera riservata alla discrezionalita' del legislatore,
 in  ordine  alle  scelte  possibili  per  soddisfare  le  evidenziate
 esigenze pubbliche.
   Nel merito, la difesa dello Stato sostiene  la  infondatezza  delle
 questioni,   offrendo   delle  norme  impugnate  una  interpretazione
 sistematica in grado di superare i denunciati dubbi  di  legittimita'
 costituzionale.    L'art.  6 del decreto legislativo n. 517 del 1993,
 nell'indicare quale oggetto del trasferimento "tutti i beni, compresi
 quelli  da  reddito,  e  le  attrezzature  che...  fanno  parte   del
 patrimonio  dei  comuni  o delle province con vincolo di destinazione
 alle USL", si riferisce anche ai beni dei comuni affidati in gestione
 alle USL ai sensi del terzo comma dell'art. 66 della legge n. 833 del
 1978. Poiche', infatti, le USL erano all'epoca le strutture operative
 del  comune,  non  v'era  bisogno  dell'imposizione  di  un   vincolo
 specifico  di  destinazione nel momento in cui venivano loro affidati
 beni di proprieta' del comune e gia' destinati a compiti di igiene  e
 sanita'.
   Mentre,  quindi,  per  i  beni di provenienza esterna (casse mutue,
 ospedali, ecc....) era necessario,  per  evitare  la  confusione  con
 altri  beni  del  comune,  l'esplicito  vincolo  di destinazione alle
 funzioni sanitarie e quindi alle USL che esercitavano, da  allora  in
 avanti,  quelle  funzioni,  per i beni gia' di proprieta' comunale un
 espresso vincolo di destinazione non appariva necessario,  in  quanto
 di  fatto  gia'  attribuito  dai comuni attraverso l'affidamento alle
 medesime USL della gestione di quei beni.
   In questo senso il riferimento al  "vincolo  di  destinazione  alle
 unita'  sanitarie  locali", contenuto nella norma delegata pur se non
 richiesto da nessuna disposizione della legge delega, deve intendersi
 come effettiva destinazione di tutti quei beni, in  atto  al  momento
 dell'entrata  in  vigore  del  decreto legislativo, alle esigenze del
 servizio sanitario nazionale.
   Ne'   sarebbe   giustificabile  altra  interpretazione,  diretta  a
 distinguere i beni  da  trasferire  in  ragione  della  loro  diversa
 provenienza,  perche'  cio'  contrasterebbe  anche  con  il principio
 desumibile dall'art. 5 del decreto legislativo n. 502 del 1992 che e'
 quello di dotare le nuove "aziende-persone giuridiche" del patrimonio
 e dei mezzi necessari per l'assolvimento delle funzioni pubbliche  ad
 esse attribuite.
   4.  -  Anche  alcuni  dei comuni, costituiti nel presente giudizio,
 hanno  presentato  memorie  per   sostenere   l'inammissibilita'   o,
 comunque,   l'infondatezza  delle  censure  sollevate  dal  tribunale
 amministrativo regionale del Veneto.
   4.1. - In particolare il comune di Campodarsego ha evidenziato che,
 contrariamente a quanto afferma l'ordinanza, la norma di delega posta
 dall'art. 1, lettera p), della legge n. 421 del 1992, al di  la'  del
 suo  dettato  testuale,  e' certamente riferita a tutti i beni di cui
 agli artt. 65 e 66 della legge n. 833 del 1978, comprendendo, quindi,
 "tutti quei beni formalmente ''intestati'' ai comuni, ma con  vincolo
 di  destinazione alle USL, in quanto provenienti da quei soggetti (in
 primis, enti ospedalieri e mutualistici) che in precedenza  gestivano
 i  servizi  sanitari".  Quindi,  correttamente  l'art.  5 del decreto
 legislativo n. 502 del 1992, come rileva anche il giudice a  quo,  ha
 previsto  il trasferimento dei soli beni gia' sottoposti a vincolo di
 destinazione alle USL (ai sensi dei citati artt. 65 e 66 della  legge
 n.  833 del 1978), mentre non ha ricompreso i beni, pure utilizzati a
 fini igienico-sanitari, che erano gia' di proprieta'  comunale  prima
 dell'entrata in vigore della legge n. 833 del 1978; beni che "possono
 anche  essere  stati  affidati  alla  gestione  delle  USL  ai  sensi
 dell'art. 66, terzo comma, della  legge  n.  833  e  dell'art.    37,
 secondo  comma,  della  legge regionale 25 ottobre 1979, n. 78".  Non
 sussiste, quindi, eccesso di delega:  sia  la  norma  di  delega  sia
 quella  delegata prevedono il trasferimento alle nuove USL di tutti e
 soli i beni in precedenza trasferiti ai comuni ex artt. 65 e 66 della
 legge n. 833; al contrario, vi sarebbe eccesso di delega se la  norma
 delegata  fosse  intesa  nel  senso  del trasferimento anche dei beni
 comunali  non  vincolati,  ma  utilizzati  per  generiche   finalita'
 igienico-sanitarie.
