N. 73 SENTENZA 7 - 15 marzo 1996

 
 
 Giudizio di legittimita' costituzionale in via incidentale
 
 Imposte in genere - Ritenuta fiscale del sei per mille  sui  depositi
 bancari  e  postali  - Imposizione una tantum tale da non alterare il
 sistema tributario visto in tutte le sue componenti e nel  necessario
 bilanciamento   di   interessi   tra   esigenze   finanziarie   della
 collettivita' e tutela delle ragioni del contribuente  -  Riferimento
 alle sentenze nn. 143 e 159 del 1985 - Non fondatezza.
 
 (D.-L.  11 luglio 1992, n. 333, art. 7, come sostituito dalla legge 8
 agosto 1992, n. 359, di conversione).
 
 (Cost., artt. 3, 47 e 53).
(GU n.12 del 20-3-1996 )
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   composta dai signori:
   Presidente: prof. Luigi MENGONI;
   Giudici: prof. Enzo CHELI, dott.  Renato  GRANATA,  prof.  Giuliano
 VASSALLI,  prof.  Francesco  GUIZZI,  prof.  Cesare  MIRABELLI, prof.
 Fernando SANTOSUOSSO, avv. Massimo VARI, dott. Cesare RUPERTO,  dott.
 Riccardo CHIEPPA, prof. Gustavo ZAGREBELSKY;
 ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel   giudizio   di   legittimita'  costituzionale  dell'art.  7  del
 decreto-legge  11  luglio  1992,  n.  333  (Misure  urgenti  per   il
 risanamento  della finanza pubblica), convertito nella legge 8 agosto
 1992, n. 359, promosso con ordinanza emessa il 22 maggio  1995  dalla
 Commissione  tributaria di primo grado di Genova sul ricorso proposto
 da  Castello  Giorgio  contro  l'Intendenza  di  finanza  di  Genova,
 iscritta  al  n.  471  del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  37,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1995;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 10 gennaio 1996 il Giudice
 relatore Massimo Vari.
                            Ritenuto in fatto
   1. - Con ordinanza del 22 maggio 1995 (r.o. n. 471  del  1995),  la
 Commissione  tributaria  di  primo  grado di Genova - nel corso di un
 giudizio proposto da Castello Giorgio contro l'Intendenza di  finanza
 di  Genova  per  il  rimborso della ritenuta fiscale del 6 per mille,
 operata sul conto corrente intrattenuto con  l'Istituto  bancario  S.
 Paolo  di Torino - ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 47 e 53
 della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
 dell'art.  7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti
 per  il  risanamento  della  finanza pubblica), come sostituito dalla
 legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359.
   La Commissione rimettente - evidenziato che, nel caso di specie,  i
 depositi  colpiti  dall'imposta erano costituiti dall'ammontare di un
 mutuo  fondiario  accordato  al  ricorrente  per  l'acquisto  di   un
 appartamento - lamenta violazione:
     dell'art.   3  della  Costituzione,  in  quanto  la  disposizione
 denunciata colpisce tutti gli intestatari di conti correnti  bancari,
 considerando  "quale  unico elemento discriminatore il dato meramente
 accidentale costituito dalla presenza di somme accantonate nel conto"
 alla data prevista dalla disposizione medesima, ma "senza considerare
 le causali del deposito stesso", cosi' "trattando in  maniera  eguale
 posizioni differenziate";
     dell'art.  47 della Costituzione, in quanto vengono tassate forme
 di ricchezza  il  piu'  delle  volte  assai  modeste,  confluite  nel
 deposito  bancario  perche'  non  di  importo  tale  da  poter essere
 investite in utilizzi maggiormente remunerativi, disattendendo  cosi'
 l'esigenza   costituzionale  di  incoraggiare  e  tutelare  forme  di
 risparmio minimali,  accessibili  alla  generalita'  dei  consociati,
 quali appunto i depositi bancari o postali;
     dell'art.   53   della  Costituzione,  in  quanto  l'imposta,  in
 contrasto con  il  principio  della  capacita'  contributiva,  incide
 indifferentemente  su somme depositate per le piu' svariate esigenze,
 finendo per gravare su disponibilita' contingenti, momentaneamente in
 transito  se  non  addirittura  non  appartenenti  al  titolare   del
 deposito,  e  quindi incidendo non gia' su ricchezze effettive, ma su
 temporanee liquidita' non espressive di reale capacita' contributiva.
 A  tal  proposito,  quali  casi  non   significativi   di   capacita'
 contributiva, la Commissione menziona esemplificativamente i depositi
 di  somme  derivanti  da  mutui,  il cui controvalore sia stato fatto
 confluire  sul  conto  del  mutuatario  alla  data   di   riferimento