   Piuttosto e' da rilevare che le censure formulate nell'ordinanza di
 rimessione   attengono   al   merito,   e   non   alla   legittimita'
 costituzionale, delle norme in esame, "non essendo dato di capire per
 quale ragione le norme sul trasferimento dei beni,  solo  perche'  ne
 escludono  una  porzione  (invero  assai limitata), dovrebbero essere
 pregiudizievoli per la ''qualita' totale'' dell'azione amministrativa
 e per ''l'effettivita' della stessa  tutela  della  salute''".  Oltre
 cheinammissibile, la questione sarebbe anche infondata, non essendovi
 ragione  per  ritenere  che la sufficienza delle risorse patrimoniali
 delle nuove USL debba coincidere con il necessario  trasferimento  ad
 esse  della  totalita'  dei  beni  comunali  utilizzati,  magari solo
 transitoriamente, a fini igienico-sanitari,  ma  mai  assoggettati  a
 vincolo  di  destinazione.  Al  contrario,  se  il legislatore avesse
 disposto il trasferimento anche di questi beni, sarebbe incorso nella
 violazione dei principi  di  eguaglianza  e  ragionevolezza,  nonche'
 dell'autonomia,  anche patrimoniale, dei comuni (artt. 3, 97, 5 e 128
 Cost.),  penalizzando  proprio  quegli  enti   che,   spontaneamente,
 avessero   destinato   propri   beni   al   servizio  delle  esigenze
 igienico-sanitarie della collettivita'.    Quanto  a  taluni  aspetti
 procedimentali,  si osserva che la disciplina dell'art. 5 del decreto
 legislativo  n.  502  del  1992  non  impone   affatto   un   "rigido
 automatismo"  nel  trasferimento  dei  beni alle USL, non discendendo
 dalla legge  alcun  effetto  traslativo  della  proprieta'  dei  beni
 stessi:   i   provvedimenti   della   regione   hanno  quindi  natura
 costitutiva, incidendo autoritativamente sul  diritto  di  proprieta'
 dei comuni. Essi, pertanto, devono essere impugnati solo di fronte al
 giudice  amministrativo: da cio' la rilevanza della questione.  Nella
 memoria si sostiene, infine, che la opportunita' di un'intesa tra  le
 amministrazioni  interessate, delineata dal giudice a quo, mentre non
 verrebbe in rilievo per i beni non vincolati,  il  cui  trasferimento
 dovrebbe  essere radicalmente escluso, si porrebbe invece proprio per
 il trasferimento di beni gia' vincolati ex artt. 65 e 66 della  legge
 n.  833  del  1978,  in  relazione  ai  quali  la sollevata questione
 dovrebbe essere accolta.
   4.2. - Il comune di Venezia, nella sua  memoria,  ha  rilevato  che
 l'azienda  USL,  per  definirsi tale, non deve essere proprietaria di
 tutti i beni che utilizza a fini sanitari, ben potendo disporre, agli
 stessi fini, di immobili di proprieta' comunale.  D'altra  parte,  la
 categoria degli immobili comunali a destinazione sanitaria, dei quali
 si  controverte,  non  e'  stata  "dimenticata" dal legislatore, che,
 all'art. 66, terzo comma, della legge  n.  833  del  1978,  ne  aveva
 previsto l'affidamento della gestione alle USL: gestione, destinata a
 durare  fintantoche'  duri  l'uso,  per  cui l'azienda sanitaria puo'
 continuare la gestione di tali beni. Gli  immobili  in  contestazione
 non   sono  mai  stati  assoggettati  ad  uno  specifico  vincolo  di
 destinazione e, se lo  fossero  stati,  le  USL  "dovrebbero  versare
 all'ente   proprietario   il   corrispettivo   per  l'acquisto  della
 proprieta'  di  detti  immobili",  mentre,  in  caso  contrario,   si
 tratterebbero di una forma di esproprio senza indennizzo.
   4.3.  -  Infine il comune di Arzergrande ha informato che la USL n.
 14  del  Veneto,  a  favore  della  quale  era  stato   disposto   il
 trasferimento  di  un  singolo  locale  delle  scuole  elementari del
 comune, ha assunto formale impegno, con nota allegata  alla  memoria,
 di  non  vantare  alcun  diritto su tale immobile, chiedendo di poter
 procedere alla stipulazione di un atto di transazione.
                         Considerato in diritto
   1. - Il tribunale amministrativo regionale del Veneto dubita  della
 legittimita'  costituzionale  dell'art. 1, lettera p), della legge 23
 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la
 revisione  delle  discipline  in  materia  di  sanita',  di  pubblico
 impiego,  di  previdenza  e  di  finanza territoriale) e dell'art. 5,
 comma 1, del   d.lgs.  30  dicembre  1992,  n.  502  (Riordino  della
 disciplina  in  materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23
 ottobre 1992, n. 421), come  sostituito  dall'art.  6  del  d.lgs.  7
 dicembre  1993,  n. 517 (Modificazioni al d.lgs. 30 dicembre 1992, n.
 502, recante riordino della disciplina in materia sanitaria, a  norma
 dell'art.    1  della legge 23 ottobre 1992, n. 421), "nella parte in
 cui non prevedono - previa conferenza dei  servizi,  da  attivarsi  a
 cura  della  regione  -  una  disciplina di trasferimento alle Unita'
 sanitarie locali dei beni gia' di proprieta' comunale e utilizzati  a
 fini  di  igiene  pubblica e di sanita', prima dell'entrata in vigore
 della legge 23  dicembre  1978,  n.  833  (Istituzione  del  servizio
 sanitario nazionale)".
   Ad  avviso  dei  giudice rimettente, da tale mancata disciplina, in
 vista del trasferimento dei beni suddetti ai patrimonio delle  Unita'
 sanitarie  locali,  deriva  la  violazione  degli artt. 32 e 97 della
 Costituzione, in quanto essa pregiudicherebbe negativamente la tutela
 della salute e il  buon  andamento  della  pubblica  amministrazione,
 l'una  e  l'altro  dipendendo  dalla dotazione patrimoniale di cui le
 unita' sanitarie stesse possano disporre.
    2.   -   La   difesa   del   Governo   eccepisce   preliminarmente
 l'inammissibilita' della questione per un triplice ordine di ragioni.
    Ad avviso dell'Avvocatura generale dello Stato, in primo luogo, il
 giudice  rimettente sarebbe privo di giurisdizione nella causa che ha
 dato  origine  al  presente  giudizio  costituzionale.  La  posizione
 soggettiva   fatta   valere   dai  ricorrenti  davanti  al  tribunale
 amministrativo  sarebbe  infatti  di   diritto   soggettivo,   stante
 l'asserita natura meramente dichiarativa o ricognitiva di un diritto,
 e  non  discrezionale, dell'atto impugnato con il quale il presidente
 della regione, a norma dell'art.  5, comma 2, del decreto legislativo
 n. 502 del 1992, identifica i beni destinati a essere  trasferiti  al
 patrimonio  delle  Unita'  sanitarie  locali. Tuttavia, conformemente
 alla giurisprudenza di questa Corte (sentenze nn. 263 del  1994,  164
 del  1993,  439  del  1991, 283 e 102 del 1990, 777 del 1988, 346 del
 1987, e ordinanze nn. 348 del 1995 e 274 del 1991),  la  verifica  in
 proposito  spetterebbe  eventualmente  a  istanze  diverse  da quella
 rappresentata    dal    giudizio    incidentale    di    legittimita'
 costituzionale,  nel  quale la carenza di giurisdizione e' rilevabile
 esclusivamente quando appaia manifesta, tale cioe' da  non  ammettere
 discussione: cio' che non e', nel caso in esame.