 dell'imposizione,  i  depositi,  finalizzati  al pagamento di debiti,
 intestati ad enti, amministrazioni condominiali, pubblici  ufficiali,
 come i notai, per legge debitori dell'imposta di registro.
                         Considerato in diritto
   1.  -  Con  l'ordinanza  in  epigrafe, la Commissione tributaria di
 primo  grado  di  Genova  ha  sollevato  questione  di   legittimita'
 costituzionale  dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333,
 come sostituito dalla legge di conversione 8  agosto  1992,  n.  359,
 che,   al   comma   6,   istituisce,   per  l'anno  1992,  un'imposta
 straordinaria sui depositi bancari e postali, prevedendo una ritenuta
 del 6 per mille sull'ammontare  dei  medesimi,  quale  risulti  dalle
 scritture contabili alla data del 9 luglio 1992.
   2.  -  Il giudice rimettente, premesso che, nel caso portato al suo
 esame, la somma  colpita  dall'imposta  e'  costituita  dal  ricavato
 dell'ammontare  di  un  mutuo  fondiario destinato all'acquisto di un
 appartamento, ritiene che la disposizione denunciata contrasti con:
     a) l'art. 3 della  Costituzione,  perche'  considera  in  maniera
 eguale posizioni differenziate, incidendo su tutti gli intestatari di
 conti  correnti  bancari  che  vengono  discriminati in rapporto alle
 somme che i loro titolari posseggano "alla data del  6  luglio  1992"
 (rectius  9 luglio 1992), in base al dato meramente accidentale della
 presenza di importi accantonati nel conto, ma "senza  considerare  le
 causali del rapporto stesso";
     b)  l'art.  47  della  Costituzione,  in quanto investe "forme di
 ricchezza il piu' delle volte assai modeste", insuscettibili, proprio
 per  il  loro  importo,  di  investimenti  in  utilizzi  maggiormente
 remunerativi,   contrastando   cosi'  "l'esigenza  costituzionale  di
 incoraggiare e tutelare forme di risparmio minimali, accessibili alla
 generalita' dei consociati";
     c)  l'art.  53  della  Costituzione,  in  quanto  grava  "non  su
 ricchezze  effettive"  ma  su  temporanee liquidita' e disponibilita'
 contingenti "momentaneamente  in  transito  se  non  addirittura  non
 appartenenti al titolare del deposito".
   3.  - La questione, con la quale vengono proposte censure analoghe,
 per vari aspetti, a quelle gia'  esaminate  in  precedenti  pronunzie
 della Corte, non e' fondata.
   Vanno   in   primo  luogo  prese  in  considerazione  le  doglianze
 concernenti l'asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione,  da
 esaminare  congiuntamente a quelle che l'ordinanza stessa propone con
 riferimento all'art. 53 della Costituzione.
   Dette  censure  prospettano,  infatti, profili di illegittimita' in
 parte  coincidenti,  sia  pure  nella  distinta  evocazione  dei  due
 menzionati   parametri,   tra  i  quali,  del  resto,  esiste  quella
 connessione altre volte evidenziata dalla Corte, che porta a ritenere
 il secondo precetto "conseguenziale specificazione del primo".
   La Commissione tributaria  di  Genova  dubita,  anzitutto,  che  il
 criterio  di  riferimento  temporale  accolto  dal  legislatore,  per
 individuare i soggetti tenuti al pagamento del tributo,  si  conformi
 al principio di eguaglianza dell'art. 3 della Costituzione.
   La  Corte  ha  gia'  avuto  occasione  di sottoporre a scrutinio di
 costituzionalita' il tributo in esame, ponendo in evidenza  che  esso
 e'  una  imposta  straordinaria connotata da modalita' eccezionali ed
 inserita in un contesto di misure finanziarie di carattere  generale,
 nell'ambito  del  quale  il  prelievo  sui  depositi,  nel colpire un
 peculiare indice  di  capacita'  contributiva,  incide  sui  depositi
 stessi  con  una  aliquota  di  modesta  entita', tale da non potersi
 ragionevolmente considerare  ablativa  del  patrimonio  del  soggetto
 (sentenza n. 143 del 1995).
   In  relazione  a  siffatte caratteristiche, nel conside-rare che si
 tratta di una imposizione una tantum tale da non alterare, secondo un
 canone  valutativo  gia'  fatto  proprio  dalla  Corte,  il   sistema
 tributario  visto in tutte le sue componenti (sent. n. 159 del 1985),
 si e', altresi', posto in risalto  che  la  peculiare  configurazione
 dell'imposta  trova  la  sua  giustificazione  - secondo gli elementi
 ricostruttivi delle finalita' della legge desumibili anche dagli atti
 parlamentari  -  nell'esigenza  di  individuare  un   meccanismo   di
 immediato  accertamento  e  di agevole e rapida riscossione, premessa
 necessaria perche'  una  imposta  straordinaria  possa  rivelarsi  un
 tributo perequato sul patrimonio.
   Nel  necessario bilanciamento di interessi fra esigenze finanziarie
 della collettivita' e tutela delle ragioni del contribuente, la norma
 denunciata assume, dunque, i saldi contabili, alla data stabilita dal
 legislatore, e cioe' alla data del 9 luglio  1992,  come  normalmente
 rappresentativi  di  disponibilita'  patrimoniali  del  titolare  del
 conto.
   Tanto rammentato, la censura relativa alla violazione dell'art.   3
 della Costituzione, se intesa come prospettazione dell'esigenza di un
 pari   trattamento   fra  soggetti  in  eguale  situazione,  che  non
 potrebbero essere discriminati unicamente  in  ragione  dell'elemento
 temporale  della  disponibilita'  o meno di un deposito bancario alla
 data prevista  dal  legislatore,  puo'  essere  agevolmente  superata
 osservando   che   il  principio  di  eguaglianza  non  impedisce  un
 differente trattamento che trovi nello stesso  fluire  del  tempo  un
 elemento discretivo.
   Non migliore sorte merita la censura relativa alla violazione dello
 stesso  art.  3 della Costituzione quanto all'ulteriore profilo sotto
 il  quale  la  stessa  appare  sollevata,  addebitando,   cioe',   al
 legislatore di non essersi dato carico, nell'introdurre l'imposta, di
 distinguere fra le varie causali del rapporto sottostante al deposito
 bancario.     Di  detta  doglianza  costituisce  sostanzialmente  una
 riproposizione  quella   prospettata   evocando   l'art.   53   della
 Costituzione,  per  lamentare  che  l'imposta  gravi non su ricchezze
 effettive, bensi' su disponibilita'  contingenti  momentaneamente  in
 transito,  se  non  addirittura  non  appartenenti  al  titolare  del
 deposito. In ogni caso, quale che sia il profilo dedotto, il  giudice
 rimettente  non  considera  che  ne'  il principio di eguaglianza ne'
 quello  di  capacita'  contributiva  possono  ritenersi  incisi:   e'
 sufficiente  infatti  ribadire, in armonia con la sentenza n. 143 del
 1995, che l'imposta in esame colpisce il  bene  indice  di  ricchezza
 nella  sua  oggettivita',  onde  non  irragionevolmente la legge pone
 l'imposta medesima a carico di  colui  che  risulta  detentore  delle
 somme. E cio' indipendentemente da eventuali rapporti sottostanti con
 altri soggetti, come pure - per venire al caso oggetto del giudizio a
 quo  -  dal  fatto  che  la  disponibilita'  bancaria  costituisca il
 ricavato di un mutuo, contratto dal titolare del conto.  Il  tributo,
 nella  configurazione  ad  esso  data  dal  legislatore, non puo' non
 prescindere dalla varieta' e  molteplicita'  delle  situazioni  dalle
 quali la ricchezza stessa puo' trarre origine.
   4.  -  Infine,  circa  la  pretesa  violazione  dell'art.  47 della
 Costituzione, che, secondo l'ordinanza, deriverebbe dal fatto che  la
 disposizione  colpisce  forme  di ricchezza il piu' delle volte assai
 modeste, disattendendo cosi' l'esigenza di  incoraggiare  e  tutelare
 forme   di   risparmio  minimali  accessibili  alla  generalita'  dei
 consociati, va riaffermato, anche qui in conformita' alla  precedente
 giurisprudenza  (sentenze  nn.  143  del  1995  e  143 del 1982), che
 l'invocata norma costituzionale contiene un  principio  al  quale  il
 legislatore  ordinario  e' certamente tenuto ad ispirarsi, ma che non
 puo'  impedire  al  medesimo  di  emanare,  in  materia  finanziaria,
 disposizioni  volte  a  disciplinare  il  gettito  delle entrate, con
 l'unico limite della vera e propria contraddizione  e  compromissione
 del principio stesso.
                           Per questi motivi
                        LA CORTE COSTITUZIONALE
   Dichiara  non  fondata  la questione di legittimita' costituzionale
 dell'art. 7 del decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure  urgenti
 per  il  risanamento  della  finanza pubblica), come sostituito dalla
 legge di conversione 8 agosto 1992, n. 359, sollevata, in riferimento
 agli artt.  3,  47  e  53  della  Costituzione,  con  l'ordinanza  in
 epigrafe.
   Cosi'  deciso  in  Roma,  nella  sede  della  Corte costituzionale,
 Palazzo della Consulta, il 7 marzo 1996.
                        Il Presidente:  Mengoni
                          Il redattore:  Vari
                       Il cancelliere:  Di Paola
   Depositata in cancelleria il 15 marzo 1996.
               Il direttore della cancelleria:  Di Paola
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