   In  secondo luogo, il giudice rimettente, con la proposta questione
 incidentale  di  costituzionalita',  avrebbe  rovesciato   il   thema
 decidendum  del  giudizio innanzi a se' pendente. I comuni ricorrenti
 chiedevano  l'annullamento  del  provvedimento  regionale  in  quanto
 contrario  alla normativa vigente, avendo compreso tra i beni oggetto
 di  trasferimento  anche  quelli  in  contestazione.   Il   tribunale
 amministrativo   regionale,   con   la   prospettata   questione   di
 legittimita' costituzionale, avrebbe operato in modo di  ottenere  un
 mutamento  del  quadro  normativo,  idoneo a respingere i ricorsi. In
 disparte la considerazione che non  e'  del  tutto  pacifico  che  il
 giudice  rimettente  sollevi  la  questione  al  fine di emettere una
 pronuncia sfavorevole ai ricorrenti,  tuttavia  -  come  ribadito  di
 recente  nella  sentenza  n.  117  del  1996 - e' da osservare che le
 questioni incidentali di legittimita' costituzionale sono ammissibili
 non soltanto quando siano preordinate all'accoglimento della  pretesa
 fatta   valere  innanzi  al  giudice  rimettente.  Il  "senso"  degli
 ipotetici effetti che potrebbero derivare per le parti  in  causa  da
 una  pronuncia  sulla  costituzionalita'  della  legge  e' totalmente
 ininfluente  sull'ammissibilita'  della  questione  di   legittimita'
 costituzionale, ammissibilita' che dipende invece dall'applicabilita'
 della norma impugnata nel processo d'origine e quindi dalla capacita'
 della  decisione  della  Corte  di  determinare  effetti sul giudizio
 principale.
   Infine, la pronuncia auspicata dal tribunale rimettente avrebbe  un
 contenuto additivo tale da assumere i caratteri di una vera e propria
 innovazione  legislativa,  estranea  all'ambito dei poteri propri del
 giudice delle leggi. Questo rilievo, tuttavia, avendo  riguardo,  nel
 caso  in  esame,  a  un  esito  dello  scrutinio di costituzionalita'
 eventuale, non impedisce che la questione sia trattata nel merito.
   3. - La questione e' infondata.
   3.1. - La legge 23 dicembre 1978, n. 833, nell'ambito del  Servizio
 sanitario nazionale, aveva istituito le Unita' sanitarie locali quali
 strutture  organizzative  di funzioni comunali, prive di personalita'
 giuridica e quindi di patrimonio proprio (artt. 10 e 13  de11a  legge
 suddetta).  In  tali  unita'  sanitarie  sono  venute  a confluire le
 funzioni in materia di igiene e sanita' precedentemente svolte da una
 serie di amministrazioni, alcune delle quali  disciolte  dalla  legge
 (enti  ospedalieri,  casse  ed enti mutualistici, consorzi sanitari),
 altre (come le province) private delle loro  precedenti  funzioni  in
 materia.    I  beni  mobili  e  immobili  e  le  attrezzature di tali
 soggetti, non potendo essere intestati alle unita' sanitarie  locali,
 data   la   loro  configurazione  giuridica  dell'epoca,  sono  stati
 trasferiti al patrimonio dei comuni, con vincolo di destinazione alle
 Unita' sanitarie medesime (artt. 65 e  66  della  legge  n.  833  del
 1978).  Poiche'  poi  anche i comuni esercitavano funzioni in materia
 igienico-sanitaria e dunque esistevano beni  destinati  all'esercizio
 di  queste  gia'  ricompresi  nel patrimonio comunale, il terzo comma
 dell'art. 66 ne ha previsto l'affidamento alla gestione delle  Unita'
 sanitarie locali.
   In questo duplice modo - il vincolo di destinazione e l'affidamento
 in  gestione  -  le Unita' sanitarie venivano a disporre, per le loro
 finalita' istituzionali, di beni patrimoniali  intestati  ai  comuni,
 titolari delle funzioni.
   Con  la legge 23 ottobre 1992, n. 421 (art. 1, lettera d)) e con il
 d.lgs. 30 dicembre  1992,  n.  502  (art.  3,  comma  1),  le  Unita'
 sanitarie   locali   sono   venute  a  differenziarsi  giuridicamente
 dall'organizzazione  dei  comuni,  essendo  state  configurate   come
 aziende   dotate  di  personalita'  giuridica  pubblica,  nonche'  di
 autonomia  organizzativa,  amministrativa,  patrimoniale,  contabile,
 gestionale  e tecnica. A tale nuova definizione seguiva la necessita'
 della costituzione di  un  patrimonio  di  cui  esse  assumessero  la
 titolarita'.
    A  questo  fine,  gli impugnati artt. 1, lettera p) della legge n.
 421 e 5 del decreto legislativo n. 502  del  1992  (quest'ultimo  nel
 testo  vigente  a  seguito  delle  modifiche  apportate  dal  decreto
 legislativo n. 517 del 1993) hanno  previsto  il  trasferimento  alle
 aziende  - il primo - del patrimonio mobiliare e immobiliare, gia' di
 proprieta' dei disciolti enti ospedalieri e  mutualistici,  che  alla
 data  di  entrata  in vigore della legge facesse parte del patrimonio
 dei comuni e - il secondo - di tutti i  beni  mobili,  immobili,  ivi
 compresi  quelli  da  reddito,  e  le  attrezzature che, alla data di
 entrata in vigore del decreto, fossero compresi  nel  patrimonio  dei
 comuni  e  delle  province  con  vincolo  di destinazione alle Unita'
 sanitarie locali. Le disposizioni richiamate lasciano, invece,  fuori
 dal trasferimento i beni di cui all'art. 66, terzo comma, della legge
 n.   833   del   1978,   beni  appartenenti  al  patrimonio  comunale
 anteriormente alla legge istitutiva delle unita' sanitarie locali e a
 queste affidati in "gestione" dai comuni.
    3.2.   -   L'anzidetto  mancato  trasferimento  da  un  patrimonio
 all'altro dei beni da ultimo  indicati  e'  considerato  dal  giudice
 rimettente  lesivo  degli artt. 97 e 32 della Costituzione. Ma gia' a
 prima vista appare che tra i contenuti  dei  parametri  invocati  (il
 buon  andamento  della  pubblica  amministrazione  e  il diritto alla
 salute) e il contenuto delle  norme  impugnate  (la  consistenza  del
 patrimonio delle Unita' sanitarie) esiste un'incolmabile distanza che
 impedisce    di    trarre    dai    primi   conseguenze   dirette   e
 costituzionalmente necessarie rispetto al secondo. Per quanto molto i
 principi della Costituzione siano in grado  di  esprimere  per  mezzo
 dell'interpretazione,   in  nessun  modo  si  potrebbe  dire  che  la
 dotazione patrimoniale di un ente pubblico  sia  gia'  implicitamente
 contenuta  nella  Costituzione  e  possa  dunque  essere  determinata
 interpretativamente.
   I dubbi di costituzionalita' sulla normativa  impugnata  non  hanno
 dunque  ragion  d'essere,  tanto  piu'  se  si considera che, secondo
 giurisprudenza, il sopra menzionato art. 66, terzo comma, della legge
 n.  833  del  1978  e'  tuttora  vigente.  Cosicche',   allo   stato,
 l'alternativa  che  il  giudice rimettente implicitamente pone non e'
 tra l'appartenenza dei beni contestati  al  patrimonio  delle  Unita'
 sanitarie  e  l'impossibilita' di utilizzazione da parte delle stesse
 per i loro fini istituzionali.   L'alternativa sarebbe  infatti  solo
 quella  tra  l'ascrizione  dei  beni  contestati  a  uno  o all'altro
 patrimonio, ferma  restandone  la  gestione  da  parte  delle  Unita'
 sanitarie affidatarie.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 degli artt. 1, lettera p),  della  legge  23  ottobre  1992,  n.  421
 (Delega  al  Governo  per  la  razionalizzazione e la revisione delle
 discipline in materia di sanita', di pubblico impiego, di  previdenza
 e di finanza territoriale) e 5, comma 1, del d.lgs. 30 dicembre 1992,
 n.  502  (Riordino  della  disciplina  in  materia  sanitaria a norma
 dell'art. 1 della legge 23 ottobre 1992,  n.  421),  come  sostituito
 dall'art.  6  del  d.lgs.   7 dicembre 1993, n. 517 (Modificazioni al
 d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502, recante riordino della disciplina in
 materia sanitaria, a norma dell'art. 1 della legge 23  ottobre  1992,
 n.  421),  sollevata,  in  riferimento  agli  artt.  97  e  32  della
 Costituzione, dal tribunale amministrativo regionale del Veneto,  con
 l'ordinanza indicata in epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 7 aprile 1997.
                        Il Presidente: Granata
                       Il redattore: Zagrebelsky
                       Il cancelliere: Di Paola
   Depositata in cancelleria il 18 aprile 1997.
               Il direttore della cancelleria: Di Paola
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